INickname su EFP: Intissar
Titolo: A
promise is a promise
Fandom: Naruto
Personaggi: Gai
Maito, Rock Lee (solo nominato), Dai Maito (padre di Gai, che è
solo nominato)
What
if: (cosa
sarebbe successo se Rock Lee non fosse sopravvissuto all’intervento?)
Introduzione: Un
uomo può essere definito tale solo se è pronto a
perdere la vita per le proprie idee.
Quante volte aveva detto
questa frase a quanti gli domandavano, con malcelata ironia, la
ragione dei suoi comportamenti, per loro privi di senso.
Eppure,
in quel momento, esitava a portare a compimento gli ideali su cui
aveva incentrato la sua intera esistenza.
Il suo allievo, con
tutto l’ardore del suo animo, aveva creduto alle sue parole e
attendeva il suo arrivo.
No, non era più tempo di
esitazioni.
Note
dell’autore: E’
da molto che non scrivo su questo what if, che mi ha sempre
intrigato. Kishimoto ci ha fornito due personaggi, Gai e Rock Lee,
caratterizzati da una forte vitalità, eppure abbiamo visto un
Lee disperato e impaurito e un Gai capace di impegnarsi in una
promessa assai importante, pur di vedere un po’ di serenità
sul suo viso.
Ora, nel manga l’esito è stato
positivo, ma come sarebbe cambiato Gai se il suo allievo fosse morto?
E’ una domanda che mi sono sempre posta e qui cerco di
dare una risposta.
Il
cielo notturno di Konoha era ingombro di nubi nere, che sembravano
tinte di inchiostro e, di tanto in tanto, il rombo sinistro del tuono
esplodeva e il lampo illuminava di un livido bagliore le case del
villaggio e le figure degli shinobi e delle kunoichi in arrivo e in
partenza.
Gai Maito, in piedi davanti ad una finestra della sua
abitazione, fissava il paesaggio, gli occhi lucidi di lacrime.
-
E’ tutto finito... - mormorò con voce tremante. Quella
realtà aveva i colori di un incubo cupo e doloroso, ma non
poteva nascondersi da essa.
Desiderava urlare fino alla completa
distruzione delle sue corde vocali, ma la voce si perdeva nella sua
gola.
Bramava piangere senza alcuna vergogna, eppure le lacrime
si erano cristallizzate nei suoi occhi.
O forse, non le
avvertiva?
Gli pareva di essere immerso in un nauseabondo
torpore, dal quale non riusciva più a risvegliarsi.
Con
un gesto lento, trasse dal petto un piccolo medaglione dorato e lo
aprì. Aveva bisogno, in quelle ore tristi, di fissare il
volto
- Lee... Solo questa piccola foto mi resta di te... Ormai,
sei un corpo sepolto nella terra... - mormorò e un singhiozzo
doloroso spezzò l’ultima parola. Il suo coraggioso
allievo, con indomito valore, aveva affrontato il terribile ninja di
Sunagakure Gaara...
Tale tenacia, tuttavia, nulla aveva potuto
contro lo strabordante potere di quel ragazzino che, non contento
della sua vittoria, lo aveva distrutto con sadico compiacimento.
E
lui, il suo amato maestro, cosa aveva fatto?
Aveva lasciato che
quel mostro massacrasse Rock Lee, perché voleva vedere in quel
ragazzino l’espressione suprema dei suoi ideali di volontà
e tenacia.
E questo suo egoismo aveva distrutto il corpo di Lee,
condannandolo ad una esistenza priva di scopo.
Nemmeno le
valenti arti mediche della Godaime Hokage erano state bastevoli a
ridare a Rock Lee quel sogno, per tanto tempo coltivato con paziente
determinazione.
Ed egli era l’autore di una simile
tragedia.
Chiuse il medaglione, si allontanò dalla
finestra e, con un gesto stanco, si lasciò cadere su una
sedia. Aveva promesso al suo amato allievo che, in caso di esito
infausto, non avrebbe esitato a seguirlo nella morte.
Se c’è
una possibilità su un milione che l’intervento fallisce,
morirò con te.
E Rock Lee, avvertendo la fermezza e la
decisione di quelle parole, gli si era gettato piangendo tra le
braccia, gridando tra singhiozzi sconnesi il suo nome.
Come
poteva abbandonare il suo allievo nel suo ultimo e dolente viaggio?
-
Papà, perdonami se non riesco a seguire i tuoi insegnamenti...
- sospirò il jonin. In quel momento, gli tornava alla
mente l’esempio meraviglioso di suo padre...
Dai Maito era
stato considerato un ninja mediocre dalle persone ipocrite e stupide,
eppure, grazie al suo eroico sacrificio, aveva impedito a delle
giovani promesse di Konoha di perdere le loro vite.
Aveva
permesso loro di continuare a credere nei loro sogni e nel loro
futuro e gli aveva lasciato un fulgido esempio di generosità e
di amore.
Suo figlio aveva raggiunto il rango di jonin, eppure,
con arroganza, aveva distrutto il sogno del suo diletto allievo, pur
di nutrire il suo famelico egoismo.
Come poteva accostarsi
all’esempio di suo padre?
