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nel Tempo
Se riguardo indietro nel tempo resto sorpreso di come la mia vita sia
arrivata a dove sono ora in così breve tempo.
Sono passati quattro anni, che per alcuni non sono nulla, mentre per
altri come me sono una vita intera.
E’ stata mia sorella Alice a presentarmi Bella.
A presentarmi Bella e suo figlio Teddy.
Fu strano il mio incontro con lui.
Ero stato trascinato da Alice a casa di Bella per aiutarla a
ritinteggiare il nuovo appartamento in cui si era trasferita. Ero di
mal umore quel giorno perché a me di ritinteggiare la casa
di una sconosciuta non fregava un bel niente, tuttavia tutto era
cambiato quando mia sorella mi aveva presentato la sua amica.
<< Grazie per essere venuti ad aiutami! Giuro che vi
ripagherò appena.. >> ma non avevo perso tempo
neanche ad ascoltare. Isabella infatti mi aveva dato le spalle per
dirigersi verso il salotto e portava gli shorts. Non so ne mi sono
spiegato. Gambe lunghe, culo sodo e shorts. Una tripletta in grado di
stendere chiunque.
L’avevo seguita come un cane affamato dietro la sua padrona,
ma la mia strada si era interrotta al suono di un saluto.
<< Ciao>> Era una voce proveniente da non
si sa bene dove che aveva attirato la mia attenzione. <<
Ciao! >> e così voltandomi e
abbassando lo sguardo lo avevo visto. Un micro essere umano che mi
guardava dal basso con i suoi pantaloncini corti e una T-Shirt dei
Ramones.
Ricordo che la cosa mi sorprese perché che diavolo ne poteva
sapere un micro uomo dei Ramones?
<< Ciao >> risposi io sospettoso
<< Come ti chiami? >>
<< Edward >> risposi nuovamente.
<< Io mi chiamo Teddy >>
<< Gli orsi si chiamano Teddy >>
<< non è vero! >> ricordo che
replico lui deformando il suo viso così innaturalmente
piccolo in una smorfia di rabbia.
<< sì invece >>
<< e chi lo ha detto? >>
<< Roosvelt >>
<< e chi è? >>
<< il presidente >>
A quel punto lo vidi sgranare gli occhi e spalancare la bocca
<< Oh.. allora deve essere proprio vero! >>
Quattro anni fa io odiavo i bambini. In realtà
odiavo un po’ tutti in generale, ma i bambini in particolare.
Non mi piacevano, mi facevano sentire a disagio con i logo sguardi
sempre troppo indagatori e le loro domande insensibili, e li trovavo
una scocciatura che semplicemente non permetteva alle persone di vivere
una vita libera. Davvero non capivo come le persone potessero
desiderare avere dei figli.
Eppure l’attrazione per Bella mi avevano fatto ignorare la
presenza nella sua vita di quella piccola scocciatura che stranamente
sembrava non accorgersi mai dei miei tentativi di togliermelo dai piedi
ma mi si appiccicava addosso seguendomi dappertutto.
Isabella non me lo ha mai detto, ma credo che una delle prime cose che
l’abbiano colpita di me sia come Teddy si fosse affezionato
inspiegabilmente alla mia persona.
Mentire se dicessi che appena avevo conosciuto Bella avevo fantasticato
su quanto sarebbe stato bello farci una famiglia assieme. Piuttosto
avevo fantasticato sul farmi lei e basta.
Poi però si era intrufolato tra noi quella piattola di Teddy.
Io dal nostro primo incontro avevo iniziato a chiamarlo Orso e anche
quella che era stata solo da parte mia una presa per il culo nei suoi
confronti, si era trasformata in breve tempo in una cosa solo nostra
che aveva reso il legame con lui qualcosa di esclusivo e unico.
Io ed Isabella avevamo avuto una relazione
“nascosta” ai suoi occhi per mesi. Isabella aveva
paura nell’inserire nella vita di suo figlio un uomo, e a me
andava bene così. Non avevo alcuna voglia che quel nano si
facesse strane fantasie in testa.
Poi una notte, dopo un passionale incontro notturno nel letto di Bella,
mi ero stupidamente addormentato dimenticandomi di sgattaiolare come al
solito fuori di casa per non farmi beccare la mattina successiva da
Orso. Era scoppiato un temporale e io me ne ero accorto solo quando il
bambino in lacrime era entrato nella camera alla ricerca di
consolazione.
Bella si era leggermente sollevata dal letto per coprire me e aveva
iniziato a sussurrargli di tornare in camera sua promettendogli di
raggiungerlo subito, nel tentativo di farlo uscire il prima possibile
dalla stanza e non farlo accorgere della presenza al suo fianco del mio
corpo. Io invece, con la mia solita insofferenza per i suoi inutili
capricci, mi ero seduto improvvisamente sul letto e, senza nemmeno
ragionarci troppo, ero esploso in un <<
È un temporale Orso, non la terza guerra mondiale. Non fare
lo scemo e torna a dormire >>.
