IL NIDO PERFETTO
IL NIDO PERFETTO
*
I raggi del sole
illuminavano i neonati fiori primaverili che avevano cominciato ad abbellire i
rami degli alberi fino ad allora spogli e scheletrici. Gli uccellini, per
giunta, sembravano apprezzare la nuova stagione, accogliendola con entusiasmo,
pigolando nei loro nidi, o svolazzando in alto nel limpido cielo azzurro. Mamma
uccello, intanto, si stava occupando di nutrire i suoi piccoli che, appena nati,
cinguettavano alla ricerca di cibo, custodito direttamente nel becco materno.
I suoi occhi, azzurri come
il colore del cielo, si soffermarono su quella scena, domandandosi le ragioni
che costringevano la natura stessa a comportarsi in maniera così bizzarra. Forse
era addirittura la prima volta che assisteva ad una scena simile, tanto inusuale
da costringerlo ad osservare gli uccellini per diversi minuti a bocca
spalancata.
“…nks?” Una voce, dolce e
gentile, si introdusse tra i suoi pensieri, costringendolo a distogliere lo
sguardo dalla famiglia che abitava in cima al ramo. La riconobbe al volo, quella
voce, appartenente a una persona che avrebbe identificato tra migliaia di altre.
Era lei, non aveva dubbi. Il suo sguardo, pertanto, andò a cercare la figura che
lo aveva distratto, incrociando immediatamente un altro paio di occhi azzurri.
Si era accovacciata accanto a lui, intanto, per essere alla sua altezza e per
permettergli di guardarla con più attenzione. Istintivamente il suo braccio si
sollevò, additando lo spettacolo alla quale aveva assistito fino a quel momento.
“Uccellini” disse solo, quasi come se, in un parco, non esistessero altri
esemplari di quella strana specie. Anche lei rivolse lo sguardo al nido, giusto
in tempo per vedere anche papà uccello tornare dalla sua famiglia. Qualcosa,
nello sguardo della donna, sembrò mutare, complice forse un pensiero nascosto
nella sua mente. Si limitò a sorridere, fissando lo sguardo sulla scenetta alla
quale stava assistendo. Poi si rivolse al bambino, scostandogli una ciocca di
capelli lilla dal viso. “Sì, Trunks, sono degli uccellini, hai visto?” Gli
confermò, accentuando ancora di più quel sorriso che le abbelliva lo sguardo.
“Ci sono la mamma, i figli, e anche il papà è tornato a casa” Continuò a parlare
lei, quasi enigmatica, suscitando uno sguardo indecifrabile sul volto del
piccoletto che, per tutta risposta, si limitò ad additare nuovamente il nido.
“Uccellini” Ripeté, come se quel semplicissimo concetto non fosse chiaro alla
sua interlocutrice.
“E’ proprio una bella
famigliola” S’intromise una terza voce, giungendo alle loro spalle, cogliendoli
quasi di sorpresa. La donna fu la prima a voltarsi, osservando l’uomo che era
arrivato di soppiatto, e che a sua volta aveva cominciato a studiare la vita sul
ramo. “Yamcha!” Esclamò lei, riconoscendo immediatamente il nuovo venuto,
tornando al alzarsi in piedi. A sua volta, Yamcha, sentendo pronunciare il suo
nome, le rispose con un sorriso gentile. “Ciao, Bulma” La salutò infine,
scostando lo sguardo sulla figura più piccola accanto a lei. “Accidenti! Questo
è il piccolo Trunks? Come sei cresciuto” Affermò poggiando le mani alle proprie
ginocchia e cercando lo sguardo del bambino. Poi si additò, “Io sono lo Zio
Yamcha, ti ricordi di me?” Domandò, quasi sovrapponendo l’immagine di quel
bimbetto con quella di un ragazzo di qualche anno in più. E Trunks, che di fatto
lo aveva visto l’ultima volta quando a malapena camminava, si rifugiò dietro la
madre, afferrando il lembo dei pantaloni e sbirciando l’espressione dello
sconosciuto quasi con paura.
Bulma si rivolse al
figlioletto, nascosto al sicuro dietro di lei. Rise, osservando l’atteggiamento
timido e un po’ goffo del giovanissimo Saiyan. “Andiamo tesoro, anche se ha una
brutta faccia, Yamcha non è cattivo” Ironizzò, ridacchiando tra sé e guardando
di sottecchi l’ex fidanzato, che di rimando le lanciò un’occhiata falsamente
offesa. “Grazie tante” le mormorò dopo alcuni istanti, altrettanto sarcastico.
Trunks, che della discussione non aveva capito molto, sollevò lo sguardo per
osservare uno strano gatto dal pelo blu fluttuare nell’aria. Il buffo animaletto
svolazzò fino ad avvicinarsi al bambino che, incuriosito, sollevò una manina
allo scopo di accarezzarlo. I due adulti, assieme ad un maialino che era appena
sopraggiunto, si soffermarono per osservare la scena in silenzio. Pual si lascò
carezzare dal piccoletto che, al contatto, sorrise come se avesse appena
scoperto qualcosa di stupefacente. “Morbido” dichiarò per rendere partecipi
tutti della sua rivelazione. La scenetta si concluse con una risata generale,
che quasi stupì il bimbo, evidentemente sorpreso da quella reazione. Ma la sua
attenzione fu nuovamente catturata da qualcos’altro. Il tintinnio di un
camioncino sembrò risultare più interessante persino del gattino con la quale
stava giocando.
