Ce
baiser interdit
Quel
bacio proibito
"La
vita è una frase interrotta." ( La vie est une phrase
interrompue.)
Victor
Hugo
Nizza,
dicembre 1789
Clarissa
avvicinò una sedia davanti al piccolo camino della casa, in
cui scoppiettava allegro un timido fuoco, poiché non avevano
abbastanza legna con cui ravvivarlo. Sebbene ne avessero conservata un
bel po' in vista della stagione invernale, ancora non era abbastanza
per tutto dicembre e, se continuava a fare un tale freddo, per quanto
mitigato dal mare, avrebbero dovuto razionarla ancor più di
quanto stessero facendo in quei giorni usandone in quantità
minori. Dovevano riuscire a metterne un po' da parte e racimolare i
soldi per comprarne dell'altra prima che arrivasse gennaio, il mese
più freddo dell'anno, ma il problema era che non ne avevano.
Dovevano spendere tutto il denaro che la famiglia guadagnava con fatica
in cibo, abiti e altri fondamentali mezzi di sostentamento e della loro
vita quotidiana.
La
ragazza era la sola a trovarsi nella stanza e gli unici rumori che
riusciva a sentire erano lo scoppiettio del fuoco e il leggero russare
del padre, proveniente dalla camera attigua, dove stava dormendo su un
piccolo e modesto letto, l'unico che possedevano. La loro casa era
composta soltanto da quelle due stanze, ma non le era mai apparsa
troppo angusta o stretta, poiché vi vivevano solo in tre
persone: lei, il fratello Antonio e loro padre. Non avevano mai potuto
conoscere i loro nonni, né la madre, poiché la
loro vita gli era stata strappata quando lei e il fratello erano troppo
piccoli per serbarne il ricordo.
Lei
e Antonio si toglievano solo due anni, ma avevano talmente tante cose
in comune da sembrare dei gemelli, sia caratterialmente, sia
fisicamente. Avevano gli stessi lineamenti del viso e entrambi capelli
ricci e dal colore castano scuro, solo che, mentre Clarissa li lasciava
crescere fino ai fianchi, Antonio era solito tenerli molto corti, per
non essergli d'impiccio nelle faccende giornaliere. Una delle cose che
li rendeva diversi, oltre all'età e all'altezza,
poiché il fratello la superava di qualche centimetro, erano
gli occhi: quelli di Antonio erano castani, mentre i suoi verdi,
l'unico ricordo lasciatole dalla madre, anche lei con l'iride di quel
particolare colore. Inoltre, entrambi avevano ereditato la forza
d'animo e la costanza del padre, che ora manteneva entrambi con il suo
lavoro da artigiano, per quanto loro cercassero di aiutarlo occupandosi
delle faccende di casa e guadagnando qualche soldo con semplici
attività.
Sorrise
al pensiero del fratello; erano sempre stati molto intimi, come se a
legarli non fosse solo il sangue e la parentela, ma anche un filo
invisibile che li teneva uno accanto all'altro, incapaci di separarsi.
Per lei, infatti, Antonio non era mai stato solo un semplice fratello,
ma un amico e un confidente, su cui era sempre stata certa di poter
contare, sia quando erano bambini, sia ora che avevano lei diciotto e
lui vent'anni.
Sentì
il rumore del chiavistello che scorreva e la porta aprirsi; si
voltò, riconoscendo immediatamente il viso magro del
fratello che aveva fatto capolino nella stanza. Era illuminato solo
dalla tenue luce proveniente dal debole fuoco, ma Clarissa sarebbe
riuscita a scorgerlo anche nel buio più completo.
«Antonio!»
esclamò la ragazza, mordendosi subito dopo le labbra per
averlo chiamato a voce alta, poiché rischiava di svegliare
loro padre.
Il
fratello sorrise davanti al gesto istintivo di Clarissa ed
entrò nella stanza, togliendosi il mantello scuro e
appoggiandolo su una sedia, la stessa che in seguito
afferrò, per poi avvicinare al camino, accanto a dove si era
posizionata la ragazza.
«Come
sta papà?» domandò lui.
«Stanco
e sfiaccato, ma bene, per ora. È stato alla bottega tutto il
giorno, senza mangiare quasi niente. Antonio, sto seriamente iniziando
a preoccuparmi.»
«Non
devi» affermò il giovane, stringendole le mani, da
una parte cercando di darle conforto, dall'altra di riscaldarsi.
«Nostro padre è forte, non si lascerà
portare via dalla malattia. Non dovremo fare altro che aiutarlo,
cercando di alleggerirgli il peso del lavoro e le fatiche che ogni
giorno affronta per permetterci di vivere.»
«Ho
comunque paura. Se dovesse peggiorare, sai benissimo che non potremo
permetterci le medicine per guarirlo.»
«Non
hai nulla di cui preoccuparti» sussurrò il
fratello, avvicinandola a sé e abbracciandola.
«Penserò a tutto io.»
Vorrei
tanto crederci pensò Clarissa, posando la testa
sulla spalla del fratello, accanto al suo collo scoperto e freddo dopo
essere stato esposto per tanto tempo al gelo della notte. Ma
anche io ho delle responsabilità e al di sopra di tutte ci
siete tu e nostro padre. «Sai benissimo che non
puoi fare tutto da solo.»
«Ovvio
che posso. Sono il maggiore dei due e il mio compito è
prendermi cura di te, quando papà non può
farlo.»
