Vorrei
giusto chiarire un paio di termini ai
malintenzionati che
le mie storie sono tutelate dal diritto di autore e registrate
abitualmente a mio nome in quanto persona fisica nonchè
tutelata giuridicamente. Dunque, avviso chi non ha di meglio
da fare che copiare, prendere parti, spacciarle per proprie di
pensarci due volte a provare a plagiare o a rubare la farina del mio
sacco: non
rischiate solo un
brutto bannaggio su questo sito, ma rischiate anche in termini
legislativi .
Fate attenzione.
Vegeta deve morire.
Sotto l’egemonia di
Frezeer, ai tempi
in cui era lui che decideva dove e quando,
e come... persino per morire non c’era tempo,
bisognava farlo in fretta,
le aspettative di vita non erano lunghe né tantomeno
convenienti, per questo
era meglio finirla quando ancora non si era un ammasso di carne vecchia
e
consunta. Freezer vantava un’età secolare, la sua
razza sconosciuta agli uomini
poteva vivere fino a duemila stagioni terrestri, ma il suo governo
assolutista
ne aveva poco più di cento.
Chi reggeva alla sua tirannia e
arrivava
ai quarant’anni poteva dirsi un veterano – sempre
che non ci arrivava con le
rotelle fuori posto, instabile come molti dei superstiti che avevano
compiuto i
cinquanta senza essere utili neppure alla sorveglianza.
I pochi sfortunati che superavano i
sessanta erano fatti fuori prima che divenissero un peso per gli
squadroni di
guerra, chi era debole invece veniva lasciato alla mercè dei
violenti perché
soddisfacessero i loro istinti più primitivi e
più perfidi.
In entrambi i casi ti mandavano
all’inferno solo come un cane.
Da quelle parti, se non morivi per
tempo finivi per vivere come i topi. Eri fuggito, fuggivi, venivi
ammazzato
o vivevi tra i reietti del mondo, dimenticato da chi avevi servito e
osannato
come un Dio onnipotente. Non c’era giustizia, probabilmente
non c’era mai neppure
stata fin da prima che Freezer salisse al potere in qualche modo vile e
corrotto, grazie all’abdicazione di un padre non meno
indulgente. Se non volevi
rimanere, c’era una sola strada a senso unico che conduceva
dritto a Caronte,
dal cocchiere delle anime esauste, e in quegli ultimi tempi quella via
era
affollata fin troppo. Le anime rimanevano spesso ad aspettare per anni
che il
loro auriga le accompagnasse, perché da quando il male era
asceso al potere,
dal mondo dei vivi arrivavano molti migranti.
Per Vegeta era stato un viaggio
sempre
verso quella direzione, ce l’avevano spinto più
volte e lui spesso non aveva neppure
opposto resistenza. Tutto sommato – già a
vent’anni - l’idea di morire iniziava
a non dispiacergli più di tanto. Talvolta aveva creduto che arrivato al
capolinea si
sarebbe ricongiunto ai suo padri come uomo libero senza più sentirsi suddito di qualcun'altro, ma ciò che caratterizzava la sua
indole fin da bambino e
ciò che lo condannava al contempo, era la sua ostinazione
che mieteva più
vittime che la sua potenza.
Aveva mandato giù fin
troppi bocconi amari
per non dare a vedere al sovrano bianco quanto lo odiasse. Lo detestava
a tal
punto che ormai in bocca non percepiva più alcun sapore
diverso. Ma l’odio ha
una forza scontata, ha un modo di sussistere bellicoso e dirompente, e non è
silenzioso come
l’affetto che puoi tenerti per una vita dentro senza che
nessuno se ne accorga.
L’odio prima o poi sale a galla, e lo fa anche abbastanza
velocemente. Freezer aveva
scorto un buio strano negli occhi di quel saiyan impavido e scaltro che
aveva
cresciuto credendolo inizialmente persino un suo adepto. Ma non
c’era niente di
umano in quella
lucertola dall’indole
vile e bastarda, e di certo non poteva provare la sensazione di
insofferenza
che permeava l’ego di un saiyan che più che
asservirsi si comportava come un
mercenario fino in fondo, perché chinarsi al monarca sarebbe
stato calpestare
l’orgoglio della sua famiglia – che anche se
estinta, adesso riviveva in lui
con maggiore prepotenza. Vegeta si era venduto, era vero, ma per un
compenso
che aveva un valore molto più grande: tornare libero senza
nessuno più a cui
dare conto, era una brama che non conosceva alcun riflusso di
cedevolezza.
