Spero
possa piacervi! ;-)
V e r s u s
Capitolo I
Era tutto sfuocato…una
stanza…una stanza poco illuminata…un arco…persone…persone sfuocate…persone che
si agitavano, correvano, si muovevano in un turbinio di immagini
quasi senza senso...fiotti di luce colorata vagavano poco distanti…corpi…corpi
che cadevano… corpi che si rialzavano e riprendevano quella che sembrava
un’interminabile battaglia…e poi lui…lui…la sua immagine era nitida e fresca,
come una fotografia…i suoi movimenti erano fluidi…apparivano in un modo che
ricordava quasi la scena di un film…a rallentatore…era terribile…
I suoi capelli neri e
lunghi ondeggiavano seguendo i movimenti del suo corpo…facevano da cornice a
quel volto deformato dalla concentrazione e dall’attenzione…ogni errore poteva
essere fatale…e poi…quel momento maledetto…l’arco che lo inghiottiva
prepotentemente…il suo viso…il suo volto stupito e, al tempo stesso impaurito,
scompariva velocemente dietro quel velo…troppo velocemente…troppo…il tempo non
ha aspettato…il destino non ha concesso…lo ha solo portato via…per sempre…per
sempre…
Aprì gli occhi di scatto,
saltando a sedere sul letto, ansimava come se avesse corso.
Si toccò il volto, la
fronte, si accorse che era sudata; si asciugò con la manica del pigiama, ma
nulla di quello che stava facendo fu in grado di distoglierlo da quello che
aveva appena visto, o meglio sognato.
Fece un gran respiro, cercò
di calmarsi, anche se era inutile.
Gli lampeggiarono in mente
all’istante, le immagini, come fotogrammi, di quello che era stato l’ennesimo
incubo.
Da quella notte maledetta,
non faceva che sognarlo, non faceva che svegliarsi nel cuore della notte, con i
battiti a mille, tutto sudato e con il fiatone.
Non avrebbe
retto ancora a lungo…Sapeva di essere al limite di sopportazione.
Da quando era tornato a Privet Drive, le
cose sembravano andar peggio, la rabbia si era triplicata, ma non aveva la
forza di calmarla; la tristezza lo sopraffaceva più spesso, ma non riusciva a uscire da quei momenti d’angoscia. Era diventato qualcosa
di molto simile ad un vegetale…viveva giusto perché era obbligato, ma non
provava minima gioia nel farlo. Non era più lui. Non era più l’Harry che tutti
conoscevano, non era più quel ragazzo così forte e coraggioso, ma anche così
fragile e debole, fragilità che lui abilmente nascondeva sotto una dura e
imperforabile corazza, che adesso era andata distrutta in mille pezzi.
Restò in silenzio seduto
sul letto ad ascoltare i battiti del suo cuore che pian piano tornavano a farsi normali.
In quel momento non pensava
a nulla, solo a quanto era ingiusta la vita…
Per quanto riguardava
l’aspetto esteriore, oltre alle occhiaie, causate dalle varie notti insonnie,
si poteva definire normale, senza alcuna preoccupazione; ma in fondo all’animo,
nel più profondo del cuore, la sua ardente fiamma di
vita si stava ogni giorno più indebolendo…stava morendo, di dolore.
Non erano poche le volte
che si era ritrovato con lo sguardo fisso nel vuoto, e poi si era accorto delle
lacrime silenziose che solcavano il suo giovane volto…ma il suo dolore, la sua
rabbia, il suo sconforto andavano ben oltre delle
semplici lacrime.
Che cos’erano le lacrime in confronto all’orrore che si
portava dentro? Niente. Sapeva solamente che non ne sarebbe mai uscito. Sapeva
solamente che non c’era rimedio, non c’era cura.
Involontariamente
si risdraiò sul letto, con la testa sul cuscino, a
guardare il soffitto. Il suo
sguardo andava al di là del muro sopra si lui; vagava
per i ricordi, che lui serbava gelosamente in un angolo nascosto del suo cuore.
Rimase così a lungo, non
seppe dire per quanto, ma in fondo non era importante.
Si ricordò, lentamente,
della prima volta che lo vide; quei ricordi gli tornavano spesso in
mente…rivide quella sera di tre anni prima quando scappò da casa dei suoi zii.
Si ricordò, con un sorriso
amaro sul volto, di quei due occhi che lo fissavano vicino ad un garage in Privet Drive…la prima volta…Sirius.