Neanche a dirlo che Teddy era scappato dalla stanza piangendo come un
matto, e non per il temporale o per le mie parole non esattamente
gentili, ma per il fatto che mi aveva trovato inaspettatamente a letto
con sua madre.
Cristo, quante me ne aveva dette Bella quella notte!
Tuttavia alla fine non era andata poi così male come
pensavamo.
Bella aveva sparato a Teddy la cavolata che anche la mamma aveva paura
della tempesta e che io ero lì per farle coraggio. Alla fine
quella piattola di Teddy, aveva sfruttato l’informazione per
infilarsi nel letto con noi, obbligandomi così a dormire per
la prima volta con quel piccolo ingombro tra me e la mia donna.
Alla fine era diventata una cosa abituale passare la notte con Isabella
e a volte con Teddy nel letto, e per quello avevo iniziato a dormire
più a casa sua che a casa mia.
Neanche a dirlo, dopo quasi un anno vivevamo insieme. Io ancora mal
sopportavo la presenza di Teddy, eppure allo stesso tempo quando non
era in casa sentivo la sua mancanza.
Mi resi conto del legame che senza accorgermene avevo creato con quel
bambino insopportabile un giorno, quando Bella era a lavoro e io ero
rimasto a casa a badare a lui.
Avevano suonato alla porta e io, aprendola, mi ero trovato di fronte a
Jacob Black, il padre naturale di Teddy.
Isabella era rimasta incinta del suo professore durante la preparazione
della tesi all’università. Diceva che era rimasta
stupidamente ammaliata dal suo carisma, dalla sua intelligenza e dal
fascino dell’uomo maturo. Maturità che
però non aveva saputo dimostrare quando Isabella era andata
da lui ad informarlo di essere rimasta incinta. Era così che
Bella aveva scoperto che a lui non importava nulla né di lei
né del bambino che le cresceva nel ventre. Per lui loro due
risultavano niente di più che un ingombrante ostacolo al
raggiungimento dei suoi obbiettivi e della sua carriera, per questo
aveva chiesto ad Isabella di abortire o in alternativa di andarsene.
Lei aveva scelto la seconda.
Il coglione a quanto pare non aveva riconosciuto il bambino,
né gli aveva mai dato un soldo per la sua crescita, ma di
tanto in tanto spuntava, giusto per vedere se fosse ancora vivo. A lui
questo bastava per sentirsi la coscienza a posto.
L’avevo colpito con un pugno in pieno viso e gli avevo detto
di non presentarsi mai più a quella porta o lo avrei io
stesso mandato al creatore.
Anche quella sera Isabella me ne aveva dette di tutti i colori, ma sono
sempre stato convinto che sotto sotto fosse rimasta profondamente
colpita da quel mio gesto, perché per quanto fosse in
collera, più tardi quella notte aveva fatto
l’amore con me in maniera molto più appassionata
del solito.
Stavamo bene insieme. La nostra vita a tre aveva raggiunto uno strano
equilibrio che però si infranse nel momento in cui Isabella
scoprì di essere nuovamente incita.
Me lo aveva detto a gravidanza talmente avanzata che ancora oggi le
rinfacciavo che se fosse stato per lei avrei scoperto di essere
diventato padre solo il giorno in cui mi fossi ritrovato a dormire con
un bambino in più nel letto.
A detta sua aveva timore della mia reazione e conoscendo il mio
rapporto con Teddy, caratterizzato da un affetto profondo nascosto da
totale insofferenza, temeva che mi sarei comportato come Jacob,
mollandola assieme ad un secondo figlio non voluto.
A quanto pare spaccare la faccia a Black non era bastato per
convincerla che io, a differenza del coglione, mi prendevo sempre le
mie responsabilità.
L’avevamo chiamata Jane, e quando era nata avevo capito che
da allora la mia vita sarebbe stata un tormento infinito.
Tormento perché anche lei come Teddy mi adorava, e se fosse
stato per loro non mi avrebbero mollato neanche un secondo.
Più io cercavo di allontanarli, più qui due mi si
appiccicavano addosso come sanguisughe.
Quando tornavo a casa da lavoro mi saltavano addosso come scimmie,
tanto che riuscivo a raggiungere le labbra di Isabella solo dopo
essermeli staccati di dosso e averli lanciati malamente sul divano, con
loro inspiegabile divertimento. Se mi stendevo a riposare sul divano,
immancabilmente finivano per mettersi a dormire sopra di me.
All’ora di andare a dormire rompevano costantemente le
scatole perché leggessi loro una storia, gli rimboccassi le
coperte o semplicemente controllassi sotto il letto che non ci fosse
qualche mostro.
Io sbuffavo, ma facevo sempre tutto quello che mi chiedevano
perché Isabella ci teneva, e perché dovevo
ammettere a me stesso che io ci tenevo a non farli soffrire.
