Gave up
Titolo:
I
gave up on my dreams and you got me a new one
Pairing:
Viktor
Nikiforov / Yuuri Katsuki
Genere:
romantico,
triste, sentimentale, semi-AU
Rating:
giallo
Warning:
shonen-ai
Summary:
Yuuri lavora al palaghiaccio di Hasetsu dopo l'abbandono della
carriera professionista. Un giorno si presenta alla porta Viktor
Nikiforov, di cui è fan da quando è ragazzino, che
occupa la pista per due mesi in vista del prossimo Grand Prix. Yuuri
non è sicuro se esserne felice o terrorizzato a morte e, nel
dubbio, è un po' tutti e due.
Chapters:
1/1
Credits:
Yuri
on Ice, questi bambini splendidi e tutto il resto appartengono a
Kubo-sensei e ai produttori della serie (bless them) e, a parte la
soddisfazione personale di scriverci sopra, non ci guadagno nulla (se
non sudore, fatica e lacrime perché ci ho messo due/tre mesi per
concluderla, ahah).
#Dedico
questa schifosissima oneshot alla mia cara amica Glass che sclera
sempre con me su questi scemotti sul ghiaccio e non mi lascia mai
sola quando grido e urlo che sono bellissimi <3 SURPRISE, BOAZ!
Spero ti piaccia più di quanto sia piaciuto a me scriverla
(che davvero ci ho versato sopra le lacrime e il sangue XD). Ti
voglio tantissimo bene!
#Ringrazio
inoltre Neko per avermi sopportata durante la fase di stesura (ti
voglio bene, grazie ;_;) e i ragazzi del gruppi telegram per
l'incoraggiamento, thank you guys!
#Che
dire, non pubblico da tre anni e non scrivo da altrettanti, so
andateci piano (no, non è vero, se fa schifo fate benissimo a
dirmelo).
Ho
una paura tremenda di aver cannato Yuuri in molti punti, quindi spero
che per lo meno sia passabile in generale. Hope you like it and see
you soon!
I
gave up on my dreams
but
you got me a new one
Yuuri
ha freddo. Non freddo freddo
ma comunque freddo.
Ci è abituato, un po’ perché ad Hasetsu fa sempre freddo
– e
davvero, è
pieno inverno, dovrebbe avere l’armadio pieno di indumenti
pesanti e lui invece potrebbe lanciarli in aria e volerebbero via, e
sul serio, perché? – e deve mettersi due maglioni per uscire di
casa e passeggiare in strada senza ibernarsi.
Per
andare a lavoro fa sempre la stessa strada: rettilineo per il mare,
dritto dritto dritto, giri a sinistra, dritto dritto dritto, destra,
un chilometro di salite, cinquantasette gradini – di cui il
trentanovesimo è scheggiato e davvero, dovrebbe smetterla di
inciamparci sopra tutte le volte – e poi l’imponente e
orrenda sala di pattinaggio che lo aspetta stoica e sembra dirgli
“sei nato qui e morirai qui, lavorando per me”.
Fa
una smorfia. Detesta quel posto, ma adora la pista di pattinaggio e
comunque non è davvero portato per fare... beh, niente.
Che abbia un lavoro,
per quanto facile, è già un miracolo. Quindi non si
lamenta. Non davvero, almeno.
Non
c’è ancora nessuno – beh... non c’è
quasi mai nessuno a dire il vero – e ha tutto il tempo per
infilarsi i pattini e andare sul ghiaccio.
In
teoria non potrebbe ma Yuuko non c’è per rimproverarlo.
Certo, si rimprovera da solo, ma non si è mai visto in buona
luce quindi non è davvero importante, no?
—
Yuuri
non è bravo a pattinare. Almeno, non lo è adesso. Lo è
stato, un po’, quando era più giovane ma non è
mai diventata una carriera perché non si è mai sentito
in grado? Qualcosa del genere. Non che abbia molta importanza,
comunque. Ad essere onesto con se stesso, forse avrebbe potuto
provarci, ma la sua – poca, inesistente, inutile? –
autostima è stata più forte della sua volontà.
Non
ha mai raccontato a nessuno del fatto che la ritiene una sconfitta –
e d’altra parte dirlo adesso non cambierebbe nulla quindi
preferisce tenerlo per sé e conviverci.
Il
motivo per cui continua a lavorare alla pista di pattinaggio, in
parte è anche quello – escluso il fatto che, come detto
prima, non sa fare davvero molto altro – ma probabilmente
dipende anche dal fatto che non è mai riuscito a staccarsi del
tutto dall’idea di diventare un professionista.
Ha
20 anni. A quest’età i pattinatori stanno già
cominciando a pensare a cosa fare dopo,
non considerano certo di partecipare a gare agonistiche – e
okay, lui ci ha partecipato una volta ma non è andata bene e
non vuole davvero ricordarlo, grazie –.
È
troppo tardi, e a volte i sogni vanno semplicemente messi nel
cassetto e lasciati lì.
E
Yuuri è troppo intelligente per ignorare la realtà.
—
Quando
esce dalla pista e torna alla reception – se un bancone
scheggiato e una sedia che scricchiola può chiamarsi reception
– Yuuri sente puzza. È un odore sgradevole e gli da
fastidio. Sa di pelle e treni in movimento e colazione stantia, ed è
più o meno come quando fai un viaggio di venti ore e ti
ritrovi sporco, stanco e senza farti una doccia decente da tipo due
giorni.
Quando
solleva lo sguardo, si ritrova davanti una scena strana. O meglio,
strana sarebbe se ci fosse un gruppo di gnu a sostare all’ingresso
della pista di pattinaggio. Yuuri di cose strane nella sua vita ne ha
viste un po’ (nell’Honsen di famiglia ne sono capitate di
tutti i colori), quindi gli gnu non sono davvero qualcosa che lo
sorprenderebbe vedere. Quello che lo sorprende invece è
trovarsi davanti un gruppo di persone, bardate come se fossero appena
tornati da una camminata fantastica in mezzo alle montagne e fossero
poi ruzzolati giù portandosi dietro la neve, tutto l’impianto
sciistico e pure qualche albero nella discesa.
Ad
Hasetsu fa freddo, questo l’ha appurato, ma non così
tanto
freddo da vestirsi come se fossero appena scesi dall’Himalaya.
Quindi,
ricapitolando, rimane sorpreso – o fossilizzato,
rende più l’idea –, aspettando. Non sa neanche
cosa ma, beh, aspetta. Una delle persone – ammesso che siano
persone perché sono davvero conciati male e non si vede, beh,
niente?
– si toglie sciarpa e cappotto (era un cappotto?) e rimane
solo con gli occhiali scuri.
Capelli
grigi e una linea del collo che davvero...
Si
toglie gli occhiali. Ha le iridi luccicanti e sono a metà fra
il grigio chiaro e l’azzurro oceanico.
Yuuri
ha un brivido quando lo riconosce – anche se potrebbe anche
essere un principio di infarto, e non sarebbe neanche così
strano –.
Viktor
Nikiforov, cinque volte vincitore del Grand Prix e campione del mondo
di pattinaggio artistico è alla pista dove lavora, vestito in
emergenza terza guerra mondiale e con un sorriso sulle labbra capace
di incendiare le foreste.
Yuuri
può vantare un profondo autocontrollo. Sul serio. Ha un sacco
di difetti ma l’autocontrollo, oh,
su quello non lo batte nessuno. Potrebbe esplodere la spiaggia, o
anche casa sua, e lui sarebbe posato, tranquillo, calmo.
Quindi
ci rimane.
Nel
senso di calmo, non di morto – anche se, oddio...
è davanti a Viktor Nikiforov, che è tipo il suo idolo
da dieci anni, ha la camera tappezzata di poster suoi e ha chiamato
il suo cane come lui, ma ehi, autocontrollo,
sicuro – si veste di una faccia da poker che non gli appartiene
e apre la bocca per dire qualcosa.
Il
problema è che non dice niente. La gola gli si è chiusa
completamente e fa un po’ la figura del pesce – e anche
a quella ci è abituato quindi non importa davvero –.
“Scusa?”
Parla
inglese. Ha una voce calda e squillante, Yuuri non se la immaginava
così dal vivo – o forse non se la immaginava proprio,
perché insomma quando mai ci pensi che parlerai con l’uomo
che ha colonizzato la tua esistenza da sempre? –.
“Sì.
Posso aiutarvi?”
Concentrazione,
Yuuri. Concentrazione. Sii professionale, sii cordiale, sii sveglio.