“Allora, come mai da queste
parti?” S’informò infine Bulma, cominciando una serie di convenevoli rivolte al
vecchio amico. Lui sorrise, intersecando le braccia, poi sospirò. I suoi occhi
scuri scrutarono vagamente l’intero parco della Città dell’Ovest, come se già
non lo avesse osservato miglia di volte. “Eravamo venuti a farci un giro, poi
pensavamo di…” La frase morì in quel preciso istante, avendo individuato il
concitato movimento del bambino accanto alla donna. Il piccolo Trunks aveva nel
frattempo cominciato a strattonare i pantaloni della madre, alla ricerca della
sua attenzione. Bulma fu quindi costretta ad abbassare lo sguardo, incrociando
due bellissimi e speranzosi occhi azzurri. Il Saiyan additò il camioncino che a
qualche metro di distanza stava passando, scampanellando allo scopo di attirare
l’attenzione della gente nelle vicinanze. E Trunks aveva riconosciuto quel
peculiare mezzo, “Gelato” disse infatti, informando anche gli altri membri del
gruppetto della sua entusiasmante scoperta e, soprattutto, del suo desiderio.
Bulma si trovò quindi sul
punto di dover decidere se accontentare il figlio o meno, ma ad anticiparla fu
proprio Yamcha. L’uomo si avvicinò al ragazzino, inginocchiandosi accanto a lui.
Il visino del mezzo Saiyan si dipinse con una sorta di indiscrezione, curioso di
conoscere le intenzioni dello sconosciuto. L’ex predone del deserto poggiò una
mano sul capo del bambino, mostrandogli un’espressione affabile, tanto da
tranquillizzare il piccoletto. “Se la tua mamma è d’accordo, te lo offro io un
gelato, giovanotto” Si propose gentilmente, avanzando la sua richiesta ad una
terza persona. E Bulma, colto il suggerimento, si poggiò le mani ai fianchi,
ponderando sull’idea. Yamcha sollevò lo sguardo in attesa di una risposta che,
infine, giunse positiva da un leggero cenno del capo. “D’accordo, ma non
prendergliene uno troppo grande, o stasera non avrà fame” S’impose la donna,
dettando quindi le sue condizioni.
Yamcha sollevò il Saiyan
dal terreno, tornando ad alzarsi in piedi a sua volta. “Molto bene, signorino,
andiamo a prenderci un gelato!” Annunciò facendo accomodare il bimbo sulle
proprie spalle, assicurandosi di reggerlo saldamente, allo scopo di non farlo
cadere. E Trunks gioì, comprendendo il significato delle parole di quello strano
individuo, approvando con un leggero battito di mani. Infondo, questo tizio, era
anche simpatico. “Yamcha! Fai attenzione!” Lo ammonì la madre del bimbo,
scoprendosi apprensiva per un attimo. Ma lui, che si era già allontanato, le
rispose con un cenno della mano, “Tranquilla, tranquilla” la rassicurò senza
voltarsi.
*
Un bambino normale, di
appena due anni, difficilmente finisce il suo gelato e ne elemosina dell’altro,
ma Trunks non era un ragazzino come tutti gli altri e il suo stomaco alieno
aveva già cominciato a fare bella mostra di sé. Fu quindi arduo, per Bulma,
riuscire a convincerlo a non esagerare, scioccando notevolmente il gelataio che
quasi non riuscì a credere ai suoi occhi. Costretto ad assistere inerme al
piagnisteo che aveva obbligato la giovane madre a tentare il tutto per tutto pur
di arginare il delirio.
Fortuna volle che, Olong e
Pual, erano corsi in soccorso dell’amica. Trunks pareva infatti essere molto
interessato ai due animaletti, finendo per trovare in loro un’attrattiva
migliore che nel suo secondo gelato mancato. Così, i due improvvisati
babysitter, erano riusciti a trascinare il futuro guerriero in giochi con
la sabbia nell’apposito spiazzo del parco, adibito ai bambini della sua età.
Nel frattempo, Bulma e
Yamcha, osservavano la scena a qualche metro di distanza, seduti su una
panchina, alle prese con le loro chiacchiere da grandi. E se lo sguardo della
donna non si era scostato nemmeno per un secondo dai gesti goffi del
figlioletto, quello dell’uomo pareva vagare in continuazione tra i vari angoli
del parco, seguendo in qualche modo i suoi pensieri. Quando quelle pupille scure
e gentili si posarono nuovamente sul volto di lei constatò per l’ennesima volta
quello sguardo materno che le abbelliva il viso e che la rendeva forse un po’
diversa da quella Bulma adolescente che aveva conosciuto anni prima. Discorde
anche da quella che lo aveva lasciato per percorrere da sola la sua strada.
“Quindi sarete parecchio
indaffarati in questi giorni” Riprese il discorso lui, tornando ad un argomento
affrontato appena pochi secondi prima e che aveva lasciato spazio, per un
attimo, al silenzio e ai pensieri. Bulma annuì, senza staccare gli occhi dal
bambino a qualche metro di distanza. “Sì, per ora se ne sta occupando mio padre,
ma tra poco credo che mi toccherà cominciare a rivedere i suoi progetti” spiegò
concentrata. Yamcha si stravaccò sulla panca, restando con lo sguardo fisso sui
lineamenti maturi della vecchia fiamma, constatando mentalmente che, mai una
volta, quelle iridi azzurre si erano scostate su di lui. Lasciando, per giunta,
parlare il silenzio, che ancora una volta sembrò voler partecipare al discorso.
