Ciao a tutti! :D
Eccomi di nuovo qui per questa piccola scemenza che però ho dovuto scrivere.
Sono tornata un po' più indietro rispetto a "I love you
whole", la quale era ambientata dopo la 2x10. Si tratta infatti di un
missing moment della 2x07, una delle mie puntate
preferite (come
tutte quelle in cui Alec e Magnus sono nella stessa stanza),
e spero vi piaccia tanto quanto piace a me. Ovviamente ogni commento
e/o critica sono ben accette ;)
Ringrazio chi ha commentato e chi ha messo tra le
preferite/seguite/ricordate la mia prima ff Malec e anche chi ha
semplicemente letto, siete tutti dei tesori.
Come sempre ricordo che i
personaggi non mi appartengono e che questo scritto non ha alcuno scopo
di lucro.
Vi aspetto sulla mia
pagina
facebook per le orribili locandine che ogni volta creo,
sperando
di migliorare, e per sclerare un po' insieme...
Buona lettura!!
Vostra,
_Pulse_
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SOMEONE
SPECIAL
Alec sorrise quasi con
tenerezza quando con la coda dell'occhio vide Magnus soffermarsi ad
accarezzare col dorso della mano il tessuto di una giacca di seta dai
motivi stravaganti che tanto erano nel suo stile.
Lo lasciò
lì a contrattare col commerciante che gli si era avvicinato,
mentre lui si incamminava verso il banchetto dall'altra parte della
strada. Non era nulla di appariscente - un semplice carretto coperto da
un lenzuolo di lino e circondato da fiori profumati - ma forse era
proprio quello ad aver attirato la sua attenzione: tra tutta la folla e
i negozi alla moda sembrava un'oasi di tranquillità e
modestia, un angolo di semplicità in un mondo di
eccentricità.
Lo Shadowhunter aveva
sempre detto di disprezzare i Mondani, ma forse in verità li
invidiava un poco per la loro cecità, la loro spensieratezza
e i loro piccoli problemi di ogni giorno.
Stirò un
sorriso quando fu sotto l'ombra della tenda ed incrociò lo
sguardo della vecchietta intenta a potare un piccolo bonsai. La
salutò con un cenno del capo, chiedendosi quanti anni
avesse, poi si concentrò sui ninnoli e gli oggetti appesi
davanti ai suoi occhi.
Un regalo... Un regalo
per Magnus, per ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per lui
dopo ciò che era successo alla madre di Clary. Il senso di
colpa l'aveva quasi fatto a pezzi, ma lo stregone era riuscito a
rimetterlo insieme e l'aveva fatto con una facilità
disarmante.
Gli aveva confessato
di esserci passato in prima persona e sul momento non era riuscito a
dire nulla, ma quelle parole l'avevano tormentato nei giorni seguenti:
chi l'aveva aiutato ad uscirne? C'era stato qualcuno, tra quei
diciassettemila amanti, che si era preoccupato di lenire la sua anima?
Alec non era mai stato
bravo con le parole, non se c'era da portare in superficie quello che
gli era stato insegnato a celare nell'angolo più profondo
del suo cuore: i sentimenti. Per questo voleva fargli un regalo, un
piccolo oggetto che potesse aiutarlo in quel compito e che Magnus
avrebbe potuto portare sempre con sé.
C'erano anelli con
pietre preziose oppure con incisioni fatte a mano che avrebbe visto
molto bene sulle dita affusolate del Nascosto, ma non voleva fargli un
regalo così impegnativo.
C'erano acchiappasogni
con campane tubolari e piccoli soprammobili, ma l'appartamento dello
stregone ne era già pieno zeppo e temeva che alla prossima
ridecorazione il suo regalo potesse perdersi da qualche parte.
Alec
sospirò e gettò un'occhiata dietro di
sé per controllare a che punto fosse Magnus con i suoi
affari. Dal sorriso affabile che aveva sul volto, era quasi certo che
avrebbe portato a casa ciò che voleva e anche di
più. Al contrario di lui.
