Il mio vicino di casa

di Sana_Akito
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Pov. Akito:

 «Vorresti farmi credere di non essere emozionato nemmeno un po’? In fondo è il tuo primo giorno in quella scuola, conoscerai nuove persone, stringerai nuove amicizie e poi…»

Smisi di ascoltare le parole di mia sorella Natsumi, che mi stava deliziando la mattinata con le sue estenuanti chiacchiere e continuai a dedicarmi alla mia porzione di riso in bianco.
Emozionato? E per cosa sarei dovuto essere emozionato?
Frequentare un nuovo istituito, dove non conoscevo anima viva, non era per niente emozionante, anzi… trovavo la cosa piuttosto scocciante.
Appoggiai la ciotola vuota sul tavolo e mi alzai, afferrando la mia cartella dalla sedia «Io vado» mi limitai a dire e senza attendere una qualche tipo di risposta, varcai l’uscita della mia abitazione.
Era trascorso poco più di un mese da quando mi ero trasferito a Tokyo e ancora non mi ero del tutto abituato  a quella città, ma pensai che fosse una cosa normale dopo aver vissuto per tutta la vita ad Osaka.
Chiamai l’ascensore e poco dopo, sentii il rumore di una porta aprirsi e richiudersi e dei passi avvicinarsi nella mia direzione, seguiti da una voce femminile che mi mormorò un flebile «Ciao»
Non ebbi nemmeno bisogno di voltarmi per capire di chi si trattasse e mi limitai a fare il mio solito cenno con il capo, senza nemmeno degnarmi di guardarla.
Non sapevo spiegarmi il perché, ma la ragazza che risiedeva nell’appartamento di fronte al mio, continuava ad ostinarsi nel volermi salutare, nonostante i miei modi freddi e distaccati.
Probabilmente per lei quella era educazione, per invece si trattava di fastidiosa insistenza.
Sapevo di essere particolarmente asociale e burbero, ma ero fatto così… a chi andava bene, bene… a chi non andava bene… beh, tanti saluti.
Le porte metalliche dell'ascensore si aprirono ed entrambi salimmo al suo interno.
Sentivo lo sguardo di quella tipa di nome Sana Kurata su di me, ma non me ne curai più di tanto… d’altronde ero abituato ad attirare gli sguardi del gentil sesso.
Anche se, tutto sommato, sentivo che quello sguardo era in qualche modo diverso da quello che in genere ero abituato a ricevere, come se fosse infastidita dalla mia presenza.
Beh, non era certo l’unica ad essere infastidita della presenza dell’altro.
Non la conoscevo e non m’interessava conoscerla, ma nonostante ciò m’irritava a pelle.
Sarà stato che le pareti della mia nuova casa erano piuttosto sottili ed ero costretto a subire tutti i santi giorni, ventiquattro ore su ventiquattro, la sua dannata voce stridula e per un tipo amante del silenzio come me era una cosa insopportabile… 
Giunti al piano terra, sgattaiolai velocemente fuori da quel buco ed uscii dal condominio.

«Che cavaliere»
Sentii borbottare Kurata alle mie spalle, ma feci finta di non ascoltarla.

Probabilmente se l’era presa perché non le avevo mantenuto il portone. “Tsk! Ridicola” pensai, alzando gli occhi al cielo.
Era provvista anche lei di mani, no? Quindi perché avrei dovuto farlo? Dove stava scritto?
Sentii qualcosa urtarmi il fianco e pochi secondi dopo, quella lì superarmi a passo spedito.
Mi fermai e strabuzzai gli occhi, confuso e a tratti sorpreso.
Quella stupida ragazzina irritante mi aveva davvero colpito con la cartella?
Non che mi avesse causato dolore, sia chiaro, non ero di certo un pappamolle del genere... tuttavia quel gesto alimentò la mia antipatia nei suoi riguardi.
La osservai camminare da lontano, notando solo il quel momento i colori della divisa scolastica uguali ai miei e ciò lasciava presupporre che fosse una studentessa del liceo Jimbo, l’istituto superiore che da quel giorno avrei dovuto frequentare.
Sperai che almeno non saremmo capitai della stessa classe e tornai ad incamminarmi.