L’uomo dalle profonde
cicatrici scostò nuovamente lo sguardo, ora verso il Saiyan e i suoi
estemporanei compagni di giochi. “Beh, mi pare una buona idea, infondo” Sospirò
infine lui, trattenendo a stento uno sbadiglio rilassato, “Quella Gravity Room
non era molto sicura in giardino. In casa riuscirete sicuramente a gestirla
meglio” Suppose sincero, ricordando vicende che appartenevano a diversi anni
prima, e che, per svariati motivi, non aveva mai dimenticato. Davanti ai suoi
occhi, infatti, rivide ancora quella scena, quando la sua Bulma si era
precipitata tra le macerie, scavando a mani nude alla ricerca dell’altro.
Tutto sotto il suo sguardo impotente e, all’epoca, anche molto ingenuo.
Da quando era iniziata la
discussione, per la prima volta gli occhi di Bulma si scostarono sull’ex
fidanzato, come a voler comprendere i suoi pensieri. Scoprendo, in quel preciso
istante, che la complicità che li aveva legati per anni era ancora lì,
nonostante tutto. Affievolita dal tempo e dalle traversie vissute. Uno strano
sorriso, dunque, incurvò le labbra della donna, avendo perfettamente intuito a
cosa lui stava pensando. Ad avvalorare tutto ciò furono proprio gli occhi del
guerriero umano, che colta quella particolare sfumatura negli occhi di lei si
premurò di tranquillizzarla con un sorriso gioioso. Quasi a volerla rassicurare
sui propri sentimenti.
Il silenzio, questa volta,
parve voler parlare per loro. Dispensando parole appena accennate in sguardi che
nascondevano vecchi pensieri. Fu solo il rintocco delle campane, proveniente
dall’orologio al centro del parco, a riportare i due con i piedi per terra.
“Ah!” Esclamò all’improvviso Bulma, facendo sobbalzare l’amico, colto
notevolmente di sorpresa. “Co… cosa succede?” Balbettò quasi spaventato,
osservando l’altra alzarsi in piedi con un balzo. “Si è fatto tardi, dobbiamo
tornare a casa!” Spiegò, come se si fosse appena ricordata di essere una madre
e, come tale, di avere l’obbligo di adempiere al suo ruolo nei confronti del
bimbetto ormai ricoperto di terriccio e sabbia, nella quale si era rotolato per
gran parte del pomeriggio. Yamcha, che comprese al volo tale coercizione, si
alzò a sua volta dalla panca, stiracchiandosi ed accompagnando tale gesto con un
sonoro sbadiglio, “D’accordo” Concordò parlottando più a se stesso. “Olong,
Pual, è ora di andare, riportate qui Trunks” ordinò ai due amici, dopo essersi
poggiato le mani accanto alla bocca in modo da farsi sentire anche a distanza.
I due animaletti, e
l’improvvisato guerriero della sabbia, scostarono su di lui la propria
attenzione; non solo, anche Bulma si vide costretta ad osservare l’amico per un
lungo secondo, attendendo di essere raggiunta dal figlio. Di malavoglia, il
piccolo Trunks, fu trascinato verso la madre, assumendo uno sguardo offeso nei
riguardi di quest’ultima. E Bulma, che aveva imparato a riconoscere quella
particolare increspatura su un altro soggetto, comprese perfettamente i pensieri
del piccoletto. Si avvicinò a lui, accucciandosi di fronte al bambino.
“Coraggio, Trunks, è ora di tornare a casa, Olong e Pual verranno a giocare con
te un’altra volta, se vorranno” Gli propose, cercando lo sguardo del maialino,
che scontroso incrociò le braccia esibendosi in uno strano “Sì, certo” poco
convinto, sfoggiando peraltro un bernoccolo che gli era apparso sul capo. Poi,
la donna, scostò lo sguardo sul gattino volante che, all’opposto, annuì
fermamente, rispondendo con un più cordiale “Sicuro” all’indirizzo del bambino.
Trunks, ora persuaso da entrambi i nuovi amici, osservò gli occhi della mamma
che mentalmente stabilì di dover usare l’ultima carta. “Lo sai che i nonni ti
stanno aspettando? E c’è anche papà con loro” Nel pronunciare quella
parola, Bulma sembrò accentuare per un solo attimo il suo sorriso. Intanto, per
qualche strana ragione, i suoi pensieri andarono agli uccellini in cima
all’albero.
Quel termine, inoltre,
bastò a suscitare uno sguardo allegro e solare anche sul viso paffuto e bieco
del giovane Saiyan. Nel contempo anche l’uomo assunse una strana espressione,
assai diversa, tuttavia, da quella di madre e figlio. Evidentemente i suoi
pensieri lo avevano, per un istante, portato a riflettere su qualcosa di meno
allegro. Nonostante ciò, quel velo di tristezza, gli sparì subito dal volto,
dimenticandosi un secondo dopo di aver anche solo incrociato la sua strada con
una così peculiare elucubrazione.
Trunks, intanto, si voltò
verso i due trasformisti, facendo loro un cenno con la manina, mentre l’altra si
aggrappò saldamente ai pantaloni della donna. “Vado con mamma” Annunciò,
sorridendo sdentato. Bulma strinse tra le braccia il piccolo ometto,
sollevandolo dal terreno e regalandogli un leggero buffetto sul naso, “Bravo
tesoro, saluta tutti” Gli ordinò con dolcezza, facendo un primo passo verso
l’uscita del parco. E mentre il Saiyan era impegnato a salutare i suoi nuovi
amici, Bulma si rivolse al compagno di tante avventure. “Yamcha, allora, ci
vediamo domani” Gli ricordò, prima di allontanarsi definitivamente. Lui sorrise
ed annuì, supportato da un “Sì, a domani”.
