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“Quando arriva il giorno della tua
morte…”
Si
era
svegliata con quella frase in testa, senza essere in grado di dire a
cosa fosse dovuta, né di completarla.
“Irritante”
pensò.
Le
lasciava un po' l’amaro in bocca,
benché ormai da molto tempo un pensiero del genere fosse per
lei privo di
qualunque senso. Mai la vecchiaia avrebbe corrotto le sue carni, mai
morte
naturale avrebbe potuto coglierla; se n’era fatta
una ragione da
tempo.
“Quando arriva il
giorno della tua morte…”
Si
infilò sotto la doccia, dopo
essersi intimata di darci un taglio. L’acqua era ancora
troppo fredda, ma non
ebbe altra reazione se non un brivido che corse lungo tutto il corpo,
dalle
orecchie con le punte nere e affusolate fino alla tripla cima della sua
coda,
nera e affusolata anch’essa; tratti tipici dei Lusan, quale
lei era.
Non che i
Lusan esistessero più, ormai, non nel settimo Universo; c’erano
ancora nel sesto, sì, e
nonostante alcune differenze avrebbe potuto convivere tranquillamente
con loro, per diverso tempo lo aveva persino fatto… ma alla
lunga restare ferma
nello stesso posto era logorante.
Forse sarebbe stato diverso se la sua eterna
giovinezza avesse avuto un qualsiasi senso, o se la sua vita avesse
avuto uno
scopo definito.
Anise
però aveva nulla di tutto
questo: non era nata per essere eternamente giovane e, sebbene anche la
sua
concezione del tempo fosse cambiata rendendole sopportabile lo scorrere
di un
millennio dopo l’altro, non riusciva a dimenticarlo.
Non
aveva dei doveri da
assolvere, cosa che all’apparenza poteva sembrare fantastica,
ma in realtà
toglieva soltanto significato a un’esistenza che ne aveva
già ben poco.
Oltre
a tutto ciò, non aveva
nessuno al proprio fianco, perché nel tempo si era resa
conto che non valeva
la pena. Lo aveva capito dopo aver seppellito l’ennesimo
compagno e non aver
provato sofferenza alcuna: la morte di chi entrava nella sua vita aveva
perso
importanza, diventando simile a un film già visto troppe
volte. La
stragrande maggioranza delle
creature viventi non erano che comparse nella sua lunga esistenza,
persino
quelle con un’aspettativa di vita sui tre secoli, o
più.
Gli
stolti che desideravano la
vita eterna -ce n’erano, incredibile ma vero- lo facevano
soltanto perché non avevano
idea di quello a cui sarebbero andati incontro.
Non
che la morte fosse
un’alternativa migliore. A volte aveva accarezzato
l’idea, ma l’aveva sempre
accantonata con rapidità, rendendosi conto che neppure una
scelta tanto
drastica l’avrebbe portata a smettere di esistere: non
c’era pace nemmeno
nell’aldilà. Era passato molto tempo da quando
l’aveva saputo, ma non l’aveva
dimenticato.
“Quando arriva il
giorno della tua morte…”
«“Quando
arriva il giorno della
tua morte inizi a vivere in un posto ancor più ristretto di
quanto sia questo,
perché l’aldilà è un buco
piccolo”» completò Anise con voce
chiara, rivolta al
nulla, mentre usciva dalla doccia.
Persino
la creatura aveva mutato
la sua condizione, il cui nome tradotto dalla lingua Lusan suonava
simile a
“Rubedo”, ormai da molto non la degnava
più della sua compagnia, o meglio, dei
suoi borbottii.
Non
che fosse sorprendente: non
erano forse bastati quindicimila anni chiusa in una corona per rendere
un’entità senza alcun raziocinio ciò
che un tempo era stato tutt’altro? Ecco.
Come si poteva dunque pretendere che la coscienza già
devastata di Rubedo
sopravvivesse all’interno di un corpo vivente… per
un tempo oltre diecimila
volte più lungo?