«Non
mi serve alcuna protezione» ribadì Clarissa,
schiaffeggiando scherzosamente la mano di Antonio. Lui rispose
sorridendo e stringendogliela con dolcezza.
«Lo
so benissimo, ma ti vedo lo stesso come una mia
responsabilità.»
«Invece
non devi» mormorò Clarissa, sollevando il viso e
guardando il fratello negli occhi. «Posso badare da sola a me
stessa.»
«Mi
sono arruolato nell'esercito» disse di colpo Antonio.
Clarissa
strabuzzò gli occhi, sciogliendosi dal suo abbraccio e
guardandolo sorpresa. «Quando?»
sussurrò, incapace di dire altro.
«Oggi.»
«Perché?
Non eri costretto. Non c'era nulla che ti ordinava di farlo.»
«È
stata una mia scelta.»
«Una
scelta stupida.»
«Clarissa»
la richiamò lui. «Mi farà guadagnare
più di quanto possa la bottega di papà.»
«Sei
un pazzo. Non vedi i tempi duri che sta attraversando il Regno di
Sardegna e la Francia? Sono da mesi che non si parla altro delle
rivolte e dei disordini di Parigi.»
«Non
mi interessa se è pericoloso o no arruolarmi. Voglio solo
migliorare la vita tua e di papà e difendere la nostra
città.»
«Puoi
farlo anche restando qua e trovando un lavoro meno pericoloso. Antonio,
una volta entrato nell'esercito, sarai costretto a combattere in vere e
proprie guerre. Hai la minima idea di quanto possa essere terribile una
battaglia?»
«Ormai
è troppo tardi per tirarmi indietro e, se anche
così non fosse, non revocherei mai la mia domanda. Non
c'è nulla che tu possa fare per persuadermi,
Clarissa.»
«Io...»
balbettò la ragazza, mordendosi le labbra subito dopo.
«Ho solo paura che tu possa non tornare più e che
la guerra ti porti via da me e papà.»
Antonio
la avvicinò di nuovo a sé, baciandole la fronte e
accarezzandole i capelli ricci. «Non permetterei mai a nulla
di portarmi lontano da voi, ma, Clarissa, non posso starmene con le
mani in mano mentre a un passo dalla nostra contea si combatte in nome
della libertà e dell'uguaglianza. È solo agendo
che potremo permettere a questi principi di trionfare.»
«Allora
è per questo che lo stai facendo»
affermò Clarissa, sottraendosi nuovamente al suo tocco
gentile e all'abbraccio. «Non per difendere la nostra
città, ma per inseguire delle idee astratte e
impossibili.»
«Quello
che sta accadendo in Francia non è affatto astratto. Il
popolo si sta rivoltando contro la tirannia e contro tutti coloro che
finora non hanno fatto altro che godere dei loro sfarzi e privilegi,
mentre noi siamo costretti a faticare ogni giorno per poterci
permettere almeno qualcosa da mangiare. Non riesci a vedere quanta
giustizia ci sia in quello che sta accadendo?»
«Come
puoi parlare così dei francesi dopo tutto quello che hanno
fatto a Nizza? Non ricordi quante volte è stata occupata da
loro e sfruttata per il loro fabbisogno? Tutti qui li considerano solo
degli invasori, che non hanno fatto altro che portare violenza e
scompiglio nella nostra città in tutti questi secoli. Questa
ti sembra libertà?»
«Ciò
che è avvenuto nel passato non può essere
cambiato. Io guardo al presente e al futuro. Riesci a credere a cosa
potrebbe portare l'ugualianza sociale? Tutti potrebbero votare, anche
le donne, e non ci sarebbero più ricchezze a dividerci in
classi sociali» disse Antonio, sorridendo con gli occhi
puntati sul fuoco, come se tra le fiamme potesse avere uno scorcio
dell'utopica civilità su cui stava fantasticando.
«Se passassimo dalla parte dei francesi, ciò
sarebbe possibile. Potrebbe diventare realtà.»
«Non
mi importa nulla di tutto questo» ribatté
Clarissa, prendendogli una mano e iniziando a giocherellare con le sue
dita. «Voglio solo che tu rimanga qui con me.»
«Non
ho altra scelta, Clarissa» disse Antonio e alla ragazza
sembrò che avesse pronunciato il suo nome con una punta di
tristezza, come se fosse davvero addolorato all'idea di lasciarla a
Nizza, da sola a prendersi cura della salute del padre. Eppure,
l'enfasi che aveva mostrato mentre parlava della rivoluzione scoppiata
in Francia non era stata né falsa, né aveva
ancora abbandonato il suo viso, su cui malinconia e gioia si
alternavano in una danza vorticosa.
Quindi
si voltò a guardarla e nei suoi occhi la ragazza vide un
insolito luccichio, forse provocato dal riflesso del fuoco su di essi.
«C'è
sempre un'altra scelta. Avresti potuto...» Clarissa
cominciò, ma la sua frase venne interrotta dal fratello che
tutto a un tratto le prese il viso con la mano libera e la
baciò delicatamente. Fu solo un contatto breve e leggero, ma
a Clarissa bastò per farle accelerare il cuore fino a darle
l'impressione che fosse sul punto di scoppiare.