 
“La solita sfiga”

Quello fu il primo pensiero che la mia mente elaborò quando, entrato in aula insieme al professore di matematica, il mio sguardo si posò sulla mia vicina di casa, accomodata accanto al terzo banco posizionato vicino alla finestra.
La sola idea di dover sopportare il suo fastidioso chiacchiericcio anche lì, tutti i giorni, per nove mesi, mi fece scappare un lungo sospiro di frustrazione.
Ma cosa avevo fatto di male per meritarmi un supplizio del genere?

«Accomodatevi ai vostri posti, la lezione è appena iniziata»  ordinò il professore e tutti eseguirono il suo ordine, senza fare troppe storie «Ma prima, lasciate che vi presenti il nuovo arrivato» m'indicò con un cenno della mano «Lui è Akito Hayama, si è da poco trasferito qui da Osaka. Mi auguro che l’accoglierete nel migliore nei modi»

L’intera classe, fatta eccezione per la tipa dai capelli ramati che, tra l’altro, mi stava guardando male da quando avevo messo piede lì dentro, mi porse un saluto amichevole ed io risposi con un'alzata di testa, giusto per far comprendere sin dall’inizio che ero un tipo di poche parole e che preferivo restarmene per i fatti miei, mantenendo rapporti distaccati.

«Hayama, c’è un banco libero dietro Kurata, la ragazza dai capelli rossi, puoi accomodarti lì»
Pensai che alla sfiga non c’era mai fine e stando all’espressione che aveva stampata in volto Kurata, ero certo che stesse pensando la stessa cosa.



 
Terminate le lezioni, seppur non ci fossero state interrogazioni o verifiche a sorpresa, mi sentivo esausto, sia fisicamente che psicologicamente; i componenti della classe a cui ero stato assegnato era molto socievoli… fin troppo socievoli per i miei gusti e per tutta la durata della mia permanenza lì, non avevano fatto altro che tentare e ritentare un approccio con il sottoscritto, asfissiandomi con le loro chiacchiere e a nulla era servito il mio costante mutismo.
Sbuffai, schiacciando il pulsante dell’ascensore e poco dopo venni affiancato dalla tipa irritante.
Con la coda dell’occhio notai che osservava le rampe di scale; forse voleva prendere quelle per raggiungere il quinto piano e se così fosse stato mi avrebbe fatto un grosso favore… ma era solo una frivola illusione visto che, arrivata l’ascensore, mi deliziò con la sua presenza.
Sfilai il mio cellulare dalla tasca dei pantaloni e mandai un messaggio a mio padre, chiedendogli se terminato il lavoro avrebbe potuto prestarmi la sua auto e nel mentre, cercavo di ignorare gli occhi di Kurata incollati su di me, o almeno finchè non la sentii dire «Ma tu non parli mai?»

Alzai lo sguardo su di lei e le sue guance si tinsero di rosso.
Era la prima volta che ci trovavamo faccia a faccia e in quel momento non potei fare a meno di pensare che, in fin dei conti, era carina.
Irritante, fastidiosa, petulante, ma carina.
Ma non era di certo una novità, già avevo avuto modo di constatarlo precedentemente… d’altronde non serviva mica guardarsi negli occhi per giungere a tali conclusioni.
Kurata si schiarì la voce, voltandosi dall’altra parte, nell’esatto momento in cui le porte metalliche si aprirono e solo allora mi decisi finalmente a risponderle e a rivolgerle per la prima volta la parola «Solo quando voglio e soprattutto solo con persone che ritengo interessanti» piegai le labbra in un ghigno sadico, guardandola con sufficienza «Tu non fai parte di quelle»

E senza aggiungere altro uscii da lì, mentre lei, superato il primo attimo di stupore, assunse un’espressione così imbestialita da risultare, almeno ai miei occhi, una delle cose più buffe che avessi mai visto in vita mia.

