Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono, ma sono di proprietà di Matsuri Hino.
The Human Girl who wasn’t afraid of vampires and the Bloody Vampire who fell in love with her
Non si sarebbe mai detto al primo sguardo, ma Sayori Wakaba aveva un
certo caratterino e una volontà tale da riuscire a piegare
anche un pericoloso vampiro – non che Hanabusa Aido,
aristocratico per nascita e retaggio, potesse essere definito in tal
modo, capacità sovrumane a parte.
Spesso veniva etichettata dalla gente, umana e non, come una povera
sciocca, una pazza che aveva per migliore amica una nobile sangue puro,
appartenente niente poco di meno che al casato Kuran, e un altro
esponente della più alta società vampiresca come
un-non-si-sapeva-bene-cosa-fosse. Certamente non poteva fregiarsi del
titolo di “sangue blu”, ma in quanto figlia del
senatore Wakaba era stata istruita dai migliori precettori, aveva
frequentato i più prestigiosi istituti, parlava fluentemente
sia l’inglese che il francese e ogni tanto si dilettava nella
cucina. Non difettava di intelligenza, tuttavia non avrebbe scambiato
la sua preziosa amicizia con Yuki per nulla al mondo, né le
tarde notti trascorse ad assistere le ricerche di Hanabusa nel suo
laboratorio. E, se questo suo comportamento veniva additato come pazzia
da entrambe le razze, allora sarebbe stata più che felice di
reputarsi tale.
Yuki era stata e avrebbe continuato ad essere la sua prima e
più cara amica.
E Hanabusa…
«Hanabusa, vado a preparare il tè».
Anche quella notte sarebbe stata lunga e tutto ciò che
poteva fare per allietarla era ben poca cosa: il geniale vampiro
lavorava incessantemente sulle complesse – impossibili per il
cervello di un semplice essere umano – ricerche condotte da
Kaname Kuran e, quando lei non doveva prendere in consegna materiale
dall’Associazione Hunter, oppure aveva finito la trascrizione
di qualche documento, o semplicemente non aveva compiti urgenti da
svolgere, condividevano insieme quell’unica pausa –
le piaceva definirlo tè della mezzanotte, una sorta di
equivalente vampiresco del tè delle cinque.
Hanabusa pareva infatti instancabile, tuttavia era certa che quella
piccola interruzione potesse solo giovare alla sua mente e al suo
corpo, anche se durava uno sguardo, qualche battuta spicciola sulle
condizioni di salute di lei, sul lavoro di lui, pochi sorsi e la
condivisione del dolce che si premurava sempre di portare come
accompagnamento. Ovviamente il cibo per i vampiri era del tutto
superfluo, ma lui spazzolava via tutto quello che gli presentava senza
battere ciglio… Anzi, mostrava sempre un’elegante
serietà, come se fosse del tutto naturale ed educato non
lasciare neppure una briciola nel piatto o una goccia di tè
nella teiera – e tutto ciò esercitava uno strano
fascino ai suoi deboli occhi umani.
Il vampiro asserì alla sua affermazione con un mugugno
distratto, troppo preso da schemi, diagrammi e descrizioni di processi
chimici e fisici decifrabili a lui soltanto.
«Grazie» aggiunse poco prima che la ragazza si
chiudesse la porta alle spalle.
Nonostante non potesse vederla, era certo che lei stesse sorridendo in
quel modo speciale riservato esclusivamente a lui. Aveva notato da poco
– o meglio, da quando avevano messo in chiaro un qualcosa che
rendeva l’aria più leggera e la notte troppo breve
– come i suoi occhi si accendessero e la sua bocca si
schiudesse appena, invitante. Neanche a Zero Kiryu era consentito un
tale privilegio.
Gongolò intimamente a quel pensiero, canticchiando con aria
felice, fino a quando non si rese conto del ridicolo spettacolino di
cui stava dando mostra. Aggrottò la fronte rimproverandosi
per quelle stupidaggini che lo coglievano sempre a tradimento e nei
momenti meno opportuni – fortunatamente, lei era impegnata
nella piccola cucina del laboratorio.
