Il mio vicino di casa

di Sana_Akito
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Pov. Sana:

 Quella mattina ero particolarmente di pessimo umore.
Le vacanze estive erano giunte al termine e il solo pensiero di dover rimettere piede a scuola e tornare alla vecchia routine, fatta di interrogazioni, compiti in classe, seccature, notti insonni trascorse a studiare, note sul registro e il due fisso in matematica, mi seccava un bel po’.
Salutai mia madre, accompagnando il tutto con un sonoro sbuffo ed aprii la porta d’ingresso, imbattendomi nel tizio che da circa un mese a quella parte si era trasferito nell’appartamento di fronte al mio.
Lo affiancai accanto all’ascensore, mormorandogli un flebile «Ciao» e lui si limitò a ricambiare con un cenno del capo, come suo solito.
Nelle poche volte in cui mi era capitato di incontrarlo, non avevo mai avuto l’onore di ascoltare la sua voce… restava sempre il silenzio e trovavo la cosa alquanto inquietante.
Non sapevo nulla sul suo conto, se non il nome, ma solo perché l’avevo sentito pronunciare dalla sorella e a dire il vero non è che avessi tutta quella gran voglia di conoscerlo.
Certo, era un bel tipo, non lo si poteva negare e probabilmente ogni ragazza provvista di ormoni avrebbe fatto i salti mortali pur di ottenere un qualsiasi tipo di rapporto con lui, ma non io.
Non che non mi attrasse esteticamente eh, sia chiaro, anch’io ero provvista di ovaie, tuttavia aveva quell’espressione costantemente seccata ed annoiata che, di rimando, seccava ed annoiava anche a me.
In genere non mi piaceva giudicare le persone ancor prima di conoscerle, ma lui mi era antipatico a pelle ed ero certa che non saremmo mai, nemmeno in un universo alternativo, riusciti a diventare amici.
Di fatti lo salutavo solo per educazione, come ero stata abituata a fare, ma evidentemente la cosa non era stata insegnata anche a lui dai suoi genitori, visto che, se non lo salutavo io, faceva finta di non vedermi.
L’ascensore arrivò, le porte metalliche si aprirono ed entrambi entrammo al suo interno.
Lo guardai con la coda dell’occhio, notando solo in quel momento la divisa scolastica che aveva indosso, la stessa che indossavano i ragazzi del mio liceo e ciò significava sola una cosa: anche lui quell’anno avrebbe frequentato l’istituto superiore Jimbo.
“Perfetto” pensai ironicamente, sperando che almeno non saremmo capitati nella stessa classe; non avrei sopportato la sua presenza tutti i giorni.
Giunti al piano terra, non si prese nemmeno la briga di farmi uscire per prima o di mantenermi il portone e ciò contribuì ad aumentare la mia antipatia nei suoi confronti «Che cavaliere» borbottai, ma lui non mi sentì, o forse fece solo finta di non farlo.
Arricciai il naso, indispettita ed aumentai il passo, superandolo, urtandolo accidentalmente con la cartella.
Dannato Akito Hayama… conoscevo solo il suo nome e già mi stava inesorabilmente sulle scatole.




 
«Te l’ho già detto che hai una faccia da funerale?»

Distolsi lo sguardo dalla finestra della classe assegnatami e lanciai un’occhiata torva a Fuka «Almeno cinque volte nel giro di pochi minuti»

«Il primo giorno di scuola è duro per tutti, lo capisco, ma non ti sembra di esagerare? Non stai facendo altro che sospirare e sbuffare da quando siamo qui, per non parlare dell’espressione afflitta che hai stampata in volto, manco fossi stata condannata a chissà quale tortura»

«Vuoi dire che porre fine alle vacanze estive e tornare tra i banchi di scuola, non è una tortura?»

«Beh si, in un certo senso lo è, ma non c’è bisogno di farla tanto tragica»

Sbuffai, gonfiando le guance.
Sapevo che aveva ragione, ma non lo facevo mica di proposito ad essere tanto depressa.
«Cos’altro dovrei fare? Saltare e ballare sui banchi?»

«Perché no, sarebbe un’idea!»

Alzai gli occhi al cielo, ma decisi di non risponderle.

 «Ma parlando d’altro, mi spieghi come mai ti sei seduta proprio qui? In genere cerchi sempre di accalappiarti gli ultimi posti»

«E’ una posizione strategica» sghignazzai, facendole incurvare un sopracciglio «Il terzo banco non è né troppo vicino, né troppo lontano dalla cattedra»

«E allora?» mi chiese, non capendo dove volessi andare a parare.

