You
led my way then disappeared
How could you just walk away and leave me here?
“Cerca di non fare movimenti bruschi, altrimenti la ferita si
riapre, ok?”
L’infermiera gli sorrise con gentilezza, ma gli occhi
esprimevano solo un forte senso di pietà e preoccupazione.
Sasuke non vedeva l’ora di andarsene, non sopportava
più quegli sguardi. Vedeva la gente bisbigliare in modo
concitato e camminare velocemente da una parte all’altra
dell’ospedale, come accade sempre quando qualcosa di
veramente grave sconvolge il lento trascorrere abitudinario del quieto
vivere.
Ogni tanto anche mamma e papà bisbigliavano in quel modo, di
ritorno dalle riunioni del clan, interrompendosi bruscamente quando
compariva lui. Gli si mozzò il respiro,
l’indelicatezza di quell’immagine così
quotidiana lo trafiggeva. Era sempre stato lasciato
all’oscuro di tutto e anche ora tutti lo riempivano di
attenzioni, ma nessuno sembrava intenzionato a dargli una spiegazione.
Perché ci doveva essere una spiegazione, a quel che aveva
visto, a quel che era accaduto.
In quel luogo asettico gli sembrava lontana ed evanescente la visione
che aveva avuto prima di perdere i sensi, l’odore di sangue
tuttavia se lo sentiva ancora addosso, pungente.
Trattenne le lacrime che improvvisamente gli pungevano gli occhi,
osservando assente la ragazza in divisa bianca che gli stava sistemando
delicatamente la fasciatura.
“Se hai bisogno, torna pure qui. In ogni caso ci
rivediamo fra un paio di settimane, togliamo i punti a quel paio di
graffi che hai, va bene?”
Il ragazzino annuì a testa bassa, sentendosi la gola
improvvisamente chiusa.
Lei gli dedicò un altro di quei sorrisi non del tutto
distesi, accarezzandogli velocemente la testa, in un commiato indeciso.
La guardò allontanarsi, sentendosi soffocare.
Non sapeva dove andare, non aveva voglia di tornare tra le pareti di
villa Uchiha, di rivedere la macchia di quella pozza di sangue che
sicuramente aveva impregnato il legno del pavimento, di sopportare il
silenzio innaturale in cui sicuramente era calato l’intero
quartiere. Lo realizzò effettivamente solo in quel momento,
ridestandosi dal torpore in cui era caduto in una sorta di
autoprotezione: a villa Uchiha non sarebbe tornato più
nessuno, né suo padre e sua madre dalle riunioni del clan,
né Itachi dalle missioni. Al pensiero di suo fratello si
aggiunse un senso di mera tristezza, incredulità, senso di
abbandono. Ancora non riusciva ad accettare cosa aveva visto.
Ma di una cosa era certo. Tirò su con il naso,
allontanandosi. Era
solo.
Light the
night up, you're my dark star
And
now you're falling away
Le lezioni proseguivano noiose, gli altri ragazzini lo fissavano
impalati, probabilmente nel vano tentativo di immedesimarsi nella sua
situazione. Gli insegnanti premevano perché socializzasse
meglio con la classe, sebbene in precedenza la sua introversione non
avesse mai destato tutta quella inutile apprensione. Iniziava a
scoprire cosa volesse dire davvero essere irritati.
Ricordare quando metteva il muso per ogni minima futilità
con la sua famiglia gli provocava un senso di vergogna, davvero al
tempo non capiva quanto fosse fortunato, quanto tutto fosse perfetto rispetto a
ciò che aveva ora. Sembrava fosse un’altra vita,
ormai passata.
Camminava verso casa, ma odiava tornare in quel luogo. Aveva preso
l’abitudine di fermarsi al molo, spesso capitava che calasse
il buio nel frattempo. E ancora si trovò seduto
lì, quasi come un automa, senza rendersene conto.
Lanciò un ciottolo, osservandolo affondare inesorabilmente
verso l’oscurità del fondo. Sua madre
l’avrebbe rimproverato di tutto quel suo sprecare tempo nel
pomeriggio fino a tarda sera, non ne sarebbe stata contenta.
Probabilmente l’avrebbe incitato ad allenarsi, promettendogli
che poi lei e Fugaku avrebbero voluto vedere i risultati del suo
impegno. Gli avrebbe sussurrato con fare cospiratore quanto suo padre
fosse orgoglioso di lui, sebbene fosse poco bravo a dimostrarglielo.
Scosse la testa, rendendosi conto di quanto fosse inutile immaginare
scene quotidiane che non gli sarebbero più appartenute.