Il vampiro passò tra i capelli perennemente arruffati le
dita della mano che sorreggeva la testa piena di formule e definizioni
di biologia umana e vampiresca, ben conscio di essersi ormai distratto
dal proprio compito. Rivolse delle scuse al nobile Kaname e
tornò a concentrarsi sul volume che stava consultando:
voltò con stizza una pagina, stropicciandola appena.
Ogni volta che i loro occhi si incrociavano casualmente, lei accennava
una curva divertita con le labbra e riprendeva a sistemare i tomi con
una tranquillità che strideva dinanzi
all’imbarazzo di cui lui diventava facile preda. Ed era
così ironico: Hanabusa Aido, potente vampiro, e Sayori
Wakaba, fragile umana!
Aneddoto pur divertente che fosse, per entrambi era un punto fermo e
mai messo in dubbio. D’altro canto, neppure si premuravano di
celare quanto fossero restii a tagliare quel filo invisibile che ormai
li avviluppava – ad ogni incontro con sempre più
forza.
Ad Hanabusa non dispiacevano affatto le sue continue premure,
né la sua presenza ormai divenuta quotidiana: Sayori aveva
acceso una lampada la prima notte trascorsa ad assisterlo e continuava
a illuminare quei giorni altrimenti spenti.
Distratto, mordicchiò con i denti il metallo della
stilografica, graffiandolo appena con i canini. Il sapore ferroso gli
ricordò il retrogusto del sangue e che avrebbe dovuto
assumere qualche compressa ematica… Non poteva rischiare
ancora in presenza di lei.
Con un sospiro si stiracchiò sulla sedia, allungandosi sullo
schienale come un gatto, la penna ancora imprigionata tra le labbra.
Be’, nell’attesa poteva consolarsi con il
tè e i suoi manicaretti, di cui aveva già sentito
l’odore invitante non appena aveva varcato la soglia del
laboratorio.
Eh sì, quel profumo delicato, dolce, riusciva a sopprimere
ogni altro odore presente. Aveva anche un certo qualcosa che stuzzicava
il suo palato fine da vampiro.
Sovrappensiero succhiò la stilografica, che
dondolò in bilico tra le sue labbra schiuse non appena si
rese conto a cosa – a chi – appartenesse
quell’odore di cui ormai era saturo il suo olfatto.
Sayori ebbe un pessimo tempismo nel ritornare proprio in quel momento.
Incrociando i suoi chiari occhi sgranati, sorrise divertita e in
leggero, confuso imbarazzo. Con il vassoio di pregiato argento
intarsiato, stretto tra le mani, e sopra di esso il prezioso servizio
da tè in porcellana dipinta a mano piegò appena
la testa, mettendo così in mostra l’invitante
incavo del collo, dove trovava riparo la giugulare.
Il vampiro ebbe appena il tempo di riconoscere la dolorosa stretta alla
gola come il segno inconfondibile di una sete che le compresse ematiche
avrebbero faticato a sedare, quando il tintinnio provocato dalla caduta
della penna sul pavimento li distrasse entrambi. Così,
mentre Sayori si abbassò di scatto a raccoglierla, lui
salvò per un soffio il vassoio che lei aveva portato e che
si era pericolosamente inclinato a causa di quella mossa azzardata.
Nonostante i riflessi ben sviluppati per natura, ormai il danno era
stato fatto: cucchiaini, tazzine, zuccheriera e teiera intonarono una
melodia di cocci e metallo.
«Oh» esalò la ragazza, strabuzzando gli
occhi nel ritrovarsi distesa e a poca distanza dal volto di lui, corso
a proteggerla.
Hanabusa si appellò al proprio potere sul ghiaccio in modo
che la pelle di entrambi non si scottasse al contatto con il
tè bollente e gettò il vassoio vuoto sul
pavimento a tenere compagnia all’irrecuperabile servizio.
Strinse le labbra in una linea infastidita.
«Idiota!» le urlò contro.
