Yoru no Shinigami

di Mick_ioamoikiwi
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Yoru no Shinigami

 
Morte, sangue, dolore.
La notte in cui Itachi Uchiha aveva sterminato il suo intero clan si poteva riassumere il quelle tre semplici parole.
 
Come una belva in preda a una furia omicida, Itachi si era fatto strada lungo le piccole vie del suo distretto a colpi di katana: si era avventato sui suoi amici, fratelli di sangue, cugini, zii, sulla sua famiglia imprimendo nei loro occhi disperati il suo volto contrito in una maschera di indifferenza. Aveva privato ognuno di loro della propria vita carica di odio e risentimento verso Konoha per proteggere gli innocenti del villaggio da una guerra ormai imminente.
La sua unica priorità era riportare la pace e la serenità al suo amato villaggio, e lo avrebbe fatto attraverso la loro morte.
Un assassino.
 
Le strisce e le macchie di sangue ancora fresco avevano ricoperto il suo viso enigmatico, rendendolo al pari di uno shinigami impazzito bramoso di mietere vittime e di saziare il suo appetito disumano. Ogni colpo inferto, ogni urlò di terrore, ogni sguardo carico di domande che i suoi familiari gli avevano riservato in quei lunghi momenti lo avevano lacerato nel profondo. Si sentiva come un vaso di ceramica vuoto, privato del suo stesso animo. 
Non era più un uomo, nè un Uchiha.
Del prodigioso Itachi Uchiha era rimasta soltanto più una maschera animalesca, in tenuta d'assalto, coperta di sangue.
Un traditore.
 
Nel suo cuore non era rimasto più niente: le emozioni che aveva provato in quei miseri quindici anni di vita erano state spazzate via, come petali di ciliegio al vento, in quella notte insanguinata. Ciò che gli rimaneva nel profondo era un fitto e lacerante dolore: tanto, troppo per essere sostenuto interamente da un solo ragazzino eppure quel dolore non lo aveva toccato più di tanto mentre compiva la sua missione. In fondo serviva solo a ricordargli che era umano, e non uno spettro omicida.
Ma quando incrociò gli occhi vacui di suo fratello che gli chiedevano Perchè?!, Itachi desiderò ardentemente la morte. "Perdonami Sas'ke".
Ma pur sempre un uomo.




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