“In
realtà spero di sì. Io, il mio coach e due miei
colleghi siamo appena arrivati e vorremmo prenotare la sala di
pattinaggio.”
Parla
troppo veloce e Yuuri fa una certa fatica a seguirlo – perché
okay, con l’inglese se la cava, ma Viktor parla con una
padronanza della lingua allucinante e lui è davvero
arrugginito – ma annuisce.
“Per
quanto tempo? Un’ora o due?”
“Due
mesi.”
A
Yuuri scivola la mano sul foglio di prenotazione, tagliandolo a metà
con la penna.
“Due
mesi? Due-- in che senso due mesi? Hai detto due mesi?”
“Hai
dei problemi uditivi?”
Certo,
Yuuri non è mai stato una cima ma quantomeno ci sente
benissimo, grazie.
“No...
scusate. Ci capitano raramente dei clienti che affittano la pista per
così tanto tempo.”
“Abbiamo
intenzione di rimanere ad Hasetsu per un po’, in vista del
prossimo Grand Prix. Ci hanno proposto una campagna fotografica che
occuperà il tempo da qui alle qualificazioni.”
Già,
il Grand Prix. Manca poco, in effetti.
“Capisco.
Prenoterò la sala per voi, allora.”
A
Yuuri tremano le mani. Lo sguardo di Viktor è persistente su
di lui e, sul serio, se si voltasse un secondo potrebbe anche finire
il suo lavoro senza buttare un documento dietro l’altro...
aaah, Yuuko lo ucciderà.
“Pattini?”
Un’altra
riga sul foglio. Ma porc-
“Come?”
“Ho
visto i segni dei pattini sui pantaloni. Sai pattinare?”
“So
solo stare in piedi.”
Viktor
ride. Yuuri deve costringersi a tenere la penna saldamente fra le
dita – ed è probabilmente la cosa più difficile
da quando ha cercato di imparare ad allacciarsi le scarpe da piccolo
–.
“Ragazzino,
sai dove possiamo richiedere delle stanze? Un albergo dove pernottare
per le prossime settimane? Abbiamo bisogno di un posto abbastanza
vicino e che sia pulito e ben tenuto.”
Yuuri
porge i fogli a Viktor, mentre un altro dei presenti si libera di
sciarpa e cappotto. È un uomo più anziano, decisamente
basso e con uno strano cappello in testa. Ha gli occhi gentili ma il
viso scontroso. A differenza di Viktor, che l’inglese lo
mastica come se fosse suo, l’accento è davvero marcato e
le parole sono strascicate fra loro.
Non
sa chi sia, ma prima Viktor ha parlato di due colleghi e un coach,
quindi probabilmente è il coach.
“Mia
madre gestisce una pensione non lontana da qui... è piccola ma
discreta” diventa subito rosso quando Viktor lo guarda –
e si odia, odia,
odia, odia il
suo viso così stupidamente pallido – “se volete
posso portarvici più tardi.”
“Sarebbe
magnifico.”
“Mi
sta bene finché muoviamo il culo e andiamo a mangiare
qualcosa, sto morendo di fame.”
“Yuri...”
Nel
complesso, Yuuri non pensa di avere un brutto viso – certo,
mettendolo a paragone di Viktor Nikiforov, più Dio che uomo, è
un po’ come sputarsi in faccia da solo – ma il modo in
cui il terzo componente del gruppo lo guarda, un ragazzino dai
capelli biondi e gli occhi verdastri (o bluastri? Non sa distinguerne
il colore), lo fa sentire più che insignificante – non
che si senta significante,
di solito, è abbastanza abituato a quella sensazione –.
“Posso...
scusate, posso chiedere perché siete vestiti così?”
Viktor
guarda se stesso e poi gli altri. In effetti, deve pensare, sembrano
appena usciti da un film di sopravvissuti a qualche catastrofe
naturale, condito da una doccia di grandine e rami d’albero
volati in faccia a tutti e quattro (il quarto ragazzo è
comunque quello più silenzioso, e gli fa un po’ paura,
ma non sembra davvero cattivo quindi Yuuri cerca solo di, beh, non
guardarlo, tipo?).
“Eravamo
in montagna per un servizio fotografico. Ci hanno rubato le valige e
metà delle nostre cose, questi erano gli unici vestiti che
avevamo.”
Viktor
ride. A Yuuri si incendia il petto come se avesse guardato nella
bocca di un vulcano in eruzione, o come se il sole stesse esplodendo
davanti ai suoi occhi e non avesse lenti 3D con cui proteggersi le
cornee (ma anche se fossero tutte e due le cose insieme Yuuri non si
sorprenderebbe, non sul serio, almeno).
—
Alla
fine, Viktor e gli altri decidono di alloggiare alla locanda. Yuuri
non è sicuro sul fatto di aver avuto un’incredibile
botta di fortuna o, più probabile, che qualcuno stia cercando
un modo divertente per ucciderlo.
Perché
è chiaro che vedere Viktor Nikiforov uscire dalle terme
completamente nudo sia uno scherzo strano di qualcuno che sta
attentando alla sua vita o qualcosa del genere – o forse è
lui che sta cercando di suicidarsi, perché insomma Viktor l’ha
invitato a casa di sua spontanea volontà, quindi, ecco, non è
stata proprio una mossa intelligente –.
Avere
il suo idolo che dorme a due metri dalla sua camera è qualcosa
che non avrebbe mai creduto possibile e anche scoprire che è
completamente diverso da come credeva fosse.
Viktor
sembra tanto sicuro e tanto meraviglioso sul ghiaccio come in realtà
è divertente e sarcastico fuori. Gli piace bere e mangiare e
ogni volta che assaggia qualcosa di diverso della cucina di sua madre
fa sempre quella faccia strana che Yuuri trova adorabile, con le
piccole rughette intorno alle labbra e sulla fronte.
Scopre
che adora pattinare da solo. Più di un paio di volte lo ha
trovato sulla pista, su passi inventati sul momento e coreografie che
in realtà non nasceranno mai, a canticchiare sul nulla o
semplicemente a scivolare sul ghiaccio, con chissà quali
pensieri in testa.
Lo
trova più bello adesso rispetto all’immagine di Viktor
che si era dipinto in quegli anni e rischia un colpo al cuore almeno
due o tre volte quando gli chiede di portargli un asciugamano, mentre
lui è nudo e senza pudore in mezzo al corridoio.
Deve
ricorrere a tutte le sue energie per non inciampare sul pavimento,
sulla porta e sul lavandino mentre corre in camera e sul lavandino,
sulla porta e sul pavimento quando torna indietro. Viktor non fa
nemmeno finta che non lo faccia ridere vederlo tutto rosso e
semi-distrutto per colpa sua.
Grazie
tante.
—
A
Yuuri non piace litigare. Beh... a nessuno piace litigare, non è
che uno si sveglia la mattina e decide che, ehi,
litigare
sembra proprio una buona idea, proprio
no, però, il punto del discorso è che a Yuuri non piace
proprio
per niente
litigare e ancora meno che qualcuno gli si avvicini con la voglia
palese di prenderlo a ceffoni in faccia.
Succede
un giorno, un giorno qualunque a dire il vero. Solita colazione,
solito Viktor che vaga in vestaglia nel corridoio, solito Yakov che
vuole il caffè freddo in un tazzone per il riso (no, non ha
voluto indagare, e sì, va bene così, grazie) e solita
mamma che lo accompagna alla porta quando esce per andare a lavoro,
un bacio sulla guancia e “stai attento, fai piano, il
trentanovesimo gradino!” con particolare enfasi su
trentanovesimo.
La
pista è già aperta e Yuuri non si stupisce neanche di
quello (d’altra parte si stanno allenando per il Grand Prix,
mica per la gara di Pizza e Fichi).
Yuri
Plisetsky – che sa come si chiama grazie alla firma sul libro
degli ospiti, non perché si sia davvero presentato –
deve essere sulla pista già da un po’.
Non
che Yuuri sia un attento osservatore di solito, ma si è già
tolto il maglione ed è sudato come se avesse corso venti
chilometri rincorso da un branco di iene affamate quindi sì, è
abbastanza sicuro che ci sia da tempo ad allenarsi. Decide di non
disturbarlo.
Voleva
fare due giri sul ghiaccio ma, come anche tutte le altre mattine,
dovrà rinunciare.
Comincia
a diventare nervoso. Non ha mai trascorso tanto tempo senza pattinare
ma è lavoro e per quanto faccia schifo, beh, è il suo
quindi taci e lavora
schiavo.
“Che
diavolo stai facendo qui?”