«Perché
l'hai fatto?» chiese subito dopo Clarissa, ma senza
allontanarsi dal suo volto. La ragazza sapeva che quell'atto era stato
del tutto sbagliato, poiché erano fratello e sorella e un
rapporto di quella natura era addirittura ritenuto contrario alle leggi
della natura, ma non riusciva a considerarlo davvero in quel modo. Non
sapeva spiegare bene le emozioni che stava provando in quel momento, ma
era certa che fossero tutt'altro che repulsione e disgusto. Anzi, il
fatto che il primo bacio le fosse stato dato da suo fratello le dava un
senso di innaturale gioia. In fondo, tra loro c'era sempre stato un
rapporto intimo e speciale, che andava di gran lunga oltre al tipo di
legame che più si confaceva a dei consanguinei.
Avevano
passato ogni singola sera degli ultimi anni stretti l'uno all'altro di
fronte al fuoco, per cercare di trarre reciprocamente calore, le gambe
intrecciate e le mani unite, ma mai si era resa conto di quanto
effettivamente fossero forti i sentimenti che provava per Antonio,
almeno non prima di quel delicato e incredibilmente leggero bacio, il
primo che avesse mai ricevuto in tutta la sua vita.
«Io...
Non ne ho idea» sussurrò il fratello.
Non
parlarono più quella sera, né osarono
approfondire quel lieve contatto; rimasero tutta la notte abbracciati
davanti al fuoco morente, come tante volte avevano fatto da bambini
prima e da ragazzi poi, lasciando da parte la discussione avuta solo
pochi attimi primi, con sulle labbra ancora il sapore di quel bacio
rubato e proibito.
Nizza,
gennaio 1793
Clarissa
attraversò il porto affollato di Nizza, facendosi largo
nell'enorme massa di persone che ogni giorno vi si recavano, chi per
comprare o vendere prodotti, chi per partire in barca o per aspettare
che i loro cari tornassero da viaggi e terre lontane. Eppure, nel giro
di due anni Nizza era cambiata; in modo, però, tanto sottile
e quasi impercettibile, da poter essere notato solo da un abitante
della città. Infatti, da quando i francesi erano arrivati e
si erano stabiliti con il loro esercito, l'anno prima, Nizza si era
fatta più buia e triste. La gente preferiva rimanere chiusa
in casa, onde evitare di avere problemi con i soldati e le truppe che
erano state là stanziate. La situazione si era fatta
maggiormente complessa da quando la Convenzione di Parigi aveva emesso
un decreto secondo cui l'intera Savoia e la contea di Nizza sarebbero
andate sotto il controllo francese, abbandonando definitivamente il
dominio sabaudo.
Si
strinse al petto la sacca con dentro il cibo comprato al mercato, per
evitare che qualcuno tentasse di derubarla, avvantaggiato dal tumulto
da cui si trovava circondata. Erano molti gli abitanti nizzardi ad
essere tanto poveri da non poter vivere di altro se non delle ruberie
che facevano soprattutto durante le mattine, quando la gente accorreva
al mercato a comprare i viveri per l'intera giornata, e nelle
festività. Tuttavia, ciò che più la
spaventava non erano tanto i suoi compaesani, quanto i soldati
francesi. Tutti i giorni li guardavano con disprezzo e insopportabile
superiorità; sfruttavano qualsiasi occasione per requisire i
loro beni e umiliarli per dimostrare e sottolineare il fatto che ormai
Nizza era sotto il controllo della Francia. Inoltre, solo il giorno
prima era stato annunciato di fronte al popolo nizzardo che da allora
in poi sarebbe stata in vigore la leva obbligatoria di tutti i giovani
uomini di età maggiore ai diciott'anni per aumentare le
truppe dell'esercito rivoluzionario. Per di più, sarebbero
stati introdotti i principi della rivoluzione e l'unica religione
accettata sarebbe stata quella verso la dea ragione, mentre tutte le
altre sarebbero state considerate false e vietate, compresa quella
cristiana.
Clarissa
strinse con forza la cinghia della sacca, cercando di calmare la rabbia
che provava. Come potevano quegli invasori pretendere che, dopotutto
quello che avevano fatto alla loro amata città, avrebbero
seguito docilmente le loro assurde leggi?
Uscì
dal porto e si diresse verso il centro della città, dove si
trovava il suo piccolo e modesto appartamento, in un palazzo che dava
sulla Piazza del Tribunale. Entrò e salì le
scale, fino ad arrivare al primo piano.
Aprì
la porta, aspettandosi il consueto silenzio che tutti i giorni le
faceva compagnia. In quegli ultimi mesi aveva cercato in ogni modo di
rimanere fuori il più a lungo possibile, grazie al lavoro o
ad altri impegni, per evitare la solitudine in cui si era ritrovata a
vivere costantemente. Quel giorno, però, qualcosa di
inconsueto la accolse: la casa, infatti, non era vuota come si era
aspettata, bensì all'interno vi era già qualcuno
ad attenderla.
Non
appena lo vide, sebbene fosse girato a guardare la piazza e il poco di
Nizza che si vedeva dalla finestra dell'appartamento, Clarissa
riconobbe immediatamente i capelli e la corporatura dell'individuo che
le stava di fronte. Quando il fratello si voltò, la ragazza
si accorse che i quattro anni di lontananza non avevano in alcun modo
scalfito o attenuato i sentimenti che lei continuava a provare per lui.
Le bastò sentire come il suo cuore accelerò al
solo vederlo per averne la conferma.