I servi di Freezer non avevano
personalità, erano guerrieri scialbi, non appartenevano alla
specie degli
uomini che serbava un animo oscuro come i labirinti di Bola dove si
diceva che
taluni si fossero persi per sempre. Ma il tiranno bianco aveva intuito
quanto
l’odio in un uomo possa mettere radici a fondo, gli era
bastato studiare gli
occhi di un Vegeta ormai adulto e sentirsi fissato con
un’intensità devastante
e furente. Quel principe senza popolo non era più sotto il
suo controllo, era
cresciuto e ora bramava una qualche rivalsa, perché non gli
era stato insegnato
a dividere il potere con altri.
Arrivava come ospite alla base a
periodi alterni e quando il saiyan rientrava dalle sue conquiste con
sguardo
altero e superbo Freezer non gli leggeva più negli occhi il
rispetto che si
deve ad un monarca assoluto, ma il desiderio profondo di vederlo in
ginocchio. Con
atteggiamento più orgoglioso e fiero di quando aveva avuto
un popolo di cui
farsi vanto, come se il genocidio l’avesse reso
più consapevole del valore
della propria esistenza, Vegeta rientrava e gli comunicava di un nuovo
trionfo. Fiero. Fiero come un Dio.
Alle spalle, Nappa e Radish se ne
stavano in ombra, fieri e timorosi che il principe facesse una qualche
madornale idiozia con cui si sarebbero giocati il culo tutti quanti. Freezer percepiva anche quello, oltre al
disprezzo del
principe, fiutava anche la loro paura che non era lui –
lui, il tiranno temuto e
indiscusso- ad insinuargli tra i nervi, ma il suo rivale dalla coda ondeggiante. Vegeta riusciva a fottergli
anche i sudditi,
tanto era maledetto.
Gli occhi di quel bambino un tempo
scaltro diavolo che provava piacere a fare la guerra come fosse il suo
gioco da
infante, erano occhi che Freezer non scorgeva da ormai molto tempo,
solo perché
non sapeva che l’essere umano attraversa una fase chiamata
adolescenza, ammesso
Vegeta ne avesse mai vissuta una in un tempo in cui tutto per lui era
decorso
con un piattume assoluto di colori e di eventi. La vita aveva perso
sapore,
probabilmente neppure lo aveva mai avuto un sapore vero. Il cuore aveva
battuto
a vuoto per migliaia di giorni e di notti finchè nel mese
dei Solstizi di
Ergaron il saiyan non aveva compiuto vent’anni e aveva
iniziato a bramare qualcosa
che era inciso nella genetica del suo corpo: voleva riprendersi
ciò che aveva
perso, tutto quello che gli era stato sottratto. Aveva dovuto difendere coi denti chi era
e chi rappresentava persino da se stesso quando dopo anni
passati a
vagare tra un pianeta e l’altro, si era accorto che qualcosa
la stava
dimenticando: stava accettando la sua condizione di ultimo
sopravvissuto della
stirpe o stava solo aspettando di vendicarsi?
Persino Freezer si era accorto di
un
suo sottile cambio di atteggiamento. Nelle pupille di quel giovane
uomo,
miscelate alle iridi nere come l’universo, bruciava una sete
di vendetta e di
sprezzo per colui che provava a comandarlo a bacchetta. Freezer aveva
dimenticato chi erano i saiyan solo perché li aveva
eliminati e ne erano
rimasti tre senza neppure una femmina che gli procreasse. Succede
sempre così,
quando si scansa il problema si crede di averlo eliminato
definitivamente.
Invece l’errore era stato questo fin dal principio. Vegeta
era lì, ce lo aveva
davanti più fiero che mai, più forte di quando lo
aveva preso sotto la sua
spalla per sfruttarlo come l’arma d’assalto
più efficiente.
Vegeta gli faceva ancora paura,
eccome
se gli faceva paura, Freezer qualche volta se l’era fatta
persino addosso, ma
non lo aveva mai provato ad uccidere perché gli serviva per
raggiungere i suoi
obiettivi intergalattici. Re Vegeta quando era collassato ai suoi
piedi, non
aveva neppure la metà della potenza del bambino soldato che
gli aveva venduto
per i suoi giochi di guerra. Nella testa di Freezer, tra i progetti di dominio
assoluto, i saiyan venivano seppelliti all’alba del suo nuovo
regno, sotto il
suo trono: desiderava che la sedia dove avrebbe seduto per secoli si
erigesse
sulle carcasse putrefatte dei guerrieri che aveva temuto più
nella galassia. Il
loro fiero rappresentante e superstite precisamente sotto il suo culo
gelato e
bianco – e forse allora avrebbe temuto persino il suo spettro.