Sayori arrossì come una bambina dinanzi alla ramanzina della
mamma, ma prima di riuscire a formulare delle scuse si trovò
tra le sue braccia: il vampiro, sedutosi, l’aveva tratta a
sé per impedirle il contatto tra le gambe lasciate scoperte
dal vestito e il pavimento ormai ghiacciato. Sentì le guance
andare in fiamme per quella premura e per la delicatezza con cui la
teneva dal busto, quasi potesse rompersi anche lei alla minima
pressione; tuttavia, non le piacque gravare in quella strana posizione
sulle sue cosce e così tentò di scaricare tutto
il peso sulle punte dei piedi, che cedettero dopo poco. Fu quindi
costretta a rimediare un appiglio di fortuna sulle sue spalle, che
artigliò con le unghie.
Lui la afferrò saldamente dalla vita per evitare che
scivolasse via, avvicinandola in tal modo di più a
sé con estrema facilità: pesava un nonnulla.
«Mi dispiace! Ripagherò tutto»
esclamò la giovane, contrita.
L’ unica risposta che ricevette fu uno sguardo carico di
rimprovero e apprensione: Sayori non aveva mai visto ardere
così i suoi occhi e ne fu spaventata. Nessun suono provenne
dalle sue labbra ancora strette, soltanto il lieve respiro le dava la
certezza che non fosse un’inanimata statua di marmo.
Avevano già vissuto una situazione simile e Hanabusa si
chiese se sarebbe diventata una sorta di routine, una
quotidianità di cui sarebbe stato difficile privarsi,
preziosa come il tempo trascorso con lei.
Sayori deglutì imbarazzata, non riuscendo a distogliere
l’attenzione dai suoi occhi, né a ripetere quelle
scuse che apparivano patetiche anche alle proprie orecchie: era stata
troppo impulsiva e aveva rischiato seriamente di farsi del male, se lui
non fosse intervenuto. Non poteva di certo biasimarlo per quella
rimostranza un po’ infantile.
«Non ti sei fatto male a causa mia, vero?» chiese,
osservando una goccia di tè scendere dalla sua fronte e
scivolare giù, solcandogli uno zigomo così
arrossato da farle concorrenza. Il tè era bollente, ma lui
sembrava non accusare alcun segno di fastidio.
«Mi dispiace tanto» riprovò, mentre
avvicinava una mano al suo viso per asciugare le umide scie.
Hanabusa rabbrividì appena per quelle carezze e quel tono
dolce con cui riusciva sempre ad ammansirlo: l’arrabbiatura
si era raffreddata come il tè che gli aveva bagnato i
capelli e i vestiti, senza bisogno di alcun intervento soprannaturale.
La giovane sorrise apertamente nel sentirlo irrigidirsi.
«Farò più attenzione la prossima volta.
Promesso» disse e premette piano le dita ai lati del suo
volto. Solo allora si accorse del canino che faceva appena appena
capolino dal suo labbro superiore per tormentare quello inferiore,
ricordandole cosa si celasse sotto l’aspetto così
terribilmente umano e al tempo stesso troppo attraente e perfetto, e
cosa avrebbe provato se lui…
«Fa male?» gli chiese, sorprendendo entrambi.
Il vampiro sgranò appena gli occhi, confuso.
«C-Cosa?» balbettò.
Sayori si accorse dell’assurdità di quella domanda
e avvampò di vergogna, cercando di sfuggire alla sua presa.
«Niente. Niente».
«Ehi, ferma! Aspetta che-». Hanabusa nel tentativo
di non lasciarla andare – era certo che si sarebbe ferita con
qualche coccio o con il ghiaccio che aveva richiamato –
serrò la presa e lei si sbilanciò, crollandogli
completamente in braccio.
Con il volto schiacciato sul suo torace a respirare la sua colonia e il
cuore che batteva come mai prima di allora, Sayori non
riuscì a strascicare alcuna parola e fece per allontanarsi,
ma lui la cinse dalla schiena imprigionandola.
«Solo… Solo per un po’»
sussurrò il vampiro, affondandole il viso
nell’incavo tra spalla e collo.
E lei gli si strinse ancora di più contro, chiudendo gli
occhi e tremando per l’intensità del sentimento
che traboccava dal suo cuore e scioglieva muscoli e nervi con un unico,
liberatorio brivido.
«Senti freddo?» Scattò subito lui,
sentendola tremare.
Sayori sbatté le palpebre, incontrando nuovamente il suo
sguardo terribilmente preoccupato quando l’attimo prima stava
accarezzando i suoi capelli perfettamente arruffati.