Inciampa
nel nulla e giusto l’aggrapparsi al muro gli impedisce di
rovinare a terra e poi essere costretto a raccogliere i suoi pezzi
con l’aspirapolvere. Si volta. Yuri ha l’espressione di
uno che se avesse avuto un trinciapollo a portata di mano glielo
avrebbe volentieri lanciato in un occhio per renderlo orbo.
“Ci...
lavoro?”
Una
risposta degna di un premio Oscar, sul serio, bravo Yuuri.
“Non
capisco cosa ci veda Viktor in un deficiente come te.”
Yuuri
inarca un sopracciglio. Non ha capito?
“Non
ci vede niente. Sono solo un impiegato.”
È
la verità ma non è comunque bello sentirselo dire.
Specie se se lo dice da solo.
“Non
so se sei stupido o se lo fai apposta. Mi irriti.”
Beh...
che non gli stesse simpatico l’aveva capito, ma grazie per
averlo detto a voce alta.
“Mi
dispiace.”
“Non
dispiacerti. Se sei stupido non puoi farci niente.”
Yuuri
non può davvero replicare. Non dice niente e Yuri lo ignora
per il resto del tempo. Rimane a guardarlo sulla soglia della porta
finché rimane sulla pista e si ritrova più di una volta
a pensare che, forse, in un’altra vita, anche lui avrebbe
potuto pattinare così.
Quando
Viktor e gli altri arrivano, a Yuuri è già passata la
voglia di scendere sul ghiaccio.
—
La
verità è che, nonostante si insulti da solo un giorno sì
e l’altro pure, Yuuri sa di non essere poi una così
brutta persona. Come detto prima, non è una cima certo, ma ha
molti interessi e molto variegati.
Ci
sono molte cose della sua personalità che cambierebbe –
l’essere un senzapalle,
come
gli ha detto Yuri una volta, è al primo posto della lista –
ma in linea di massima non se la sente di lamentarsi troppo
(lamentarsi no, ma ecco, se andasse tutto un pochino meglio, meno
storto, insomma...).
Come
gia anticipato, a Yuuri non piace litigare e di solito non succede –
o cerca di evitarlo, davvero, non è un attaccabrighe –
almeno finché una mattina, Yuri non gli lancia una ciotola di
riso in faccia e beh, ecco, non è esattamente il modo migliore
di cominciare la giornata (specie se già sei scivolato giù
dal letto, incriccato
nelle
coperte come un salame e hai rischiato di sbattere la testa contro lo
spigolo di una porta mentre cercavi di arrivare in bagno incolume).
Yuri
lo detesta. Non sa perché, considerando che in tre settimane
hanno parlato poco e niente – quattro volte? Cinque? E solo
perché lo ha praticamente costretto – ma è
abbastanza palese l’odio nei suoi confronti. Per quanto non
sappia perché?
Comunque,
la storia è che gli tira una ciotola di riso in faccia nel
silenzio in generale.
Si
ritrova con il volto coperto di salsina persino dentro al naso (come
diavolo ha fatto a finirci non lo sa proprio e non intende indagare,
grazie tante).
“Potresti
calmarti, Yuri-kun?”
“Non
capisco come riesci a vivere una vita senza alcun significato. Non ti
senti inutile?”
Yuuri
trattiene un po’ il respiro. Solo un po’. Il tanto che
basta per non strozzarsi (e per evitare di mettersi a piangere,
anche).
“Alcune
volte.”
E
davvero, in realtà Yuri non ci è andato poi così
lontano.
“Smettila,
Yuri.”
Viktor
lo riprende e Yuri tace. Ma ormai ha detto quello che doveva dire –
e sul serio, non è arrabbiato, non è come se non sia
vero comunque –. Yuuri riempie un’altra ciotola di riso e
la mette sul tavolo. Finiscono la colazione in silenzio, Viktor non
smette di guardarlo e lui, beh, non è davvero offeso con Yuri.
Userebbe la parola rassegnato ma è troppo rassegnato per
essere rassegnato più di così, quindi niente. Passa
tutta la mattina fuori casa, alla pista di pattinaggio si fa
sostituire da Yuuko.
Quella
notte non torna a casa.
—
Avvisa
sua madre con un messaggio perché è l’unica che
non vuole far preoccupare.
Non
ha mai preso l’iniziativa di rimanere fuori casa di notte –
fondamentalmente perché sta bene a casa sua e non ha mai avuto
così tanti amici da passare le giornate a ubriacarsi e morire
collassato su qualche panchina – e in un certo senso anche
questa volta è così.
Nel
senso che non è fuori.
La
sala di pattinaggio all’una di notte è sigillata ma ha
le chiavi quindi entra senza davvero soffermarsi sui sensi di colpa
di star contravvenendo alle regole del suo contratto (ma comunque ha
l’impressione che Yuuko lo perdonerebbe se gli raccontasse
cos’è successo, quindi scusa
e grazie, Yuuko).
Pattini
ai piedi, scivola sul ghiaccio e respira l’aria fredda della
pista e non ha più tanto male, sul serio. Bastava un solo
minuto qui e sapeva di riuscire a riprendersi – cioè non
è come se quello che gli ha detto Yuri stamattina non fosse
vero, quindi non ha motivo per essere ferito o cosa –.
Fa
brevi rettilinei, movimenti non troppi difficili, una rotazione su se
stesso che dura qualche secondo. Continua così per un po’,
qualche salto qua e là (e anche un paio di cadute che il suo
sedere non vorrà ricordare domani). Niente di complicato –
come se ne fosse capace poi –, un doppio, pam,
il rumore del ghiaccio che viene colpito dal metallo rimbomba per
tutta la sala.
È
davvero bello – gli fanno male le gambe e ha il cuore che
sembra battere come un tamburo stonato – ma è bello e per la prima volta da ore è felice. Non
si avvicina neanche lontanamente a un professionista ma, d’altra
parte, non
lo è e
per stasera va bene così.
“Non
sei male.”
Per
verità di fatti, c’è da dire che Yuuri ha un buon
equilibrio – non sta cercando di ignorare il fatto che inciampa
un po’ ovunque e che nelle ultime settimane è rotolato
per terra più del pallone da calcio di quando era bambino –,
il vero problema sta nella sua concentrazione. Inesistente.
Perché
è quasi sicuro che Viktor lo faccia di proposito a comparirgli
sempre alle spalle e poi non è ancora abituato ad averlo nella
sua vita – per un periodo limitato di tempo ma comunque c’è
– quindi, ecco, quando se lo ritrova alle spalle (o davanti),
vestito (o nudo) è normale scivolare come un sacco di patate,
sedere a terra e freddo ovunque.
“Sapevo
di trovarti qui.”
Sei
un genio, Yuuri. Davvero, applausi. Standing Ovation.
“Ti
ha mandato mia madre?”
“No.
Le ho rubato il telefono e ho letto i tuoi messaggi.”
“Sei
diventato uno stalker adesso?”
Oh.
Ha appena dato dello stalker al campione del mondo di pattinaggio su
ghiaccio degli ultimi cinque anni, suo idolo da sempre? Carino.
Davvero carino, Yuuri.
Eppure
Viktor ride – e non è come se la sua risata suoni
rugiada alle sue orecchie, no, davvero, e non sta nemmeno arrossendo
per averlo pensato –, ride come non ha mai fatto in sua
presenza ed è forse il suono migliore che sente da un po’
di tempo a questa parte (come un uccellino che canta di mattina o
come il ruggito di un leone nella savana).
Lo
vede avvicinarsi con un sorriso e si sente improvvisamente sbagliato,
fastidioso, nello stare sulla stessa pista di Viktor – gli
ricorda un po’ la storia dello scarafaggio che cerca di
camminare su un marciapiede al fianco di un enorme elefante, e lui
non ha davvero voglia di finire pestato come una piadina, grazie
tante –.
Si
accorge solo in quel momento che Viktor ha la sua tuta da
allenamento, i pattini perfettamente legati e usurati ai suoi piedi
e... gli sta porgendo una mano?
“Vuoi
ballare con me?”
Ahah.
Cosa?
“Ah?”
“Ballare.
Tu ed io. Sei proprio sicuro di non essere sordo?”
Comincia
ad avere dei dubbi in merito anche lui, ma non lo dice. La mano di
Viktor è ancora lì e sta aspettando. Sta sudando e
probabilmente puzza perché sta facendo salti e rotazioni da
tipo un’ora e ok, il freddo della pista e quello che vuoi, ma è
umano, ha un corpo umano e puzza,
va bene?