Non si fidava dei saiyan, non si
era
mai fidato. Radish e Nappa non erano il suo problema perché
erano solo
soldatini che agivano a bacchetta, come eco degli ordini del loro
rappresentante,
ma Vegeta invece era un grosso inconveniente: non era una testa vuota,
fotterlo
era quasi impossibile. Quanti popoli avrebbe dovuto conquistare, quel
saiyan
superbo, per appagare l’indole della lotta assecondata per
puro diletto? Per
Vegeta era un gioco, era evidente, ma non solo quello. Per Vegeta era
ogni
volta la dimostrazione che era il migliore sul campo, che era ancora
vivo, che
la gente ancora lo temeva, e che Freezer in fondo in fondo ancora aveva
paura
di quanto poteva il suo sangue. Si sentiva in qualche modo
omaggiato come il Re che avrebbe dovuto essere quando si prostravano
lui con
timore e sofferenza. Suo padre gli aveva insegnato che i sudditi si
ottengono
seminando la paura, e lui ripensava a quegli insegnamenti un
po’ come a una
Bibbia. Ogni tanto scavava in quel poco di passato trascorso alla corte
e
cercava le risposte che aveva cucito nella mente come una preghiera per
uomini dannati
da un fato avverso.
Destinato a naufragare alla deriva
nello spazio come un condannato, senza patria, senza famiglia, senza
popolo.
Solo con il suo fottuto nome cucito addosso, un nome così
grande che quando lo
pronunciava a chi aveva conosciuto i suoi fratelli faceva
l’effetto della
strizza sulle budella.
I saiyan non erano nati per vivere
in
gabbia, e Vegeta sapeva che ovunque fosse andato sarebbe stato sempre
in una
grandissima cella finchè il suo aguzzino non fosse morto.
Freezer era un
subdolo monarca, lo ricopriva di omaggi mentre tramava per eliminarlo,
ma era
un sentimento ricambiato totalmente. Ci sono i portatori sani di odio e
i
portatori malati che dall’odio si sono fatti corrodere la
carne, e Vegeta era
uno di questi. L’odio aveva agito su di lui come un cancro:
il bambino piccolo
e maligno era diventato una belva. Non c’era bisogno
dell’esame del sangue,
bastava guardarlo negli occhi.
Vegeta
era figlio della
vendetta e della rivalsa, in nome di una nemesi che prima o poi gli
avrebbe
fatto ritorcere contro due o tre conti lasciati in sospeso da troppo
tempo. E
le cose lasciate a marcire iniziano ad emanare un fetido lezzo.
Il
naso aquilino di
quella cute viscida e lattea aveva iniziato a fiutare già
all'inizio della sua
adolescenza un qualche cambiamento, neanche Freezer avrebbe saputo
spiegarlo
con precisione ma l'irruenza di Vegeta nel fare la guerra spaventava un
po’ tutti.
Non era nato per essere secondo. Nei suoi occhi senza fondo si
delineava con
superbia l'altera profondità dell'universo e l'intrepida
forza che non
conosceva arrendevolezza.
Era successo un giorno in cui un
oracolo di un popolo di stregoni aveva accolto la dittatura del sovrano
bianco
con atteggiamento rassegnato di sudditanza, proprio quando Radish aveva
ricordato ai suoi compagni che suo fratello Kakaroth aveva
più o meno vent’anni
e probabilmente era ancora sulla Terra, l’oracolo aveva
predetto a Freezer che
il suo impero avrebbe avuto presto una fine in circostanze oscure al
momento,
tuttavia gli aveva rivelato che c’era ancora un saiyan
sopravvissuto nell’universo e
che Vegeta avrebbe avuto un figlio che un giorno lo avrebbe sconfitto.
Sarebbe morto per mano di uno di
coloro odiava con tutto se stesso, ma non per mano del principe
– e questo aveva
costituito l’unico deterrente per non far saltare in aria
quel veggente
rivelatore di disgrazie.
Chi era davvero roso dalla paura era Freezer, e tra i sottoposti
c’era chi lo
sospettava e si era cucito tassativamente la bocca, persino
quell’effemminato
di Zarbon lo aveva intuito vedendosene bene anche solo dal dirlo. Chi
gravitava
attorno alla base Cold -1 era a conoscenza degli antichi patti e del
tradimento
che Freezer aveva attuato con freddezza risoluta contro la razza dei
saiyan, e Vegeta aveva
sempre percepito il fetore della sua paura fin da quando il
tiranno lo
aveva iniziato a spedire in missione da un luogo all'altro per non
averlo lì
intorno. Aveva fatto comodo a entrambi quella scelta, liberi di non
aversi tra
i piedi, o forse era stata una separazione di comodo che aveva permesso
loro di
complottare sotto le mentite spoglie di alleati che non bramano altro che
farsi fuori
a vicenda.
L’unica
cosa certa era che insinuava una spiacevole angoscia un pò
in tutti, quel
guerriero dalla tattica eccellente, e persino
quell'adulatore
impenitente di Nappa gli era stato dietro per timore di
trovarselo contro,
e Vegeta alla fine era convenuto che suo padre gliel’avesse
accollato perché
per un bambino immaturo e smanioso di reverenze era un buon compagno di
scorribande.
