Tell me how to feel.

di herflowers
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Tell me how to feel.
 
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Matthew.
 
Lo sguardo fisso sulla superficie del tavolo in legno, il braccio sullo schienale della sedia e le gambe accavallate. Matthew aspettava la sua birra: avevano appena finito di suonare, chiamato Adrian e ordinato quattro chiare medie. Cominciarono a parlare del più e del meno, aggiungendo qualche aneddoto piccante tra un discorso e l’altro. George parlava di una ragazza incontrata qualche settimana prima con la quale aveva fatto sesso più di una volta, raccontando l’incontro casuale con lei al supermercato, la chiacchierata e il «Ti va di venire a casa mia?» di lei mentre si avviava verso la cassa, osservandolo come da bambini si guardano i dolci in vetrina.
Matthew sospirò e appoggiò la testa sulla spalla di Ross, amico e bassista del loro gruppo; quella sera non era in vena di festeggiare - o qualsiasi cosa avrebbero fatto - quindi si sarebbe bevuto la sua birra fredda e se ne sarebbe tornato dritto a casa. Si sentiva strano, più stanco del solito e quando gli altri gli chiesero di uscire a fumare una sigaretta con loro lui rimase seduto dov’era, la schiena dritta e gli avambracci appoggiati sul bordo del tavolo, il cellulare davanti a sé.
La voglia di chiamare Grace e invitarla al suo appartamento era tanta, il voler anche solo dormire con qualcuno accanto, con lei, senza fare sesso faceva sì che Matthew ciondolasse nell’incertezza per qualche minuto, fino a quando un ragazzo col grembiule nero avvolto in vita si avvicinò al suo tavolo per appoggiarvi un vassoio con le loro quattro birre. Sentì un “Ecco qui le vostre birre” così basso che Matthew alzò le sopracciglia e spalancò appena le palpebre, incrociando lo sguardo del ragazzo. Matthew sorrise impercettibilmente, dicendo: “Grazie.”
Continuò a osservare il ragazzo, che nel frattempo aveva raccolto il suo vassoio e aveva cominciato ad avviarsi verso il bancone del bar, notando i capelli legati in un codino quasi inesistente e una camicia bianca dalla stampa bizzarra. Lo squadrò da capo a piedi notando quanto le gambe lunghe lo slanciassero - avvolte in pantaloni scuri e attillati -, e che la vita sottile risaltava le spalle larghe; la sua schiena era rigida, Matthew riusciva a capirlo dal modo in cui il ragazzo si muoveva.
La mano di George sulla spalla di Matthew lo fece sussultare e si voltò verso l'amico, sedutosi alla sua sinistra, che prese la propria birra per poi passarne un'altra a lui.
"Tutto a posto, Matt?", chiese George, dopo aver bevuto dal proprio bicchiere. “Ti sei perso una scena incredibile.” Gli amici presero a raccontare il fatto accaduto davanti alla caffetteria mentre si fumavano le loro sigarette, ridendo e sbattendo i pugi sul tavolo, ma Matthew - decisamente poco concentrato sull'argomento - tornò a voltarsi per guardarsi intorno e scorgere dietro al bancone il ragazzo che lo aveva servito al tavolo. Lo aveva visto altre volte, quella non fu sicuramente la prima, ma non ci avevano mai scambiato due parole perchè era sempre stato Adrian a servirli, mentre lui rimaneva dietro al bancone a preparare gli ordini. Raramente succedeva che fosse proprio lui a portare le ordinazioni ai tavoli, proprio come quella volta. Notò Adrian avvicinarsi al bancone e porgere al ragazzo un'altra ordinazione. Ci si appoggiò sul fianco e incrociò le braccia al petto, dicendogli qualcosa che scatenò la sua risata: schiuse le labbra mettendo in mostra denti bianchi e perfetti, che trattenevano una gomma da masticare, e abbassò il viso, guardando poi Adrian di sfuggita e ridere ancora di più, scuotendo leggermente la testa; lo vide raddrizzarsi e voltarsi per prendere due boccali medi e avvicinarsi allo spillatore. Matthew rimase a fissarli per altri pochi secondi prima di voltarsi e passare lo sguardo su ogni viso presente al suo tavolo, allungando la mano verso la sua birra e bevendone un sorso. Prese a seguire il filo del discorso, intervenendo qualche volta, fino a quando non si ritrovò a raccontare un inedito di qualche settimana prima coi ragazzi interessati e impazienti di conoscere il punto forte della storia.
 