Antonio
non era cambiato molto. Era sempre lo stesso ragazzo di una volta,
quello che tutti i giorni ce la metteva tutta per guadagnare qualche
soldo e togliere parte del peso che un tempo era ricaduto sulle spalle
di loro padre e quello che le era sempre stato vicino in qualsiasi
decisione e momento. Il ragazzo per cui temeva di provare dei
sentimenti che ancora non riusciva bene a definire con chiarezza.
Però era cresciuto: il corpo era più tonico e
robusto, ben lontano dal fisico esile che ricordava, forse ora forgiato
da anni di addestramento nell'esercito, come dimostrava anche
l'uniforme che indossava.
Antonio
non fece nemmeno in tempo a voltarsi a guardarla che la ragazza gli
corse incontro, abbracciandolo. «Non hai la minima idea di
quanto tu mi sia mancato!» esclamò, stringendolo
forte a sé. Antonio, dopo qualche istante di confusione, le
circondò la vita con le braccia, ricambiando il suo
abbraccio caloroso.
«Anche
te» mormorò. «Nostro padre?»
Clarissa
non rispose, ma avvicinò il viso al suo collo, come a trarre
maggiore conforto da lui. «Ho provato a curarlo, ma alla fine
la malattia ha prevalso. È morto» disse poi,
cercando di trattenere il pianto, sebbene i suoi occhi si stessero
già inumidendo al ricordo del momento in cui si era accorta
che suo padre aveva smesso di respirare e la sua pelle era diventata
fredda. Aveva già versato tutte le sue lacrime subito dopo
il suo decesso e il funerale, che si era svolto in modo molto semplice
e modesto. Non voleva mostrarsi in quel modo anche di fronte ad Antonio.
«Quando
è successo?» sussurrò il fratello con
voce improvvisamente roca.
«Tre
anni fa, di settembre.»
«E
da allora hai vissuto qui da sola?»
«Sì,
ma non devi preoccuparti. Sono riuscita a mandare avanti la bottega di
papà anche senza di lui. Non è stato facile, ma
ce l'ho fatta e ci sto riuscendo tuttora.»
«Mi
dispiace averti costretta ad affrontare tutto questo da sola.»
Anche
stavolta Clarissa rimase in silenzio, lasciando cadere in aria
quell'affermazione e quell'argomento. La verità era che
probabilmente, se avesse deciso di rispondergli, avrebbe aperto una
discussione che sarebbe anche potuta sfociare in una lite,
poiché lei non aveva ancora accettato la decisione di
Antonio di andarsene e lasciarla da sola a badare al padre
già malato. Lei non voleva dargli la colpa per quello che
era successo, ma al fratello non sarebbe certamente sfuggito il tono di
stizza che la ragazza avrebbe usato semmai avesse provato a
rispondergli.
«Clarissa,
tutto bene?» chiese il fratello, scostandosi leggermente in
modo da vederla in viso.
La
ragazza non riuscì più a trattenere le lacrime,
che sgorgarono rigandole le guance. «No. Tutto sta andando a
rotoli da quando sei entrato nell'esercito e mi hai lasciata
sola.»
Antonio
le accarezzò la guancia umida con dolcezza, asciugandole i
punti su cui erano passate le lacrime. «Io...»
iniziò, ma Clarissa lo interruppe.
«La
tua uniforme...» sussurrò, senza fiato dalla
sorpresa. «Non è dell'esercito sabaudo.»
Si chiese come mai non se ne fosse accorta prima. Forse
perché era stata troppo felice per il suo ritorno da non
avervi prestato attenzione e perché solo in quel momento
aveva avuto l'opportunità di osservarlo più
accuratamente. Non aiutava il fatto che i colori dell'uniforme sabauda
e di quella francese fossero gli stessi: bianco e azzurro, sebbene i
modelli fossero diversi.
«Lasciami
spiegare» provò a dire Antonio. La sorella,
però, lo allontanò con uno spintone.
«Quante
bugie mi hai raccontato?» lo accusò, alzando la
voce. «Avevi detto che ti saresti arruolato nell'esercito per
difendere il nostro paese. Anche quello era falso?»
«No,
ero sincero. Voglio difendere Nizza dai Savoia, aiutando i francesi a
liberarci dalla loro tirannia. Quando loro erano al potere, non era
possibile che la libertà, l'uguaglianza e la fratellanza
regnassero sull'ingiustizia e sui soprusi.»
«Ah,
sì?» ribatté Clarissa, guardandolo con
sguardo duro, privo di tutta la felicità e l'amore che aveva
provato rivedendolo. «I francesi vorrebbero difenderci dalle
stesse ingiustizie e soprusi che provocano loro stessi, spacciandoli
per atti di bene in nome di un'effimera libertà?
Perché non hanno fatto altro che questo da quando hanno
invaso la contea.»
«Come
puoi essere così cieca e cocciuta, Clarissa?»
Antonio si passò una mano tra i capelli, in un gesto di
rabbia. «Il loro arrivo non porterà altro che
giustizia e una vita migliore qui a Nizza ed è proprio
perché credo che possano apportare un vero cambiamento alla
nostra società che mi sono arruolato nel loro
esercito.»
«E
allora per me non sei altro che un traditore della tua stessa
patria» affermò Clarissa, voltandogli le spalle.
