Timing

di Emily Kingston
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Timing
 
 
Mi sono rotto il cazzo degli
esperimenti, del frequentiamoci
ma senza impegno,
stiamo insieme ma non
vediamoci che poi ho paura.
Anzi, vediamoci quanto ci pare, ma
vediamoci in compagnia.
Mi sono rotto il cazzo dei codardi
con l’amore degli altri.
Mi sono rotto il cazzo perché poi
non si dorme più.
Si sta svegli finché non muore la
speranza.
Maledetta stronza che non muore
mai, mentre io vorrei dormire.
Lo Stato Sociale, “Mi sono rotto il cazzo”.
 
 
Pessimo tempismo.
Era una cosa che lo perseguitava da un po’, in effetti. Negli ultimi tempi, tutto capitava con un fastidiosissimo pessimo tempismo.
Usciva di casa in ritardo per prendere l’autobus e incontrava qualcuno che lo fermava per parlare di cose interminabili, facendogli perdere il passaggio all’Università – passaggio che avrebbe potuto prendere per un pelo, se il chiacchierone, col suo pessimo tempismo, gli avesse lasciato rimetterci un polmone per raggiungere la fermata.
Si preparava in anticipo per uscire coi suoi amici, perché doveva farsi un po’ di strada a piedi e non voleva arrivare in ritardo come sempre, e mentre era lì sul letto, vestito di tutto punto, sua madre, col suo pessimo tempismo, lo chiamava per raccontagli Alla ricerca del tempo perduto al telefono e lui, che si era pure preparato in anticipo, finiva per arrivare per ultimo.
Doveva tornare a piedi a casa, non aveva preso l’ombrello perché tanto era una bella giornata e lo aspettavano venti minuti di passeggiata, ma il tempo, col suo pessimo tempismo, aveva deciso di scatenare il diluvio universale proprio in quel momento, per farlo smettere proprio appena messo piede in casa. Eppure nessun dio gli era apparso in sogno per avvertirlo della sciagura in agguato.
Il pessimo tempismo lo perseguitava sia nelle grandi che nelle piccole cose e Dylan ne era perfettamente a conoscenza. Per questo, conoscendo la sua sfiga cosmica, ponderava ogni decisione con estrema cautela, cercando di prevedere tutti gli imprevisti che gli si sarebbero scagliati contro.
Le uniche cose nelle quali – stupidamente, si ripeteva – teneva a buttarsi a capofitto erano le questioni sentimentali. Almeno, inizialmente credeva sempre di aver ponderato tutto il ponderabile, ma poi finiva per spegnere il cervello e seguire quello stupido di un cuore.
Che scemo il cuore. Sempre a correre verso il precipizio illudendosi che non si farà male nella caduta. O ignorando proprio la presenza del precipizio forse.
Anche questa volta, Dylan credeva di aver calcolato tutto perfettamente.
Aveva conosciuto Carrie ad una festa organizzata all’inizio dell’anno in Università, una di quelle cose da matricole per conoscere altre matricole e diventare tutti amici per la pelle. Non era troppo sicuro di volerci andare, ma poi si era convinto che fare il lupo solitario non fosse proprio la migliore delle idee. Lei non era la ragazza più carina e neanche lontanamente la più attraente, però lo aveva colpito per una battuta arguta che le aveva sentito fare, perciò aveva pensato che se proprio doveva farsi un’amica, lei sembrava una tipa interessante.
Avevano parlato tutta la sera di così tante cose diverse che neanche se le ricordava più – sapete come vanno le conversazioni, no? Si passa da un argomento all’altro senza neanche rendersene conto quando ci si trova bene con qualcuno.
Anche se Dylan l’aveva avvicinata con le migliori intenzioni di fare amicizia, le cose non erano poi andate come lui aveva previsto. Dopo un paio di incontri successivi alla festa, c’era stato un bacio e da quel bacio ce n’erano stati diversi altri, ma Carrie non voleva perdere la testa (e consumarsi il fegato) in una storia seria, perché il suo obiettivo era laurearsi il più in fretta possibile e a Dylan andava bene così.
Perciò avevano iniziato a uscire senza alcun impegno particolare. Andavano al cinema, a cena fuori, a fare una passeggiata. Certe sere si baciavano, certe sere a stento si toccavano, ma quando tornava a casa Dylan si sentiva sempre a posto con qualsiasi cosa stesse succedendo tra di loro.
Almeno, così era stato finché, una sera, Carrie si era addormentata nel suo letto mentre stavano vedendo un film e lui si era ritrovato ad osservarla dormire. I capelli lunghi le ricadevano in parte sul viso, coprendole la guancia, una mano sotto al volto appoggiato al cuscino e la bocca semiaperta. In quel momento, anche se lei non era sicuramente al suo meglio e lui era a posto con la loro relazione-non-relazione, avrebbe voluto accarezzarla. Scostarle un po’ i capelli dal viso, avvicinarla a sé e addormentarsi con lei.
Quel pensiero, e il sentimento che si portava dietro, lo fecero quasi saltare giù dal letto per lo spavento. O per il dolore.
Provare qualcosa per Carrie lo spaventava, non perché lo spaventassero i sentimenti in sé, ma perché sapeva che i sentimenti spaventavano lei. O, comunque, non le interessavano. Ancora non aveva capito bene quale delle due. Fatto stava che lei avrebbe gentilmente declinato la sua dichiarazione, proponendo però di rimanere buoni amici, cosa che non avrebbero mai fatto perché non è così che vanno le cose.
