Cadevo a terra con solo i suoi vestiti stretti al
petto,
come se potessero trattenere qualche frammento di lui, come se riuscissero
a
trattenere Gin. Ma quei cristalli ormai volavano come foglie al vento,
libere,
senza costrizioni.
Perché?! Perché
l’unica
cosa che amavo doveva andare via!
Il mio viso era solcato dalle lacrime che
arrossavano la
pelle in modo non naturale... non capivo, forse non volevo capire,
stingevo
convulsamente le sue vesti, sapevano di lui, del suo profumo, che avevo
sempre
potuto sentire solo sa distante, mai sulla mia pelle, mai vicino a me.
Lui sen ne era andato via, non c’era più, non era
più con
me, non mi avrebbe più tenuto compagnia, non avrei potuto stare sdraiata
al
sole caldo con lui a riposarmi, non avrei potuto godere del modo in cui mi
faceva sentire. perchè lui mi faceva sentire bene, mi rendeva felice, ogni
anno
quando tornavo a casa degli zii non vedevo l’ora di andare da lui per
sentirmi
protetta come al solito, per divertirmi insieme a lui, per far volare gli
aquiloni.
Lui non c’era più, non esisteva, non faceva più
parte di
questo mondo, non era più niente, se non un mero ricordo che sarebbe stato
dimenticato col tempo.
Ecco cos’era: un ricordo, e io dovevo farmene una
ragione,
ma non ci riuscivo, non aspettavo più l’estate, non aspettavo niente
cercavo
solamente di non farmi male pensando costantemente a lui, ma forse non
sarebbe
servito. Io pensavo a lui costantemente, non riuscivo a fare altro, era un
pensiero
fisso, qualcosa di costante nella mia vita, di costante e irraggiungibile,
intoccabile, impalpabile.
Lui... lui... non c’era e continuava a non esserci,
io
volevo solo rivederlo! Volevo solo stargli accanto, non mi importava come,
volevo riavere la persona che amavo di più.
La sua maschera... quando la prendevo in mano,
sfioravo
le guance immaginando di toccare Gin, sperando che lui balzasse fuori da
un
momento all’altro e mi colpisse con un bastone.
Inspiravo ed espiravo e ad ogni respiro pensavo a
lui,
dicendomi che avrei smesso, ma il respiro dopo arrivava, mandando via il
pensiero di prima. Ogni volta che espiravo mi sentivo leggera, credevo di
poterlo dimenticare, di poter andare avanti, ma quando arrivava il momento
di
inspirare tutta l’aria mi entrava dentro piena di ricordi e promesse,
piena di
lui.
Gin era... Gin, non poteva essere dimenticato,
sarebbe
stato impossibile per chiunque.
Molte volte pensando a lui avevo sperato che quel
respiro
fosse l’ultimo, ma poi ragionavo... non so neanche su cosa, sapevo di
doverlo
ricordare, era un dovere, dovevo soffrire per il resto della mia vita: mi
ero
innamorata di uno spirito. A volte mi chiedevo se fosse stato meglio non
averlo
incontrato, avrei sofferto di meno. Anzi, non avrei sofferto, e gin non
sarebbe
scomparso, perché sapevo che era colpa mia se era scomparso, lui era lì
con me,
avrei dovuto impedire che... che lui... svanisse.
Il nostro posto era rimasto uguale, non era cambiato
di
niente.
Tutto era andato avanti senza di lui. Doveva
accadere il
contrario, io sarei dovuta andare a vanti, invecchiare e lui sarebbe
dovuto
rimanere giovane e bello, come era sempre stato.
Attraversando il bosco una miriade di ricordi mi
invasero
la mente come un fiume in piena, ricordi che non mi lasciavano mai, ogni
giorno, ma più insistenti del solito, senza essere contenuti, e dopo tanto
tempo che non tornavo lì, in mezzo agli alberi la mia testa non voleva
smetterla di girarsi da una parte all’altra per vedere, per ricordare
meglio.
E come i ricordi, le lacrime traboccarono portandosi
via
quelle sensazioni e sostituendole con nuove ma uguali allo stesso tempo.
Allora cominciai a correre, la maschera in mano, gli
spiriti ai lati che mi guardavano con tristezza. Corsi più forte che
potei, fio
al centro dello spazio sgombro da alberi, fino ad altri ricordi.
«Per favore!» ridai disperata.
«Gin!Ti prego torna da me! Ti prego, ti prego!»
continuavo a gridare e le mie lacrime continuavano a traboccare e cadere
sul
prato.
«Per favore Dio della Montagna! Per favore!
Restituiscimi
il mio Gin! Farò qualunque cosa! Te ne prego!» dissi «C’è stato un motivo
del
nostro incontro, e se sei stato tu a farci incontrare, te ne prego,
ridonami la
felicità!» dissi tra i singhiozzi e cadendo a terra.
L’erba era umida e poco a poco mi addormentai trai
singhiozzi.
Quando mi risvegliai non vidi l’erba davanti
agli’occhi,
ma terra, ero al caldo e stavo bene, un odore familiare mi pervase le
narici e
allora mi girai di scatto.
Lui... lui era lì.
Mi guardava.
Il mio labbro inferiore iniziò a tremare, come
poteva essere
lì? Era un sogno?
«Sei... sei veramente tu?» chiesi muovendo un passo
in
avanti.
«Sì, Hotaru» rispose lui sorridendo.
«È tutto un sogno?» chiesi facendo un altro passo
verso
di lui.
«Dipende: per sogno cosa intendi?» chiese lui con il
suo
splendido sorrisetto.
Aveva il coraggio di prendermi in giro? Dopo tutto
quello
che.... «Non importa. Dimmi solo se ti posso toccare» lo pregai in
silenzio.
Lui per rispondere allargò le braccia come aveva
fatto
quella volta, e come quella volta io non esitai a fiondarmi fra le sue
braccia.
Mi strinsi forte a lui, e lui a me.
«Gin...» dissi, come se fosse una preghiera.
Alzai la mano e con cautela la misi sulla sua
guancia,
sentendone per la prima volta il calore e la morbidezza.
Lui avvicinò il suo volto al mio e fece scontrare le
nostre labbra.
Mi baciò.
Mi stava baciando.
Mi slanciai verso l’alto mettendo anche l’altra mano
sulla sua guancia e lo baciai in risposta. Gin era lì e mi stava baciando.
Eravamo fuoco, ci intrecciavamo e toccavamo sentendo l’uno il calore
dell’altro, il più grande desiderio di entrambi. Io non lo toccavo, lo
sentivo,
sentivo tutto attraverso la sua pelle, tutto, il calore, l’amore: il mio
amore
smisurato verso di lui.
«Hotaru... »
Il bacio continuò, non volevo staccarmi da lui, non
era
il momento di parlare, non in quel momento, ma il fiato cominciò a mancare
e
dovetti staccarmi da lui.
«Hotaru, io ti amo» disse lui quando aprii gli
occhi.
«Anch’io» risposi subito guardando i suoi occhi
cercando
di trasmettergli il mio amoro non solo con le parole.
«Come è possibile tutto questo?» chiesi
accarezzandogli
la guancia e sentendo una lacrima scendere sulla guancia.
«È grazie a te» rispose mettendo la sua mano sul mio
volto per asciugarmela «Qualcuno ti ha ascoltato.»
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