Non
che provasse pena per lui. Le aveva portato via troppo, e non era stata
lei a chiedergli di saltarle dentro
e cambiare la sua natura
di mortale in modo così radicale.
Mai in vita sua Anise aveva desiderato una
cosa del genere, quando le era stata fatta un’offerta analoga
l’aveva persino
rifiutata, eppure eccola lì… ancora in vita.
«E
in realtà anche l’al di
qua è un buco piccolo» aggiunse,
avvolgendo un asciugamano attorno al corpo ricoperto di un sottilissimo
e
soffice strato di pelo bianco. «Ma cosa ne parlo a
fare…»
Si
accostò allo specchio e fece
un cenno di saluto al suo riflesso, ottenendo di rimando
un’alzata di occhi al
soffitto e uno sbuffo.
L’incapacità
di invecchiare non
era la sola cosa che Rubedo avesse dato ad Anise.
«Sì,
grazie, so benissimo di
essermi svegliata male, non c’è bisogno di
rimarcarlo» disse seccamente la
Lusan «Ora collabora, per cortesia».
Dopo
che il riflesso le ebbe
rivolto uno sguardo seccato coi suoi stessi occhi azzurro cupo tutto
tornò alla
normalità, e la Anise dello specchio iniziò a
legare i lunghi capelli grigi in
una treccia morbida, esattamente come stava facendo quella vera.
Ora
non le restava altro da fare
che vestirsi e decidere come passare la giornata. Probabilmente sarebbe
andata
al parco di Satan City, verde e rigoglioso, che il giorno prima le era
piaciuto.
Era
arrivata da poco su quel
pianeta chiamato Terra, e non ci aveva messo molto a decidere che per
un paio
di secoli avrebbe potuto vivere lì. Le era sembrato un posto
carino, con una
certa varietà di abitanti e del buon cibo: serviva altro?
Aveva
appena indossato una
maglia rosa cipria lunga, quando il campanello trillò.
La
Lusan si stupì leggermente.
Da quando era arrivata sul pianeta e aveva comprato quella casa non
aveva fatto
particolari conoscenze, quindi non aveva proprio idea di chi potesse
essere venuto
a cercarla alle undici del mattino.
Non aveva troppa voglia di
ricevere visite, e per un attimo ponderò l’idea di
fingere di non essere in
casa, ma infine la punta di curiosità che l’aveva
presa ebbe la meglio, e si
diresse verso la porta principale, aprendola. «Buongiorno.
Desidera?»
Bulma
Brief tirò fuori il suo
sorriso migliore.
Di
solito era impegnata col suo
lavoro alla Capsule Corporation, nonché con quello di moglie
del principe dei
Sayian, che certo non era meno impegnativo, e con quello di madre di
due
bambini, Trunks e Bra, quest’ultima nata da pochissimo; tutti
motivi per cui
aveva saputo della nuova vicina più tardi di quanto avrebbe
voluto.
Non
erano molte le persone che
potevano permettersi una casa in quel quartiere, soprattutto se si
trattava di
case grandi più o meno quanto la sua, e dalle informazioni
che aveva raccolto
sembrava che si trattasse di una donna che viveva da sola. Veniva da
sé che
dunque era piuttosto normale la sua curiosità di sapere chi
fosse, da dove
venisse, e soprattutto se fare conoscenza con lei avrebbe potuto
portare
qualche vantaggio a livello aziendale o altro.
Ragioni
per cui quel giorno
aveva bussato alla porta della sua vicina, portando con sé
una torta al limone,
tanta grinta e sufficiente esperienza in stranezze varie da non
sorprendersi
per le fattezze feline -vagamente simili a quelle di una lince- della
donna.
«Buongiorno! Sono Bulma Brief, la sua vicina di casa! Sono
venuta a darle il
benvenuto nel quartiere» disse, tenendo in bella vista la
torta al limone che
aveva portato.