In quel momento, si era reso conto che doveva trovare una buona scusa per interrompere la frequentazione con lei prima che fosse troppo tardi. Ovviamente, quello fu anche il momento in cui si rese conto di tutte le scelte sbagliate che aveva fatto per colpa del suo pigro cervello al quale piaceva andare in stand-by quando si trattava di sentimenti.
Ripensò a tutte le cose che, se solo fossero andate diversamente, non lo avrebbero portato al punto in cui si trovava.
Magari se quella sera non fosse andato a quella festa.
Magari se quella sera non avesse sentito Carrie fare quel commento arguto.
Magari se non l’avesse baciata.
Magari se le avesse detto che no, potevano o frequentarsi e vedere se fare il passo successivo, oppure essere semplicemente amici.
Magari se il suo cuore non fosse stato stupido. E il suo cervello di più.
Si inventò che aveva conosciuto un’altra ragazza.
Karen, studiava legge e l’aveva incontrata in biblioteca. Le piacevano gli sport, andava matta per l’avocado e ascoltava musica jazz.
Anche lei leggeva mattoni come Proust, Tolstoj e l’Ulisse di Joyce. E diceva di averlo pure capito, l’Ulisse di Joyce, ma Dylan pensava che lo dicesse solo per fare bella figura.
Carrie aveva sorriso e aveva annuito, aggiungendo che le sembrava una ragazza davvero interessante e se aveva letto Guerra e Pace doveva essere proprio perfetta per lui.
Dylan avrebbe voluto dirle che lei magari non leggeva i mattoni che gli piacevano tanto, ma leggeva tutto il resto. Leggeva tutto ciò che le interessava. Leggeva di filosofia, di arte, di mitologia, di astronomia, di storia, di matematica. Leggeva anche di ciò che non le interessava, perché in qualche modo, se era scritto nero su bianco, finiva per interessarle. E questa sua sete di conoscenza, questa sua curiosità, la rendevano la ragazza più intrigante intellettualmente che avesse mai conosciuto.
Ovviamente non glielo disse e si limitò a dire che sì, Karen era davvero speciale.
Pensava che quella mossa avrebbe risolto tutto. Nel giro di un paio di mesi avrebbe finto di aver rotto con Karen, perché alla fine non andavano così d’accordo come sembrava, e i sentimenti verso Carrie sarebbero tornati da dove erano venuti. Aveva arginato il problema in tempo, ottimo tempismo.
Erano passati due mesi e Dylan era steso sul suo letto, le mani dietro la testa e gli occhi che scrutavano il soffitto, come se contenesse le risposte a tutte le sue domande e la soluzione a tutti i suoi problemi. Forse si aspettava che le crepe sul muro gli suggerissero qualcosa.
Era appena tornato da un’uscita con Carrie e il suo piano non aveva funzionato.
Per quanto ci avesse provato, il sentimento lo aveva invaso come una pianta infestante e la speranza lo teneva sveglio la notte, facendo susseguire, su quello stesso soffitto al quale chiedeva risposte, gli scenari più disparati.
La speranza è una brutta bestia, perché non si sconfigge facilmente. E, in un certo senso, ci piace più alimentarla (anche se sappiamo di illuderci) che calpestarla come un mozzicone di sigaretta, accettando che è finita.
Per Dylan, Carrie era la sua ennesima situazione di pessimo tempismo.
Conosceva una ragazza a una festa, era interessante, ci usciva, si baciavano, se non fosse che la vita, col suo pessimo tempismo, aveva voluto fargli incontrare una persona che o aveva troppa paura o era troppo impegnata per pensare ai sentimenti. E quindi lui si era ritrovato innamorato senza alcuna possibilità.
Magari se avesse conosciuto Carrie dopo l’Università, lei sarebbe stata pronta e sarebbero stati davvero felici insieme. Magari, se l’avesse conosciuta prima, al liceo, avrebbero fatto gli adolescenti e si sarebbero baciati un giorno dopo aver saltato scuola e l’avrebbe portata a fare le cose che si fanno a sedici anni.
O magari no.
Ma come sempre, nelle questioni di cuore, Dylan perdeva di vista la sua sfiga cosmica e accettava compromessi che non avrebbe dovuto o s’infilava in cose che avrebbe dovuto evitare.
Mentre era lì a contemplare la fila infinita di errori che aveva commesso e che lo avevano condotto a quella pessima situazione, vide lo schermo del telefono illuminarsi con la coda dell’occhio. Si girò su un fianco e lo afferrò, facendo scorrere il dito sul display per sbloccarlo e leggere il messaggio che gli era arrivato.
Carrie: Grazie per i popcorn! :3
Dylan sospirò. Si passò una mano sul viso e digitò velocemente una risposta, sperando che la ragazza andasse a dormire senza rispondere a sua volta. Passato qualche minuto, decise di provare a mettersi a dormire anche lui, considerando che il mattino successivo lo aspettava una lezione piuttosto presto e, conoscendo il suo pessimo tempismo, sarebbe sicuramente capitato qualcosa che lo avrebbe fatto arrivare in ritardo anche senza che fosse così assonnato da posporre la sveglia.
Ovviamente ci mise almeno un’ora per addormentarsi.
Maledetta speranza che non muore mai.
 
