Lys
La giovane
figlia di lady Hufflepuff si tolse l’indice dalla bocca: sua
madre glielo diceva sempre di smetterla di rosicchiarsi le unghie,
anche ora che non era più una bambina. Anche se a volte Lys
le rispondeva con uno sbuffo scocciato, per niente in linea con il loro
rango, sapeva che Helga aveva ragione, ma non poteva farci niente:
quando era nervosa non riusciva a controllarsi. E di essere nervosa in
quel periodo ne aveva ben d’onde.
Non riusciva a
smettere di pensare al mago che aveva attaccato Hogwarts con le sue
creature magiche. Lei non era stata presente, era rimasta a occuparsi
di un giovane mago malato portatole neanche un’ora prima da
Augustus, ma aveva sentito il castello tremare fin dalle fondamenta,
quello che doveva essere un edificio inespugnabile. Il suo cuore si era
lanciato in una corsa forsennata, pungolato più
dall’incertezza su quanto stava avvenendo che da una reale
paura, ma poi Lys aveva visto con i suoi occhi ciò che era
accaduto. Aveva visto la parete squarciata, il corridoio che dava sul
nulla, e persino i corpi degli studenti che avevano perso la vita:
aveva dovuto aiutare sua madre a ricomporre le loro salme prima di
spedirle alle famiglie. L’ansia provata dalla giovane strega
era stata enorme, così come la sua pena, ma era davvero una
persona così orribile se si era sentita pure sollevata?
Sollevata di non riconoscere tra quei volti delle persone a lei vicine.
Sua madre stava bene, così anche la sua amica Bloem
Slytherin… e Augustus naturalmente. Nei giorni di calma Lys
poteva anche mentire a se stessa e fingere che incrociare casualmente
il mago sul suo cammino non le facesse piacere, ma quando si era
trovata faccia a faccia con la paura e con la morte non aveva potuto
più raccontarsi falsità: il suo cuore aveva
provato un guizzo quando si era accertata che al ragazzo non era
successo niente.
“Andiamo,
Lys, coraggio.”
La voce calma,
ma decisa di sua madre la strappò dai suoi pensieri; subito
le mani della ragazza iniziarono a riordinare le pergamene che aveva
consultato fino a quel momento.
C’era
davvero tanto da fare; il mago del Nord che aveva attaccato la scuola
si era ritirato, ma questo non significava che tutti loro fossero al
sicuro. Avevano corso un grande pericolo, e ora dovevano trovarlo per
assicurarsi che non facesse più del male a nessuno di loro.
A quello scopo si erano mobilitati tutti i maghi più potenti
del regno, tra cui i Fondatori stessi, con i loro aiutanti e con la
loro prole.
Di fianco a
Lys, sua sorella Aerie, di poco più piccola,
annuì come a confermarle che stavano facendo la cosa giusta.
Dall’altro lato Augustus – e qui le viscere di Lys
si annodarono – ricambiò il suo sorriso.
Eskil
Il mago
calcava con decisione il pavimento della sua stanza; i suoi stivali
avevano percorso quell’area così tante volte che
c’era da stupirsi che non vi avessero lasciato un solco.
Non riusciva a
crederci. Non riusciva semplicemente a crederci.
Sapeva che
prima o poi per ognuno di loro sarebbe giunto il momento di lasciare il
maniero in mezzo alle paludi, la casa paterna in cui erano cresciuti,
per sposarsi e iniziare una vita diversa. Sapeva anche che sarebbe
stato naturalmente lord Slytherin a decidere il futuro dei suoi figli,
e che lo avrebbe fatto per il meglio, per dare lustro alla loro nobile
casata. Eppure quando gli giunse all’orecchio la notizia che
sua sorella si sarebbe sposata di lì a poco, si
sentì mancare l’aria.
In teoria era
stato preparato al colpo, in realtà si ritrovò
inerme come un neonato. In fondo, anche se solo di due anni, era lui il
maggiore; si era convinto così che Salazar avrebbe
pianificato dapprima le sue nozze, poi quelle di Bloem. Si era convinto
che per Bloem avrebbe potuto aspettare. E invece no.