Inizialmente
non ricevette alcuna risposta dal fratello, forse perché era
troppo infuriato o ferito dalla frase pronunciata dalla ragazza. Poi
Antonio disse di punto in bianco: «Non dirai mica queste cose
perché ti sei unita ai barbets?»,
lasciando trasparire un malcelato disprezzo nel pronunciare
quell'ultima parola.
Clarissa
sussultò, ma non disse nulla, rendendo evidente quale fosse
la risposta.
«Da
quanto tempo?»
«Un
anno» disse e sentì il fratello dare in uno scatto
d'ira un calcio ad una sedia, mandandola a sbattere contro la parete.
«Perché
l'hai fatto?» mormorò Antonio.
«Perché hai deciso di entrare in quel gruppo di
criminali ribelli?»
«Perché
sentivo che era la cosa migliore da fare per proteggere questa
città» rispose la ragazza, voltandosi a guardarlo.
«Tu non hai fatto lo stesso quando hai scelto di entrare
nell'esercito francese, mentendo spudoratamente a me e a nostro
padre?»
Antonio
la guardò. Clarissa sentì il cuore perdere un
battito quando vide quanto dolore e insieme rabbia contenesse
quell'unico sguardo che le rivolse, poco prima di voltarsi e uscire
dall'appartamento sbattendo rumorosamente la porta dietro di
sé. Eppure, sotto a quel tumulto di emozioni negative, la
ragazza aveva notato anche quanto amore gli occhi di suo fratello
avessero racchiuso, senza riuscire a celarli alla sua vista. Ed era
proprio quella la cosa che le faceva più male: nonostante le
parole che si erano rivolti e la sofferenza che si erano provocati,
ancora non riuscivano a smettere di amarsi.
Nizza,
aprile 1799
Clarissa
tirò fuori dalla tasca una fiaschetta, che
avvicinò velocemente alle labbra per bere qualche gioccio di
vino. Non era mai stata una grande bevitrice, né le
piacevano granché gli alcolici, in particolare quello che si
era portata dietro, poiché a tratti sembrava più
aceto che vino, ma in quel momento ne aveva un grande bisogno, come
tutte le volte che si trovava a combattere l'ansia dei minuti
precedenti ad uno scontro.
Era
seduta su un masso nel bosco della montagna poco lontana dal villaggio
di Saorgio; anche quel giorno, a quanto aveva capito, li attendeva
un'altra dura operazione di scorreria.
Una
delle molte donne che facevano parte dei barbets,
ma una delle poche che Clarissa aveva avuto modo e voglia di conoscere,
le si avvicinò, sedendosi a terra accanto a lei. Aveva
parlato con lei solo una volta e in quell'occasione, sebbene si fossero
scambiate solo poche parole, aveva scoperto che il suo nome era Elena.
Non che le fosse importato più di tanto: non era entrata a
far parte dei ribelli per fare amicizia, bensì per far
tornare Nizza alla città che era stata un tempo, quella in
cui era nata e cresciuta e che era stata fino all'arrivo dei francesi.
«Sei
Clarissa, giusto?» chiese la donna, rompendo il silenzio che
regnava sull'intero bosco.
Lei
annuì, senza alzare lo sguardo dalla fiaschetta che si
rigirava tra le mani. «Cosa si stanno dicendo gli
altri?»
«Niente
di che; il solito. Parlano della strategia da adottare nello scontro,
ma già so che useranno sempre la stessa: toccata e fuga. Un
attacco rapido e poi via prima che riescano a prenderci. O, almeno,
speriamo che anche stavolta avvenga così.»
«Già»
convenne Clarissa. «Nessuno può mai sapere cosa
accadrà nella prossima battaglia o, addirittura, se
sarà l'ultima per qualcuno.»
«Non
pensarci troppo. Farai solo aumentare l'ansia»
affermò Elena.
«Nessun
pericolo. Ormai sono anni che ci convivo. Per me questa è
solo l'ennesima scorreria.»
La
donna la guardò, rimanendo in silenzio per qualche secondo.
«Hai mai messo in discussione la causa per cui
combattiamo?»
«Stai
avendo dei ripensamenti?» domandò Clarissa,
porgendole la fiaschetta in una tacita offerta, che però
Elena rifiutò.
«Niente
affatto. L'ho chiesto solo per pura curiosità.»
«Non
l'ho mai pensato. Sin dall'inizio ho guardato con sospetto e astio il
cambiamento che i francesi ci hanno imposto e questi sono divenuti una
certezza quando ho visto ciò che facevano e fanno tuttora ai
miei concittadini. Guardali: invadono e conquistano nuove terre e
pretendono anche che gli abitanti abbandonino con facilità e
leggerezza le tradizioni e la religione con cui hanno convissuto per
secoli. E in nome di cosa? La ragione, la libertà,
l'uguaglianza... Tutte idee irrealizzabili e astratte.»
