Titolo:
Per te
Personaggi: Gabriel Agreste
Genere: introspettivo, generale
Rating: G
Avvertimenti: oneshot, what
if...?
Wordcount: 952 (Fidipù)
Note: Esattamente un anno fa,
in questo giorno, postai il primo capitolo di Miraculous Heroes e diedi
il via a quella che è diventata la mia saga principale su questo fandom:
quando misi quel capitolo online, non pensavo che quella storia sarebbe
diventata così importante per me, era semplicemente un modo per fare
qualcosa su un'opera che mi aveva conquistata e sulla mia coppia
preferita; ma, più andavo avanti, più i capitoli si sommavano l'uno con
l'altro e più io sentivo che non sarebbe finita lì...mentre scrivevo la
fine della storia, oltretutto, mi rendevo conto che non sarei stata
capace di abbandonare subito i personaggi di quella storia e quindi, ciò
che doveva essere una semplice storia, si è trasformata in qualcosa di
più: all'inizio una semplice trilogia, poi sempre più parti si sono
unite e hanno creato un universo, che ho iniziato a esplorare: il
quantum, Daitya e Routo, Nêdong, le vite dei kwami, i vecchi
Portatori...
E' passato un anno e quella storia, quella semplice storiella iniziata
quasi per caso mentre guardavo la puntata di Kung Food, è diventata
qualcosa di molto più grande.
E, dopo un anno, ho pensato di festeggiare postando qualcosa di diverso,
rispetto al solito capitolo, che avrei dovuto postare oggi: ci ho
pensato tanto e, alla fine, ho deciso di pubblicare il momento
antecedente a quello in cui tutto ha avuto inizio: i pensieri di Gabriel
- o, almeno, quello che io penso abbia pensato nell'universo del Quantum
- prima di aprire la scatola del Miraculous della Farfalla e diventare
Papillon. Beh, alla fine tutto è iniziato da quel momento, no?
E adesso mi zittisco - altrimenti queste note vengono più lunghe del
capitoletto -, lasciandovi alla shot e, come sempre, ringraziandovi
tutti: grazie di quest'anno passato assieme, grazie dei vostri commenti
e del vostro supporto.
Grazie di tutto!
Inspirò profondamente, osservando il
quadro dalle tinte dorate che aveva posto davanti il pannello della
cassaforte: aveva sempre adorato Il bacio di Klimt e, quando aveva
commissionato quel ritratto, aveva chiesto all’artista di ricalcare lo
stile del celebre autore.
Sophie lo aveva preso in giro, ma aveva accettato di posare e il risultato
che era uscito era stato un’opera bellissima.
La bellezza di sua moglie era messa in risalto dall’oro, senza che questo
scalfisse i capelli biondi e la pelle diafana.
Sophie Agreste era ritratta nel suo momento di massimo splendore.
Se si voltava, poteva vedere ancora sua moglie mentre, seduta per terra e
con le gambe incrociate, ammirava il suo ritratto mentre Adrien giocava
accanto a lei.
In vero, il fantasma di Sophie era ovunque nella casa: nella sala da
pranzo, quando imboccava loro figlio; nella camera da letto, mentre si
preparava per accompagnarlo a qualche evento a cui Gabriel Agreste,
l’emergente stilista parigino, doveva partecipare; nell’androne della
villa…
Sophie era ovunque e riportava alla sua mente ricordi che gli provocavano
dolore e, allo stesso tempo, a cui si attaccava come se fosse un drogato.
Sua moglie, ormai, era solo nei suoi ricordi.
Poco dopo la commissione del quadro, Sophie era sparita e, assieme a lei,
anche la minaccia che aveva imperversato per Parigi.
L’aveva cercata, aveva sperato di trovarla nella capitale francese ma così
non era stato.
Aveva iniziato ad avere anche paura di quel mondo, che gli aveva portato
via la sua amatissima moglie, tanto che aveva piano piano interrotto ogni
contatto di Adrien con quella minaccia: Sophie era sparita, ad Adrien non
sarebbe successo lo stesso.
Lo avrebbe tenuto al sicuro.
Dentro casa.
Era per questo che aveva assunto una donna come Nathalie, capace di
gestire sia la sua attività che un figlio che diventava sempre più grande:
l’assistente aveva assunto il ruolo di bambinaia e maestra, diventando una
figura importante nella vita di Adrien.