«In questo modo i professori non penseranno che voglia tenermi distante da loro per fare i cavoli miei, come gli anni precedenti, e mi lasceranno in santa pace»
La mia amica continuò a fissarmi con scetticismo, ma non me ne curai.
Non tutti erano in grado di cogliere la mia furbizia.
Poco dopo, la nostra conversazione venne interrotta da una serie di gridolini isterici e starnazzi da parte di alcune nostre nuove compagne di classe.
«Ma che gli prende?» domandai sconcertata.

«Non ne sono sicura, ma credo che abbiano addocchiato qualcuno di interessante fuori dall’aula»

Incuriosita da quel “qualcuno” che, a causa del mio posto, sfuggiva dal mio campo visivo, fui tentata di alzarmi per dare un’occhiata, ma non ce ne fu bisogno visto che, pochi attimi dopo, fecero il loro ingresso trionfale il professore di matematica e il mio simpaticissimo vicino di casa.
E a quanto pare era proprio quest’ultimo a suscitare tutto quel clamore.

«Accidenti, che pezzo di manzo!» commentò elegantemente Matsui, mentre io mi limitai a fare una specie di grugnito.

Avevo sempre saputo di essere afflitta da una grave forma di sfigataggine, non era di certo una novità, ma in cuor mio mi ero illusa che almeno l’ultimo anno di liceo sarebbe stato diverso, migliore e fui costretta ricredermi, considerato l’inizio di quella giornata: non solo c’era matematica alla prima ora, la materia in cui ero più negata, ma avrei anche dovuto subire la vista di quello lì, tutti i giorni per nove mesi!

«Accomodatevi ai vostri posti, la lezione è appena iniziata» ci ordinò il professore e tutti seguimmo il suo ordine, senza fare troppe storie «Ma prima, lasciate che vi presenti il nuovo arrivato» indicò il biondino al suo fianco «Lui è Akito Hayama, si è da poco trasferito qui da Osaka. Mi auguro che l’accoglierete nel migliore nei modi»
L’intera classe, fatta eccezione per la sottoscritta, gli porse un saluto amichevole e lui si limitò a fare l’ennesimo cenno con il capo, senza spiccicare parola, tanto per cambiare.
«Hayama, c’è un banco libero dietro Kurata, la ragazza dai capelli rossi, puoi accomodarti lì»

Sbuffai.
Alla sfiga non c’era mai fine.
 


 
Terminate le lezioni, pensai che in fondo quella giornata non era stata poi così male, vista la mancanza di interrogazioni e correzione dei compiti estivi… ma dovetti ricredermi quando varcato il portone del mio condominio, mi imbattei per l’ennesima volta in Hayama.
Da quando si era trasferito lì, non mi era mai capitato di incontrarlo così tante volte in un solo giorno e la cosa mi seccava parecchio.
Per un attimo fui tentata di prendere le scale, ma ero troppo stanca per salire cinque piani a piedi, quindi mi feci coraggio ed entrai con lui nell’ascensore.
E poi, parliamoci chiaro, non volevo dargli tutta quell’importanza.
Schiacciai il pulsante del quinto piano e mi sistemai nervosamente la tracolla sulla spalla, voltandomi verso di lui, impegnato a digitare i tasti sul suo cellulare.
Era davvero un tipo strano… in classe era stato per tutto il tempo in disparte, ignorando coloro che cercavano un approccio con lui, persino le oche giulive con evidenti crisi ormonali che gli gironzolavano intorno, ammaliate dalla sua bellezza.
E poi… com’era possibile che in tutte quelle ore, non avesse aperto bocca nemmeno una volta? Che fosse afflitto da mutismo?

«Ma tu non parli mai?»

Quella domanda mi uscii spontanea e Hayama alzò lo sguardo su di me, sollevando un sopracciglio.
E per la prima volta in un mese, i miei occhi incrociarono i suoi ambrati, così magnetici e profondi che rimasi lì impalata a fissarli finchè le porte scorrevoli dell’ascensore non si aprirono.
Era assurdo e n'ero consapevole, ma non era mai capitato che ci ritrovassimo faccia a faccia, in quanto, il signorino lì presente, non si era mai degnato di voltarsi a guardarmi quando, da perfetta ragazza educata e a modo qual'ero, lo degnavo del mio saluto... e forse fu proprio quella novitá a farmi arrossire di botto, come una perfetta stupida.
Mi schiarii la voce, imbarazzata e feci per uscire da quel buco, ma mi bloccai sul posto quando la sua voce, calda e roca, arrivò alle mie orecchie «Solo quando voglio e soprattutto solo con persone che ritengo interessanti» l’angolo della sua bocca scattò all’insù, in quello che si supponeva fosse un ghigno sadico «Tu non fai parte di quelle»




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