Sorprendendo
se stesso – e probabilmente anche tutti i suoi antenati e i
suoi futuri discendenti, se mai ce ne saranno – Yuuri afferra
quella mano. Pattina nella sua direzione cercando di non scivolare
malamente a terra nel tentativo e Viktor sembra contento, quindi ok,
può resistere alla voglia di scappare e chiudersi nello
sgabuzzino delle scope per un po’.
Esattamente
come si aspetta di essere, si muove come un tronco di legno dopo
essere stato abbattuto mentre Viktor è meraviglioso
esattamente come ricordava di averlo visto in televisione. Lo
trascina per tutta la pista in una specie di passo a due inventato
sul momento, una mano nella sua e l’altra che gli stringe il
fianco – non
morire, non morire, non morire –
e ok, non è come se si fosse immaginato di ballare con Viktor
in piena notte in una pista sperduta e semi-fatiscente di Hasetsu
(Giappone), ma potrebbe averlo sognato qualche volta? Ed è...
bello. È la prima volta che danza sul ghiaccio senza sentire
sensi di colpa.
“Perché
ti sei ritirato? Sì, so che prima pattinavi, non negarlo.”
Yuuri
– occhi sempre bassi e guarda
che bella quella crepa sul muro –
lo guarda in faccia e, uh, Viktor sembra quasi arrabbiato? O Deluso?
O Confuso? Forse un mix di tutte queste cose. Non se ne stupisce. È
abituato a far arrabbiare, deludere e confondere le persone.
“Perché
non sono bravo.” Non
come te.
“Questo
non è vero. Hai i movimenti un po’ meccanici e
sicuramente hai bisogno di pratica e allenamento ma mancano ancora
tre mesi alle qualificazioni del Grand Prix e per quel momento sarai
pronto”
Woo,
woo.
Stop. Cosa?
“Di
che stai parlando?”
Viktor
sorride, facendo una giravolta e costringendolo a fare altrettanto.
Ha lo stomaco sottosopra e ha la sensazione di stare per vomitare,
piangere e urlare tutto insieme – cioè come si sente
tutti i giorni da anni a quella parte, ma ecco in questo caso c’è
anche una briciola piccolapiccolapiccola
di
speranza –.
“Sto
parlando di me che alleno te. Di me e te che andiamo al Grand Prix
insieme.”
Ahah.
Lui
e Viktor insieme. Al Grand Prix. Sta avendo un infarto uditivo o
cosa?
“So
che non mi conosci ma lo dico nel caso non te ne fossi accorto... non
capisco il sarcasmo.”
“Bene.
Perché non lo era. Ti aspetto domani alle sette qui davanti. E
vieni correndo. Non fare colazione perché non mi piace chi
vomita sulla pista. Dormi bene, Yuuri,
okay?”
E
se ne va.
Yuuri
rimane impalato in mezzo al ghiaccio un’altra mezzora.
Torna
a casa che sono quasi le tre di notte (un freddo della miseria che
sembra stia per venire giù una bufera proprio sotto al
maglione inutile che indossa). Mentre sta cercando di arrivare al suo
letto vivo se
non vegeto, e
scende le scale – il trentanovesimo gradino che lo aspetta
sempre per inciamparci sopra come tutti i giorni – si convince
di aver sognato tutto.
Magari
è talmente stanco da averlo immaginato o magari è mezzo
morto sulla pista e ora sta trapassando. In entrambi i casi,
sicuramente niente di quello che ha visto e sentito è reale.
Domani
mattina si alzerà e andrà a lavorare, passando il tempo
a riordinare i cassetti (vuoti) della scrivania e a pasticciare il
quaderno dei visitatori con delle stelline tutte storte.
Sarà
vuoto anche quello come il suo stomaco o come la sua vita, condita
anche quella da strani disegnini e sogni degni di un drogato. O di
qualcuno che ha disperatamente bisogno di crederci.
—
La
mattina dopo, Yuuri si sveglia consapevole di due cose: la prima è
che la sua testa sembra essere stata calpestata da un branco di
elefanti. La seconda è che qualcuno lo sta tirando per una
gamba e sta cadendo inevitabilmente dal letto – ma non ha
abbastanza forza per opporsi quindi niente, scivola giù,
pavimento, ahia.
Quando
apre gli occhi, nota che non è nella sua stanza ma nel
corridoio e che tale corridoio si sta muovendo – e questo non
aiuta la sua nausea, grazie tante –.
Viktor
si ferma poco prima di scendere le scale, un bel sorriso sulle labbra
(almeno pensa sia un sorriso, senza occhiali vede un po’ tutto
pixellato, come lo schermo di un computer spaccato da una pietra) e
una mano allungata nella sua direzione.
“Ho
freddo.”
“Buongiorno
raggio di sole. Sei pronto per il tuo allentamento mattutino?”
Ahah.
No.
“Tu...
dicevi sul serio, ieri? Pensavo stessi scherzando.”
Il
ghigno che Viktor gli rivolge manda brividi freddi lungo la schiena.
Deve essere la stessa sensazione di ritrovarsi nell’occhio del
ciclone prima che si scateni di nuovo la tempesta.
“Io
non scherzo mai. Capirai cosa intendo.”
—
Yuuri
lo capisce subito e anche troppo bene. I primi giorni sono così
duri e difficili che quando torna a casa, l’unica cosa che fa è
lanciarsi nel letto e cadere in uno stato di coma apparente.
Lavora
molto poco alla pensione di famiglia e mangia in maniera molto
diversa dal modo in cui è abituato perché Viktor lo ha
messo a dieta e davvero, se qualcuno lo prendesse a martellate forse
non sentirebbe neanche dolore.
Perché
per la verità il dolore lo sente eccome e ovunque, anche nelle punte
dei piedi e ogni mattina alzarsi dal letto equivale e forzare ogni
muscolo del corpo per non cadere a terra e morire lì (e non
sarebbe una fine che gli dispiacerebbe fare comunque).
Non
sa precisamente perché Viktor stia perdendo tempo ad
insegnargli dei passi che non saprà mai fare o che non lo
porteranno a nient’altro che a un’altra delusione.
Succede così che un giorno, Yuuri sbotta.
Non
che non l’abbia gia fatto ma diciamo che sbotta più
delle altre volte e Viktor se lo aspetta, o almeno crede dalla faccia
che fa quando comincia a urlare e piangere, mezzo seduto e mezzo in
ginocchio sulla pista di pattinaggio dove, in teoria, dovrebbe
lavorare.
Viktor
lo ascolta gridare e smoccolare dal naso e cioè, si è
già sentito patetico nella sua vita ma non così
patetico e il fatto che Viktor non gli dica niente beh, non lo fa
sentire meglio, grazie.
“Quindi
che dovrei fare per farti calmare? Baciarti?”
Sì,
e già che ci sei usa anche la lingua.
“Come?”
Oh.
Non- non l’ha detto a voce alta, vero?
“Niente.”
“Hai
detto-”
“Niente!
Non ho detto niente, ok? Devo- ho bisogno di una pausa.”
E
lo lascia lì, da solo. Sa che le cose non miglioreranno se non
cambierà il suo atteggiamento come sa che la che la pagherà
per questo.
—
La
pausa finisce per essere una rovinosa caduta in mezzo alla spiaggia,
pantaloni strappati e naso dolorante. Non sa nemmeno in cosa è
scivolato – o forse lo sa ma fa troppo schifo scoprirlo e non
ci vuole pensare – ma il dolore è abbastanza forte per
distrarlo dal problema di aver lasciato il suo quasi-un-pochino-coach
pattinare da solo come un idiota.
Non
ha capito bene quasi sia lo scopo ultimo di Viktor – a parte
farlo sentire ancora più inutile ma il tempo perso non si
recupera e ne sta perdendo troppo, si trattasse solo di quello –
ma decide che ne ha avuto abbastanza. Non è un pattinatore,
Yuuri. Lo sarebbe stato, forse, ma il tempo passato si usa per un
motivo e quel motivo è che non
si recupera ciò che si è perso, grazie tante, ciao.
Così
si alza in piedi, il naso sanguinante e un labbro gonfio, i pantaloni
un colabrodo (un po’ come la sua anima, che bello) e
l’apparenza distrutta, pronto a farsi distruggere anche fuori.
Perché
Viktor, e lo sa, è ancora lì e se è lì
dovranno parlarne.
Parlarne...
a che serve poi.
—
Viktor
è ancora lì, fermo esattamente come l’ha
lasciato. Yuuri si sente in colpa, un po’, ma non abbastanza
per chiedere scusa – per cosa dovrebbe scusarsi poi? Avergli
fatto perdere tempo? Essere idiota? – e comunque ha cominciato
tutto lui da solo, non gliel’ha mica chiesto di allenarlo a
tempo perso.
