Fatima
Fatima è una ragazza come potrebbero essercene tante.
Mi sta di
fronte, poco più bassa di me, scura e magra.
Una di quelle donne-bambine dall’età indefinita, con le
prime rughe intorno agli occhi ed il volto scavato dal dolore.
Mi fissa con uno sguardo duro, uno sguardo di pietra che
non ti lascia, che ti toglie il respiro. I suoi occhi scuri sembrano aver perso
ogni luce, quella che dovrebbe brillare negli occhi di una donna giovane come
lei, ebbri di passione e di curiosità. Invece sembrano formare una sola
domanda.
“Perché?”
Ammutolisco e guardo in basso. Non saprei cosa rispondere e
forse non mi sforzo neanche di provarci. Mentre tengo gli occhi bassi, un po’
per la vergogna e un po’ per la soggezione che mi incute, noto qualcosa.
Fatima non ha le mani.
Ha solo due moncherini che sono dritti e fermi, come il suo
sguardo.
E la vedo.
Fatima che vorrebbe diventare dottore per aiutare la sua
gente, Fatima che ama scrive, che sistema i suoi libri sgualciti, che accudisce
i suoi fratelli, che ride allegra.
E vedo ancora.
Fatima che batte furiosa i polsi sul tavolo, piangendo di
rabbia e di frustrazione, mentre più in là giacciono inutili una penna e fogli
di carta tormentati dal vento.
Fatima che ha visto i suoi amici andarsene uno dopo
l’altro, che guarda senza vedere tra la polvere e le macerie, che piange con
gli occhi asciutti, tra i rumori delle esplosioni ed il cigolio dei carrarmati.
Fatima che potrebbe essere Amila, Nadia, Ashira. Fatima che
potrebbe vivere in Palestina, in Iraq, in Somalia.
Perché Fatima è solo una figlia della guerra.
Vive nei trafiletti dei giornali, negli angoletti delle
riviste patinate che si sfogliano distrattamente, nei telegiornali che fanno da
sfondo alle nostre cene ed alle nostre discussioni a tavola.
Fatima non esiste. Fatima è me allo specchio. Lei è me ed
io sono lei, metà inconciliabili di due mondi troppo diversi. Eppure vicine.
Perché se provassimo a guardare per un attimo con gli occhi di chi ogni giorno
combatte con la morte e la miseria, tormentati dagli spettri della paura e del
bisogno, forse ci sentiremmo più partecipi e decisi a guarire i mali del mondo.
Perché il dolore umano, così piccolo sotto il peso dei
giochi di potere e d’interesse, è tristemente universale, e neanche il nostro
ovattato benessere riesce a celarlo.
Guardatevi dentro, Fatima è dentro di voi.
Non sono solita scrivere cose così tristi, ma questa mi è
venuta di getto, mi piaceva e perciò… ho deciso di postarla. Fatemi sapere
cosa ne pensate!
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