Inizialmente
da parte dell’alta
donna-lince non ci furono reazioni o espressioni degne di nota,
tant’era che se
Bulma non l’avesse sentita esprimersi nella lingua comune
solo un attimo prima
avrebbe pensato che non fosse in grado di capirla…
«La
ringrazio. È stato un
pensiero gentile» disse la forestiera un istante dopo,
aggiungendo perfino un
sorriso mentre prendeva la torta dalle mani di Bulma. «Il mio
nome è Anise»
aggiunse, tendendole una mano.
«Piacere
di conoscerla» sorrise
Bulma di rimando, stringendola «Comunque, potremmo anche
darci del tu» si
azzardò ad aggiungere «In fin dei conti io non
sono una che si formalizza, e tu
sei una ragazza molto giovane…»
Ironico
che proprio in quel
mattino nel quale aveva pensato più del solito alla propria
età qualcuno la
definisse “ragazza molto giovane”, davvero.
«Più che altro porto bene gli anni
che ho» rispose.
«Oh».
Seguì
un attimo di silenzio che
per Bulma risultò piuttosto imbarazzante, ma pur volendo
romperlo non fece in
tempo.
«La
ringrazio per la visita»
disse la Lusan, lasciandole intendere che l’offerta di darsi
reciprocamente del
“tu” era caduta nel vuoto «E la inviterei
a entrare, ma temo di non avere tempo
da dedicarle. Oggi la mia giornata è piena di impegni: fare
colazione» sì, alle
undici del mattino, e magari proprio con la torta al limone
«Andare avanti con
la lettura di uno dei sette libri che ho iniziato, mangiare qualcosa,
forse
andare al parco, meditare sul significato della vita, il Multiverso e
tutto
quanto, girellare, nulleggiare,
leggere ancora e, ultimo ma non per importanza, andare a
dormire» finì di
elencare «Non riesco proprio a trovare un buco in cui
inserirla, per cui buona
giornata, mia gentile vicina» concluse con un altro sorriso e
un cenno di saluto,
per poi rientrare in casa e chiudere la porta.
Bulma
osservò inebetita la porta
per qualche momento, prima di reagire. «Però
la torta al limone te la sei presa!!!»
gridò.
«Sprecarla
sarebbe stato un
peccato» fu la risposta che giunse dall’interno
della casa.
“Incredibile
ma vero,
nell’Universo c’è qualcuno con un
caratteraccio addirittura peggiore di quello
di Vegeta!” pensò Bulma. «Non
è affatto carino!»
Stavolta
non ci fu altra
risposta se non il silenzio.
Inizialmente
la donna ebbe la
tentazione di dare retta alla voglia che le era venuta di sfondare la
porta a
suon di pugni, ma dopo aver sollevato una mano decise di lasciar
perdere: se ci
teneva tanto a passare la giornata da sola a
“nulleggiare” e meditare sulla
vita, il Multiverso e tutto quanto, che facesse pure!
Un
momento.
Aveva davvero detto
“Multiverso”?
Anise
aveva appena iniziato a
tagliare la torta, quando sentì una gragnuola di pugni
tempestare la porta.
«EHI!»
Sollevò
un sopracciglio. Cosa
accidenti voleva ancora? Le aveva dato il benvenuto nel quartiere, si
erano
salutate, lei si era presa la torta, non era sufficiente?
No,
d’accordo: riconosceva
di non essere stata il massimo
della simpatia con una donna che in fin dei conti non aveva fatto altro
che
essere gentile con lei, e sapeva che se si era svegliata con la luna
storta non
era certo colpa della signora Bulma Brief! Forse
avrebbe “recuperato” in
un’altra occasione, magari portando a sua
volta una torta, ma quel giorno aveva ancora meno voglia di
socializzare di
quanta ne avesse di solito -e non era mai eccessiva; quindi decise di
ignorarla
e continuare a tagliare.
«Tu cosa, e come,
sai del Multiverso?!»
gridò ancora
Bulma.
Anise
drizzò le orecchie, ora
attenta.
Prima
aveva buttato lì quella
frase senza pensarci troppo, ma l’esistenza del Multiverso
non era affatto una
cosa risaputa, quindi si fece la stessa domanda che le aveva appena
fatto
Bulma: cosa e come la signora
Brief
sapeva del Multiverso?