 
Carrie si chiuse la porta dietro le spalle e sospirò.
Osservò la sua stanza perfettamente in disordine e poi il suo sguardo si soffermò sul letto sfatto. Quello stesso letto sul quale lei e Dylan avevano passato più di una serata e sul quale lui si era più volte addormentato durante la visione di un film.
Ripensare ai momenti condivisi con lui, ai baci rubati tra una stupidaggine e l’altra, le fece sentire una piccola morsa allo stomaco. Una punta di nostalgia.
Quando sentì il telefono vibrarle tra le mani, lo guardò, leggendo l’anteprima del messaggio che le aveva mandato il ragazzo.
Dylan: Prego!
Pensò per dieci minuti buoni a una risposta da dargli, qualsiasi cosa pur di continuare la conversazione, ma non le veniva in mente nulla. Vuoto totale. Perciò, decise di lasciar perdere e mettersi a dormire.
Quando si tirò le coperte addosso, coprendosi fino al collo, sentì l’odore di Dylan pungerle il naso: era un aroma flebile, ma perfettamente riconoscibile. Carrie sentì gli occhi farsi umidi e li chiuse prima che la situazione degenerasse.
Maledetta speranza che non muore mai.
 
 
 
 




Nota:
La storia non nasce per avere un finale felice. È aperto, ma l’idea non era di illustrare che in realtà i due personaggi si amano vicendevolmente, solo che non lo sanno, e lasciare intendere che prima o poi se lo diranno e troveranno la felicità. L’idea è che resteranno completamente ignari di ciò che provano, stando male nella convinzione di non essere ricambiati, quando non è così. Una visione un po’ malinconica e amara, ma ultimamente so essere solo malinconica e amara. Ho pensato di specificarlo, perché penso che sapere qual è l’idea dietro ciò che ho scritto possa dare un tono diverso a questo breve racconto.
Ciò nonostante, agli eterni romantici e agli ottimisti dico che le cose che leggi diventano tue e ci puoi vedere tutto quello che vuoi, perciò potete pure farlo essere felice, anche se io l’ho scritto triste. 
Al di là delle interpretazioni, spero che chiunque abbia dedicato parte del suo tempo a leggere l'ennesimo prodotto malinconico della mia mente, non senta di averlo sprecato. Vi ringrazio di cuore. 

 




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