Lui non lo sapeva, non
immaginava neppure, che da quel giorno la sua vita sarebbe cambiata
inconsapevolmente.
Quel
ricordo prese a sfumare, facendone
affiorare un altro.
Si ritrovò, con la mente,
in quella che aveva l’aria di essere la Stamberga Strillante…sì, proprio lì
dove lo stesso anno si trovò faccia a faccia con lui…solo alla fine di
quell’incontro si rese conto di non essere solo al mondo…di avere, e di aver
sempre avuto, anche se non vicino, qualcuno che lo amasse e che teneva a lui
forse addirittura più della sua stessa vita...Sirius.
Chiuse gli occhi per un
attimo, e una lacrima solitaria prese a scivolare sul suo volto sudato. Riaprì
gli occhi e vide tutto sfuocato, le lacrime avevano riempito
i suoi occhi già colmi di tristezza.
Tirò su col naso, si passò
una manica sulle palpebre per asciugarle, fece un altro profondo respiro, si
voltò su un lato e chiuse gli occhi nel tentativo vano di riprendere sonno.
Inutile.
Lo sapeva
bene, sperava solamente.
Innervosito, si alzò
nuovamente di scatto, questa volta inforcò gli occhiali e si diresse verso
l’armadio.
Lentamente aprì l’anta
cigolante, e si fissò nello specchio attaccato.
Un ragazzo dall’aria
sciupata gli ricambiava lo sguardo, lo fissava triste.
Harry si passò le mani sul
volto nel tentativo di cancellare per sempre quell’identità, Harry Potter…
Quando si rivolse nuovamente allo specchio, pensò duramente:
Voldemort, perché non mi vieni a prendere? Sono stufo di tutto...perché non
mi vieni a distruggere definitivamente? Non voglio più essere io, non voglio
più vivere…perché mi prolunghi la condanna e la sofferenza? Voglio che sia ora,
ora…
Harry scosse
la testa rivolto allo specchio.
“Ho fallito...non sono neanche in grado di
proteggere le persone che amo...eppure io riesco sempre a cavarmela, questo non
è giusto...” continuò
sostenendo il suo sguardo attraverso lo specchio.
All’improvviso sentì un
fruscio d’ali, si voltò con lentezza verso la finestra e vide curiosamente un
gufo che cominciò a battere il becco contro il vetro.
Il ragazzo si diresse verso
la finestra e aprì l’anta.
Il gufo sembrava provenire
dalla scuola, ma perché in piena notte?
Harry prese la lettera che
l’animale tendeva, l’aprì.
Era un messaggio di
Silente, era breve, ma conteneva mille significati.
Perché vuoi farti del male, Harry…
Harry non rimase stupito di
quell’unico breve messaggio, lesse le parole senza neanche prestare attenzione
a quello che potevano racchiudere al loro interno.
Quasi casualmente
appallottolò il foglietto e lo buttò nel piccolo cestino che c’era di fianco
alla sua scrivania.
Si diresse poi verso il suo
letto, guardò la sua sveglia che segnava le 5.30 del mattino, si sedette sulla
coperta, e lentamente, nella sua mente presero forma le parole di Silente.
Le ripeté ad alta voce, ma
non colse nessun significato, che invece in condizioni normali avrebbe colto.
Rimase per un po’ di tempo
in quella posizione, riflettendo.
Di certo non si può dire
che erano pensieri quelli che si formavano all’interno della sua mente; infatti ovunque andasse, qualunque cosa facesse, l’unica
cosa che si vedeva sempre davanti era la morte di Sirius.
Giorno e notte. Notte e
giorno. Stava impazzendo, ma non riusciva a reagire, per quanto potesse provarci. Non riusciva. No.
Rimase così finché non
sentì qualcuno che bussava forte alla sua porta.
“Allora, dannato ragazzo, ti svegli? Sono
le sei, e io devo andare!” disse una voce burbera
all’esterno della stanza.
Harry non ci fece neanche
caso al tono minaccioso della voce di zio Vernon, che in quei giorni andava a
lavorare molto presto.
Si alzò, si diresse piano verso la porta e l’aprì.
Vernon rimase un po’
allibito dallo sguardo perso del ragazzo, mai in vita sua era stato così, che
diavolo era successo?
Harry si limitò a fissarlo,
e sentì la rabbia di zio Vernon crescere.
