Lo specchio si groria
forte
tenendo dentro a
sé specchiata la regina,
e, partita quella, lo
specchio riman vile.
-Leonardo da Vinci-
I
«Hai
giocato troppe volte con la morte, Ivory, prima o poi si
stancherà e verrà a reclamare quello che sei
riuscito a sottrargli per troppo tempo.»
Ivory
non prestò la minima attenzione alle parole dell'altro,
troppo impegnato a civettare con una mezz'elfa filiforme dai grandi
occhi grigi e i lunghi capelli blu; le sorrise e la ragazza
ricambiò il sorriso, arrossendo violentemente.
«Mi
stai ascoltando?» lo richiamò all'attenzione
Brandbury, dandogli un colpetto sul gomito.
«Sì,
Brand» sospirò l'altro senza nemmeno voltarsi,
«Stai facendo il melodrammatico come tuo
solito.»
«Il
melodrammatico?» esclamò sconvolto Brandbury,
«Stai per affrontare un torneo contro i migliori tra i
guerrieri di Actardion: i più forti, i più
astuti, i più brutali e i più
sanguinari!»
«E
allora?» lo interruppe bruscamente Ivory, stanco
dello sproloquio dell'amico. Brandbury sapeva essere davvero logorroico
e asfissiante, soprattutto quando non era d'accordo sulle sue scelte,
ovvero la maggior parte delle volte.
«Stai
volontariamente andando verso il suicidio!»
«Non
è uno scontro all'ultimo sangue e per quanto possano
essere brutali
e sanguinari
i
miei avversari sono capace di tenerli testa. Non è
la cosa più spaventosa e letale che ho affrontato fino ad
adesso, so come si combatte e mi sembra di cavarmela anche
discretamente. Quindi smettila di preoccuparti per
me!»
Ivory
e Brandbury erano cresciuti assieme: la madre di quest'ultimo aveva
avuto pietà di lui quando l'aveva trovato solo, infreddolito
e affamato in mezzo a una strada, abbandonato dai suoi simili ed
evitato come una malattia contagiosa dagli uomini; per Sarah, invece,
Ivory era sempre stato solo un bambino, in quel momento bisognoso di
un pasto caldo e di un letto confortevole. L'aveva preso con
sé, sotto il suo tetto, e l'aveva allevato come fosse stato
figlio suo, nonostante il colore così chiaro della pelle,
inconsueto anche per la razza degli Elfi.
Ivory
era un elfo albino: una creatura alquanto rara e mal vista,
tanto dagli uomini quanto dagli Elfi, i quali credevano che fosse un
messaggero del dio dai Nessuno e Cento nomi e che portasse con
sé la morte, il cui marchio era proprio quella pelle
così chiara e bianca come avorio, che gli aveva dato il
nome, e che somigliava troppo al pallore mortale dei
cadaveri.
Brandbury
era stato per lui come un fratello maggiore che l'aveva sostenuto,
consolato e consigliato; ma alla veneranda età di
venticinque inverni non reputava più necessario il suo aiuto
e sopportava sempre meno le sue intromissioni. Nonostante questo,
provava un sentimento di profonda gratitudine e affetto nei
suoi confronti e non avrebbe mai avuto il coraggio di dirgli
che tutta quell'apprensione lo soffocava e lo infastidiva: in fondo,
era il modo con cui Brandbury esternava la propria affezione per il
fratellino.
«Al
vincitore verrà affidata una missione per la quale
verrà pagato profumatamente, e solo gli dei del Sacrario
sanno quanto in questo periodo abbiamo bisogno di soldi. Non potevo
rifiutare una proposta così allettante!»
«Ma
se non dovessi vincere?» domandò timidamente
l'altro.
«Almeno
ci avrò provato. Non possiamo permetterci di lasciarci
sfuggire occasioni del genere, non in questo
momento.»
Brand
dovette dare ragione al fratello: il lavoro per i due scarseggiava, non
c'erano campagne militari per le quali Ivory potesse partecipare come
mercenario, e con l'arrivo dell'inverno, gli animali si erano rintanati
per ripararsi dal freddo, lasciando a mani vuote i cacciatori.