Era
strano a dirsi, forse, ma non per lui: sua sorella era
l’unica persona a cui si sentisse profondamente legato. Non
c’era nessun altro al mondo che per lui avesse contato tanto;
anche prima, quando Alyssa era viva. Nutriva un sentimento tenero nei
confronti della giovane, ma sua sorella era stata qualcosa di
più, un legame irripetibile, quasi gemellare. Eskil sentiva
che c’era qualcosa a legarli, qualcosa che non avrebbe potuto
condividere con nessun altro. Erano cresciuti insieme, vivendo gomito a
gomito ogni giornata, prima al maniero, poi a Hogwarts. Avevano
condiviso ogni momento, ogni esperienza, ogni pensiero. Ma non era solo
quello.
Bloem
conosceva Eskil come nessun altro e viceversa; a volte il mago ancora
si stupiva di realizzare come la sorella riuscisse ad anticiparlo prima
ancora che esternasse le sue riflessioni. Si comprendevano al volo, era
più di una semplice sintonia: Eskil sapeva che Bloem
conosceva gli anfratti più reconditi del suo cuore, luoghi
inesplorati persino per lui stesso.
Ora
però la ragazza si sarebbe sposata e lo avrebbe lasciato.
Non avrebbero più condiviso ogni momento, ogni pensiero.
A
Eskil non importava che Bloem sposasse lord Gryffindor o un altro,
perché l’identità del marito non
avrebbe cambiato le cose: gliel’avrebbero comunque portata
via. Doveva sforzarsi di essere razionale, convincersi che era nel
normale evolversi delle cose, ma non ci riusciva. Al momento tutto
ciò che riusciva a provare era un ribollente senso di
disfatta, un dolore quasi fisico, come se gli avessero strappato un
arto o un’altra parte di se stesso.
Il mago
rimuginò molto, ma alla fine si decise ad affrontare suo
padre. Per dire cosa, ancora non lo sapeva; normalmente Eskil non aveva
un simile ardire, ma ora era troppo sconvolto per realizzare che
sarebbe stato assolutamente impensabile anche solo azzardarsi a
contestare lord Salazar. Ma i suoi piedi si muovevano da soli: lo
portarono fuori dalla sua stanza, giù per la scalinata di
pietra, verso il luogo in cui sapeva che avrebbe trovato il genitore. I
suoi pensieri erano un groviglio di lana, una matassa intricata che
sembrava impossibile da districare. Eppure, trovandosi faccia a faccia
con Salazar, avrebbe dovuto provarci.
Ma,
inaspettatamente, fu lo stesso signore del castello ad andare incontro
al figlio, gli occhi infossati sotto la fronte aggrottata.
“Padre?”
chiese Eskil, fermandosi di botto.
“Si
tratta di Bloem” annunciò il mago con voce severa.
“È scomparsa.”
Bloem
La strega
strinse le ginocchia intorno ai fianchi muscolosi di Tata, stando
attenta a non intralciare il movimento delle sue ali. Le dita erano
serrate intorno alla striscia di cuoio delle briglie e gli occhi
lacrimavano a causa del vento. Represse un brivido; la stagione non era
rigida, ma a quell’altitudine e alla velocità di
volo del cavallo alato era normale sentire freddo, anche se Bloem si
era avvolta in un pesante mantello da viaggio.
“Da
brava, Tata, non manca molto” disse la ragazza oltre il
sibilo del vento. Come se fosse stata capace di intenderla, la creatura
magica le rispose con un nitrito.
Le redini si
mossero appena: Bloem indusse l’animale a scendere al disotto
degli sbuffi di nubi che oscuravano il cielo notturno, in modo da avere
una migliore visione di ciò che si trovava dabbasso. Il buio
della notte tingeva ogni cosa d’inchiostro, ma era ancora
possibile distinguere i contorni di un boschetto e la traccia di un
sentiero.
Orientarsi dall’altro era molto più
facile e Bloem, che non aveva mai viaggiato da sola prima di allora,
non aveva troppe difficoltà a seguire le indicazioni della
mappa che aveva fissato alla sella. Stando a quella, era entrata nelle
terre di Lord Gryffindor già da qualche miglio.