Passò un'ora, Matthew stava infilando il cellulare nella tasca dei jeans, pronto ad avviarsi alla porta della caffetteria. Aveva mandato un messaggio a Grace, che gli aveva risposto poco dopo, dicendole di raggiungerlo a casa sua di lì a breve. L'avrebbe baciata, presa tra le braccia e respirato il suo profumo, nascondendo la testa nell'incavo del suo collo: si ritrovava a fare così quando si sentiva esattamente come quella sera, bisognoso di affetto. Lei sapeva che il loro era un rapporto strano, non come tutte le persone che si piacciono e decidono di fare coppia fissa; certo, Matthew non era quel tipo di persona che abbordava una ragazza diversa ogni sera, lui aveva Grace, così come lei aveva Matthew, ma più del fantastico sesso e delle coccole non ci sarebbe stato di più. Entrambi non si sentivano in grado di iniziare una storia seria, anche se Grace qualche volta si chiedeva come dovesse essere avere tutto di Matthew, poter sentire quella connessione totale con lui. Ad ogni modo, entrambi erano d'accordo sul tenere il loro rapporto su un certo livello e andava bene così, tanto che Grace era già salita sul primo taxi dando all'autista l'indirizzo di Matthew.
Si fermò davanti al bancone del bar per pagare le sue birre, lo sguardo rivolto in basso verso il portafoglio, cercando una banconota da venti e aspettando che qualcuno lo prendesse in considerazione. Guardò le varie bottiglie di alcolici sistemate sulle mensole, i bicchieri puliti e sistemati con ordine sul ripiano che affiancava il piccolo lavello. Aspettò ancora qualche minuto appoggiato al bancone con le braccia incrociate e una ciocca di capelli che cadeva davanti agli occhi, poi arrivò il barista sconosciuto.
“Ciao.” Grazie alla poca distanza tra loro, Matthew notò il colore degli occhi del ragazzo, puntandovi il proprio. Il suo viso era giovane, non dimostrava più di venticinque anni, ed era rilassato. Le sopracciglia ebbero uno scatto verso il basso quando il ragazzo tirò leggermente su col naso, appoggiandosi al bancone con un braccio e spostando il peso su una gamba mentre l'altra veniva piegata, o almeno così immaginò Matthew.
Arricciando le sopracciglia e facendo mente locale, Matthew schiuse le labbra e disse: "Devo pagare due medie bionde." Raddrizzò la schiena, sospirando; all'interno della caffetteria si stava bene anche solo con le maniche lunghe, come quelle che indossava Matthew, ma dando un'occhiata al tempo fuori non sarebbero bastate.
"Due medie bionde...", sussurrò il barista, portandosi una mano ai capelli e spostando un ciuffo scappato dall'elastico dalla fronte. "In tutto sono dodici - disse, prendendo la banconota da venti del cliente, dandogli poi scontrino e resto - ecco a te." Matthew ringraziò e salutò, saluto che venne ricambiato con un semplice e formale "Arrivederci" seguito da un sorriso.
Matthew lo guardò ancora qualche secondo, mentre portava il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans, prima di fare un qualsiasi passo verso la porta. In quell’istante Adrian si avvicinò nuovamente al bancone e vide Matthew voltarsi, e prima che fosse troppo tardi lo andò a salutare. Una mano sulla spalla fece fermare e voltare Matthew, il quale alzò le sopracciglia.
“Già te ne vai?”, sorrise Adrian. Riportò il braccio lungo il suo fianco e spostò il peso su una gamba, in attesa della risposta dell’altro. Matthew sospirò e notò che Adrian aveva un buon odore, forse grazie a uno di quei profumi che era solito comprare alle bancarelle del mercato la domenica mattina; accennò un sorriso e annuì, spiegando poi che era stanco e che sarebbe andato a casa. Adrian tornò a sorridergli, cosa di cui Matthew non capì il senso vero e proprio. Che bisogno c’era di sorridere sempre, lui proprio non lo capiva; capiva che molti lo facevano per cercare di colmare – anche se di poco - il silenzio imbarazzante venutosi a creare, altri per timidezza, e lo si capiva dalla loro espressione, ma Adrian gli sorrideva con quella luce negli occhi che Matthew aveva già ben inquadrato. Lo vedeva anche lui che il ragazzo provava interesse nei suoi confronti, esplicito o implicito che fosse, ed era evidente. Aveva notato anche le occhiate che mandava al collega dietro al bancone, solo che lui non se ne rendeva conto, impegnato com’era a fare avanti e indietro. Comunque, tutto quel sorridere e annuire senza un’apparente motivazione lo infastidiva, in un certo senso.
“In ogni caso – disse Adrian, facendo qualche passo all’indietro e sporgendosi verso il bancone per passare un biglietto al suo collega – Harry, questa è per il tavolo undici.”
Il corpo di Matthew si voltò completamente verso Adrian, puntando però lo sguardo sulla figura di Harry. Quel volto allora aveva un nome, nome che oltretutto gli donava. Lo vide annuire mentre guardava in direzione del tavolo in questione, prima di chinarsi per prendere una bottiglia dal frigorifero sotto al bancone.
“Allora ci vediamo, Matt!” esclamò, Adrian. Quella volta fu Matthew ad annuire, distratto, muovendo un passo all’indietro verso la porta principale, prima di voltarsi e uscire definitivamente dalla caffetteria.
 