“Sei
caduto da un burrone?”
“Sono
scivolato.”
Viktor
sbuffa. Yuuri riesce a vedere distintamente formarsi le parole sei
un idiota
sulla sua fronte, luminose come un neon.
“L’avevo
intuito.”
Poi
incrocia le braccia, un ciuffo di capelli davanti agli occhi e un
respiro profondo. Aspetta.
Aspetta,
Aspetta
ancora.
“Sto
aspettando.”
“Cosa.”
“Che
parli?”
Yuuri
si gratta un braccio, la mano, il viso. Passano altri secondi e si
decide solo quando vede Viktor avvicinarsi e no, la vicinanza è
proprio l’ultima cosa che vuole in questo momento.
“Penso
che interrompere le lezioni sia un’alternativa da considerare.”
“No.”
Yuuri
apre la bocca per dire qualcosa ma la richiude. No? Che vuol dire no?
“Non
te lo stavo chiedendo.”
“Bene,
perché anche io non ho chiesto la tua autorizzazione per
allenarti. E adesso torna in posizione, abbiamo perso molto tempo
oggi.”
Yuuri
gli da le spalle, si volta, si mette le mani fra i capelli e
trattiene a stento un’altra ondata di lacrime rabbiose. Viktor
gli sta rendendo le cose difficili.
Beh...
non che di solito sia facile
ma
sperava che invece di fargli percorrere una salita piena di spine di
rovo e sassi che rotolano in mezzo alle gambe potesse scegliere per
una volta la strada più facile, quella dei fiori, dei frutti e
degli animaletti di peluche.
“Non
capisco il motivo. Perché ti accanisci? Lo vedi che non riesco
a seguirti, te ne sei accorto, allora perché insisti? Io non
sono bravo come te, non ho la concentrazione e la capacità
fisica di affrontare certe cose. Il Grand Prix è un sogno
troppo grande.”
Ciò
che Yuuri ha detto non è troppo lontano dalla verità, o
da ciò che dovrebbe
essere.
Ha
solo omesso un piccolo insignificante dettaglio – che poi è
tutto ciò che conta ma non è davvero pronto per dirlo a
voce alta –, il dettaglio della paura.
Yuuri
ha paura di un sacco di cose: i ragni, il buio, le farfalle, le
montagne (e sa che non è normale aver paura delle montagne ma
ne ha, ok?) e un sacco di altre cose (i corvi, la musica metal, le
stufe elettriche...) ma più di tutto, Yuuri ha paura della
delusione.
Perché
nella sua vita è stato deluso tante volte e alcune volte si è
deluso da solo e non è stata il massimo dell’esperienza.
Quindi il problema fondamentale è stato evitare di ripeterlo.
Abbandonare
il professionismo – se mai nel suo caso si può parlare
di professionismo – è stato un inizio, un inizio nel
voler evitare di perdere ancora una volta la fiducia necessaria
nell’andare avanti e, beh, quel tipo di paura non è
qualcosa che puoi scacciare con la forza di volontà, no?
Ricominciare
a pattinare è stata una cosa spontanea e necessaria ma non ha
mai avuto intenzione di riprovarci. E poi è arrivato Viktor, è
arrivato Viktor è tutto è andato a rotoli, compresa la
sua intenzione di essere stoico nelle decisioni e il voler stare sul
ghiaccio solo per divertimento.
E
non vuole davvero ammetterlo – perché ammetterlo
equivarrebbe un po’ a dire hai
perso solo un anno intero della tua vita a piangerti addosso, ma non
prendertela che va tutto bene –
ma qualche volta, nei suoi sogni, nel suo letto di notte, ha quasi
circa
più o meno pensato
che potesse stare di nuovo sulla stessa pista di Viktor – un po' più vicino dell'ultima volta magari – e almeno per la fase
delle preselezioni se non per la finale e... beh, niente.
Era
un sogno e non avrebbe dovuto sognarlo, tutto qui.
“Quindi
cosa stai dicendo? Che ho perso tempo per niente?”
Yuuri
si irriggidisce. Non gli piace il tono con cui lo sta accusando.
“Non
te l’ho chiesto io. Ho cercato tante volte di farti capire che
io e te siamo diversi ma tu no, tu devi insistere per forza perché
devi avere sempre ragione! Beh, forse sarà la prima volta, ma
non ce l’hai ed è meglio che cominci ad accettarlo.”
Quando
Yuuri esce dal palaghiaccio è primo pomeriggio. Il sole è
alto ed è fastidioso il modo in cui rimbalza sugli occhiali ma
non ci fa molto caso, non quel giorno almeno. Il senso di colpa che
tira pugni allo stomaco è abbastanza per distrarlo da tutto il
resto.
—
Viktor
non gli parla più, tiene il muso come i bambini per due
settimane e all’inizio della terza settimana smette anche di
fare colazione insieme a tutti gli altri. Si fa portare un vassoio da
Yuri nella sua stanza – condito da qualche parolaccia e non
sono il tuo servo, idiota –
e cambia gli orari in cui si alza, si addormenta e si allena solo per
non incontrarlo durante la giornata.
Yuuri
non se la prende, non troppo e non subito, per lo meno. Se l’è
cercata e comunque non è la prima volta che le persone lo
abbandonano. Tornerà presto la sua vita di sempre e avere la
pazienza giusta per dimenticare. Sarà un po’ più
difficile solo perché Viktor continuava a ripetere che ce
l’avrebbe potuta fare ma... beh, va bene lo stesso.
Deve
solo mettere tutto nell’angolo dimentichiamo
che è meglio e
poi nel cestino spazzatura
della mia vita.
In meno di qualche giorno sarà tutto com’è sempre
stato.
Anche
se non sa esattamente cosa ci possa essere di bello in questo.
—
Capita
un giorno che Yuuri non riesca a dormire. Cioè, capita
significa
che succede un paio di volte, ma ultimamente Yuuri non dorme circa
tutte le notti quindi non sa come dovrebbe chiamare questa sua
condizione. È qualcosa a metà fra l’insonnia e i
sensi di colpa che lo costringe ad alzarsi e uscire che ancora non è
sorto il sole ed è un po’ come camminare in mezzo a una
coperta nera e piena di piccoli fari che ti accecano.
L’aria
fredda lo fa risvegliare del tutto e prima di uscire si accorge che
sono le tre e qualcosa di una mattina qualunque in un mese qualunque
di un anno qualunque a circa dieci settimane dal Grand Prix.
Yuuri
non può fare a meno di pensarci quando arriva alla spiaggia,
quando scivola nello stesso punto di qualche settimana prima e si
ritrova a rovinare a terra e a guardare le stelle disteso sulla
sabbia.
La
sua vita sembra un continuo e gigantesco loop temporale che si
ripete:
Credici
- allenati - perdi tutto - rassegnati - credici ancora - allenati
un’altra volta - perdi di nuovo tutto - rassegnati per sempre.
Yuuri
ha vissuto questa vita da quando è nato e quindi è
anche facile abituarsi alle delusioni, te le aspetti sempre, ma il
fatto che sappia che arriveranno non significa niente. Ci si spera
che vada tutto un po’ meglio, no? E questa volta è stato
lui a rifiutare di crederci ancora perché ha avuto paura.
Il
suo loop temporale è decisamente un luogo più comodo in
cui stare rispetto al futuro pauroso che Viktor gli ha proposto.
“Che
fossi un pessimo ballerino me n’ero accorto, ma non sapevo
fossi anche un codardo.”
La
sua stessa voce suona molto come quella di Yuri, escluse la parolacce
con cui sicuramente l’avrebbe etichettato. E non è
esattamente un bene che la coscienza abbia le sembianze di quel
ragazzino, che è diecimila volte più bravo di lui.
Sbuffa.
Domani mattina sarà difficile da affrontare.
—
Yuuri
fa la tappa a Viktor per tre giorni di fila e non c’è
mai verso di trovarlo. Non è mai a casa e quando c’è
è sempre chiuso in camera sua e non fa entrare nessuno.
Durante gli allenamenti non si azzarda a disturbarlo e, anche se
volesse farlo, Viktor ha chiesto che l’ingresso della pista
fosse chiuso a chiave per evitare accessi ad estranei.
Capito.
Ad
estranei.