Con un altro
guizzo della muscolatura agile, Tata si spinse in avanti, fendendo
l’aria con il muso. Dopo un po’, anche la strega se
ne accorse: sulla linea dell’orizzonte era sorto un grumo,
una piccola macchia più nera del paesaggio circostante.
Doveva trattarsi del castello del suo futuro sposo.
Nel pensare a
Godric Gryffindor in quei termini, sentì un sapore amaro
invaderle la lingua.
Proseguì
in volo per qualche altro miglio ancora; adesso il grande edificio di
pietra non era più solo una macchia, ma appariva come una
costruzione in cui erano visibili le torri, le guglie e il ponte
levatoio. Sicuramente doveva essere protetto da numerosi incantesimi,
come del resto accadeva per il maniero Slytherin, così Bloem
reputò più prudente far atterrare Tata e
proseguire per l’ultimo tratto a terra. Quattro zoccoli duri
come diamante urtarono il terreno coperto di arbusti e la ragazza
dovette tenersi saldamente per non cadere. Con un colpetto affettuoso
sul collo, incoraggiò la cavalla a proseguire.
Lì
in basso non era più affascinante che in aria, sospesi. In
mezzo alle nubi la notte aveva un aspetto diverso, Bloem si sentiva
più padrona della situazione, ma lì? Non
conosceva i luoghi, non vi era mai stata, e il pensiero che di
lì a qualche mese avrebbe dovuto trascorrervi ogni giorno
della sua vita non migliorava certo il suo umore.
Non succederà. Sono
qui per far cambiare idea a lord Godric, si disse,
aggrottando appena la fronte. Doveva farcela, e poi sarebbe potuta
tornare a casa sua.
Tra le fronde
qualcosa si mosse e Bloem si irrigidì sulla sella. Era
più del semplice fruscio del vento, ne era sicura,
però non sapeva dire se il suono fosse stato prodotto da un
animale, un uomo o una creatura magica.
Tese le
orecchie in attesa di registrare il ripetersi di quello stesso suono,
ma tornò il silenzio. La strega si morse il labbro
inferiore, poteva essersi ingannata? Forse era solo la suggestione.
Diede
un’altra piccola pacca a Tata per indurla ad avanzare e il
cavallo impiegò un istante prima di rimettersi in movimento.
Poi, quando Bloem si stava lasciando invadere pian piano dalla
sicurezza di essersi immaginata tutto, il suono si ripeté e
questa volta Tata si bloccò come se si fosse trasformata in
una statua si sale.
La strega si
voltò verso il punto da cui proveniva il rumore e i suoi
occhi, stretti in due fessure, iniziarono a setacciare il folto dei
cespugli e le fronde degli alberi.
Cinque dita
argentate apparvero una dopo l’altra, flessuose come
danzatrici iniziarono a disegnare piccoli cerchi invisibili
nell’aria. Si avvolsero intorno ad alcuni rami, poi li
spostarono come una tenda, svelando sotto lo sguardo di Bloem una
figura longilinea, i cui contorni erano difficilmente distinguibili
nella penombra, con lunghi capelli aurei che le arrivavano fino alla
vita.
La donna
inclinò appena il capo, come se si fosse accorta in quel
momento della presenza di qualcun altro in quella foresta. La giovane
figlia di Salazar restò dov’era, troppo
meravigliata per aprire bocca e porle una qualsiasi domanda; la
creatura tinta di luce lunare ammiccò – o forse fu
solo un’impressione della ragazza – per poi sparire
nuovamente tra gli alberi.
Bloem
sbatté le palpebre, chiedendosi chi fosse e
perché si aggirasse nei pressi di Godric’s Hollow.
Il bosco tornò silenzioso e, alla fine, non le
restò che proseguire. Continuò a farsi molte
domande su quella donna silenziosa, ma ben presto la sua mente venne
ingombrata di nuovo dai consueti pensieri: suo padre, Godric e il
matrimonio. Di tanto in tanto controllava la mappa per essere sicura
della direzione presa, ma quando gli alberi si diradavano bastava
sollevare gli occhi sulle torri del castello.