Pual, che era stato l’unico
a non lasciarsi sfuggire il particolare sguardo dell’amico una manciata di
minuti prima, restò a fissarlo come se volesse entrare nella sua testa pur di
conoscere quei pensieri con assoluta precisione. Ma Yamcha, che si era
semplicemente limitato a sorridere all’amica, non pareva avere particolari
riflessioni in quel preciso istante. Se non quello comune a tutti e tre gli
amici, e che fu Olong ad esternare per tutti. “Certo che è strano, sentire
qualcuno che la chiama mamma” Farfugliò leggermente indeciso, osservando
l’amica che era ormai un puntino all’orizzonte. E se Pual si limitò a fissare il
maialino con sguardo indeciso, Yamcha rise divertito, “Già, è strano” concordò,
girando su se stesso e prendendo tutt’altra strada rispetto alla donna. “Olong,
Pual, torniamo a casa anche noi” Suggerì in un secondo momento, mentre un
piccolo sorriso si fece largo sul suo viso deturpato dalle cicatrici.
*
Il suo sguardo doveva
essere terribilmente annoiato, in quel momento. L’espressione di chi avrebbe
tanto preferito trovarsi da tutt’altra parte, lontano da quell’insistente
parlottare che nemmeno stava ascoltando. Era solo un brusio di sottofondo, per
quel che lo riguardava, una di quelle cose di cui, tuttavia, non sai come
liberarti.
Le iridi scure si
scostarono sul tavolino da caffè situato a pochi centimetri dal divano sulla
quale sedeva. La superficie di legno, per giunta, era ricoperto da scartoffie di
cui capiva ancora meno del cianciare insistente al suo fianco. Le uniche cose a
lui chiare furono solo quelle due parole: Gravity Room. E forse gli erano
bastate quelle poche lettere per indurlo ad ascoltare il vecchietto su cose
noiose. In più era persino riuscito a non mandare tutto all’aria, distruggendo
tavolino, salotto e casa intera. Senza nemmeno saperlo si complimentò con se
stesso, stava quasi migliorando i suoi tempi di sopportazione.
Così come, di tanto in
tanto, sbirciava la donna dal capelli d’orati, canticchiare uno stupido
motivetto a qualche metro di distanza, intenta ad annaffiare le piante sul
davanzale della finestra. Probabilmente, in realtà, la sua mente stava solo
valutando quale dei due eliminare per primo, sterminando così parte dei suoi
problemi. E mai avrebbe creduto che, l’ingresso di un nuovo membro di quella
famiglia, avesse il potere di tranquillizzare i suoi nervi. In un certo senso.
Trunks, che aveva
riconosciuto al volo il padre, era riuscito a divincolarsi dalle braccia
materne. Si precipitò verso l’uomo dall’aria annoiata e, un po’ timidamente, gli
poggiò le manine sul ginocchio, affinché lui potesse prestargli attenzione.
Bulma invece, che raggiunse il salotto subito dopo il figlio, osservò la scena
dall’uscio della stanza, mentre un piccolo sorriso si fece largo sulle sue
labbra.
“Siamo tornati” annunciò
infine lei, come se avesse bisogno di avvisare del proprio rientro. E se i suoi
genitori le regalarono un sorriso e un saluto cordiale, Vegeta si limitò a
fissarla con la coda dell’occhio, prima di tornare ad occuparsi di quel piccolo
seccatore che aveva nel frattempo cominciato a torturare i suoi pantaloni appena
sopra il ginocchio. La terrestre non si lasciò sfuggire l’occasione, si avvicinò
al tavolino, inginocchiandosi accanto al bambino, poggiando una mano sulle sue
piccole spalle. “Coraggio, Trunks, racconta al tuo papà cos’hai fatto oggi” Lo
incoraggiò, sfidando quasi l’altro genitore che, incrociate le braccia, le
lanciò un singolo sguardo torvo e minatorio. E se l’innocente Trunks non
comprese il significato di quell’espressione, cominciando quindi a raccontare in
maniera singolare le sue avventure; Bulma ignorò volutamente quel modo eloquente
di aggrottare le sopracciglia da parte del compagno.
Quegli occhi azzurri,
quindi, si scostarono sul tavolino, fissandosi suoi fogli sparsi per tutta la
superficie. Le sottili dita afferrarono un pezzo di carta, leggendolo nei
diversi punti. “Come stanno andando i progetti per la nuova Gravity Room, papà?”
Domandò infine, rivolta allo scienziato che era tornato a sua volta ad
immergersi nel suo lavoro. Il Dottor Brief regalò alla figlia uno sguardo
distratto, alzando gli occhi al soffitto in ricerca di qualche pensiero. “Mmm…
ci sono ancora un sacco di cose da sistemare, le cas…” “Per favore, non
cominciare con queste casse dello stereo, a Vegeta non interessano” tagliò corto
la scienziata più giovane, parlando come se il diretto interessato non fosse
nemmeno nella stanza, suscitando sul volto dell’altro un notevole disappunto.