E lui…
Lui aveva continuato a cercare Sophie, allargando il campo di ricerca
sempre di più, finché il suo viaggio non l’aveva portato nel lontano
Tibet: lì aveva appreso cosa erano i Miraculous, cosa sua moglie stava
facendo ma di lei nessun indizio.
Niente di niente.
Dal tempio in cui si era rifugiato, apprendendo i segreti di quei sette
gioielli misteriosi, aveva trafugato un libro e lo aveva divorato, mentre
tornava nella sua Parigi, da suo figlio e alla sua normalità.
Aveva appreso tante cose e aveva capito che c’era solo un modo per
poter riportare indietro sua moglie.
Era stato proprio allora che nelle sue mani era giunta quella piccola
scatolina di legno, in quel momento poggiata sulla scrivania: sapeva che,
nel momento esatto in cui avrebbe sollevato il coperchio, la sua vita
sarebbe cambiata inesorabilmente.
Era indeciso e lo era da giorni ormai.
Si voltò, osservando il piccolo contenitore e allungò titubante una mano,
ritirandola: no, non poteva.
Non poteva cedere a ciò che stava pensando.
Lui non poteva…
E se gli fosse successo qualcosa?
Avrebbe lasciato solo Adrien. Adrien che presto avrebbe compiuto
quattordici anni.
Suo figlio non poteva ancora affrontare il mondo, per quando la sua
esuberanza giovanile lo spingesse ogni giorno a tentare di scappare e a
comportarsi come un ragazzo qualunque, anche se non lo era.
Lui non…
Ma Sophie…
Poteva continuare a rimanere così?
Poteva continuare a desiderare che lei tornasse a casa, che entrasse
nuovamente dalla porta come se nulla fosse, con quel suo bellissimo
sorriso sul volto?
E se non poteva? E se qualcosa la stesse tenendo lontana da loro?
Aveva bisogno di potere.
Necessitava del potere che solo una cosa poteva dargli.
I Miraculous.
Lui…
Lui ne aveva bisogno.
Inspirò profondamente, prendendo il telecomando e digitando velocemente un
codice: sul muro di sinistra un piccolo bip annunciò l’apertura della
panic room, che aveva fatto costruire poco dopo la scomparsa di Sophie.
L’ennesimo segno di quanto fosse terrorizzato da quel mondo che gli aveva
portato via la moglie.
Spostò nuovamente lo sguardo sul quadro, facendolo vagare sui lineamenti
del volto e poi prese la scatola, dirigendosi velocemente verso la porta
che aveva aperto: adesso o mai.
Adesso che era deciso.
Adesso che ancora non aveva ripensamenti.
Entrò e salì velocemente le scale, raggiungendo velocemente la stanza
circolare e completamente spoglia: non c’erano scorte di cibo, né
attrezzature, né monitor collegati alle telecamere.
Non c’era assolutamente niente.
E così andava bene.
Osservò l’enorme rosone che occupava la parte più alta del tetto, nella
parte posteriore della casa, ed era l’unica fonte di luce di quel luogo.
Strinse le dita attorno alla scatola, abbassando lo sguardo e inspirando
profondamente.
Solo per lei.
Solo per Sophie stava facendo tutto questo.
Se il suo piano era perfetto, se tutto ciò che aveva ideato fosse andato
per il verso giusto, il Guardiano dei Miraculous avrebbe dovuto consegnare
i due più potenti e lui…
Lui li avrebbe presi, per esaudire il suo desiderio più grande.
Per riavere Sophie al suo fianco.
Per te. Sto facendo tutto questo per te,
pensò mentre apriva la scatola di legno e la luce lo accecò per un attimo,
facendogli socchiudere le palpebre: farfalle bianche avevano riempito la
stanza, adagiandosi silenziose sul pavimento e risplendendo leggermente ai
raggi che entravano dall’enorme finestra, mentre un piccolo esserino viola
lo fissava in paziente attesa.
Lo aveva fatto.
Per Sophie.
Solo per lei.
«Voglio
quel potere assoluto, Nooroo. Voglio questi due Miraculous.»
«Ma, Maestro, non sappiamo dove si trovino…»
«Ho trovato te, Nooroo. Questo Miraculous a cui sei legato, ricordami
cosa mi permette di fare.»
«La spilla della farfalla permette di donare un potere a una persona e
fare di lei il suo campione.»
«E per attirare dei supereroi, quale modo più efficace che creare dei
supercattivi?»
|