Dopo
altri momenti di
esitazione, nei quali ponderò l’idea di ignorarla
e anche altre ancor meno
carine, decise che forse valeva la pena stare a sentire cosa aveva da
dire. In
fin dei conti doveva pur passare in qualche modo anche quella giornata.
«Alla
buon ora, ce ne hai messo
di tempo!» esclamò Bulma, quando Anise
aprì la porta.
«…ci
ho ripensato, non ne vale
la pena» commentò la Lusan, facendo per chiudere
di nuovo.
«Ma
dai, non essere così
scontrosa!» Bulma bloccò la porta, non volendo
farsi sfuggire l’occasione «Ti
ho soltanto fatto una domanda».
«Quella
che avrei dovuto farle
io. Il popolo di questo pianeta non mi sembra abbastanza progredito a
livello
tecnologico da mettersi a fare chissà quali viaggi spaziali
e scoprire che,
seppure sia sempre un buco piccolo, esiste un Multiverso»
ribatté Anise.
«Siamo
talmente poco progrediti
da aver costruito delle macchine del tempo funzionanti, pensa un
po’» disse la
donna, con un occhiolino «Andiaaamo! Fammi entrare,
così facciamo due
chiacchiere» senza aspettare un invito, Bulma
oltrepassò Anise ed entrò in casa
«L’arredamento che hai scelto è
carino».
«Non
l’ho scelto, già c’era»
replicò Anise «Una domanda:
c’è qualcuno che sa che è
qui?»
«Certo!
Mio marito lo sa, e
anche alcuni dei miei amici sapevano che avrei fatto visita alla nuova
vicina»
disse prontamente Bulma.
Quindi
tanti saluti all’idea di
rinchiuderla nella Dimensione degli Specchi per togliersela di torno.
Fantastico, pensò Anise, muovendo nervosamente la coda.
«Capisco. Allora… una
macchina del tempo? È leggermente illegale»
osservò, spostandosi di nuovo in
cucina. Aveva una torta al limone da mangiare, accompagnata a del latte
fresco,
e sembrava essere la sola cosa buona di quella mattinata.
«Io
sono una scienziata e, per
le scienziate come me, se qualcosa può essere realizzato
allora deve essere
realizzato!» dichiarò Bulma,
con aria determinata, seguendola.
«Se
lo dice lei» commentò Anise,
versandosi del latte.
Bulma
la guardò, non sapendo
cosa pensare della sua mancanza di reazioni alla notizia
dell’esistenza di una
macchina del tempo. «Non sembri molto-»
«Sto
facendo mentalmente una
lista di motivi per cui potrebbe sapere del Multiverso. Mi faccia
pensare alla
gente che c’è in giro e che è munita di
mezzi adeguati… qui c’è la Pattuglia
Galattica, sbaglio? Conosce qualcuno di loro?» le chiese,
crollando su una
sedia in maniera un po’scomposta.
«Effettivamente
conosco un
soldato del corpo d’élit-»
«A
posto allora» Anise la
interruppe di nuovo, e bevve un lungo sorso di latte.
«Hai
l’abitudine di interrompere
le persone?» sbottò Bulma, giustamente.
«Di
solito sono meno maleducata,
ma lei è entrata in casa mia senza permesso»
ribatté Anise.
«Non
sei stata educata nemmeno
prima» le fece notare la donna.
«Già».
Se
non altro quella specie di
lince antropomorfa riconosceva la verità. «Per
fortuna sono abituata ad avere a
che fare con le persone scorbutiche. Ascolta»
esordì poi «Non siamo partite con
il piede giusto, quindi che ne dici di ricominciare da zero?»
le propose. La
sua curiosità non era ancora stata minimamente soddisfatta,
e non volendo
demordere aveva pensato che magari il “fuoco
incrociato” suo e di Chichi
sarebbe riuscito a cavarle di bocca qualcosa. «Tra una
mezz’ora faccio un
brunch a casa mia, con degli amici e amiche tutti più o meno
della mia età…un
brunch è un pasto che si fa dopo la colazione e prima del
pranzo, detta in
breve…»
«E
lei si mangia gli amici? Questo
sì che è poco carino... Scherzavo,
tranquilla!» esclamò Anise «Anche se
effettivamente in certi pianeti l’ho visto
succedere».