Da quasi due mesi sopravvivevano solo grazie ai guadagni di Brandbury
come erborista e cerusico, che, però, guadagnava quel poco
che bastava per farli vivere decentemente: vivevano in un piccolo
villaggio ed erano veramente in pochi quelli che si rivolgevano a lui,
solitamente contadini che avevano mal di schiena o donne che chiedevano
qualcosa per non rimanere incinte o far passare il mal di testa, vecchi
che cercavano rimedi per i reumatismi e il buon vecchio Curt, che
viveva in fondo alla strada, dopo la piazza del mercato e che
dopo gli orrori di quasi quarant’anni passati
nell’esercito, la notte non riusciva a dormire e chiedeva a
Brandbury sonniferi sempre più potenti.
Il
giovane si massaggiò la fronte: da un lato non
poteva dargli torto, ma dall'altro era seriamente preoccupato
per la sua incolumità, non sapeva cosa ci si potesse
aspettare da un evento del genere, soprattutto per il fatto che fosse
stato organizzato niente poco di meno che dalla Regina in persona, e
tutti erano a conoscenza dei suoi gusti alquanto macabri e discutibili;
per quanto potesse aver promesso che non ci sarebbero state morti,
nessuno poteva affermarlo con sicurezza. Era risaputo come, in
realtà, finissero gli scontri del genere: in mezzo alla
mischia e all'euforia generale nessuno si sarebbe accorto del baluginio
di un pugnale non spuntato affondato nel costato di un avversario, e
l'omicidio sarebbe stato relegato a semplice incidente che, in
occasioni come questa, potevano capitare.
«Andrà
tutto bene» gli assicurò Ivory poggiandoli una
mano sulla spalla, «Sono un guerriero esperto e ho
partecipato a tantissime battaglie nei luoghi più strani,
impervi e desolati. Cosa vuoi che sia un torneo?»
Brandbury
avrebbe tanto voluto avere la sua fiducia e il suo coraggio, ma dei
due, era sempre stato quello più prudente e riflessivo, che
ci pensava due volte prima di gettarsi in qualsiasi impresa senza prima
averne valutato i pro e i contro, a maggior ragione se era a rischio la
propria vita.
Ivory,
dal canto suo, era sempre stato impulsivo e avventato, e anche la
scelta di diventare un mercenario era giunta improvvisa ed era stata
abbracciata immediatamente, senza pensarci; il suo sangue di elfo gli
permetteva di essere agile, veloce e scattante e la vista acuta
facilitava l'uso dell'arco e il lancio di pugnali, sempre preciso e
letale.
«Che
cosa altro potrei fare?» gli aveva domandato quel giorno,
quando gli aveva rivelato la sua decisione, «Per gli elfi
sono un abominio e per gli uomini un reietto e un miserabile. Non
potrei mai aprire un'attività mia, studiare all'Accademia o
entrare in una Gilda, il colore della mia pelle mi sarà
sempre di ostacolo. Di un mercenario, invece, non importa da dove
provenga, che faccia abbia o cosa abbia fatto in passato,
ciò che conta è come sappia maneggiare una spada
e che sia efficiente e letale. Alla fin fine è solo un
soldato di ventura che pagato per fare il lavoro sporco al posto di
altri, lo si vede una volta e non lo si rivedrà mai
più, sia che sia morto in battaglia sia che vada a lavorare
per qualcun altro.»
Quelle
parole così amare avevano rattristato Brandbury, soprattutto
per il fatto che fossero dolorosamente vere: l'unica strada possibile
per Ivory era quella di mettere al servizio degli altri
le proprie abilità e di essere pagato per esse,
nessuno si sarebbe mai accorto che sotto l'elmo si nascondeva il volto
pallido di un elfo albino, e tra le fila dei mercenari nessuno ci
avrebbe badato.