L'anziana donna
attirò la sua attenzione chiedendogli qualcosa e Alec le
chiese di aspettare un secondo alzando una mano, poi le diede le spalle
e si tracciò sull'avambraccio la runa delle lingue. Non
l'aveva mai usata, dato che prima di incontrare Magnus non aveva mai
lasciato New York, e si chiese se non fosse il caso di renderla
permanente. Forse, un giorno...
Quindi si
girò nuovamente e si rivolse alla vecchietta: «Mi
scusi, può ripetere?».
Per le sue orecchie
stava ancora parlando inglese, ma la lingua che aveva appena parlato
con la commerciante era giapponese. E viceversa.
La donna,
impressionata, gli rivolse un sorriso
dicendo: «Questa sì che è una sorpresa.
Il tuo accento è perfetto».
«La
ringrazio».
«Stavi
cercando qualcosa in particolare?».
«No, non
direi. Devo fare un regalo».
I tratti della
vecchietta si addolcirono ancora di più. «Per
qualcuno di speciale?».
Alec guardò
di nuovo in direzione di Magnus e un nuovo sorriso si fece spazio sul
suo volto. «Penso di sì».
La Mondana
seguì il suo sguardo e lo Shadowhunter arrossì e
si preparò a ricevere l'ennesimo sguardo di disprezzo, ma
non accadde; anzi, la donna sembrò essere quasi contenta,
mentre faceva il giro del carretto. (Era così piccola!)
Magari avesse visto
quella stessa espressione sul volto di sua madre... Non chiedeva tanto,
solo che fosse felice della sua felicità. Perché
era così che Magnus lo faceva sentire: felice come mai era
stato, come mai avrebbe creduto possibile.
«Che ne pensi di
questo?», gli domandò, prendendo da una scatolina
quella che sembrava una bustina di té rossa con un
fiocchetto bianco e degli ideogrammi dorati.
La scrittura
giapponese lo affascinava: sembrava quasi un secondo alfabeto di rune,
a dimostrazione che forse il sangue angelico non li rendeva
così diversi dagli umani.
«È
un omamori, un amuleto», gli
spiegò prima che
potesse fare domande. «Si regalano alle persone care per dare
loro fortuna e protezione».
Fortuna e protezione.
Per l'Angelo se ne avevano bisogno in quel momento! Con Valentine che
minacciava di distruggere il precario equilibrio tra il mondo degli
Shadowhunters e dei Downworlders e non solo.
Alec annuì
con un cenno del capo, affermando: «Lo prendo».
L'anziana
piegò di lato il capo, soddisfatta, e tornò
dietro il suo banchetto per fargli una confezione regalo.
Quando gli porse il
sacchettino nero, il Nephilim aveva già tra le mani il
portafoglio in attesa di sapere quanto le dovesse.
La vecchietta
però scosse il capo e disse: «Te lo
regalo».
«Che
cosa?», esclamò stupefatto. «No, non
posso».
Lei però
salì sul proprio sgabello per prendergli le mani tra le sue
e guardarlo da più vicino. Aveva gli occhi socchiusi, come
la maggior parte degli anziani giapponesi.
«Molti anni
fa uno Shadowhunter salvò la mia nipotina da un demone e non
ho mai potuto ringraziarlo».
Alec sgranò
ancora di più gli occhi: quella Mondana conosceva gli
Shadowhunters, nonostante le regole proibissero severamente che i due
mondi entrassero in contatto.
«Morì
per lei», aggiunse, per poi voltarsi verso una bancarella di
frutta e verdura a pochi metri di distanza, dove una ragazza sui
vent'anni stava sistemando delle cassette. Una giovane donna dall'altra
parte della strada la chiamò per salutarla - il suo nome era
Harumi - e lei si alzò per ricambiare, sorridendo felice. Fu
allora che, dando le spalle ad Alec, quest'ultimo riuscì a
scorgere la coda da volpe che le pendeva tra i lembi
del grembiule giallo.