«Ma
non assurde» affermò la donna. «In
sé sono giuste; tuttavia, esse diventano sbagliate quando si
cerca di imporle con la violenza, andando contro gli stessi principi
che si vogliono perseguire. Scorretto e ingiusto è il modo
in cui i francesi stanno tentando di diffonderle.» Elena si
interruppe, abbassando lo sguardo sulle sue mani. «Due anni
fa hanno ucciso mio marito. Lui proveniva da una casata nobiliare e
forse è proprio per questo che i francesi, dopo aver invaso
Nizza, sono entrati più volte nella nostra casa, senza
mostrare il minimo rispetto verso di noi e la nostra
proprietà, e hanno rubato tutti beni che avevamo. Volevano
dare prova dell'odio verso il nostro ceto colpendo tutti gli
aristocratici della città e chiarire il fatto che ormai noi
non contavamo più nulla, privandoci di tutto quello che ci
eravamo costruiti e creati in anni di vita. Non eravamo più
padroni di nulla, nemmeno di noi stessi. Mio marito, non riuscendo
più a sopportare le continue requisizioni, ha cercato di
fermarli e ribellarsi, ma per sbaglio ha ferito uno dei soldati ed
è stato arrestato e in seguito ucciso. Come se davvero la
sua vita non valesse nulla.»
Clarissa
abbandonò la maschera di indifferenza che in quegli anni si
era costruita e aveva sempre indossato, sperando che quella potesse
bastare a proteggerla dai ricordi e dalla valanga di emozioni
contrastanti che l'ultimo incontro con il fratello, avvenuto sei anni
prima, le aveva lasciato.
Appoggiò
la fiaschetta a terra, si avvicinò ad Elena, che aveva
iniziato a piangere sommessamente, e le strinse le mani, cercando di
trasmetterle tutto il conforto che poteva.
«Mi
dispiace molto» mormorò. «Pagheranno per
quello che hanno fatto. Riusciremo a combatterli e a scacciarli
dall'intera contea.»
Le
lacrime rigavano il volto della donna, ma questa riuscì a
trattenere i singhiozzi e la smorfia di dolore che minacciava di
deformarle il viso. Clarissa pensò a quanto Elena fosse
forte ad avere il coraggio e la risolutezza di sopportare una
sofferenza simile. Tutto il loro esercito di volontari era pieno di
uomini e donne che avevano affrontato il dolore e la privazione e ne
erano usciti più temprati e tenaci di prima, pronti a
combattere e anche perdere la vita per riscattarsi e liberarsi
dall'oppressione degli invasori. I francesi potevano anche essere
animati dalle loro immaginarie idee, ma loro avevano qualcosa di ben
più grande: l'amore per la loro patria e i loro cari, che li
spingeva a difendersi ogni singolo giorno con qualsiasi mezzo.
Si
chiese cosa avesse spinto suo fratello a compiere quell'assurda scelta,
voltando le spalle a lei e a tutti i suoi concittadini. Non passava
giorno senza che Clarissa rivolgesse un pensiero ad Antonio, ricordando
i bei momenti trascorsi insieme e il loro ultimo doloroso addio.
E
poi c'era quel bacio; se si sforzava abbastanza, nonostante fossero
ormai passati anni, poteva ancora percepire il respiro del fratello
riscaldarle la pelle e le sue labbra a contatto con le proprie. Cosa
mai li aveva spinti in quel lontano e freddo giorno di dicembre a
oltrepassare la sottile linea che fino ad allora aveva impedito loro di
rivelare apertamente i sentimenti che a lungo avevano cercato di
combattere e attenuare? Clarissa sapeva bene che quel bacio era stato
sbagliato, frutto di un amore proibito, osteggiato dalla stessa
religione cristiana, l'unica cosa che le era rimasta a cui aggrapparsi
per continuare a vivere, oltre che ai ricordi. Eppure, per quanto si
sforzasse di non pensarci o di fingersi indifferente e talvolta
addirittura disgustata, non poteva scacciare i sentimenti che ancora
provava per suo fratello.
Infine,
puntuale come sempre, arrivava la domanda a cui mai era riuscita a dare
una risposta: perché aveva messo la causa francese al di
sopra del suo amore per lei?
In
quell'esatto momento il sole fece capolino tra le montagne che
contornavano il grazioso villaggio di Saorgio, segnando l'arrivo
dell'alba. Nell'accampamento regnava il silenzio più totale,
poiché tutti gli altri soldati stavano dormendo, per
riprendere le forze dopo il precedente duro giorno e prepararsi al
successivo, che sarebbe certamente stato ugualmente sfiancante. Lui
sembrava essere uno dei pochi, se non l'unico, a stare sveglio a
quell'ora, abituato ai severi orari a cui si era dovuto attenere
durante il periodo di lavoro alla bottega del padre.
Ricordò
quel periodo con nostalgia e tristezza. Allora era ancora ignaro di
ciò che stava accadendo nella vicina Francia e, solo dopo
aver ascoltato i discorsi di un suo amico, che si era definito illuminista,
riguardo alla rivoluzione, si era convinto della loro incredibile
importanza, tanto da aver in seguito deciso di arruolarsi nell'esercito
francese, anche se questo aveva significato mentire a Clarissa e, come
lei stessa gli aveva detto durante il loro ultimo e doloroso litigio,
tradire la sua città. Clarissa si
ripeté il suo nome nella testa, mentre guardava il sole
continuare il suo percorso e salire fino a riempire l'intero cielo
della sua luce. Mi dispiace molto. Antonio
conosceva bene le sue colpe, ma d'altro canto non poteva negare che
anche lei gli avesse mentito, non consultandolo nella sua decisione di
unirsi ai barbets, e lo avesse lasciato solo.