“Allora, che fai lì impalato? Muoviti! Non
ho così tanto tempo...” cominciò lo zio, ma non finì
la frase che Harry aveva puntato il dito contro il suo naso grassoccio.
“Sei impazzito, forse?” sbraitò Vernon
restando lì dov’era.
Harry lo fissò con uno
sguardo truce.
“Nessuno...nessuno
mi si rivolgerà più con quel tono, mai!” disse il ragazzo a denti stretti.
“Avete finito di trattarmi così, non fa
neanche piacere a me stare qui, ma devo! Quindi d’ora in poi io sarò solo un
fantasma in casa vostra, nella vostra vita...anche se solo questo sono stato negli ultimi quindici anni!” urlò con quanto più
fiato avesse in gola: perché era stufo, perché non li sopportava più.
Dopodiché, senza degnare di
uno sguardo lo zio, che si era ammutolito, girò sui tacchi e scese in cucina.
Arrivato, cominciò a
prepararsi qualcosa da mangiare anche se non aveva fame: era da un po’ che non
mangiava come si deve, ma un senso di vuoto e nausea lo prendeva ogni volta che
sentiva nominare la parola cibo.
Dopo quella
che a mala pena si poteva definire colazione, Harry si alzò da tavola, fece per
salire le scale per andare a rintanarsi in camera sua, quando qualcosa di molto
grosso gli si parò davanti.
Alzò lo sguardo sul
massiccio corpo di suo cugino Dudley, che lo guardò
con aria di sfida.
Harry sostenne lo sguardo
per nulla intimorito.
“Allora, cugino...come te la
spassi?” chiese in modo falsamente casuale il cugino, sbadigliando vistosamente.
“E cosa te ne
importa?” chiese Harry in tono di sfida.
Sul volto di Dudley apparve un ghigno malefico.
“Non hai ancora smesso di blaterare nel
sonno, eh?” chiese prendendolo in giro.
Harry lo fissò, ma non aprì
bocca, voleva sapere fin dove si sarebbe spinto il cugino.
“Chi è Sirius?” chiese con vocina
stranamente angelica.
Il volto di Harry divenne
una maschera di puro odio, lo aveva sentito parlare
nel sonno in quei rari momenti in cui riusciva a dormire; a volte si chiedeva
se il cugino avesse orecchie o radar.
Harry comunque
non rispose: rimase a guardarlo impassibile, cercando di non far trasparire
alcuna emozione o espressione.
Il ghigno di Dudley si allargò.
“Allora? Non rispondi? E’ qualche altro
strano tizio del tuo pazzo mondo? Qualcun altro che ha fatto
una brutta fine?” continuò.
Si stava ripetendo tutto
esattamente come l’estate precedente.
Harry cominciò a bollire
dalla rabbia; il cugino sembrò accorgersene.
“Beh...se ha fatto una brutta fine, c’è
solo da stare contenti, no?” chiese sadicamente.
“Ma cosa ne puoi
sapere tu...” disse Harry quasi ringhiando.
Quella frase e
quell’espressione tolsero il sorriso maligno dal volto di Dudley,
che non si aspettava una reazione dal cugino, il quale non dava segni di vita
da più di un mese.
Cominciò ad indietreggiare,
mentre un Harry sempre più arrabbiato si faceva più vicino.
I loro volti quasi si
sfioravano; Harry parlò scandendo bene le parole, con l’intenzione di far recepire il messaggio anche ad una mente come quella di Dudley.
“Ma-cosa-ne-potete-mai-sapere-voi?
urlò ancora una volta, in faccia al cugino, scandendo
le parole.
“Voi...voi credete sempre di essere perfetti...credete che il mondo vi sia amico,
credete di poterlo prendere in giro, credete in un mondo nel quale i buoni
vincono...ma non è così, voi non sapete niente, non sapete, neppure immaginate
cosa si provi...ma è inutile con voi...non capireste mai...” disse
sfogando la sua rabbia, che da tempo lo teneva a ferro e fuoco, sul cugino che
intanto sudava copiosamente dalla paura.
Un attimo di silenzio cadde
fra loro, nel quale si sentiva solo il fiatone di Harry.
“Che cos’è che non
capiremmo?” chiese una voce che Harry conosceva bene.
Si voltò
verso la cucina, scese le scale, si ritrovò davanti a sua zia Petunia e
suo zio. Era stata lei a parlare.
Harry rimase un po’
ammutolito, non si era accorto anche della presenza
dei due zii; avevano sentito tutto...ma scoprì che non gliene importava niente:
lui aveva solo detto la pura e semplice verità.