Una Mondana, una
Strega e uno Shadowhunter... I mondi erano decisamente entrati in
contatto e Alec, mai con così tanta convizione, si
ritrovò a pensare che forse ciò che gli avevano
sempre insegnato era sbagliato. Erano solo pregiudizi dettati
dall'ignoranza.
«Mia figlia
mi tenne nascosto di aver dato alla luce una bambina con sangue
demoniaco perché temeva il mio giudizio, ma quella notte lo
stesso demone che l'aveva messa incinta la trovò e
minacciò di ucciderla se non le avesse consegnato Harumi.
Lei ovviamente si oppose... Fu allora che arrivò quello
Shadowhunter. Provò a salvare entrambe, ma mia figlia non ce
la fece e lui stesso riportò una brutta ferita,
però riuscì ad uccidere il demone e a portare
Harumi da me. La sua runa della guarigione non funzionò e
morì nel mio salotto». La donna gli
portò una mano rugosa sulla guancia ed Alec, nonostante non
fosse un fan del contatto fisico tra estranei, non si ritrasse.
Abbozzò addirittura un sorriso, mentre l'anziana concludeva:
«Tu me lo ricordi».
«Nonna!».
L'anziana si
voltò e lo stesso fece Alec, incrociando gli occhi castani a
mandorla della ragazza con la coda di volpe. Li vide abbassarsi sulla
runa disegnata sul suo collo e trasalire, per poi unire le mani in
grembo ed esibirsi in un profondo inchino.
Alec
arrossì, imbarazzato da tanta reverenza. Non era stato lui a
salvarla, dopotutto...
«Lei
è mia nipote Harumi», la presentò
ufficialmente l'anziana. «Posso chiedere il tuo
nome?».
«Alexander!»,
urlò Magnus dal negozio dove finalmente era riuscito a
terminare la contrattazione. Sollevò due grandi sacchetti,
entusiasta, e con un cenno del capo gli fece segno di raggiungerlo.
Alec nascose
frettolosamente il sacchettino in un'altra busta e sorrise a nonna e
nipote, senza trovare nulla da dire per congedarsi.
Harumi fece un
ulteriore passo verso di lui e con le guance rosse e gli occhi lucidi
sussurrò un semplice «Grazie» che
riscaldò il cuore del Nephilim. Che importava se aveva
sangue demoniaco? In parte era umana e meritava di essere felice come
chiunque altro.
«Devo
andare. Grazie e, uh, bella
coda», disse prima di salutarle con un cenno
della mano e correre verso Magnus.
Come se avesse appena
usato la runa del coraggio gli avvolse un braccio intorno alle spalle e
prima che lo stregone potesse chiedergli perché si fosse
trattenuto così a lungo a quel carretto gli
strappò un bacio appassionato, fregandosene di essere in
mezzo ad una strada affollata da centinaia di persone.
Magnus gli
portò le mani sul petto, stringendo i lembi della sua giacca
di pelle, e sorrise quando si scostarono l'uno dall'altro. Con la
fronte contro la sua, disse: «Ci siamo separati solo per
dieci minuti...».
Alec
sogghignò e riprese a camminare, chiedendogli se avesse
comprato qualcosa di bello.
«La giacca
che era esposta. E sono riuscito a farmi includere nel prezzo un
raffinato elefante di giada nera che starà benissimo nel
salotto!».
Alec fu grato di non
avergli preso un altro soprammobile.
«Hai
fame?», gli domandò poi il Sommo Stregone di
Brooklyn. «È quasi ora di pranzo».
«Qui, non a
New York...».
«Ah, non ha
importanza! Conosco un ristorantino che fa il miglior sushi di tutta
Tokyo!».
Alec si arrese al
fatto che, volente o nolente, lo avrebbe portato a mangiare. Pensava
che all'Istituto non lo nutrissero abbastanza? O che piuttosto lui non
facesse caso ai pasti quando c'erano missioni o problemi da risolvere?
Beh, aveva ragione.
«E va bene,
andiamo».
Magnus aprì
un portale davanti a loro e tenendolo stretto per mano ci
saltò dentro. Alec gettò un'ultima occhiata alle
sue spalle e sorprese Harumi a fissarlo ancora, scodinzolando. Al modo
in cui abbassò il capo, imbarazzata, rispose con un sorrise
divertito e poi saltò nel portale.