«Ah…
immagino» disse Bulma,
senza sapere bene cos’altro aggiungere.
«No,
non immagini affatto
invece. Comunque spiegami, perché dovrei infilarmi in un
pranzo pieno di gente
che non conosco per…
“ricominciare”?»
«AH!»
esclamò Bulma, indicandola
«Perché mi hai dato del tu! Lo hai fatto! Proprio
adesso! Andiamo, non ti costa nulla, sarà pur
meglio un pranzo in compagnia
che una giornata a
“nulleggiare”…»
«Ma
perché ti interessa tanto
fare amicizia con la sottoscritta, si può sapere?»
Ormai
non era più solo
curiosità: nella mente di Bulma si erano aggiunte svariate
altre motivazioni
per volerla nella sua cerchia E a
quel pranzo, dopo che il suo cervello era partito per la tangente
facendo
disgraziate associazioni tra felini con un brutto carattere.
Se
fino a quel momento era
riuscita ad ammansire col cibo il più pericoloso di codesti
felini, ottenendo
in cambio dei favori e delle occasioni in cui aveva più o
meno chiuso un occhio
-ma anche tutti e due- su azioni sconsiderate come tentare di costruire
un’altra macchina del tempo, cos’avrebbe potuto
ottenere… facendo da Cupido?
«Trovi
davvero
così strano il mio invito,
Anise?»
«Chiunque
non sia idiota lo
troverebbe strano. Poi per carità, magari sei semplicemente
un’impicciona di
professione, ma permetti che mi faccia delle domande?»
“Impicciona?! Certo che i giovani
d’oggi sono veramente sfacc… no,
un momento, ho davvero pensato ‘i giovani
d’oggi’, come se io non fossi più una
di loro?!” realizzò, spaventandosene persino.
Anise
osservò il riflesso di
Bulma sul vetro del forno. Era davvero divertente il modo in cui
tendeva la
pelle del viso e si disperava gridando silenziosamente dei “sono veeeeeecchia!
Veeeecchiaaaa!”, tanto divertente da migliorare
il suo umore, addirittura. La
Lusan
aveva vari ed eventuali difetti, ma quantomeno si divertiva con poco, e
considerando da quanto tempo era in vita era meglio così.
Fece un sorriso un
po’sornione. «Oh, andiamo, nemmeno tu porti male
gli anni che hai».
«C-come
hai detto, scusa?...»
farfugliò Bulma, guardandola stranita.
Il
sorriso di Anise si allargò.
«Un brunch a casa tua, allora?»
“Forse
l’ho solo immaginato”
pensò Bulma. Doveva essere così,
perché la sola alternativa possibile era che
quella specie di lince potesse leggere nel pensiero e, che lei sapesse,
era
qualcosa di cui neppure le divinità erano capaci.
«Sì… sì, è quel
che ho detto.
Lo faccio in terrazza, se ti affacci alla finestra puoi perfino vedere
di quale
parlo».
«Quella
con dietro le vetrate,
per caso?»
Bulma
annuì. «Esattamente».
L’opinione
generale di Anise
sulla vita, il Multiverso e tutto quanto non sarebbe cambiata grazie a
quel
pranzo ma, mentre accontentava Bulma facendo spallucce e dicendo un
“allora
vengo”, concluse che vedere i riflessi di donne e uomini che
si disperavano per
l’età o si scambiavano occhiate invidiose per
chissà quali motivi l’avrebbe
aiutata a smettere di pensarci su troppo… almeno per quel
giorno.
***
«Pietre
sopra prato, pietra
trita pietra, pietre dietro siepe, treno dietro treno, stretto tratto
dritto,
prete prega prete, tronco contro tronco, otre tra tre otri, spreco
scopre
spreco, topo dopo topo, odio diete idiote, date tedio a Diego, dipingo
finto
dipinto, tingo dipinto finto!»