Decretando autonomamente la fine della conversazione che lei stessa aveva
iniziato, Bulma poggiò nuovamente i fogli sul tavolo, scostando in seguito gli
occhi sulla madre, ancora indaffarata con alcune piantine. “Ah, mamma, indovina
chi abbiamo incontrato oggi al parco?” La incitò la giovane donna, attendendo
pazientemente una risposta. L’altra, sentendosi chiamata in causa, si poggiò una
mano alla guancia, cominciando a pensare a varie soluzioni dell’indovinello.
“Una persona famosa?” Cinguettò infine, costringendo la figlia a sospirare quasi
esasperata. “Ma no! Quale persona famosa?! Insomma!” La sgridò in un primo
momento, riprendendo le redini del discorso, prima che potesse partire il
delirio causato da frasi scombussolate e senza senso da parte di entrambi i
genitori. “Abbiamo incontrato Yamcha” Svelò subito dopo, allo scopo di evitarsi
un gran mal di testa.
In quel preciso istante una
strana luce attraversò lo sguardo del Principe dei Saiyan, che increspò appena
le sopracciglia, senza che nessuno potesse annotare quel leggero movimento, né
di comprenderne il significato.
“Ohhh, Yamcha, e come sta?”
S’informò ora la madre, poggiando sul davanzale l’annaffiatoio che stava
utilizzando. Bulma annuì in risposta, “Bene, vi saluta entrambi” riferì con un
sorriso, “Pensavamo di andare a mangiare qualcosa insieme domani, per fare
quattro chiacchiere”.
Se gli sguardi potessero
parlare, quello di Vegeta non avrebbe comunicato nulla di positivo. Qualcosa
scattò nuovamente nella sua espressione. La mascella si serrò appena, generando
un ringhio impercettibile, di cui il povero Trunks non si avvide. Senza dire
nulla, Vegeta si alzò dal divano, lasciando tutti di stucco a domandarsi cosa
mai avesse suscitato una tale reazione nel Saiyan. Lo sguardo di Bulma,
disorientato quanto quello dei suoi genitori, si scostò velocemente sul figlio
che, vedendo fuggire il padre, scoppiò in un pianto deluso. Non era ancora
riuscito a raccontargli nulla sugli uccellini.
*
Erano ore che stava in
disparte ad osservare alcuni operai smontare e trasportare pezzi metallici tra i
corridoi della Capsule Corporation. Scopo, lo spostamento fisico della sua
preziosa stanza degli allenamenti.
Avevano cominciato presto,
quella mattina, e dopo aver ricevuto l’approvazione di Bulma, sui progetti del
vecchio, erano passati alla pratica. Vegeta, in tutto questo, restava in un
angolo ad osservare il via vai di persone che faticavano a trasportare
intere pareti o componenti più grandi di loro. Poco importava che, lui, avrebbe
potuto dislocare tranquillamente la vecchia Gravity Room nella sua interezza con
una sola mano e con il minimo sforzo. Anche se era il diretto interessato non
c’era verso di renderlo partecipe ai lavori, né di sperare in un suo eventuale
aiuto. Forse lo si poteva definire un atteggiamento sadico, poiché l’unica sua
attrazione era quella di osservare gli sventurati operai sgobbare come muli pur
di accontentare le sue richieste. Effettivamente poteva quasi dirsi divertito,
constatare per l’ennesima volta la fragilità dei terrestri rientrava sicuramente
nei suoi divertimenti, da qualche tempo. Con somma gioia si fermava a constatare
mentalmente quanto lui, il Principe dei Saiyan, fosse immensamente superiore a
tutti loro. Uno strano sorriso si dipinse sul suo volto, un ghigno perfido e
visibilmente soddisfatto.
Probabilmente avrebbe
continuato a crogiolarsi nella sua infinita grandezza, se non fosse stato per la
voce gioiosa dell’unica terrestre di cui forse era realmente interessato
provenire da dietro la finestra alla quale era appoggiato. Istintivamente si
voltò a cercare anche la sua sagoma, scoprendo suo malgrado che Bulma non era
sola. Davanti all’ingresso dell’immensa casa sostava infatti l’altro terrestre
di cui, per essere precisi, neanche si ricordava il nome. Quello con le
cicatrici, in pratica.
Il sorriso beffardo che gli
incurvava le labbra appena pochi secondi prima si spense drasticamente,
divenendo una smorfia infastidita, senza che lui stesso se ne rendesse conto per
primo.
Cosa fu a trattenerlo, in
quel preciso momento, nessuno sarebbe stato in grado di dirlo. Ogni fibra del
suo essere, infatti, stava fremendo per uscire e mostrare al misero terrestre
una minima parte di quella forza che gli operai al suo fianco sognavano. Forse,
per la prima volta, dovette ringraziare il suo smisurato orgoglio, perché andare
là fuori a uccidere un insulso essere umano necessitava di una spiegazione, che
lui stesso non aveva o fingeva di non avere. Almeno, era sicuro che Bulma lo
avrebbe messo sotto torchio per conoscere una motivazione sensata per i suoi
gesti e, qualcosa dentro di lui, gli suggerì che l’idea di renderla consapevole
di questo buffo fastidio gli sarebbe risultato ancor più seccante. Rinunciò
quindi, annotando mentalmente che, alla prima occasione, quel tizio
l’avrebbe pagata cara.
E mentre i due si
allontanavano ridendo e scherzando tra loro, un uccellino catturò l’attenzione
di Vegeta, che per un insensato motivo si ritrovò ad osservarlo volare tra le
nuvole in alto nel cielo. Per una ragione altrettanto sciocca si domandò, per un
attimo, quale fosse la meta del volatile. Chissà se anche lui stava
tornando a casa.