In
realtà lui non le aveva pienamente detto il falso: per
qualche mese aveva provato davvero a militare nella fanteria
dell'esercito sabaudo, ma con il tempo aveva capito che non poteva
combattere insieme a soldati con cui non condivideva le idee. E allora
aveva racimolato i pochi soldi che aveva ricevuto nel periodo passato
nell'esercito ed era andato in Francia, a Marsiglia, dove la
rivoluzione era stata accolta con grandissimo entusiamo dal popolo.
Là si era unito a un gruppo di volontari con l'intenzione di
andare a Parigi e unirsi all'esercito rivoluzionario. Così
era accaduto e ora, dopo otto anni, era stato inviato nei d'intorni di
Nizza al seguito del generale Andrea Massena, per combattere contro la
resistenza nizzarda dei barbets, che stavano
creando non pochi problemi e scompiglio ai francesi.
Si
passò una mano fra i capelli. Sì, a conti fatti,
erano entrambi colpevoli: da una parte di non essersi amati abbastanza
e aver posto le loro idee contrapposte al di sopra del loro legame,
dall'altra, invece, di essersi amati troppo, perché Antonio
non aveva solo voluto bene a Clarissa, come un qualsiasi fratello
avrebbe fatto. Lui l'aveva amata, come solo gli sposi e gli amanti
potevano fare, e questo era sempre stato la sua debolezza e il suo
peccato più grande. Quel bacio, poi, il primo per entrambi,
era stato la testimonianza di quanto il loro rapporto in
realtà fosse anormale e anticonvenzionale.
Sebbene
fosse perfettamente conscio del peccato di cui si erano macchiati con
il loro amore proibito, non riusciva a sopprimere quei sentimenti.
L'aveva desiderata ogni singolo giorno del loro periodo trascorso a
Nizza, sin da quando aveva iniziato a capire cosa significasse la
parola “amore”, ma si era sempre trattenuto,
perché sapeva che un legame di quel tipo avrebbe gettato il
disonore sulla loro famiglia e soprattutto su Clarissa, che sarebbe
stata privata della libertà di innamorarsi di qualcuno che
non fosse suo fratello e costruirsi una famiglia. Quella sera,
tuttavia, quando l'aveva vista spaventata al pensiero di perderlo,
stretta tra le sue braccia, non era riuscito a trattenersi dal darle
quel leggero e peccaminoso bacio. L'assenza di alcun tipo di resistenza
da parte della sorella non aveva fatto altro che accertare i suoi
sospetti: anche lei provava lo stesso nei suoi confronti.
Rinfrescato
da una leggera brezza primaverile, socchiuse gli occhi al ricordo del
contatto tra le loro labbra. In quegli ultimi anni aveva ripensato a
quel momento ogni singolo giorno: era ciò che gli dava la
forza di andare avanti e di continuare a combattere, nonostante gli
estremi sacrifici che aveva dovuto fare per arrivare dov'era allora.
Spalancò
gli occhi di scatto quando sentì da lontano dei rumori,
seguiti da spari e urla. Si alzò da terra e, senza nemmeno
gettare uno sguardo a ciò che stava accadendo,
rientrò nella sua tenda per infilarsi in fretta e furia la
giacca bianca dell'uniforme, mentre cercava di svegliare il soldato con
cui aveva condiviso l'alloggiamento, e afferrare il moschetto.
«Ci
stanno attaccando!» disse, andandolo a scrollare e uscendo di
nuovo dalla tenda solo dopo essersi assicurato che quello avesse aperto
gli occhi. Come aveva sentito le sue parole, il soldato era subito
scattato in piedi come una molla.
L'accampamento,
solo pochi minuti prima avvolto nel silenzio, ora sembrava piombato nel
caos più totale. Soldati correvano da ogni parte, chi
cercava di capire cosa stesse accadendo, chi usciva dalle tende armato,
chi, invece, si affrettava a rientrare per terminare di prepararsi e
prendere ciò che nella fretta si era dimenticato. Antonio,
quindi, posò lo sguardo sulla montagna che sovrastava
l'accampamento: centinaia di persone stavano scendendo di corsa come
furie, urlanti e armate, con il preciso intento di assaltarli. I barbets.
Si
guardò intorno, alla ricerca di un punto di riferimento, di
un comando da parte del generale, che, però, non riusciva
proprio ad avvistare. Erano completamente allo sbando, proprio come loro
avevano voluto che accadesse. Era anche difficile riuscire a
distinguere il nemico dai suoi compagni, poiché i barbets
non avevano alcun particolare vestiario a
contraddistinguerli, bensì abiti comuni, e non tutti i
soldati avevano avuto il tempo di cambiarsi e indossare l'uniforme.
Perciò, potevano essere facilmente confondibili. Oltretutto,
dopo l'istituzione della leva obbligatoria, erano frequenti casi di
diserzione, in cui soldati francesi passavano dalla parte del nemico,
rivoltandosi contro l'esercito in cui combattevano. Quei gesti lo
avevano sempre disgustato, ma continuavano ad avvenire in ogni singola
battaglia e anche in questo caso alcuni di loro, presi dalla paura
dell'attacco improvviso, avrebbero potuto aiutare i ribelli nel
tentativo di avere salva la vita.
Poco
lontano vide un barbet fermarsi accanto a una
tenda e sparare ad un soldato. Un tempo i rivoltosi non avevano armi da
fuoco, mentre ora sembravano esserne entrati in controllo, forse
sottraendole ai francesi, sebbene molti continuassero ad usare le spade
e i coltelli.