Gli
viene un po’ da piangere e un po’ da ridere perché
quella è esattamente la definizione che darebbe alla sua vita,
come alla sua situazione sentimentale, alla sua carriera agonistica
mai davvero cominciata e a mille altre cose che hanno colonizzato i
suoi ventanni di vita.
Non
è comunque un pensiero che lo fa stare meglio.
—
Al
quinto giorno che Viktor lo ignora, Yuuri agisce nell’unica
maniera che gli sembra sensata: fa lo stalker.
Ruba
le doppie chiavi della stanza di Viktor e ci si nasconde dentro –
prima dietro la tenda e poi nell’armadio, finché decide
che sotto al letto è la soluzione più semplice per non
fargli venire un ictus quando entrerà – e aspetta un’ora
e mezza prima che Viktor torni da... qualunque posto sia andato quel
pomeriggio.
Sente
i passi nel corridoio, prima che apra la porta, e a dire la verità
non è più tanto sicuro che il suo piano geniale sia poi
così geniale
ma
è incastrato fra il pavimento e il materasso quindi
rimuginarci sopra non lo toglierà dalla situazione in cui si è
cacciato da solo.
Viktor
entra in stanza e la prima cosa che fa è togliersi le scarpe.
Questo
Yuuri lo sa ma non perché l’abbia effettivamente visto
lanciare le ciabatte quanto perché una fa un volo e gli arriva
dritta sul naso.
Il
suono che fa è un misto fra un grugnito e un’imprecazione
o forse nessuna delle due – o tutte e due –.
Fatto
sta che si lamenta e quando sei nascosto sotto al letto di una
stanza, dove in teoria non dovresti essere, non è esattamente
il modo migliore per non farsi scoprire.
Così
succede che Yuuri si lamenta (poco, ma lo fa) e Viktor lo sente.
Lo
sente e lo vede, perché si china, la testa al contrario e gli
occhi sgranati. Non dice niente per qualche secondo e passano quel
tempo a guardarsi senza sapere cosa fare.
Viktor
non ha un’atteggiamento cattivo o cosa. Non ha proprio alcun
atteggiamento
e questo lo spaventa a morte. Deve chiedergli di urlare o magari
lanciargli anche l’altra ciabatta?
“Sai
che potrei denunciarti per invasione della privacy, vero?”
E
poi succedono tre cose contemponeamente: la prima è che Yuuri
sbatte la testa cercando di uscire dal letto, la seconda è che
per questo Viktor ride un buon quarto d’ora – e che cosa
fermi Yuuri dallo strozzarlo non lo sa davvero – e la terza è
che quando cerca di sgattaiolare via approfittando del fatto che è
distratto, Viktor smette di ridere e lo blocca contro la porta.
Sono
stati così vicini solo la prima volta che hanno ballato
insieme alle due o tre di notte al palaghiaccio, quando Yuuri
compativa se stesso e Viktor, per qualche motivo, aveva deciso di
dargli ripetizioni di pattinaggio artistico e non è abituato a
sentire il suo respiro addosso.
Beh...
non è abituato a sentire il respiro di nessuno
addosso
(e niente battute sul fatto che sia ancora vergine, okay?).
“Perché
sei entrato nella mia stanza?”
“Volevo
parlarti. Ma... ammetto che non è stata proprio un’ottima
idea.”
Viktor
ha un ghigno sulle labbra, a metà fra un sorriso dolce e uno
da predatore. Non si sposta e forse questa è la peggiore delle
cose perché non riesce a pensare bene con lui così
attaccato, con lo stomaco un po’ sottosopra e la voce azzerata
(che se anche volesse parlare le sue corde vocali si sono tutte
intrecciate come una corda ed è un po’ complicato anche
far passare un filo d’aria).
“Beh,
siamo qui. Parla.”
E
parlerebbe anche, non vuole non
farlo
ma... diavolo,
potresti toglierti, grazie?
“Potresti...
spostarti un pochino?”
“No.
Se hai qualcosa da dire devi dirla adesso.”
“Non
ci riesco con te che mi respiri addosso!”
E
poi... non è che capisce bene cosa succede. O meglio lo
capisce ma il suo cervello si deve essere disconnesso per qualche
secondo – o la sua anima è uscita dal corpo e vede tutta
la scena da fuori, come se stesse realmente passando dall’altra
parte – perché quando ritorna in sé Viktor lo sta
baciando e... niente, lo sta baciando ed è incredibile già
così.
Ha
ancora le mani sulla porta e non lo sta toccando in altro modo se non
con le labbra e con i capelli che gli fanno il solletico alla pelle.
Yuuri ha gli occhi aperti tutto il tempo ed è come guardare un
quadro a due centimetri dal viso, no? Nota ogni cosa, ogni cosa che
prima non aveva notato, tipo che Viktor ha delle piccole macchioline
agli angoli degli occhi ma sono talmente chiare che se non ti
avvicini non si vedono. E le ciglia sono lunghe e folte, si alternano
sfumature di grigio stranissime a un bianco di neve accecante. Ha un
piccolo neo appena sopra il sopracciglio sinistro e la bocca sa di
menta e cannella, come i biscotti di sua madre.
Non
è niente più che un bacio leggero, giusto quello, non
sa nemmeno se si può definire bacio
in
effetti, ma lo è per Yuuri e... okay, sta cominciando a
iperventilare o a perdere sensibilità alle gambe, la bocca
formicola un po’, come quella volta che ha mangiato peperoncini
piccanti e ha passato tutta la giornata a sciacquarsi la bocca per
togliere il sapore.
“Yuuri?”
Si
lecca le labbra, Yuuri. Hanno un sapore che non aveva mai sentito
e... gli piace. Gli
piace.
“Mi
hai baciato.”
Viktor
ride, allontanandosi, le braccia incrociate e il corpo distante.
Non
è una piacevole sensazione in questo momento.
“Così
pare.”
“Perché?”
“Perché
mi piaci. Dovrebbero esserci altre ragioni?”
Yuuri
apre la bocca per dire che potrebbero essercene molte di ragioni –
dargli fastidio, prenderlo in giro, tappargli il becco sono le prime
che gli vengono in mente – ma non riesce ad emettere un suono.
Fa un po’ come il suo pesce rosso, che ha passato tutta la vita
ad aprire e chiudere la bocca e nelle sue ultime settimane la teneva
sempre chiusa perché si era stancato di aprirla.
“Senti,
so cosa mi sei venuto a chiedere.”
Ah
sì? Perché lui in questo momento non se lo ricorda
proprio.
“Continuerò
ad allenarti, ok? Ci vediamo domani mattina alle sette al
palaghiaccio. Vieni correndo e non fare colazione, sai che non mi
piace quando la gente vomita.”
Lo
spinge delicatamente fuori dalla stanza e gli regala anche un sorriso
prima di chiudergli la porta in faccia. Rimane lì davanti per
cinque minuti prima che i suoi piedi si muovano per tornare in
camera, distendersi a letto e rimanerci per tutto il resto del
pomeriggio, saltando completamente la cena.
Non
dorme molto e durante il poco sonno che riesce ad avere ha incubi su
alcuni orsi che lo inseguono per tutta la spiaggia con l’intento
di mangiarlo e dal nulla compare Yuri che lo spinge e cade per terra,
l’orso che si avvicina – comincia ad avere le inquietanti
sembianze di Viktor, ora che ci fa caso – e il suo stesso urlo
rimbomba forte.
Quando
si sveglia sono le cinque di mattina ed è per terra, le
coperte del letto dall’altra parte della stanza e le gambe sul
comodino. Ci mette un po’ a capire come effettivamente abbia
fatto a finire in quella posizione ma quando ci riesce sua sorella
entra urlando smettila
di fare casino, idiota e
se lo dimentica. La giornata non comincia benissimo e in generale
tutta la settimana non è stata fra le migliori.
Giacché
ormai è sveglio si strofina gli occhi, si lava, si cambia ed
esce direzione palaghiaccio.
Quel
giorno riesce a fare un quadruplo flip, per la prima volta senza
cadere. Non
sa come, sa solo che ci prova e dopo due o tre volte rimane in piedi,
in posizione perfetta.
Non
era mai successo e, sconvolto, guarda fisso davanti a sé per
qualche minuto prima di rendersi conto che ha appena eseguito uno dei
salti più difficili della categoria senior.
Viktor
applaude per tutto il tempo che ci mette a riprendersi e, uh, non è
come se avergli parlato avesse risolto gran parte dei problemi della
sua esistenza ma probabilmente lo ha fatto sentire meglio? Più
tranquillo?