“Allora, vuoi rispondere?” continuò la
donna non sentendo alcuna risposta del ragazzo.
“Voi...” cominciò
Harry, sentì di non potercela fare, ma
fece un gran respiro e riprese. “Voi, siete abituati e siete sempre stati così,
a vivere una vita normale, senza grandi imprevisti, a vivere nel vostro comodo
mondo ovattato...ma vi sbagliate...il mondo è crudele e spietato, voi non
immaginate cosa vi sia dietro...è fatto al contrario, è un mondo contorto,
malvagio, nel quale il Male vince e domina, e dove i buoni, che si battono, che
combattono per la vita, muoiono...è un dolore grande...è un’orribile
realtà…nella quale al Male è permesso di vivere e distruggere, annientare e
uccidere tutto fin in fondo all’anima...è...è un mondo avvolto dalle tenebre,
nel quale il Bene viene soffocato e distrutto...è un destino crudele, che non
credevo potesse avverarsi, ma che invece è successo, perché io...ancora una
volta...ho fallito…” si bloccò un momento, accorgendosi che il suo viso
era sudato, poi senza guardare gli zii negli occhi continuò. “Fin da piccolo,
per come vivevo, ho sempre sognato, ho sempre sperato, che qualcuno mi venisse a prendere, per portarmi via...per portarmi in un
mondo fantastico, in un mondo migliore...si può dire che passavo le giornate a
creare storie, avventure nelle quali speravo di potermi trovare...ma la mia
avventura si è rivelata piuttosto diversa...” disse
non riuscendo più a contenersi; decise di dire tutto, non curandosi delle
conseguenze, quello che sarebbe accaduto dopo lo avrebbe affrontato,
prendendosi le sue responsabilità, ma almeno, forse, si sarebbe sentito più
leggero.
“Oso dire, addirittura, che tutto ciò per cui mi sono battuto finora, è andato perso per sempre:
idee, convinzioni, speranze...già…la speranza, si dice che sia l’ultima a
morire, beh...invece è stata la prima, perché è stata sopraffatta dalla ragione
e dalla consapevolezza di non potercela fare, dalla consapevolezza che è tutto
finito irrimediabilmente...” continuò Harry, mentre
tutti e tre i Dursley sembravano apparentemente
rapiti da quelle parole, che sembravano uscire da un’anima ormai ferita in modo
irreversibile.
“Io...” riprese
Harry, “Non so cosa ne sarà di me…cosa mi riserverà il futuro, anche se credo sia già scritto...ma comunque, da ciò
che ormai so, spero che qualunque cosa sia, dia una scossa a questo
schifo...nel Bene o nel Male” la sua voce si affievolì, e cadde un silenzio
innaturale nel salotto di casa Dursley.
Nessuno si muoveva,
fiatava...solo Dudley sembrò uscire da quel trance…
Si avvicinò a Harry, che
aveva il fiatone, e gli sussurrò all’orecchio, in modo che solo lui potesse
sentire: “Da quello che hai detto, non sembri felice della tua vita...beh,
peggio per te, io sto bene e non mi interessa di nessun
altro...ah, per quanto riguarda quel tuo padrino Sirius, morto e sepolto...non
poteva accadere qualcosa di più bello...uno strampalato di meno in torno...così
tanto per dare più colore alla tua vita, una perdita che vuoi che sia,
dopotutto tu ci sei abituato, non è vero?” si allontanò dall’orecchio di Harry
il quale guardava nel vuoto che la bocca aperta... non riteneva Dudley un essere capace di dire quelle cose, si ritrovò
come se
centinaia di lame incandescenti lo avessero appena trapassato, era
triste, arrabbiato...vuoto.
Senza capire bene cosa stesse per fare, di diresse verso il cugino, che
intanto si era allontanato con un ghigno sul volto.
Lo raggiunse,
lo girò per guardarlo in faccia, e senza rifletterci due volte, gli
mollò un forte pugno.
Dudley, colto inaspettato, si accasciò a terra tenendosi
stretto con le mani, il naso, che aveva cominciato a perdere sangue.
Zia Petunia cacciò un urlo
disumano e si precipitò sul figlio quasi agonizzante al suolo.
Harry rimase a guardare
quella scena patetica con un’espressione quasi di maligna soddisfazione dipinta
sul volto.