Così
il ragazzo era partito per Derenstor, dove era stato iniziato
all'arte della spada e della guerra, e dove si era guadagnato il nome
di Spettro, sia a causa del suo aspetto sia per i suoi movimenti
silenziosi e appena udibili. Si era rivelato un assassino formidabile e
un guerriero impavido che metteva tutto sé stesso
nell'ardore della battaglia e non si risparmiava, arrivando allo stremo
delle forze e continuando imperterrito a combattere, guadagnandosi
l'ammirazione e il rispetto dei suoi compagni e dei suoi
superiori.
Brandbury,
da allora, lo aveva visto molto di rado, e sempre più
sciupato e segnato dagli scontri, dalla stanchezza e dalla fatica;
dietro di sé portava costantemente puzzo di morte,
distruzione e disperazione, un odore misto di sudore, lacrime e sangue
che non lo abbandonava mai, nemmeno nei momenti di
riposo.
Il
fratello aveva sempre disapprovato la scelta, ma non aveva mai fatto
nulla per ostacolarlo ed impedirgli di rischiare la vita ad ogni
respiro, ad ogni movimento di spada, ad ogni fischio di freccia, ad
ogni caduta e ad ogni nuova carica. In fondo, era la sua vita e stava
all'elfo decidere come viverla: se sull'orlo di una bava
di ragnatela sospesa perennemente tra la vita e la morte, o
nella sicurezza confortevole di una casa modesta ma vivibile.
Più
volte si era domandato se la scelta non fosse stata dettata da qualche
errore da parte sua che l'aveva spinto ad allontanarsi da lui: in
quegli anni, aveva sempre cercato di non farlo sentire diverso e fuori
posto, ma, forse, tutte le sue premure avevano sortito l'effetto
opposto facendolo sentire ancora più escluso e
bisognoso di cure particolari perché non si riteneva degno
di essere trattato come tutti gli altri.
Da
bambini era stato più semplice: l'ingenuità e la
spensieratezza dell'età avevano permesso un rapporto
spontaneo e sincero, genuino; ma con il passare del tempo la
consapevolezza delle malelingue e delle voci che correvano sul conto di
Ivory avevano appesantito l'atmosfera e avevano fatto chiudere il
ragazzo in un guscio da cui, a volte, nemmeno Brandbury era stato
capace di farlo uscire.
Il
disagio dell'elfo si era sempre più acuito, sebbene cercasse
di tenerlo nascosto in tutti i modi, soprattutto a sua madre. A Brand,
però, non erano sfuggite le occhiate malevole e le
frecciatine più o meno velate che venivano lanciate
all'indirizzo del fratello e non gli era sfuggito nemmeno quanto queste
lo ferissero e lo facessero soffrire. Per questo l'aveva lasciato
andare: credeva che allontanarsi dalla mentalità ristretta e
bigotta del piccolo villaggio per cercare il suo posto nella grande
tela della dea Maras gli avrebbe giovato e l'avrebbe aiutato ad
accettare sé stesso e quello che era, senza farsene una
colpa e senza vederlo come un difetto o una condanna.
Ora
che l'aveva di fronte a sé, alto, robusto, con le spalle
larghe e la pelle segnata dalle cicatrici ma la schiena dritta e il
portamento fiero e sicuro, sapeva di aver fatto la scelta giusta e che
quegli anni trascorsi sui campi di battaglia l'avevano fatto maturare e
crescere, sebbene avessero lasciato una piega
spiacevolmente cinica e malinconica sulle labbra
sottili.
«Non
ti preoccupare, Brand, vincerò» gli
assicurò Ivory, vedendolo ancora preoccupato, «E
porterò a casa tante di quelle monete d'oro, che non saprai
più dove metterle!» la promessa venne siglata da
un'abbondante sorsata di idromele Rovonero e da un sorriso ampio,
luminoso, incoraggiante e contagioso.
Il
famoso Angolino Buio dell'autrice:
la stupenda copertina all'inizio del capitolo è
stata disegnata da una mia carissima amica, per altre sue opere amene
andate a fare un giretto sul suo profilo