Si avvicinò a grandi falcate nella mia direzione, con gli occhi assottigliati e le sopracciglia aggrottate «Scusa, puoi ripetere?» sbottò, cercando di apparire minacciosa, ma con scarsi risultati.

Non lo feci, ma solo perché non mi piaceva ripetere le cose due volte e scavai all’interno della cartella, alla ricerca del mazzo di chiavi seppellito in mezzo a libri e quaderni vari.

«Sei sordo per caso? Ti ho chiesto di ripetere»

«Se mi hai posto una simile richiesta vuol dire che la sorda sei tu, non io»

Potei avvertire chiaramente la sua rabbia aumentare, ma me ne fregai altamente ed infilai la chiave nella toppa, girandola.

«Sei soltanto un arrogante, stupido, irritante e… e… sai che ti dico? Nemmeno tu rientri tra le persone che mi interessano, sottospecie di.. di scimmione biondo»

Girai il capo verso di lei e il mio sopracciglio sinistro scattò all'insù..
Mi aveva per davvero chiamato “Scimmione biondo”?
Ma che razza di soprannome era?

«E poi…» mi puntò l’indice contro, furiosa al mille per mille «Sappi che la tua voce non è nemmeno un granchè»

Mi passai una mano tra i capelli, pensieroso.
Perché aveva tirato in ballo la mia voce?
Non aveva tutte le rotelle al loro posto, ormai n’ero certo.
Mi dedicò un ultimo sguardo rancoroso e mi diede le spalle, aprì la porta della sua abitazione e prima che potesse metterci piede all'interno, la sua gatta sgusciò fuori e corse verso di me, strusciandosi sulle mie gambe.
Quella micia provava una sorta di venerazione nei miei confronti, di fatti capitava spesso che, avendo i balconi non distanziati tra loro ma solo divisi da una ringhiera, ci facesse visita praticamente ogni giorno e… beh… col tempo diciamo che si era affezionata al sottoscritto, probabilmente perché era una femmina e ogni essere di esso femminile non riusciva a resistere dinnanzi al mio fascino.

«Ma cosa stai facendo? Perché fai le fusa a quell’essere odioso?» sbraitò Kurata, puntandosi le mani sui fianchi «Rientra subito in casa, prima che mi arrabbi sul serio»

Mi chinai, accarezzando il capo della gatta, giusto per dare un po’ di fastidio a quella lì e poi i gatti non mi dispiacevano affatto… forse perché in un certo senso mi “rispecchiavo” in loro, essendo animali con i quali, per ottenere il loro rispetto, occorreva pazienza e tempo, come nel mio caso.

«E tu, metti giù le mani da Pallina»

«Pallina?» ripetei sconcertato «L’hai chiamata per davvero in quel modo?»

«Problemi?» mi chiese, sollevando un sopracciglio.

Scrollai le spalle e lei continuò «L’ho chiamata così perché il giorno in cui la trovai sembrava una piccola palla di pelo» m’informò, manco me ne importasse qualcosa, poi si avvicinò e “Pallina” le soffiò contro, alzando il pelo, portandola ad indietreggiare di un passo «Ma si può sapere cosa ti prende oggi?»
Sghignazzai, divertito da quella buffa scena e Kurata mi guardò, se possibile, ancora peggio «A quanto pare deve essere la tua vicinanza a farla diventare così»
 
Non mi presi nemmeno la briga di risponderle, mi alzai, aprendo la porta d’ingresso e quell'ammasso di peli bianco non ci pensò due volte prima di intrufolarsi nel mio appartamento.
Voltai il capo verso la mia vicina, ghignando «Sarà, ma comunque sembra proprio che è con me che vuole stare»
Detto questo, varcai l’uscio di casa e senza nemmeno attendere cosa avesse da obiettare, richiusi la porta dietro le mie spalle, ma ciò non m’impedì di ascoltare il suo fastidioso borbottare, tra cui un...«Ti preferivo di gran lunga quando non parlavi, stupido scimmione biondo!»




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