Non li sopportavo, eppure se qualcuno avesse anche solo provato a
fargli del male lo avrei ammazzato a mani nude.
Quando nacque Jane e la vidi per la prima volta all’ospedale,
dopo ore di travaglio in cui avevo trascorso ogni singolo secondo a
cercare di capire per quale motivo la gente faceva figli, pensai che da
quel punto in poi sarei stato ufficialmente una padre.
Eppure, stranamente, non mi riscoprì veramente padre in quel
momento.
Mi rendevo contro di essere il padre naturale di Jane, ma stranamente
non riuscivo comunque ad associare quella parola alla mia persona.
Prima del suo arrivo avevo vissuto nella stessa casa con Teddy, quindi
l’arrivo di Jane lo vedevo più come
un’estensione del corpo di Bella che anche del mio.
Capì che ero padre una domenica di sole quando andammo a
passeggiare al parco.
Faceva caldo e Teddy rompeva le scatole per un gelato.
Alla fine glielo avevo preso e lui mi aveva ringraziato con un
<< Grazie papà >>.
Ci rimasi di sasso e mi chiesi dove avesse imparato quella parola.
Sapevo che era un bambino abbastanza grande da sapere
cos’era un padre, ma non riuscì subito a capire
come avesse fatto ad associare quella parola alla mia figura dato che
io stesso non riuscivo a farlo.
In casa io ero sempre Edward, ma con il tempo la parola con la
“p” iniziò a saltare fuori sempre
più di frequente.
<< grazie papà >>
<< buona notte papà >>
<< ti voglio bene papà >>.
Fu Teddy a farmi diventare ufficialmente un padre. E quando Jane
iniziò a parlare non ero più Edward, ero per
entrambi solo papà.
Io ed Isabella ci siamo sposati l’anno scorso, ma a
differenza di quello che pensa la maggior parte delle persone quel
giorno non siamo diventati ufficialmente una famiglia.
È oggi infatti il giorno in cui ufficialmente diventeremo
un'unica cosa, infatti in questo momento siamo al tribunale, seduti
tutti e quattro di fronte al giudice di pace per terminare
ciò che quattro anni fa è iniziato.
<< Signor Cullen lei sa cosa significa questo?
>>
<< Sì Signore >>
<< Non è come il matrimonio. Da qui non si
torna davvero più indietro. >>
<< Con tutto il rispetto, Signore, non potrei tornare
indietro neanche a questo punto. >>
Lo vedo sorridere e con la coda dell’occhio vedo
Bella asciugarsi emozionata gli occhi.
<< Mamy no piange >> mormora confusa Jane
seduta sulle sue ginocchia, disorientata dal vedere
l’espressione della madre.
<< No piccola, la mamma non piange. La mamma è
contenta >> le sussurra lei baciandola sulla testa.
<< Bene, allora non manca altro che porre una firma su
questo ultimo modulo. >> riprende il giudice.
Mi avvicino al banco stringendo la mano di Isabella con una mano e
quella di Teddy con l’altra e siamo insieme mentre firmo il
certificato di adozione.
Quella sera la trascorriamo tutti insieme sul divano, nel solito nostro
incastro di gambe, braccia e coperte colorate.
I bambini guardano un cartone, mentre Isabella si è
addormentata con il capo sulla mia pancia mentre le accarezzavo i
capelli.
Io ho ancora in mano il documento e lo leggo e rileggo così
come ho fatto da quando questo pomeriggio l’ho firmato.
STATO FAMILIARE
- Edward Anthony Masen Cullen
(Padre)
- Isabella
Marie Swan Cullen (Madre)
- Janet
Elisabeth Masen Cullen (Figlia)
- Theodore
Arthur Masen Cullen (Figlio)
Guardo il documento, e poi guardo loro. E li vedo tutti insieme,
attorno a me.
Vedo noi. Vedo la mia famiglia.
E nuovamente non posso fare a meno di rimanere sorpreso nel constatare
come la mia vita sia arrivata a dove sono ora in così breve
tempo.
Ma soprattutto non posso fare a meno di sorprendermi di quanto io sia
stato dannatamente fortunato.
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A quanto pare sono
ancora viva!!:):)
So che ho ancora
una long da finire, purtroppo il tempo è poco e anche se
stò andando avanti a scrivere lo stò facendo ad
una lentezza vergognosa.
Anche questa One
Shot doveva essere una long (di cui ho già qualche capitolo
scritto) ma, sempre causa poco tempo disponibile, ho deciso di
accorciarla altrimenti non sarei mai riuscita a terminare le mille
storie presenti sul mio pc che stanno lì a fare la muffa e
dirmi "Vichy finiscici, ti prego!!!"
Che dire, grazie
mille a tutte quelle che mi scrivono per chiedermi se sono ancora viva
e vegeta e che leggono ancora le mie storie!
Spero che anche
questa piccola storiella possa piacervi!:)
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