Bulma
si massaggiò le tempie,
chiedendosi di nuovo “cos’ho fatto?!”.
«…eh?
Non ho capito una parola, e
se ci provo inizia a dolermi la testa!» si lagnò
Goku.
«Lascia
perdere Kaaroth, è
meglio. Molto meglio» disse Vegeta, guardando la moglie con
aria leggermente
seccata. La loro combriccola era già abbastanza sgangherata,
per come la
pensava, senza aggiungere altri componenti… e invece
cos’aveva fatto Bulma?
«Ho
in tasca l’esca ed esco per
la pesca, ma il pesce non s’adesca, c’è
l’acqua troppo fresca! Convien che la
finisca, non prenderò una lisca! Mi metto in tasca
l’esca, e torno dalla
pesca!»
Aveva
portato lì una lince
antropomorfa che ormai andava avanti con gli scioglilingua da oltre
cinque
minuti, e non sembrava aver voglia di fermarsi.
Inizialmente
Anise, si chiamava
così, gli era sembrata addirittura una persona seria: si era
presentata, aveva
salutato tutti, e quando il brunch era iniziato si era seduta
tranquilla e
composta a mangiare, senza seccare nessuno.
Al
fuoco incrociato di domande
che era seguito aveva sempre trovato il modo di dare risposte brevi e
concise,
o di non rispondere proprio, o di farlo con appena
appena una punta d’ironia. Risultato: tutto
ciò che sapevano era che si
chiamava Anise, era una Lusan, sapeva dell’esistenza del
Multiverso e aveva
viaggiato molto.
La
cosa più strana, insomma,
erano le occhiate che lanciava alle vetrate ogni volta che saltava
fuori
qualche battuta su età, mariti più o meno assenti
e corpi più o meno cadenti,
accompagnate da sorrisetti dei quali Vegeta non capiva i motivi. Nulla
di
insopportabile, insomma.
Poi avevano tirato fuori il
vino.
Al
primo bicchiere la Lusan era
diventata visibilmente più allegra, e si era messa a
chiacchierare di quanto le
piacessero i fiori, tutti i tipi di fiori -“eccetto quelli
che mangiano le
persone, quelli noH!”.
Al
secondo bicchiere si era
messa a sedere sul tavolo e aveva cominciato a provarci con Yamcha,
mettendosi
a fargli perfino i grattini sotto al mento.
Poi
aveva bevuto il terzo
bicchiere di vino e, dopo aver dato una di quelle sue strane occhiate
alle
vetrate, aveva apostrofato Kaaroth dicendogli “non vedi che
tua moglie vuole
attenzioni come Yamcha?! E falle due grattini, una volta
tanto!” -e
la cosa divertente era che quel
tonto aveva persino provato a seguire il
consiglio, beccandosi un pugno in testa.
Poi
Bulma aveva fatto l’errore
più grande di tutti, ossia dire ad Anise “noto che
il vino ti ha sciolto la
lingua”.
Sciolto la lungua.
Scioglilingua.
Ecco.
«Sa
chi sa se sa chi sa che se
sa non sa se sa, sol chi sa che nulla sa ne sa più di chi
sa!» affermò Anise,
alzandosi in piedi sul tavolo «ma più che altro:
quanti rami di rovere
roderebbe un roditore se un roditore potesse rodere rami di rovere?
Eh?»
«Ma
che brillante idea, Bulma»
borbottò Vegeta all’indirizzo della moglie.
«Come
potevo immaginare una cosa
del genere? E dopo soltanto tre bicchieri di vino?!»
sibilò Bulma «Tre
bicchieri, Vegeta! Ero dispiaciuta che il mio piano per farle
incontrare Lord
Beerus non potesse essere messo in pratica oggi»
perché il dio al momento
dormiva, così aveva detto Whis mezz’ora prima
«Ma vedendo questo… è meglio
così!»