*
La cameriera poggiò sul
tavolino del bar l’enorme vassoio che trasportava, prima di liberarsi delle due
tazze di caffè che appoggiò di fronte ai rispettivi clienti. E mentre l’uomo
sfoggiò un sorriso da perfetto dongiovanni, la donna si limitò ad osservare la
moca e ad annuire leggermente come ringraziamento. L’inserviente si ritrovò, per
un attimo, ad osservare i due, domandandosi che genere di rapporto c’era. A
prima vista erano una coppia che usciva insieme, ma dai loro sguardi s’intuiva
la mancanza di qualcosa. Tuttavia, la complicità tipica delle persone innamorate
era chiaramente visibile nei loro occhi. In ogni caso non erano affari suoi, lei
si limitò ad allontanarsi dal tavolo accompagnata da un piccolo inchino,
lasciando nuovamente sola la strana coppia.
Bulma, che aveva interrotto
il suo discorso all’arrivo della ragazza, osservò la bevanda nera e densa nel
suo bicchiere per pochi istanti, poi tornò a scrutare lo sguardo dell’amico ed
ex-fidanzato. “Insomma, alle tre di notte Trunks entra piangendo in camera mia
dicendo di aver avuto un incubo terribile” Riprese, suscitando l’attenzione del
commensale, che per un attimo aveva rivolto lo sguardo alla cameriera. “Ahah,
che razza di madre fa vedere al figlio di due anni film sui mostre?” Scherzò
Yamcha, riprendendo a sua volta il filo del discorso. L’altra inarcò un
sopracciglio indispettita, “Ha insistito lui per vederlo, e poi era un programma
per bambini!” Sottolineò, pur di non sembrare, anche solo inconsciamente, una
madre degenere. La sua reazione, forse un po’ esagerata, suscitò una genuina
risata da parte dell’uomo, il quale riconobbe l’atteggiamento dell’amica di
sempre. “Non prendertela, stavo solo scherzando” Si premurò di ricordarle,
mentre la sbirciò sorseggiare il suo caffè con un’espressione indispettita in
volto. Quel’increspatura delle sopracciglia che Bulma manifestava ogni volta che
le veniva fatto notare un suo errore. E Yamcha si ritrovò a sorridere sotto i
baffi, certe piccole cose non cambiavano proprio mai.
“Ad ogni modo…” tornò a
dire lei, nel tentativo di soprassedere sulle sue eventuali colpe. “La cosa più
divertente è stata l’espressione di Vegeta quando si è trovato suo figlio nel
letto. Sembrava che…” “Aspetta un attimo” La interruppe bruscamente l’altro, che
per un secondo aveva sgranato gli occhi. Bulma sollevò lo sguardo dalla sua
bevanda, appoggiando il recipiente sull’apposito piattino, fissando quindi
l’espressione sgomenta del suo interlocutore. “Tu e Vegeta condividete la stessa
stanza adesso?” S’informò un po’ turbato, cercando di figurarsi una situazione
che fino a qualche anno fa non avrebbe mai creduto possibile. La donna lo guardò
con ovvietà, scrutando con attenzione il suo volto, “Non te lo avevo già detto?”
Domandò di rimando, avendo dato forse per scontato un’informazione. Yamcha,
infatti, negò col capo, in un gesto leggero ed appena accennato. Lei si fermò a
riflettere ancora un secondo, poi tornò ad appoggiarsi la tazzina alle labbra,
“Beh, un mesetto fa sono riuscita a convincerlo a trasferirsi in camera mia.
Così abbiamo praticamente rifatto l’intera stanza” Spiegò vaga e senza troppa
precisione, omettendo pertanto la fatica che aveva fatto per persuadere l’essere
più cocciuto, testardo ed orgoglioso dell’intero universo.
Dal canto suo, Yamcha,
sembrò riflettere per pochi istanti. Il suo sguardo si posò sul suo caffè ancora
immacolato, diventando vacuo per un solo istante. Tuttavia, quando i suoi occhi
tornarono ad incrociarsi con quelli azzurri della sua ex non poté fare a meno di
sorridere amichevole. “A quanto pare state diventando una famigliola felice a
tutti gli effetti” Insinuò ridendo ed afferrando finalmente la propria tazza.
Bulma osservò l’amico, alle prese con un’evidente boccone amaro da inghiottire e
che, almeno a lei, sembrò terribilmente lampante. Quel modo un po’ impacciato di
ridere, accompagnato dal gesto di grattarsi la nuca, non lasciava dubbi, la
notizia lo aveva certamente sconvolto. Ma lui era Yamcha, una delle persone più
buone e gentili che aveva la fortuna di conoscere. Forse secondo solo al defunto
Goku. Per questo quell’espressione che nascondeva una punta di amarezza le
sembrò, nella sua malinconia, sincera. Suscitando, pertanto, una nota di
comprensione sul viso della donna stessa.
*
Pual osservò l’orizzonte
dalla finestra del salotto, scostando lo sguardo sul sole che lentamente
scendeva sulla Città dell’Ovest. Il cielo stava cominciando a scurirsi, e anche
gli animali avevano stabilito di tornare nelle proprie case, alla ricerca di un
riparo per la notte. Alcuni uccellini volarono proprio sopra la finestra dalla
quale, l’animaletto, stava osservando il mondo. Il loro cinguettare, per un
momento, lo distolse dal rumore della porta d’ingresso che si aprì lentamente.