***
Un omamori.
Magnus, a causa di
tutti i secoli che gli pesavano sulle spalle, aveva smesso di
sorprendersi per le piccole cose da moltissimo tempo. Alexander
Lightwood però riusciva sempre a coglierlo impreparato,
lasciandolo ogni volta con uno
strano senso di vuoto sotto i piedi.
Quello che provava in
sua compagnia lo spaventava, soprattutto lo spaventava quanto in fretta
si fosse affezionato a lui e quello che avrebbe fatto se il Nephilim,
finalmente sbloccato, avesse deciso di lasciarlo per carne fresca ed
angelica, così da fare contenti - almeno in parte - i
genitori.
Quel regalo non se lo
aspettava davvero e l'aveva quasi commosso, anche se l'esperienza gli
aveva insegnato a celare fin troppo bene i suoi veri pensieri dietro un
sorriso ammiccante.
Alec gli aveva
regalato un omamori
perché era piccolo e poteva portarlo
sempre con sé, ricordandosi così di lui ovunque
andasse - come se potesse mai dimenticarlo! - e perché
sperava lo tenesse al sicuro. Magnus confidava di saper badare a se
stesso piuttosto bene, ma il fatto che Alec volesse proteggerlo...
Nessuno si era mai posto il problema, prima d'ora. Insomma, lui era
Magnus Bane! Il Sommo Stregone di Brooklyn! Erano gli altri ad andare
da lui per protezione, non il contrario.
Rapito da quei
pensieri, non si era nemmeno accorto che lo Shadowhunter gli aveva
tolto il bicchiere di vino rosso dalla mano per posarlo accanto al
proprio sul tavolino, davanti alla panca in rattan nero su cui si erano
seduti dopo essere stati interrotti dai risolini di Jace e
della sua ultima amante occasionale.
Lo stereo in salotto
era ancora acceso, ma la musica non riusciva a sovrastare i suoni della
città. Magnus distolse lo sguardo dalle stelle che
brillavano a stento nel cielo scuro, inghiottite dallo splendore dello
skyline newyorkese, ed incrociò quello di Alec, dalle
sopracciglia aggrottate.
«A che stai
pensando?», gli chiese, senza però dargli il tempo
di rispondere. «Se è per il regalo mi dispiace,
magari avrei dovuto davvero prenderti un altro
soprammobile...».
Magnus gli
portò un dito alle labbra, sorridendo quando gli occhi del
Nephilim si abbassarono per seguirne i movimenti.
«Lo
adoro», sussurrò. «Stavo semplicemente
realizzando quanto tu sia speciale, Alexander».
Il Cacciatore
sollevò un angolo della bocca, arrossendo.
«Speciale, io?».
«Sì,
tu. E non te ne rendi nemmeno conto...».
Chinò il
capo e strinse la sua mano sinistra nelle sue, facendo pensieri non
proprio puritani mentre accarezzava quelle dita lunghe e ruvide per
l'eccessivo utilizzo delle armi.
«L'omamori
dovrebbe portarmi fortuna, hai detto? Dubito che potrei essere
più fortunato di così. Incontrarti è
stata la fortuna più grande che mi sia capitata. Tu hai
rianimato il mio vecchio cuore e non potrò mai esserti grato
abbastanza».
«Per me
è lo stesso», disse Alec a bassa voce, quando
trovò il coraggio per rispondere. «Senza di te a
quest'ora sarei sposato con Lydia e sarei stato infelice per il resto
della mia vita. Sono io che dovrei ringraziarti».
Magnus alzò
la testa e lo guardò negli occhi, con un sorriso malizioso
sul volto. «Ho sempre preferito i fatti alle parole,
sai?».
Alec
ricambiò il sorriso, ritraendo la mano per posare il braccio
sullo schienale della panca, dietro le spalle dello Stregone. Si
chinò verso di lui e prima di baciarlo sussurrò:
«Anche io».
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