Vampiri…, pensò divertita, curvando poi le labbra
in un sorriso.
«Oh, no. Sei caldo» rispose, sorpresa lei per prima
da quella scoperta. Forse l’aveva idealizzato come freddo per
via della sua condizione soprannaturale e il potere che esercitava sul
ghiaccio.
Caldo era una strana definizione che lasciò il vampiro
boccheggiante, alla ricerca di parole che il suo forbito vocabolario
non riuscì a procurargli. Aggrottò la fronte
pensieroso e la sentì ridere cristallina.
«Anche ai vampiri si formano le rughe!»
commentò allegra, cercando di appianare con le dita le
piccole fossette che si erano formate tra le sue sopracciglia.
Profondamente offeso, Hanabusa puntò gli occhi azzurri in
quelli nocciola di lei, limpidi e ancora ridenti, pregni di un
sentimento che l’accendeva e rischiarava
l’oscurità della stanza così tanto da
far sembrare, al confronto, le lampade dei miseri cerini.
«Grazie per avermi protetta» sussurrò
lei, così vicina da procurargli ad ogni sillaba una
piacevole carezza fresca sulla pelle umida del viso.
Il vampiro si irrigidì, inerme sotto il suo sguardo e
irrimediabilmente avvinto dal movimento delle sue labbra, che non si
era accorto di star osservando con troppa insistenza. Invitanti, rosate
e piene, facevano venir voglia di morderle.
Voleva morderle, non solo per la sete giunta di nuovo a torturarlo. E
nulla la stoica resistenza dei vampiri poteva dinanzi a
quell’esigenza che Hanabusa era stanco di reprimere.
D’altronde, quando mai agiva secondo giudizio? Reputava uno
spreco non vivere pienamente quella condizione privilegiata di
immortalità e questo ragionamento l’aveva portato
spesso a compiere azioni sconsiderate.
Allora, certo. Non in quel presente. Non dopo tutto ciò che
era successo con il nobile Kaname e Yuki, non dopo la luce accesa da
Sayori.
Per questo, compì l’unica azione che avrebbe
garantito una via di fuga a lui e chetato al tempo stesso la belva: in
un battito di ciglia Sayori si trovò sopraffatta dalla sua
irruenza, dalle sue labbra morbide e ancora un po’ umide di
tè. Con esigenza Hanabusa la invitò a schiuderle
per lui, per consentirgli di assaporare la dolcezza, la vaniglia e il
burro di cui sapeva la sua bocca – sorrise, perché
era certo che lei avesse assaggiato la torta preparata per accompagnare
il tè nel timore che non le fosse riuscita bene. Quel
connubio, lei e la torta, funzionò come un afrodisiaco,
risuonando con prepotenza sul richiamo melodioso del sangue.
Nella foga Sayori si graffiò appena la lingua con i suoi
canini, che di propria volontà aveva cercato con
l’ingenua curiosità sprezzante del pericolo tipica
dei bambini, e tremò di caldi brividi alla sua intensa
reazione: le intrappolò tra le labbra la punta, succhiandola
vorace per non lasciarsi sfuggire le poche gocce di sangue che
fuoriuscirono. Le dita affondarono tra i suoi capelli biondi,
massaggiando a volte la cute e altre volte tirando le ciocche con
appassionata forza, mentre lui la tratteneva contro di sé,
restio a lasciarla scappare tanto facilmente.
Respirare divenne ben presto una necessità che le
lasciò espletare soltanto per l’indispensabile e,
quando riprese a divorarle la bocca come il predatore che era, la belva
dentro di lui sembrò fare le fusa.
Baciò, leccò, tirò e
mordicchiò in un gioco che si rese ben presto conto di star
diventando troppo pericoloso.
Hanabusa la allontanò bruscamente da sé,
trattenendola dalle spalle per evitare che cadesse, e ansimò
per lo sforzo di trattenersi. Bastarono gli occhi di lei, appena lucidi
di sentimenti impossibili da decifrare per lui – genio solo a
parole e di fronte a trattati scientifici e matematici –, a
riportare sui binari della ragione il treno dei propri bisogni oscuri.
Non poteva.