“Ciao a tutti” salutò il nuovo venuto, richiudendo l’ingresso appena mise piede
in casa.
Yamcha si guardò attorno
per un secondo, notando per primo il maialino trasformista, seduto di fronte
alla televisione e distratto da un programma di aerobica. Non impiegò molto ad
individuare l’amico di vecchia data dal manto blu, che appena riconobbe la voce
del padrone di casa gli volò in contro. “Yamcha!” lo accolse Pual, adagiandosi
sulla spalla del compagno e strofinandogli una guancia in un gesto affettuoso.
L’umano sorrise, accarezzando gentilmente il gattino, prima di sfilarsi la
giacca.
Pual, impaziente, osservò i
gesti dell’uomo, fino a seguirlo verso il divano del salottino. “Allora? Com’è
andata con Bulma oggi?” Volle sapere subito, appena vide l’amico stravaccarsi
sul sofà. Yamcha si stiracchiò per pochi istanti, prima di assumere un’aria
perplessa e pensierosa. Quell’espressione, leggermente turbata, non sfuggì al
buffo gattino, che preoccupato aggrottò le sopracciglia in fremente attesa di
una risposta. “Direi bene” stabilì infine il nuovo arrivato, non imprimendo
nella frase una sufficiente convinzione. Nemmeno questo scappò al trasformista
volante. “Però?” Lo incalzò quindi, avendo senza difficoltà intuito l’esistenza
di un altro pezzo di discorso.
Olong, nel frattempo,
spense la televisione, dopo aver salutato virtualmente le ginnaste in tute
colorate ed attillate. Per la prima volta, da quando era rientrato, si degnò di
rivolgere uno sguardo all’amico umano, avvicinandosi a sua volta al divano, con
lo scopo di partecipare al dialogo.
Yamcha si lasciò andare ad
un profondo e rassegnato sospiro. Le sue braccia si intrecciarono dietro la
nuca, mentre lui rivolse al soffitto uno sguardo ancora un po’ titubante. “Beh,
niente. È solo che mi mancavano queste uscite con lei, tutto qui” confessò
infine, mentre un sorriso dai risvolti un po’ amari si dipinse lentamente sulle
sue labbra. “Yamcha” sussurrò a suo fianco il gattino, dispiaciuto sinceramente
per l’amico un po’ affranto. Nel sentir pronunciare il proprio nome, il padrone
di casa, scostò lo sguardo sull’animaletto, scoppiando quindi in una risata
genuina. “Non preoccuparti per me, Pual, io sto bene” Lo rassicurò, comprendendo
immediatamente i pensieri dell’altro.
“Non capisco perché vi
siete lasciati. Tu eri molto meglio di quel tipo” Esternò Olong,
incrociando le braccia e ripensando all’espressione del nuovo compagno
dell’amica. Un sussulto lo colse all’improvviso, facendolo vistosamente tremare.
“Brr… quello ha uno sguardo che mette i brividi” ammise appena un secondo
dopo, ottenendo l’attenzione degli altri due. E se Pual era sul punto di
richiamare all’ordine l’altro trasformista, Yamcha si limitò a ridere
nuovamente, ma questa volta con una punta di malinconia. Fu proprio
quell’ilarità così spontanea a conquistare gli sguardi dei due inquilini. “A
quanto pare lui è stato più bravo di me” confidò loro, issandosi in una
posizione seduta ed appoggiandosi allo schienale del divano. “Stai dicendo che
Bulma sta meglio con quello che con te?” Si sorprese Olong, sgranando gli
occhi ed osservando l’umano con sgomento. Yamcha annuì “Ehh, pare di sì”
riconobbe, grattandosi la nuca e ridendo sguaiatamente, quasi con imbarazzo.
Pual osservò l’amico per
qualche istante, captando perfettamente i suoi pensieri. Lo sguardo del gattino
s’intenerì, diventando comprensivo, quasi compassionevole. “Mi dispiace, Yamcha”
Si lasciò sfuggire, cercando di essere, in qualche modo, d’aiuto al compagno
d’avventura. Ma lui si voltò a guardarlo con stupore, non capendo appieno quella
strana frase. “E di cosa? Io sto bene, davvero” Lo rincuorò, alzandosi dal sofà
e sgranchendosi nuovamente. “Sicuro?” Si preoccupò nuovamente l’animale dal
manto azzurro, ma l’umano si limitò ad un cenno positivo del capo. “Sono stato
meglio con lei in queste ultime ore, rispetto agli ultimi anni in cui stavamo
insieme. Alla fine è meglio così” Sancì risoluto, scostando lo sguardo sulla
finestra.
I suoi occhi, per un
istante, scorsero un uccellino che, seppur solitario, cinguettava felice
alla ricerca di una possibile compagna nel cielo primaverile. Lui era proprio
come quel volatile. Sorrise al pensiero.
Pual e Olong, alle sue
spalle, si fissarono l’un l’altro, e mentre il gattino fece spallucce scuotendo
il capo, il maialino sospirò pesantemente. “E’ tutto matto” mormorò quindi a
denti stretti.
*
Gli occhi di Bulma si
soffermarono per più di un lungo istante sulle spalle dell’uomo che occupava il
lato opposto del letto. Sembrava voler a tutti i costi focalizzare quella
figura, come per rendersi effettivamente conto che lui era lì. Da un mese
circa, tutte le sere, la donna si fissava sulla schiena del Saiyan, pur di
assicurarsi mentalmente che non fosse solo il frutto di una sua strana fantasia.