Le dita fredde di Matthew scorrevano poco a poco sulla pelle pallida di quel corpo così piccolo e seducente, tra i capelli castani, morbidi e profumati, passando a sfiorarle il viso, incantevole e imperlato di sudore.
Lei percepì l’estrema delicatezza con la quale lui l’accarezzava sulle labbra gonfie, gli zigomi, il collo esposto; vedeva la passione negli occhi di lui, nel modo in cui schiudeva le labbra, la sentiva nel suo respiro.
La trafiggeva lentamente, s’insinuava sotto la pelle facendola formicolare, scorreva nelle vene sommessamente aumentando il battito cardiaco.
Matthew si stava prendendo tutto di lei: voleva sentire il proprio nome sussurrato tra i gemiti di piacere, i loro corpi rabbrividire per la tanta eccitazione, il fiato caldo sulle labbra impazienti.
 
Le mura di quella camera avevano un odore differente, Matthew lo respirò a pieni polmoni prima di girarsi sulla schiena, svegliandosi, e aprendo gli occhi per guardare il soffitto. C’era silenzio, con le coperte che coprivano il suo corpo nudo fino alle spalle, così stava bene, anche se la presenza femminile al suo fianco, stesa a pancia in giù con le braccia esili incrociate sotto al cuscino, bloccava la visuale dell’ora impressa sul display della sveglia. 
Finalmente, quel posto, dopo troppi giorni, aveva un odore differente dal suo; sentiva il profumo zuccherino di Grace sulle lenzuola, l’odore di shampoo fresco tra i capelli e quello di sudore sulla pelle. Prese una ciocca di capelli della ragazza, li arrotolò delicatamente attorno al dito e li portò al viso, respirandone il profumo prima che sparisse per chissà quanto ancora.
 
Gli tornò in mente l’immagine di lui, la sera prima, che sollevava il tessuto sottile della maglietta di lei delicatamente, assaporando ogni centimetro della sua pelle.
A Matthew piaceva scoprire quel corpo, osservare come quei nei piccoli le ricoprivano il ventre piatto, passandoci poi l’indice sopra come stesse creando nuove costellazioni che solo loro conoscevano, fino ad arrivare al seno, proporzionato e sodo; ricordò la risata di Grace dopo aver visto la sua espressione beata, baciandole il ventre e pizzicandole leggermente i fianchi.
 
Sospirò e lasciò cadere i capelli di Grace sulle lenzuola per alzarsi e raggiungere la sedia di legno nell’angolo opposto della stanza. Infilò una delle sue camicie e un paio di boxer, si avvicinò alla porta della camera e si fermò proprio sotto lo stipite per osservare le labbra imbronciate di lei.
La conosceva bene ormai, e gli piaceva guardarla. Era una ragazza affascinante, forse una delle più belle che avesse conosciuto, e ogni volta che si fermava un secondo ad osservarla trovava sempre qualcosa di nuovo da memorizzare e dimenticare subito dopo perché Matthew non se ne faceva nulla del ricordo di quei piccoli dettagli: le persone arrivavano e se ne andavano così come il loro ricordo, e lui non era una persona che si attaccava al passato, figuriamoci all’immagine che lui aveva di loro.
Prese la solita sigaretta dal pacchetto e l’accese, dirigendosi vero il bagno, e sussurrò: “Meno uno.” 




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