Non
lo vuole ammettere. Non vuole ammettere che la sua vita stia venendo
stravolta tanto in profondità da aver bisogno di qualche
parola da parte di una persona che vedrà per qualche mese e
poi mai più, per riprendersi.
O
forse è un pensiero un po’ egoista il fatto che non
vorrebbe finisse solo in qualche mese.
Un
po’ egoista e tanto
pericoloso.
“Sei
stato molto bravo.”
Yuuri
abbassa appena gli occhi. Da quando si sono baciati – o da
quando lui ha accettato passivamente di essere baciato, più
precisamente – non riesce a guardarlo senza arrossire come una
vecchia cabina telefonica. Viktor non si avvicina mai più di
quanto è necessario e gli da direzioni a qualche metro di
distanza, come se capisse il suo disagio.
Yuuri
non vuole ammettere che il suo precedente atteggiamento gli manca ma,
ecco, se proprio deve dirlo... ok. Si sente un po’ un idiota
perché è stato lui a provocare tutta quella situazione
e non può davvero lamentarsene adesso.
“Sono
riuscito a farlo solo una volta. In gara è diverso...”
“Hai
paura di cadere?”
Yuuri
fa un passo avanti e scivola avanti, un po’ più vicino a
Viktor ma non abbastanza da sembrare troppo
vicino.
“Ho
paura di cadere. E di fare brutta figura? E un sacco di altre cose.”
“Ad
esempio?”
“Da
quando sei diventato il mio psicologo?”
E
okay, non è come se si fosse reso conto di aver usato un tono
un po’ brusco – un po’ tanto, in effetti –
ma lo guarda in faccia forse per la prima volta da quando è
cominciata la lezione e Viktor non ha un’espressione risentita
o niente del genere. Semplicemente lo guarda e, beh, è un po’
difficile stare sotto gli occhi della persona che hai sempre ammirato
di più nella tua vita.
“Scusa.
Sono nervoso. Non sono... arrabbiato con te. Ma ho partecipato solo
una volta al Grand Prix e non è andata bene. Diciamo pure che
mentalmente mi ha-”
“Spezzato?”
Yuuri
sussulta appena. Lo ha spezzato? Sì. Non è esattamente
la parola che avrebbe usato ma è senza dubbio quella più
adatta alla situazione.
“Sì.”
“Lo
sapevo.”
Mh?
Sapeva cosa?
“Sapevo
che avevi partecipato al Grand Prix. Ti ho visto.”
Yuuri
deve ricordarsi che ha i pattini e che una rovinosa caduta in
ginocchio potrebbe causargli problemi non indifferenti ai legamenti.
Anche così, si mantiene in piedi a fatica. Anche se si sente
un po’ tremare e il cuore ha cominciato a battergli davvero
troppo forte nel petto per essere un caso... ha davvero detto che
l’ha visto al Grand Prix?
“Come?”
“Ho
detto che ti ho visto al Grand Prix. Quando siamo arrivati mi sono
accorto che avevi una certa predisposizione al pattinaggio e qualche
volta ti ho visto esercitarti di notte... non sei molto intelligente
a lasciare le porte aperte, sai? Potrebbe entrare qualche
malintenzionato.”
Yuuri
non se ne accorge subito, ma se ne accorge abbastanza in fretta.
Viktor pattina verso di lui piano, lentamente, per non spaventarlo,
forse per paura che possa scappare – cosa che non escluderebbe
neanche lui al momento – ma dall’altra parte andare via
non è un’opzione che sceglierebbe.
Viktor
ha accettato di tornare a seguirlo nei suoi allenamenti e, per lo
meno, gli deve il favore di stare fermo ad ascoltarlo.
Così
sta fermo, e accetta la sua presenza, la sua vicinanza, forse perché
a differenza dell’inizio crede in lui, o forse perché è
la sua unica speranza per fidarsi ancora di qualcuno.
“Già,
vedo. Forse dovrei cominciare a chiudere a chiave.”
“I
lupi cattivi sono sempre in agguato, Yuuri.”
Quando
è abbastanza vicino, Yuuri non può continuare a tenere
gli occhi incollati a terra. Viktor ha un’espressione strana,
che non significa niente perché anche lui è sempre
strano, ma quella volta semplicemente... è più strano
del solito.
“Dopo
che ti ho visto pattinare la prima volta ho cercato su internet un
video della tua partecipazione al Grand Prix. Sei arrivato ultimo con
ottanta punti di differenza dal primo classifico... me.”
Sì,
beh, grazie per la delicatezza.
“Me
lo ricordo.”
“Mi
ricordo di te.”
Yuuri
alza un sopracciglio, scettico.
“Mi
ricordo dei tuoi salti imperfetti e come cadevi e ti rialzavi subito.
Mi piaceva il tuo modo di pattinare e qualcosa ha attirato la mia
attenzione nello stesso modo in cui l’ha attirata quando ti ho
visto pattinare qui la prima volta.”
“Non
capisco cosa potrebbe essere, sinceramente...”
Viktor
ride, stringendogli una spalla. È il primo contatto che hanno
dal bacio ed è un po’ come ricevere una scarica
elettrica dritta nella schiena. È bollente la sua stretta e lo
è il viso di Yuuri, come se fosse seduto davanti al fuoco del
camino e la sua pelle ne stesse assorbendo tutto il calore.
“Nemmeno
io. Ma, se per te è lo stesso, avrei intenzione di scoprirlo.”
È
un po’ strano il modo in cui si sente Yuuri in quel momento. Si
sente a metà fra l’essere stanco e l’essere
sconvolto. Non è una sensazione a cui è abituato ed è
molto diverso dal sentirsi inadeguato tutti i giorni della propria
vita e lo spaventa. È terribilmente spaventato da come lo fa
sentire giusto.
E
forse dal fatto che Viktor gli ha regalato una nuova possibilità
e sulle nuove possibilità ci ha sempre sputato sopra senza
farlo apposta.
“Non
riesco a capire... non riesco a capire perché lo fai.”
E,
beh, non sa davvero se è la frase in sé o il modo in
cui lo dice. Ma Viktor sorride. Sorride e gli stringe un braccio, una
stretta gentile e delicata a cui Yuuri non si sottrae.
“Ti
ho gia detto che mi piaci, no?”
A
differenza della prima volta, quando Viktor lo bacia non ne è
sorpreso. O forse ne è sorpreso abbastanza da non esserlo più.
È sempre e solo uno sfioramento di labbra e nessuna parte del
corpo di Viktor lo tocca se non la sua bocca. Rimane fermo anche
adesso, Yuuri, a guardare le sue lentiggini chiari e le ciglia che
sfarfallano, quando è abbastanza fortunato intravede i suoi
occhi color cielo e le pagliuzze azzurre vicino all’iride.
E
non si rende conto subito di quello che sta facendo ma il suo stesso
corpo si muove da solo e le sue dita cercano il maglione di Viktor,
in una stretta quasi inesistente, fantasma. Ma Viktor, sempre così
attento a tutto ciò che lo riguarda se ne accorge ed è
solo in quel momento che lo tocca con le mani, gli avvolge il viso
con i palmi e la sua bocca è aperta alla ricerca della sua
lingua e del suo respiro.
Questo
è un bacio lungo, profondo, Yuuri finisce per aggrapparsi alle
sue spalle perché gli tremano le gambe e non sa per quanto
ancora riuscirà a rimanere dritto senza scivolare a terra.
Viktor
lo lascia andare in quel momento, si congeda con un altro leggero
bacio sulle labbra, e lo tiene saldo contro il suo corpo, le mani
ancora sulle guance e un sorriso che Yuuri non gli aveva mai visto –
e, beh, non è che riesca a vederlo bene neanche adesso,
perché un po’ gli gira la testa e il sangue è
completamente scappato dal corpo ma non può dirlo ad alta voce
–.
“Ti
sei arreso?”
Ed
è solo un po’ lontana la sua voce, un po’ ovattata
e gli rimbomba nel petto e un po’ nel cuore.
“A
cosa?”
“Al
fatto che sei innamorato di me.”
Yuuri
ride, nervoso. È una cosa così stupida che non riesce
nemmeno a quantificare quanto lo sia.
“Lo...
sono?”
“Non
lo sei?”
A
Yuuri viene da ridere perché sul serio, a che gioco stanno
giocando? Vince chi scappa prima?
“Dovrei
esserlo?”
Il
sorriso che Viktor gli rivolge gli fa tremare un po’ le viscere
ma Yuuri è bravo a nascondere le cose, per cui lo fa, per
quanto ci riesce. Lo deve fare per mille motivi diversi, il primo fra
tutti è che non può davvero permetterselo. Non può
innamorarsi di Viktor Nikiforov.