Mancava poco,
la strega ne era ormai certa, quando altri rumori bizzarri risuonarono
tutt’intorno a lei, sicuramente fuori posto a
quell’ora. Questa volta si trattò di voci
maschili, che Bloem giudicò non essere poi così
vicine. Poteva trattarsi di uomini di Godric, ma dopo quella strana
apparizione di qualche minuto prima non sapeva proprio cosa pensare.
Strinse le
dita intorno alle redini e spronò Tata: aveva fretta di
arrivare al castello senza altri contrattempi. Il cavallo
iniziò a macinare con gli zoccoli il terreno sotto di lei
mentre i ramoscelli e le fronde frustavano le braccia della strega
coperte dal mantello; quando il sentiero piegò tra gli
alberi, poco ci mancò che Bloem non finisse addosso a un
altro cavaliere.
“Guarda
dove…” iniziò a borbottare tra i denti
mente strattonava le redini di Tata, i cui zoccoli scavarono due
piccoli solchi nel terreno.
Il cavaliere
in questione montava a sua volta un altro cavallo alato, probabilmente
un Granio, e anche lui si stava dando da fare per governarlo. Indossava
un mantello che nella penombra poteva essere rosso scuro o marrone,
fermato sotto al mento da un fermaglio lucente a forma di…
“Lord
Gryffindor!” balbettò Bloem, sollevando gli occhi
sul volto dell’uomo.
Senza il
cappuccio calato sul capo, la sua identità era
inequivocabile. I capelli scuri e leggermente ondulati scendevano fino
alle spalle, incorniciando un volto maturo dal mento pronunciato
coperto da barba ispida e corta. Godric Gryffindor impiegò
qualche istante in più per riconoscere nella fanciulla che
si trovava di fronte la sua futura moglie.
“Lady
Bloem” esclamò sorpreso, smontando dal Granio.
“Cosa ci fate qui? Non ho ricevuto alcun gufo da vostro
padre…”
Bastò
poco perché Godric intuisse la verità. Il suo
sguardo indugiò un attimo sulle vesti da viaggio di Bloem,
sulle tenebre circostanti, e non ci volle molto per capire che Salazar
non aveva mandato alcun gufo ad annunciare l’arrivo di sua
figlia.
“Cosa
ci fate qui?” ripeté allora, questa volta
aggrottando la fronte e assumendo un cipiglio che la ragazza gli aveva
visto riservare ai suoi studenti.
Attorcigliò
le redini di Tata intorno alle sue mani guantate, tanto per prendere
tempo. Si sentiva ribollire per il senso di ingiustizia accumulato nel
corso della giornata, ma forse non era il caso di iniziare una
conversazione inveendo contro quello stupido matrimonio.
Mentre
selezionava le parole che le sembravano più adatte per
iniziare, si accorse d’improvviso che non erano soli.
All’inizio non vide nulla, provò solo una
sensazione pungente alla base della nuca. Poi, quando si
voltò istintivamente, rivide la donna opalescente che aveva
già incontrato nel bosco. Questa volta Bloem non ebbe dubbi,
le ammiccò, ma subito dopo passò a volgere la sua
attenzione a Godric.
Avanzava
silenziosamente, senza smuovere il tappetto di foglie sotto ai suoi
piedi, quasi fosse incorporea. Quando fu più vicina, Bloem
ebbe modo di notare che i suoi capelli sembravano intessuti di fili
d’oro, la veste era leggera e candida come la sua carnagione,
stretta intorno alla vita da una cintura di cuoio, ornata da alcune
rune.
La stessa
strega dovette notare che quella donna era di incredibile bellezza: nel
suo aspetto non c’era una sola imperfezione.
Le ciglia, lunghe e setose, frangiavano degli occhi come di una cerva,
il naso era sottile e diritto e le labbra rosee svelarono due file di
denti perfetti quando si schiusero per lasciare sfuggire dei sussurri,
delle parole. Bloem non capì cosa voleva dire, ma riconobbe
le sonorità di quella lingua: la donna parlava in norreno.