Per quanto lo volesse – per quanto la necessità
fosse impellente e sul punto di esplodere in follia –, lei
non lo meritava.
Non avrebbe neanche dovuto baciarla!, si rimproverò con
veemenza.
Non in quel modo, almeno: con la stessa ingordigia di un rapace che
assaliva con macabro divertimento la preda. Aveva assecondato la
propria animalesca inclinazione senza chiedere, ma soltanto pretendendo.
«Non trattenerti» mormorò Sayori,
accarezzandogli le guance. «Perché lo fai?
Io-» s’interruppe in un singhiozzo.
Hanabusa fu spiazzato da quell’inaspettata reazione, non
sapendo come reagire: quella fragile umana era così forte da
trattenere le lacrime, così forte da stare sveglia tutta la
notte a fargli compagnia, ad assisterlo, così forte da non
temere nulla, così forte da fidarsi ciecamente di lui.
Un sorriso sbocciò sulle sue labbra gonfie per i baci con
cui le aveva torturate. «Io vorrei trascorre la mia breve
vita da umana al tuo fianco».
Il vampiro boccheggiò nel panico più completo:
quella era forse una dichiarazione d’amore? No, no
– cosa andava a pensare? Ne aveva già ricevuta
una. E allora cos’era? Una proposta? Una proposta?!
Leggendo lo sgomento dei suoi occhi, Yori avvampò e le
sfuggì un gemito di angoscia nel rendersi conto di cosa le
fosse appena sfuggito. Stupidastupidastupidastupida!
Scattò in piedi prima che lui riuscisse a fermarla.
«Vado-Vado a prendere qualcosa per pulire questo disastro!
Scusami ancora!» balbettò in un unico respiro,
dirigendosi in fretta verso la porta.
Hanabusa sbatté le palpebre, sempre più confuso
dalle sue imprevedibili reazioni, ma presto la raggiunse bloccandole
con un braccio l’uscita.
«Ti…» iniziò, inspirando come
se ne avesse effettivo bisogno. «Ti prometto che
troverò la cura, perciò…»
Resta e continua ad amarmi.
Yori sentì le farfalle nello stomaco volare via in mille
direzioni differenti, scombussolandola dall’interno.
«Sì» rispose in un sussurro ad una
domanda che non era stata posta.
Lui le cinse le spalle e la schiena toccò il suo petto
solido. Le affondò nuovamente la testa nell’incavo
del collo, le labbra premute sulla pelle nuda e sensibile e, in un
lampo di comprensione, si ricordò di una domanda che gli
aveva posto poco prima.
«Fa male», ridacchiò per quella sua
ingenuità. «Davvero male».
Lei fece per chiedergli spiegazioni, ma poi capì –
peccato che il pavimento ai suoi piedi non si sarebbe mai aperto per
inghiottirla. Deglutì l’imbarazzo, portandosi le
mani al viso in fiamme.
Hanabusa stava sogghignando divertito da quella stramba situazione.
«Il tuo sangue è prezioso e non dovresti svenderlo
così a buon mercato».
Yori annuì con la testa. «Ma a me va
bene». Si girò tra le sue braccia per affrontarlo
e lasciare che leggesse apertamente sul suo viso e nel suo cuore.
«A me va bene» ripeté con più
decisione. «Come potrebbe dispiacermi?» Gli
regalò uno di quei sorrisi disarmanti che a poco a poco lo
stavano piegando.
Hanabusa sospirò, arrendendosi: entrambi avevano compiuto la
stessa scelta. Entrambi avrebbero scalato quella montagna con le unghie
e con i denti, a suon di graffi ed escoriazioni, di cure reciproche e
aiuti, cadendo e rialzandosi, continuando sull’impervio
sentiero. Impossibile tornare indietro.
Non volevano tornare indietro.
E così la baciò di nuovo, sorprendendola. La
baciò con la delicatezza e la dolcezza che le doveva,
carezzandole le labbra con le proprie languidamente, lentamente.
La sentì rabbrividire appena, sciogliersi in
quell’abbraccio.
E la spinse contro la porta chiusa, bloccandola con il proprio corpo, forse per
metterle quella paura che per istinto di sopravvivenza
l’avrebbe indotta a scappare – era ancora in tempo,
finché riusciva a tenere imbrigliati gli istinti e la sete.