Antonio
non perse tempo: si mise in posizione, appoggiando il moschetto sulla
spalla, e sparò sul barbet. Per sua
fortuna aveva sempre avuto una mira impeccabile; per questo era stato
lodato anche dal suo stesso generale e questa sua abilità
gli aveva assicurato non solo il primato, ma anche una certa fama nel
suo corpo d'armata. Colpì al cranio l'uomo, che si
accasciò subito al suolo.
Altri
barbets arrivarono e lui non poté far
altro che rimanere al suo posto a difendersi, poiché non
vedeva alcun luogo che potesse fungere da rifugio. Sparò
nella folla ad altri due individui indistintamente e, infine, ad un
ultimo, pur sapendo che quella era l'ultima pallottola della munizione
che aveva a disposizione. Di esso riuscì solo a scorgere le
fattezze di una donna, prima di premere il grilletto, colpendola e
trapassandole il petto.
Quando
abbassò l'arma e riuscì a vedere con maggiore
chiarezza di chi si trattava, tutto il suo corpo si
immobilizzò, mentre il terrore prendeva strada in lui e un
peso gli si poggiava sul cuore come un macigno.
«Clarissa...» mormorò, senza riuscire a
pensare ad altro se non al suo volto trasfigurato da una smorfia di
dolore e le sue mani che lasciavano andare la spada e si toccavano la
ferita, come se la ragazza non riuscisse ancora a rendersi pienamente
conto di ciò che era appena accaduto.
Il
cuore di Antonio perse un battito quando vide le sue ginocchia cedere e
lei accasciarsi a terra. Il ragazzo lasciò cadere il
moschetto e corse da lei, per quanto gli permettessero le gambe che
sentiva molli e tremanti, così come le mani. Le si
inginocchiò accanto e le sollevò la testa,
reggendola con il braccio. I suoi occhi verdi erano ancora aperti,
sebbene fosse evidente la fatica che ogni respiro le costava.
«Perdonami, Clarissa...» sussurrò, con
le lacrime agli occhi. «Ti prego, perdonami...»
Lei,
in bilico tra la vita e la morte, continuò a lottare per
mantenere il minimo di lucidità che le era rimasta in corpo
e disse, mentre una lacrima sgorgava e le fendeva lateralmente il viso:
«Ti perdono...» Cercò di ripetere
un'ultima volta il suo nome, ma non riuscì a pronunciare
altro oltre le prime lettere. Il resto venne portato via dal vento,
insieme alla sua anima e alla sua vita, rimasta interrotta e spezzata
come quella parola e come la frase da lei pronunciata poco prima che i
due si fossero scambiati quel primo e ultimo bacio anni prima.
Antonio
strinse a sé il corpo della sorella, piangendo
sommessamente, senza curarsi della battaglia che nel frattempo
continuava a imperversare intorno a lui.
Sollevò
lo sguardo appena in tempo per vedere, pur con la vista ovattata dalle
lacrime, un barbet puntargli contro un moschetto,
forse dopo aver riconosciuto l'uniforme francese che indossava, e fare
fuoco.
Anche
in punto di morte, Antonio non pensò al dolore, che pure era
tanto soffocante da lasciarlo senza fiato e da dargli l'impressione che
il suo intero corpo stesse bruciando, né a tutti i suoi
sogni e le speranze andate in fumo, ma rivolse tutta la sua mente a
Clarissa. Il loro sangue e la vita li avevano divisi, ma adesso
avrebbero finalmente potuto ricongiungersi e amarsi come finora non gli
era stato permesso. Sto arrivando, sorella mia fu
il suo ultimo pensiero, mentre la vita lentamente abbandonava il suo
corpo e questo cadeva al suolo, vuoto ed esamine.
Cenni
storici utili:
Fino
al 1792, anno in cui l'Assemblea legislativa del governo rivoluzionario
ordinò all'esercito di invadere la Savoia, Nizza era
appartenuta ai territori del Regno di Sardegna (allora sotto il
controllo dei Savoia). Qui incontrarono l'opposizione dell'opinione
pubblica, a causa delle requisizioni ordinate dai militari, dei
saccheggi e delle esazioni compiuti dalle truppe occupanti. Si andarono
quindi a costituire gruppi di milizie irregolari di contadini e
cittadini. Con gli anni l'attività dei cosiddetti barbets
andò aumentando, soprattutto a seguito di diversi tentativi
di scristianizzazione da parte dei francesi, poiché i
nizzardi erano molto attaccati alla religione cattolica. Nel 1796, con
il Trattato di Parigi (che fu solo una conferma del decreto emesso
dalla Convenzione nel 1793), la Savoia e la contea di Nizza divennero
ufficialmente territorio francese, mentre nello stesso anno molti
partigiani barbets si andarono ad installare
nell'entroterra, talvolta compiendo scorrerie da banditi. Nel 1800,
Nizza ed il suo entroterra tornarono, per venti giorni, sotto
l'autorità del Regno di Sardegna. I barbets
compirono per l'occasione, a loro volta, eccessi di violenza nei
confronti dei soldati francesi, abbandonati dai colleghi negli ospedali
cittadini, e dei cosiddetti "collaborazionisti". Molti di essi, poi, ne
approfittarono per compiere personali vendette e regolamenti di conti,
che nulla avevano a che fare con il conflitto franco-sardo. Con gli
anni il movimento perse seguito ed efficacia, cessando definitivamente
di esistere nel 1814.
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