Oppure che lui non fosse lì esclusivamente per altri scopi. Dopo qualche minuto,
resasi conto che quella era la realtà, si accomodò al suo fianco, cercando di
costatare la propensione solo dalle scapole del Principe che, per qualche strano
motivo, da un paio di giorni pareva di pessimo umore.
“E’ stata una bella
giornata oggi, con Yamcha. Erano anni che non passavamo un pomeriggio così
tranquilli” Azzardò a dire la terrestre, lasciandosi scivolare sotto le coperte,
solo dopo aver spento l’ultima luce. Nonostante ciò, percepì dall’altra parte
del materasso un leggero scatto nervoso. “Abbiamo parlato del più e del meno e…”
Si bloccò per un secondo, ripensando all’espressione dell’amico quando lo aveva
informato della sua attuale situazione coniugale.
“A quanto pare state
diventando una famigliola felice a tutti gli effetti”
Sorrise, ripensando a
quella frase e all’espressione con la quale lui l’aveva pronunciata. “…Yamcha è
davvero un bravo ragazzo” Si ritrovò a dire, colta da una leggera nostalgia nei
confronti del suo primo grande amore. Restò un secondo in silenzio, ascoltando
il rumore dei propri pensieri. “Si è anche offerto di occuparsi di Trunks se…”
“Sta zitta una buona volta! Mi sono stufato di sentirti parlare, voglio dormire,
quindi vedi di piantarla!” Sbottò all’improvviso il Principe dei guerrieri,
issandosi in una posizione seduta e fissando la compagna con notevole fastidio.
Bulma lo scrutò per qualche
secondo, con un’espressione confusa, senza comprendere le ragioni di quello
scatto improvviso. Vegeta, al contrario, le riservò un’occhiata tutt’altro che
amichevole, intersecando le braccia e sperando di ottenere il prima possibile il
silenzio richiesto. “Ma che ti prende?” Mormorò quindi la terrestre, accendendo
nuovamente la luce per poterlo esaminare con più attenzione. “Non mi piace
ripetermi” ribadì ringhiando l’altro, aggrottando le sopracciglia notevolmente
increspate. La donna lo fissò con attenzione per qualche istante in più, nel
tentativo di leggere i suoi pensieri.
“Ah!” esclamò infine,
sgranando gli occhi e cercando quelli scuri del compagno, “Vegeta, non sarai
mica… geloso?” farfugliò quasi incredula avendo infine intuito ciò che lo stava
tormentando. Per tutta risposta, il Saiyan, scostò lo sguardo altrove,
evidentemente intenzionato a non guardarla affatto. “Tsk, idiozie” Ribadì fermo,
serrando le mandibola con rabbia, quasi contraddicendo le sue parole.
Bulma rise, nell’osservare
una scena che, qualche anno fa, mai si sarebbe aspettata di vedere. Il suo dito
si poggiò delicatamente tra le sopracciglia dell’uomo, nel punto in cui esse
erano più aggrottate. Vegeta, che non si aspettava quel gesto, fissò per un
attimo la mano che si materializzò davanti a sé, assumendo un’espressione quasi
sgomenta. I suoi occhi, infine, cercarono istintivamente quelli di lei,
incastonati in un viso sorridente e sereno. “E’ così invece, lo capisco dalle
tue sopracciglia” asserì la donna, “Sono piegate a livello gelosia”
aggiunse in un secondo momento, quasi divertita.
Vegeta la osservò ancora
per un attimo, prima di riacquistare la sua immancabile espressione severa,
scacciando, come se fosse una mosca fastidiosa, quella mano; per poi tornare a
fissare altrove. Anche Bulma divenne più seria, mantenendo tuttavia un moto di
dolcezza nello sguardo.
La timida luce accesa sul
comodino di lei illuminava il volto imbronciato del Saiyan, che si ostinava a
non guardarla. La terrestre, infine, non poté fare a meno di sfiorare la guancia
dell’uomo, che colto alla sprovvista si scostò come se avesse appena toccato del
fuoco. Vegeta fissò le dita della donna per qualche istante, prima che esse si
appoggiassero definitivamente sul suo volto, accompagnata dall’altra mano. Bulma
lo costrinse a girarsi, e quando i loro occhi s’intrecciarono nuovamente lei gli
sorrise. “Vegeta, non hai alcun motivo per essere geloso” Cominciò lei, causando
l’inarcarsi confuso di un sopracciglio da parte del compagno, di stanza e non
solo. “Yamcha è un caro amico. Ma alla sera, quando si spengono le luci su una
dura giornata lavorativa, o dopo essermi occupata di Trunks, è vicino a te
che voglio passare le mie ultime ore, prima di addormentarmi”.
Le braccia della donna si
strinsero attorno al suo collo in un abbraccio che al Saiyan parve leggero.
Eppure, quel gesto per lui così inconsistente, sembrò avere il potere di
soffocarlo. Vegeta si limitò a restare in silenzio, inspirando il profumo dei
capelli di lei che, lentamente, stava cominciando ad apprezzare.
*
Lontano da quella stanza,
un piccolo uccellino si appollaiò su un albero, ad aspettarlo la sua compagna,
in attesa di potersi accoccolare vicini, per affrontare l’ennesima notte
insieme. Anche lui aveva trovato il suo nido.
*
FINE
*
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