Soltanto un leggero irrigidimento delle sue membra rivelò
l’attimo di incertezza, ma lei non si mosse. Lo corrispose
come prima, più di prima: lo accarezzò sul volto,
tra i capelli, sul collo e le spalle, mentre lui ormai
l’aveva liberata dal giogo delle proprie labbra a respirare
veloce, con affannosa aspettativa. Vezzeggiò il viso di lei
con tanti piccoli schiocchi: sulle palpebre socchiuse, sulla punta del
naso, sulle calde guance, sul mento reclinato, scendendo sempre di
più. Le sue dita gli strinsero i capelli arruffati,
aggrappandosi a lui quasi fosse l’unica salvezza e non
l’eterna dannazione.
Hanabusa respirò l’odore emanato dalla sua pelle,
sfiorandola piano con la punta del naso e poi saggiandola con la
lingua. Le labbra si chiusero su di un lembo, giocandoci fino a
lasciare un segno e un desiderio che era stato appagato soltanto in
parte. Rise della propria stupidità: stava tergiversando
palesemente e questo l’avrebbe soltanto agitata di
più.
Sayori sussultò appena e spalancò le palpebre
percependo i suoi canini appuntiti sfiorarla. Incrociò
subito i suoi occhi screziati appena dal rosso bisogno e
indurì lo sguardo d’istinto, in modo che vi
potesse leggere tutta la determinazione, che lui interpretò
liberamente come sciocco coraggio, e il desiderio di lasciarsi
pervadere un’altra volta da quel senso di appartenenza
provato pochi istanti prima. Era inequivocabile come Hanabusa fosse
attratto dal suo sangue e lei più che pronta a fargliene
dono.
Gli occhi del vampiro si scurirono, trasformando la sfumatura rossastra
che si intravedeva nel limpido azzurro – proprio come quando
il sole tramontava – in un’intensa
tonalità vermiglia, e lo sguardo parve brillare. Lei non
aveva paura, non temeva il dolore, né di accettare quel
biglietto di sola andata.
Come fossero arrivati a quel punto, nessuno dei due poteva dirlo con
certezza: Yori aveva avuto le idee chiare sin dal principio, Hanabusa
invece soltanto una gran confusione, poco avvezzo a quel genere di
attenzione che lei stessa aveva assicurato essere diversa dallo
starnazzare delle studentesse della Day Class, e perciò
più pericolosa. La reciproca compagnia risultava tanto
piacevole a entrambi da farli spasimare per una dilatazione temporale
impossibile: la notte non durava che qualche ora ed era sconveniente
che lei si attardasse con lui.
Troppo tardi, adesso, per i ripensamenti, le silenziose colpe e le
titubanze. Non ce n’era neppure il tempo, non quando la vita
umana appariva agli occhi dei vampiri come la fioritura dei ciliegi: un
unico, breve e fugace attimo di pura bellezza.
Hanabusa non aveva mai fatto tante storie prima: bastava che il
desiderio di sangue si facesse appena sentire affinché
mettesse in moto le zanne, affondandole nel collo o nel polso di
qualche sprovveduta. Eppure, quel gesto assunse tutt’altro
valore: più prezioso, più peccaminoso,
dissacrante. Irresistibile.
Ne comprese d’un tratto tutta l’intimità.
La vena, coperta dalla pelle tesa, si gonfiava sotto le labbra al
passaggio regolare del sangue. Soffiò tra i denti stretti
per lo sforzo, sentendola tremare appena tra le braccia, e con una mano
le tenne ferma la nuca, mentre l’altra iniziò ad
accarezzarle la base della schiena con un movimento atto a distenderle
i nervi: più sarebbe stata tesa, più avrebbe
fatto male.
Sayori inspirò l’aria satura di chiuso, di carta
invecchiata, di cuoio, di tè e la leggera nota del suo
profumo, trattenendola per un lungo attimo, prima di espirarla con
voluta lentezza. Strinse la presa tra i suoi capelli, in un ultimo
silenzioso assenso, e accadde.