Il riflesso dell’acqua gli ricambiava lo sguardo stanco e
freddo. Le occhiaie erano più accentuate per le notti
insonni, gli segnavano i lineamenti infantili in maniera grottesca, in
qualche modo invecchiandolo. Ci rivide l’Itachi degli ultimi
tempi, in quello sguardo spento, e per un istante provò
pietà. Per sé stesso, per Itachi, non lo sapeva.
Digrignò i denti, scosso da un tremito.
Odiò immediatamente quel sentimento inopportuno, lo
rifiutò con tutto se stesso. Urlò e non seppe
come si ritrovò in acqua, infrangendo l’immagine
riflessa e inspirando acqua.
Voleva abbandonarsi a quell’oscurità che lo
avvolgeva. I pensieri iniziavano ad essere sconnessi, si rendeva conto
che stava affondando. Sempre
più a fondo, sempre più al buio.
L’ultimo pensiero d’odio lo dedicò ad
Itachi, perdendo gradualmente i sensi.
“Ma sei scemo??”
Una zazzera bionda di capelli ondeggiava davanti alla sua visuale
annebbiata, percepiva che qualcuno lo stava schiaffeggiando.
Boccheggiò, sputando l’acqua che gli era rimasta
nei polmoni.
Gli concesse uno sguardo gelido, in risposta agli improperi che
l’altro gli stava tirando.
“Ti rendi conto che potevi morire??”
“Non sarei morto, testaquadra.” Si
rialzò, barcollando goffo. Il biondo lo osservò
attentamente, imbronciato per l’epiteto.
“Io sarei una testaquadra? Avevi perso i sensi, se non fossi
passato io saresti morto, sì. –
incrociò le braccia, sorridendo sfottente – non
capisco come facciano tutti a ritenerti un genio, si vede che non hai
tutte le rotelle a posto.”
Sasuke lo studiò a sua volta, non cogliendo la provocazione.
“Tu sei quello stupido, no? Quello che a scuola sa combinare
solo disastri.”
Il biondo arrossì, punto sul vivo.
“Parlami con rispetto, sono Naruto Uzumaki e io un giorno
sarò Hokage. E sono comunque quello che ti ha salvato la
vita, genio di un Uchiha. Sei in debito con me, e sono sicuro che lo
sarai ancora, imbranato come sei.”
Sasuke sorrise con fare superiore. Quel tipo dell’accademia
era davvero irritante, ma era un’irritazione che nulla aveva
a che fare con i sentimenti che ultimamente gli erano propri. Per un
momento lo aveva distratto dal suo dolore,
quell’atteggiamento di sfida aveva stuzzicato il suo orgoglio
Uchiha. Non si sarebbe mai abbassato a ringraziarlo.
“Pff, come ti pare. Ci si vede.”
Si allontanò senza aggiungere altro, con il preciso intento
di infastidirlo.
Gli giunse alle spalle un “DOVRESTI ALMENO RINGRAZIARMI,
UCHIHA” che gli diede estrema soddisfazione.
Pensò che forse le lezioni all’accademia sarebbero
state meno noiose.
Almeno c’era qualcuno che non lo compativa.
Sbuffò, dirigendosi verso le pareti vuote di villa Uchiha,
con il cuore – forse, leggermente - meno pesante.
But
I found in you what was lost in me
In a world so cold and empty
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E così
concludo questa raccolta, dopo anni di blocchi dello scrittore vari.
Non credo sia una conclusione granché degna, ma i singoli
momenti di perfezione tra i fratelli Uchiha su cui volevo soffermarmi
– filo conduttore della raccolta – con relativa
graduale loro erosione, erano ormai terminati. Volevo concludere
addirittura con il capitolo sulla strage degli Uchiha, ma rimaneva non
approfondito il punto di vista di Sasuke al seguito della strage
stessa.
Inoltre, mi piaceva
l’idea di aggiungere questo primo approccio tra Sasuke e
Naruto come conclusione, in un tentativo di concludere la raccolta con
un filo di speranza e luce, contrapposto
all’oscurità in cui invece ha intenzione di
addentrarsi Sasuke, speranza di un qualcosa di vagamente
“perfetto” anche per il futuro.
Ringrazio chi mi seguiva
in passato, quando aggiornavo più o meno regolarmente, nella
speranza si ritrovi a leggere la conclusione di questa raccolta
lasciata a metà per anni. E ringrazio chi leggerà
e recensirà ora, mi farebbe piacere avere
un’opinione complessiva di questo lavoro senza pretese, ma a
cui sono affezionata.
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