«Il
tuo piano per fare cosa?!»
allibì Vegeta «Bulma, evita di
impicciarti di certe cose! Abbiamo già abbastanza problemi
senza aggiungerne
potenziali altri anche con Lord
Beerus! Cosa ti è saltato in testa?! Solo perché
sono entrambi delle
sottospecie di felini hai pensato che potesse essere una buona
idea?!»
«Ma
no che non era per quello!»
ribatté Bulma, arrossendo leggermente per la mezza bugia
«Ad ogni modo, a
questo punto non è più importante cosa io abbia o
meno pensato… il problema non
si pone».
Chichi,
con aria da
moralizzatrice, si avvicinò a Bulma. «La prossima
volta che la inviterai, niente vino».
Bulma
stava per rispondere
“stanne certa”, quando all’improvviso un
fascio di luce piombò a poca distanza
da loro.
“Oh
no!” pensò Bulma, mettendosi
le mani tra i capelli “ma Whis non aveva detto che
stava
dormendo?!”
Bulma
aveva ragione, Whis aveva
detto proprio così, e non aveva mentito, perché
Beerus stava effettivamente
dormendo; peccato che l’Hakaishin si fosse svegliato da solo
circa dieci minuti
dopo la chiamata, e proprio con l’idea di andare sulla Terra
a mangiare
qualcosa. Se le cose nel Torneo del Potere fossero andate male quelli
sarebbero
stati gli ultimi pasti, quindi voleva approfittare di ogni occasione
possibile!
«Salve
a tutti!» esordì Whis,
composto ed elegante come di consueto «Speriamo di essere
ancora in tempo per…»
La
frase morì sulle sue labbra
violacee appena notò e identificò la persona che
se ne stava in piedi sul
tavolo.
Dal
giorno in cui avevano messo
piede sulla Terra per la prima volta, la vita di Whis e Lord Beerus
aveva
subito dei piccoli -ma nemmeno tanto- cambiamenti, e si erano trovati a
vivere
situazioni che mai in tutta la loro esistenza avevano vissuto, o che
mai avrebbero
potuto pensare di affrontare.
Era curioso il modo in cui quel piccolo pianeta azzurro
fosse, anche per un angelo e una divinità, fonte di
stranezze più o meno
gradevoli e coincidenze che, in quel caso, di gradevole non avevano
proprio
nulla.
C’erano dodici universi.
C’erano
moltissimi pianeti
abitati.
C’erano
moltissime città.
C’erano
ventiquattro ore in una
giornata -almeno su quel pianeta.
Quante
erano la probabilità, in
tutto questo, che avvenisse un incontro tra due persone il cui cammino
mai, mai, avrebbe dovuto
incrociarsi nuovamente?
Lo
sguardo sconvolto della
Lusan, pietrificata sul posto, era identico a quello di Lord Beerus, la
cui
reazione era stata identica. Anzi, forse per lui lo stupore era perfino
più
grande perché, per quanto ne sapeva, Anise
era morta centinaia di milioni di
anni prima.
Bulma,
come tutti gli altri,
osservò le loro espressioni… ma fu la sola nella
cui mente si affacciò questo
pensiero: “potrei aver commesso un danno”.
«Anise?...»
fu la prima parola
che il dio riuscì ad articolare.
“Quando arriva il
giorno della tua morte…”
Forse
il pensiero che l’aveva
perseguitata al suo risveglio aveva trovato un significato.
Salve!
Vi ringrazio per aver letto fin qui.
Questo non è altro che la prima parte di un "teaser" che
sarà composto, in tutto, di due o tre capitoli. A questo
dovrebbe seguire una long-fic ambientata circa... centinaia di milioni
di anni fa :) a seconda dell'interesse che potrebbe o meno riscuotere
questo teaser - nonché il personaggio della simpaticissima
(?) Anise.
Fatemi conoscere la vostra opinione, se ne avete voglia: siete anche
liberi di dire "Fa proprio tanto tanto schifo, Sinkarii,
torna nella grotta dalla quale sei uscita", se lo ritenete opportuno!
Io vi ringrazierò comunque per il tempo che avete impiegato
per sciverlo :*D
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