Singhiozzò per il forte dolore provocato dalle sue zanne che
le perforarono la pelle e lacerarono la carne. Trattenne appena il
respiro, quando l’odore e il calore del sangue vivo, che
sgorgò e venne succhiato prontamente dalla sua bocca,
arrivarono ai suoi sensi.
Poi, alla paura dell’ignoto si sostituì la piena
consapevolezza e portata del gesto e delle sue conseguenze. La
caducità della propria condizione umana la travolse come
un’onda e lei si sentì così fragile al
suo confronto, vampiro dotato di forza, velocità e
capacità superiori. Allo stesso tempo, ne comprese la
debolezza: senza sangue non poteva sopravvivere e quel bisogno che
sentiva in ogni sua suzione era autentico – traeva
sostentamento da lei come dalle compresse ematiche.
Hanabusa chiuse gli occhi in estasi, perdendo la ragione dinanzi al
sapore delicato che ingoiava sorso dopo sorso: non era che semplice
sangue umano – nulla al confronto dei sanguepuro –,
ma stordiva come il profumo delle rose e dei crisantemi.
Mugolò appena e d’impulso spostò la
mano da dietro la sua nuca per sfiorarle una guancia bagnata di
lacrime. Quando lei ne baciò il palmo e lo morse un
po’ per ripicca e un po’ per carpire quel mistero,
un intenso brivido lo scosse.
Il sangue di lei cantò di un’attrazione che
portava in sé ben altro tipo di sentimenti. Parlò
della solitudine che aveva sempre provato, della gioia che le procurava
il pensiero di Yuki e quel viscerale bisogno di stargli accanto.
Strinse le palpebre dissetandosi un’ultima volta, facendo
appello alla poca lucidità che galleggiava alla deriva sul
nero mare dell’oblio. Aprì la bocca e
sfilò le zanne, leccò poi adagio i due forellini
fino a quando il fiotto di sangue non si esaurì.
«Grazie» sussurrò in tono solenne, con
le labbra premute sulla pelle martoriata – era certo di
averle procurato un bel livido di cui avrebbe dovuto scusarsi, ma che
una parte di lui trovava morbosamente giusto.
Sayori gli rispose con un cenno pigro della testa e un mormorio
sommesso, insinuandogli subito il tarlo del dubbio: forse aveva
– ancora una volta – preteso troppo.
Stringendola al petto, la prese in braccio con estrema
facilità e in pochi passi arrivò alla scrivania
su cui lavorava. L’adagiò sulla sedia,
osservandola con preoccupazione: aveva un colorito rosato, le gote
accese, gli occhi lucidi e le labbra atteggiate in una curva appena
accennata. Le accarezzò una guancia e si sentì
pervadere dal calore del suo sguardo.
«Vado-», deglutì a vuoto, la gola secca
nonostante avesse già bevuto più che a
sufficienza. «Vado a prendere un po’
d’acqua!» concluse con impeto, incapace di
sostenere la portata di ciò che avevano condiviso.
«A-Aspetta!» esclamò Sayori,
aggrappandosi con entrambe le mani al suo polso. «Mi
dispiace, se il mio sangue non-» tentò di
articolare.
«No!» la interruppe lui, inginocchiandosi sul
pavimento per arrivare alla sua stessa altezza – le piccole
trafitture sulle gambe gli ricordarono dei cocci ancora non raccolti.
«Dispiace a me. Non-».
Lei scosse la testa. «Va bene così. Non dire che
sei pentito».
«Non lo sono, ma-».
«Sto bene», gli sorrise incoraggiante.
«Sono forte!»
Hanabusa sorrise a stento, colpito profondamente dalla sua forza
d’animo. Perso nei suoi occhi, si accorse in ritardo delle
sue dita che stavano tastando con curiosità le labbra e la
pelle intorno, proprio dove era certo di essere ancora sporco del suo
sangue. Si vergognò del proprio aspetto –
l’etichetta gli imponeva un aspetto impeccabile – e
subito tentò di porvi rimedio pulendosi con la manica della
camicia, ma lei lo fermò.
«Le macchie di sangue sono difficili da mandar via»
gli spiegò. «Meglio andare a prendere qualcosa per
pulire». Non fece in tempo ad alzarsi che lui la spinse di
nuovo giù.
«Ci vado io» le intimò con espressione
d’un tratto severa. «Tu non muoverti».