- Basta. Non è più
il tempo delle esitazioni. - esclamò e, con risolutezza, si
alzò. Aveva aspettato troppo e, ne era sicuro, Rock Lee non
sarebbe stato contento.
Di solito, era ben più rapido a
onorare i suoi impegni e non si faceva piegare da nessuna
considerazione.
L’ opportunismo e l’ipocrisia erano
alieni al suo carattere.
Una promessa è una
promessa.
Quante volte lo avevano guardato con perplessità,
perché, pur di restare fermo al suo credo, aveva compiuto atti
pericolosi o incomprensibili ad una gran parte degli abitanti di
Konoha.
E, sempre, i suoi concittadini lo avevano dileggiato, ma
non gli importava.
Per lui, una persona degna manteneva fede ai
suoi impegni, anche a rischio della sua stessa vita.
Un uomo può
essere definito tale solo se è pronto a perdere la vita per le
proprie idee.*
Quante volte aveva detto questa frase a quanti
gli domandavano, con malcelata ironia, la ragione dei suoi
comportamenti, per loro privi di senso.
Nessuno, nemmeno i suoi
amici più cari, riusciva ad andare oltre il velo delle
apparenze e a comprendere le ragioni intrinseche della sua
condotta...
Eppure, in quel momento, esitava a portare a
compimento gli ideali su cui aveva incentrato la sua intera
esistenza.
Il suo allievo, con tutto l’ardore del suo
animo, aveva creduto alle sue parole e attendeva il suo arrivo.
No,
non era più tempo di esitazioni.
Con passo rapido e
deciso, Gai si avviò verso la camera da letto, la aprì,
entrò e premette un interruttore.
Una forte luce
gialleggiò e illuminò una camera piuttosto ampia, di
forma quadrata.
Le pareti erano tinteggiate d’un tenue
ceruleo, come il soffitto e il pavimento, e al centro di questa era
appesa una lampada a neon gialla, di forma allungata.
Alla
parete di destra della camera era appoggiato un letto singolo, su cui
era posato un cuscino bianco e delle lenzuola viola e, a poca
distanza da questo, era situata una scrivania di quercia di forma
rettangolare, fronteggiata da una sedia.
La scrivania era
sovrastata da una solida libreria, anche essa di quercia, ed era
ricoperta di libri dalle copertine di diverse dimensioni, e la parete
opposta era occupata da un armadio gigantesco di abete bianco,
ricoperto di vivaci disegni floreali.
Sulla parete opposta si
apriva un’ampia finestra di forma quadrata, coperta da tende
bianche, che, scosse dal vento, fluttuavano leggere, simili a vele
sospinte dalla brezza.
Un tenue sorriso sollevò le labbra
del giovane jonin. Certo, erano i suoi estremi istanti, ma, in quel
momento, gli pareva di essersi svegliato dal torpore di quei suoi
ultimi, dolorosi giorni.
Poteva sentire, in quel momento, il
sibilo del vento e il rombo cupo del tuono.
Gli restavano pochi
istanti di vita, eppure, in quei suoi ultimi momenti, era ben più
cosciente del mondo che lo circondava.
Presto, nulla avrebbero
più visto i suoi occhi.
Si avvicinò
all’armadio e, con un gesto deciso, lo spalancò.
Decine
di tute verdi, avvolte nel cellophane, erano appese a delle grucce di
ferro e, ai piedi di queste, giaceva una tanto ninja dalla lama
lunga e dall’ impugnatura di pelle nera, sulla quale
risaltavano degli ideogrammi dorati.
- Bene, eccola qui. -
mormorò e, risoluto, afferrò l’arma. Quell ’arma
gli avrebbe consentito di ritornare dal suo amato allievo e di
mantenere fede ai suoi ideali.
Ormai aveva esitato troppo a
lungo.
Si inginocchiò e, con movimenti solenni, si aprì
il kimono, scoprendo il tronco, su cui si intrecciavano, in grovigli
confusi, decine di cicatrici.
Le dita di Gai, lente e gentili,
si posarono sulle ferite, in una delicata carezza. Quegli strappi
della sua pelle, ormai da tempo ricuciti, raccontavano una vita di
guerriero che, presto, sarebbe terminata.
Eppure, nulla temeva
in quegli istanti e il suo cuore era pervaso da una malinconica
serenità
-E’ finita.- mormorò e, con un
gesto deciso, affondò il ferro nello stomaco.
Il
corpo del ninja si abbandonò sul pavimento, in una pozza di
sangue nero, che si allargava sempre di più.
-
Finalmente... - sussurrò, il respiro affannoso e gli occhi
annebbiati. Quella debolezza era per lui una liberazione...
Il
suo spirito, da troppo tempo oppresso, era libero dalle sofferenze e
dai dubbi.
- Arrivo, Lee... - soffiò e, alcuni istanti
dopo, l’oscurità velò il suo sguardo.
*La
frase segnata con l'asterisco è del generale Henning von
Trescow, che partecipò al complotto del 20 luglio 1944,
organizzato dall'aristocrazia militare tedesca per uccidere Hitler.
Penso che una citazione simile si adatti al personaggio di Gai Maito.
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