Quando il
pianeta era imploso, per sfortuna di Nappa si era trovato con lui nella
navicella. Il destino gli aveva assegnato l'arduo compito di seguire il
principe fuoriclasse in lungo e in largo per assecondarne le
pretese e spalleggiarlo
nelle imprese compiute per compiacere un ego smisurato.
Radish era finito
nella scorta come una riserva, e non che non avesse mai bramato per
intraprendere la via di una qualche rivalsa agli insulti sulla sua
condizione
di terza classe, ma era un
suddito esemplare che non sarebbe
mai salito di livello, e d’altronde
fare la guerra al principe non
era una mossa intelligente perché lui aveva la potenza dalla
sua parte, e non
era cosa da niente in quelle circostanze.
Alla fine
Vegeta aveva finito per inimicarsi tutti, o forse solo per mettere
paura a
chiunque con il suo sadismo.
Era la
guerra. Non si poteva mietere bontà dai semi mefitici del
dolore e della
sofferenza. Vegeta non aveva avuto un'infanzia, era cresciuto troppo
presto. In
lui aleggiava lo spettro di una tristezza così profonda che
aveva finito per
seppellirgli ogni slancio affettivo da qualche parte insieme ad ogni
traccia di
umanità residua nel suo corpo. Non c'era speranza nel suo
mondo. Non ne vedeva.
Aveva smesso di cercarla quando si era reso conto che Freezer gli stava
alle
calcagne come una puttana in calore, voglioso più che mai di
smembrarlo. Vegeta
lo sapeva che lui e Freezer stavano studiando il modo migliore per
fottersi a
vicenda: persino lui stava aspettando con pazienza estranea alla sua
indole bellicosa il
momento per vendicarsi, ma solo perché era ancora lontano il
traguardo e
raggiungere una maggiore potenza in quelle condizioni di privazioni e
di
rinunce non lo aiutava a ribellarsi. Freezer non desiderava altro che
eliminare
quel mozzicone che restava della stirpe di scimmie e per riuscirci
doveva
stargli addosso, braccarlo, farlo sentire inseguito da ogni sua
sentinella,
come se lo spazio non celasse altro dietro l'immensa apparenza, che
le fattezze indefinite di una prigione pericolosa e incerta come il tempo, anche per un mercenario che conosceva tutte le
rotte per
la fuga perfettamente, come fossero strade di una metropoli
notturna che cela insidie da ogni parte.
Vegeta
doveva morire. Solo il sacrificio di un grande combattente, della
giovane
promessa di un popolo morto, avrebbe permesso a chi gli gravitava
attorno
di sentirsi libero più di quanto si
sentisse lui stesso: sembrava che
Vegeta ingabbiasse nel ricordo dell’eccidio della sua gente
chi guerreggiava al
suo fianco, travolgendolo in quel vortice di tormento e di rabbia che
lo
rendevano tanto cruento e sadico con il resto del mondo. Freezer era
convenuto
troppo tardi alla grossa idiozia che aveva fatto quando si era alleato
con un
popolo che aveva iniziato a temere nell’istante in cui ne
aveva colto l’immane
potenza: i saiyan avevano mietuto più sangue di lui in
passato e Freezer agli
albori del suo impero aveva intuito che farseli amici gli sarebbe valso
il culo
per ancora un pò di tempo. Stretta l’alleanza del
secolo, un giorno si era reso
conto che il Re gli aveva fatto un regalo ben più grande:
Vegeta era stato un
buon soldatino da piccolo, lo aveva seguito e assecondato anche dopo
l’eccidio
della sua gente – e mai più freddezza aveva
stupito Freezer stesso - ma poi
come innato nella genetica della sua specie il saiyan aveva iniziato a
smaniare
per la rivalsa e per riprendersi lo spazio di un nome troppo grande,
che aveva
un peso che non poteva fingere non gli gravasse sulle spalle. Gli
insegnamenti
di suo padre vivevano ancora in Vegeta, il ricordo dei suoi padri e
della
storia della sua famiglia riecheggiavano nel suo animo cupo come
l’assenza di
speranza.
Vegeta finiva
per essere odiato da chiunque gli si apprestasse, mente demoniaca e
creatura
altera e superba, un incompreso quanto i suoi occhi oscuri come un velo
che
cela dignitosamente l’onta della sconfitta. La sua ostinazione era
scomoda un pò a
tutti d’altronde, soprattutto perchè non voleva deporre le armi e non
accettava la resa più conveniente. Era vero
quello che aveva detto Re Vegeta a Freezer il giorno che gli aveva
venduto suo
figlio. Gli aveva consegnato una perfetta macchina da guerra. Ma era
una
macchina fallata che non aveva comandi. Era un difetto di fabbrica
irreparabile, si sarebbe estinto con la sola morte.
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