Ancora fortemente sorpresa dal suo repentino cambio di umore, Sayori lo
vide sparire dietro la porta del laboratorio – non si sarebbe
sorpresa se l’avesse chiusa anche a chiave, o in qualche
strano modo da vampiro, e ne sorrise.
Ritrovandosi sola, si strinse le braccia al petto e ripensò
a quanto accaduto con mente più lucida. Gemette per
l’imbarazzo di essersi dimostrata tanto audace e sprovveduta
e desiderò sprofondare nel pavimento per
l’ennesima volta, ma il recente ricordo del morso e del
sangue, che sentiva ancora sulla pelle del collo, la distrasse. Con una
mano andò a toccare la zona dolorante e, riportandola poi
davanti gli occhi, la vide piena di macchioline rosso scuro. Vinta
dalla curiosità, portò un dito tra le labbra per
assaggiare il proprio sangue misto al sapore di lui e rimase delusa nel
sentire il caratteristico gusto ferroso, data la goduria con cui
l’aveva bevuto il vampiro.
Fu così che Hanabusa la trovò, quando
rientrò con scopa, paletta e secchio tra le mani. Nessuna
emozione mutò l’occhiata neutra che le rivolse,
solo un repentino luccichio nello sguardo palesò la sorpresa
e il divertimento.
Sayori si vergognò come una ladra nell’essere
stata scoperta in quegli strani atteggiamenti: anche se non riusciva a
vederlo, sicuramente lui stava pensando male, a chissà cosa,
sbagliando, e lei… Abbassò il viso acceso
dall’imbarazzo e chiuse la mano traditrice in un pugno nella
speranza di nascondergli le prove del misfatto.
Il vampiro si mangiò un sorriso per non ridere di lei e si
apprestò a richiudere la porta. Poi, la raggiunse poggiando
alla scrivania e sul pavimento ciò che aveva portato per
pulire. Si inginocchiò sul pavimento per poter controllare
meglio le condizioni in cui versava e le prese con delicatezza la mano
colpevole tra le proprie, aprendola in pochi gesti.
Yori non riuscì a opporre molta resistenza e, quando
sentì e vide il panno inumidito passare con dolcezza sul
palmo, sfregando piano per riuscire a pulire ogni più
piccolo segno, riportò lo sguardo sui suoi occhi velati di
preoccupazione.
«Sto bene» ripeté allora, credendo di
essere ancora lei il motivo di tanto raccapezzarsi.
Hanabusa annuì con la testa e un mugugno, continuando la
propria opera di pulizia sul collo: per fortuna non le aveva sporcato
anche il vestito, ma la macchia violacea intorno ai due forellini
iniziava a piacergli poco.
«Dico sul serio!» esclamò lei,
prendendogli il volto tra le mani con fermezza.
Lui sgranò gli occhi a quella dimostrazione di
impulsività.
«Smettila di colpevolizzarti» continuò
imperterrita Yori.
«O-Okay» si trovò a risponderle.
«Ma ti ho fatto male. E questo», la
sfiorò sull’evidente segno del morso,
«continuerà a darti fastidio ancora per un bel
po’».
La ragazza scrollò le spalle con noncuranza e gli sorrise.
«Passerà».
Hanabusa chiuse gli occhi, arrendendosi al suo calore, e
appoggiò la fronte contro la sua in un sospiro.
Imprecò tra sé: se lei faceva così,
lui…
«Troverò la cura, te lo giuro»
mormorò con angoscia. Doveva trovarla. Non poteva pensare
di… Non poteva.
Yori lo strinse al proprio petto con fare materno, accarezzandogli
amorevolmente la testa. Lo cullò come un bambino, con dolci
sussurri, per un tempo che parve interminabile.
Poi, semplicemente, sorse la nuova alba.
Grazie per aver letto! ^^
È la prima volta che scrivo su Vampire Knight, ma spero di non aver distrutto personaggi, coppia, storia… Questa one-shot ha avuto una genesi abbastanza travagliata, ma adesso mi pare abbastanza presentabile e spero vi sia piaciuta almeno un po’.
Mi scuso per il titolo lunghissimo, ma non ci so proprio fare xD
Calime
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