Si
voltò verso Godric, chiedendosi se almeno lui avesse inteso
il senso di quel discorso, ma si fermò quando si accorse che
il mago non la guardava. I suoi occhi non erano che per la donna
argentea che avanzava verso di lui; era così preso da quella
visione che aveva lasciato andare le redini del suo Granio forse senza
nemmeno accorgersene.
“Lord
Godric…” provò a chiamarlo, ma
l’uomo non diede segno di averla nemmeno sentita. Protese una
mano verso la donna, come se toccarla fosse il più grande
desiderio della sua anima
“Lord
Godric!” ripeté, questa volta con la voce
più alta di un’ottava.
La donna
argentea si voltò verso di lei. Aveva l’aria
annoiata, ma c’era qualcosa di inquietante in quei lineamenti
ora che Bloem se la trovava di fronte: non vedeva più la
bellezza perfetta di un attimo prima, era come osservare uno specchio
d’acqua con delle increspature che ne deturpavano la
superficie. Gli occhi della creatura divennero due tizzoni ardenti, le
labbra erano piegate in un ghigno malevolo e i capelli, non
più lucidi e ben pettinati, erano arruffati e stopposi.
Protese le mani di fronte a lei, nella direzione in cui si trovava
Bloem, e prima che questa potesse mettere mano alla bacchetta infilata
alla cintura, esplose dai palmi due palle di fuoco. L’aria si
riempì delle urla stridenti della Veela, oltre che
dell’odore di bruciato.
Da qualche
parte, Bloem sentì Godric gridare, ma le sue orecchie erano
riempite dai nitriti di dolore di Tata. Si ritrovò carponi:
colpito dalla Veela, il cavallo alato si era imbizzarrito ed era
franato al suolo, trascinando con sé la sua padrona. La
strega aveva battuto i palmi e un fianco, una gamba le doleva e sentiva
bruciore dove con ogni probabilità aveva riportato dei
graffi.
Sentì
altre voci, altri richiami: la radura si animò
immediatamente e, anche se la cortina di fumo che la avvolgeva le
impediva di distinguere ogni cosa, ebbe delle fugaci visioni di altre
zampe, altre ali e altri mantelli rossi. Una mano emerse tra le ombre,
tesa verso di lei, e Bloem non ebbe altra scelta che afferrarla.
Apparteneva a lord Gryffindor: non aveva più
l’espressione svagata di qualche istante prima, al contrario
il suo viso appariva contratto e concentrato.
Il
mago l’aiutò ad alzarsi: aveva ripreso le redini
del suo cavallo alato e stava cercando di aiutare Bloem a montare in
sella.
“No!”
si oppose lei con voce alterata. “La mia cavalla!”
Si
voltò, cercando Tata con lo sguardo, ma Godric la trattenne
per le spalle.
“È
ferita, ma la guarirò. I miei uomini la porteranno al
castello, tu vieni con me.”
Il tono
risoluto del Fondatore non ammetteva repliche. Bloem gli rivolse uno
sguardo supplichevole, che lui non diede segno di notare
perché si era già rivolto a un altro mago. Alla
sua destra apparve un giovane – non poteva avere
più di vent’anni – con i capelli biondi
appiattiti sulla fronte e una cotta di maglia dorata sotto il mantello
rosso.
“Frederich,
sai cosa fare” disse Godric rivolgendogli un cenno di intesa.
Il ragazzo
annuì e abbassò il capo reverente, poi si
voltò e sparì di nuovo.
Questa volta
Bloem lasciò che lord Gryffindor la adagiasse sulla sella
del suo cavallo. Mentre il Fondatore prendeva posto dietro di lei e
spronava il suo animale, lei si voltò per osservare la scena
oltre la sua spalla. Il manipolo di cavalieri si era stretto intorno a
Tata; alcuni uomini avevano afferrato e imprigionato la Veela, che
rivolgeva loro insulti in norreno, ma Frederich si era accovacciato
accanto a Tata. Una mano muoveva la bacchetta, mentre l’altra
era adagiata sul suo muso in una carezza.
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