Zio Vernon non perse tempo,
si avvicinò furtivo ad Harry, lo afferrò per la
collottola e lo trascinò fino in cucina, dove lo fece sbattere contro il muro.
Gli si parò davanti con la
faccia deformata dalla rabbia.
“Che diavolo hai
fatto, ragazzo? Come ti sei permesso?” urlò lo zio
strattonandolo violentemente.
Harry non disse niente, non
si mosse, provava solamente un senso ancora crescente di cupa soddisfazione nel
vedere lo zio così infuriato: non era neanche lontanamente dispiaciuto o
pentito per la sorte di suo cugino.
Non sentiva niente: né la
voce grossa dello zio, né i lamenti di Dudley che
provenivano dalla stanza adiacente. Solo vuoto. Vuoto attorno a lui.
Non era nemmeno minimamente
preoccupato per la sua sorte, di sicuro, si era cacciato in un brutto e grosso
guaio, con il risultato di aver fatto solo peggiorare i rapporti, già così
freddi e indifferenti, tra loro.
Lentamente, senza neanche
prestare attenzione alla minacce di zio Vernon, si
allontanò dalla cucina, diretto in silenzio in camera sua.
Ma lo zio non si diede per
vinto; gli si parò davanti prima che il ragazzo potesse solo anche mettere un
piede fuori dalla porta.
“Dove
credi di andare, eh? Non ho ancora finito con te!”
urlò.
Harry lo guardò alzando un
sopracciglio; di sentiva la rabbia montargli dentro di
lui.
“Ah, davvero?” urlò. “Mi pare proprio che
tuo figlio se lo sia meritato! Non poteva essere più spregevole! Un colpo
basso! Voi non capite! Non capite niente! Niente! Non sapete quando è il
momento di tacere, non sapete quando è il momento di dire ciò che è realmente
giusto! Niente!” si fermò, osservando l’effetto di quelle parole.
Poi riprese, ma con più calma.
“Ti è mai capitato di voler bene a
qualcuno? Di tenere a lui più della tua stessa vita? No, non credo
proprio...Beh, se credi tanto che io mi sia solo più rimbecillito di quello che
sono, ti sbagli...” sentì le
lacrime salirgli agli occhi, incontenibili, erano lacrime di rabbia. “E’ solo
che quel qualcuno se è andato...è morto, a causa mia...”.
“Ah sì?” fece lo zio. “Davvero è morto a
causa tua? Beh, ragazzo, la tua presenza non è altro che un pericolo, sei solo
un misero essere che non è neanche degno di essere al mondo, tu...tu distruggi
famiglie, metti in pericolo la nostra, ma chi diavolo sei per avere questo grande trattamento, eh?” urlò.
Harry, questa volta, non
aveva neanche la forza di reagire...tanto qualunque cosa avrebbe detto, non
avrebbero comunque mai potuto capire.
Si allontanò dalla cucina
per andare in camera sua e restare solo più che poteva: anche se con quei
tormenti non sei mai solo...
Mentre saliva le scale, udì distintamente la voce di sua zia
Petunia, che intanto aveva raggiunto il marito, dire: “Vernon, c’è solo una
cosa da fare, e avremmo dovuto farlo quindici anni fa...non m’interessa di quel
ragazzo, che è ancora minorenne, e che ci sta distruggendo, e neanche di quel
vecchio pazzo del suo preside, non mi fa più paura, dico solo una cosa...orfanotrofio*...”.
Dall’alto delle scale,
aveva sentito ogni cosa, e una lacrima di profonda tristezza prese a scendere
sul suo volto pietrificato.
***
Ciao a tutti!
Spero che il mio primo
capitolo possa esservi in qualche modo piaciuto; lo so che può sembrare una
storia trita e ritrita, e che ci crediate o no, ci lavoravo da un anno O.o
E’ solo che preferisco
terminare una storia (se questa schifezza si può chiamare tale^^) prima di pubblicarla in modo da non fare
ritardi, o assicurarmi almeno che sia finita^^’
*Anticipo che non so
minimamente come funzioni un vero orfanotrofio… prendetela come totale fantasia^^’
Un’ultima cosa… ho fatto un
paio di “locandine”^^ riguardo questa storia…
Prima
Seconda
Vi andrebbe di lasciare un
commento? Spero proprio di sì.. Mi farebbe davvero molto felice ^__^ Ovviamente si accettano le critiche, ci
mancherebbe altro, ma… niente pomodori!
A presto^^