—
Ciò
che Yuuri non si aspetta è il cambiamento di Viktor, o
più che altro diventa chi è davvero e se Yuuri dovesse
scegliere una delle due alternative, sarebbe di sicuro la seconda.
Non
lo bacia più – e a questo punto non sa se sia un bene o
un male – ma diventa più tranquillo, quasi delicato
con
lui (per quanto associare la parola ‘delicato’ a Viktor
Nikiforov è un po’... strano?), e piano piano le sue paure passano.
Scopre
per caso che Viktor ha arrangiato per lui la partecipazione a
un’eliminatoria per il Grand Prix – riscuotendo non sa
quali favori da persone
piuttosto
in alto della gerarchia sociale giapponese che hanno aperto appena la
bocca e già era tutto deciso –, sfruttando il fatto di
non essersi ancora ritirato totalmente dal mondo del pattinaggio (in
realtà avrebbe voluto, ma la parte codarda della sua anima non
ha mai avuto il coraggio di farlo, nascondendosi dietro l'anno di
pausa dopo la batosta dell'ultima volta).
Lo spaventa a morte la
fiducia incondizionata di Viktor nei suoi confronti ma un giorno
semplicemente lo accetta. O forse vuole ricambiare. Vuole ricambiare
tutto ciò che sta facendo e l’unico modo che ha per
farlo è pattinare. E Yuuri pattina, con tutto ciò che
ha.
—
Non
sa esattamente quando succede, sa solo che passano le settimane e
ogni giorno riesce a saltare meglio, a pattinare più in
fretta, a scivolare sul ghiaccio com’era abituato a fare da ragazzino. Il freddo che lo colpisce in viso è come un
abbraccio, come quello di Viktor quando fa una sequenza di passi
perfetta ed è così contento che deve stringerlo per
forza.
Yuuri
non se ne accorge subito, ma abbastanza velocemente. Ed è un
po’ spaventoso, un po’ impaurito da quello che comincia a
capire, ma d’altra parte Viktor gli ha detto che ha una cotta
per lui quindi, forse, magari?
Non
è abituato a queste cose, o forse c’è da dire che
non è mai davvero stato interessato alle relazioni. L’unico
interesse che ha mai avuto verso qualcuno era per Yuuko che ha poi
sposato il suo migliore amico quindi, ecco, non è mai stato
tanto fortunato da quel punto di vista.
Comunque,
il punto del discorso è che si rende conto, un giorno
qualsiasi, di avere dell’interesse verso Viktor, e non si
limita più a essere solo quello verso un coach o di un idolo.
Si
rende conto di guardarlo più spesso di quanto dovrebbe, di
cercarlo quando non c’è e, cosa ancora più
spaventosa, di essere attratto fisicamente da lui. Non è il
fatto di essere un uomo – di essere bisessuale lo ha capito da
così tanti anni che non se lo ricorda nemmeno – quanto
che la reazione del suo viso alla sua presenza è abbastanza
palese e sarà difficile tenerlo nascosto ancora per molto.
Non
è come se diventasse rosso e le sue gambe assumessero la
consistenza di gelatina ma... beh, alla fine dei conti è
esattamente quello che succede. E Viktor (Viktor, tanto tanto tanto
troppo
intelligente)
se ne accorge in tempo zero e, con lui, anche
tutti gli altri, Yuri per primo.
Non
manca di farglielo notare davanti a tutti infatti, un pomeriggio come
tanti di riposo dagli allenamenti. Fuori piove, grandina o entrambe
le cose, mancano poche settimane alle eliminatorie del Grand Prix e
sono tutti tranquilli.
Tranne
Yuuri, che comincia a non dormire la notte e ad avere incubi
terribili, come quello in cui il ghiaccio si apriva sotto i suoi
piedi e un orrendo mostro verde (che aveva un po’ la faccia di
Yakov) lo ingurgitava e sputava tutto mangiucchiato ai piedi di
Viktor.
Yuuri
ci prova a calmarsi, davvero, comincia a fare Yoga e a prendere
qualche goccia di calmante la sera prima di andare a dormire, ma non
funziona niente (a volte Viktor sgattaiola nella sua stanza per
costringerlo a prendere sonno ma il fatto che sia mezzo nudo e che
gli si appiccichi addosso in quella maniera lo aiuta solo a dormire
meno).
Comunque,
in quel pomeriggio freddo decidono di fare una pausa e prendersi
qualche ora di riposo. Yuri e Otabek (con cui non ha davvero mai
parlato, ma ha deciso che gli piace a prescindere perché è
l’unico dei quattro con cui Yuri non si comporta da stronzo,
quindi è da ammirare e basta) giocano con... qualcosa –
Yuuri crede sia un mazzo di carte che non si sa da dove è
saltato fuori –, Yakov mangia biscotti – tutti
i
biscotti – e Viktor... beh, Viktor è Viktor. E lo
guarda. Tutto il tempo.
Quindi
non è tanto strano se la sua faccia è color porpora e
comincia a sentire la testa che sembra una giostra, può sempre
dare la colpa al caldo del kotatsu o magari al fatto che non dorme
bene da quasi una settimana? Sì, spiegazione logica,
senz’altro.
Beve
il suo tè, le mani che tremano un po’, la mente che
spazia qua e là e Viktor,
per Dio, smettila di guardarmi, va bene?
“La
tua faccia sta andando a fuoco, scemo.”
Grazie
per la delicatezza, Yuri, davvero.
“Sono
solo... un po’ stanco.”
“O
eccitato? Prendetevi una stanza tu e il vecchio.”
Sputa
il tè sul tavolo, direttamente sui biscotti che Yakov sta
mangiando. Tossisce e sente distintamente il sangue affluirgli alla
guance più di prima – ma è un po’ difficile
distinguere il porpora dal rosso gambero, comunque – e il caldo
sul suo viso si fa più intenso.
“Yura.”
Yuri
fa una smorfia al basso rimprovero di Otabek (che Yuuri ringrazierà
finché avrà fiato in corpo) e torna ad occuparsi delle
carte – per quanto siano in giapponese con solo le figure e il
gioco se lo stiano inventando di sana pianta –.
Approfitta
del fatto che Yakov sta piangendo sui biscotti perduti e tutti gli
altri in realtà non gli stanno neanche prestando attenzione
per imbastire una scusa alla bell’e meglio e rintanarsi in
camera sua, porta chiusa e un principio di attacco di panico che
cerca di scacciare con la meditazione.
Funzionerebbe,
ne è sicuro, se Viktor non decidesse di entrare in quel
momento senza nemmeno chiedere permesso.
“Prima
che tu mi chieda qualcosa sappi che non è vero niente.”
Viktor
ride, schiena alla porta e braccia incrociate. Ha la faccia di chi ha
già vinto, una faccia da stronzo che nemmeno si preoccupa di
nascondere. Sarebbe un pessimo giocatore di poker.
“Non
ho detto nulla.”
“Lo stai pensando. Smettila di pensarlo.”
E forse non dovrebbe davvero prenderla in quel modo, dovrebbe fare l'adulto della situazione – perché Viktor in realtà si diverte a comportarsi come un bambino quindi lui non conta – ma è irritato.
Irritato
e stanco, perché ha capito di essere un-po’-tanto-troppo
innamorato
di lui ed è una cosa che lo spaventa a morte. E dalle cose che
lo spaventano a morte Yuuri è sempre scappato come una iena
davanti a un leone (e l’unica volta in cui non lo ha fatto è
stato al Grand Prix e ricorda troppo bene com’è stato
ripagato per essere stato coraggioso, grazie tante).
Quindi,
cioè, ha davvero voglia di darsela a gambe come se avesse un
t-rex attaccato alle costole ma Viktor non sembra avere alcuna
intenzione di spostarsi dalla porta e rotolare fuori dalla finestra
sarebbe poco dignitoso.
Anche
se...
“Non
pensare nemmeno a uscire da lì. L’ho sigillata con la
colla a caldo proprio stamattina.”
Yuuri
inarca un sopracciglio, facendo un passo indietro.
“Stai
mentendo.”
“Vuoi
mettermi alla prova?”
No.
Viktor è quel genere di persona che può davvero
sigillare una finestra con la colla a caldo solo perché si
annoia e dargli le spalle in questo momento non sarebbe una buona
idea, considerando che gli salterebbe addosso come un koala su un
albero nel giro di 0,3 secondi netti. Preferisce non rischiare.
“No.”
“Bravo
il mio piccolo Yuuri.”
Arrossisce,
il viso così rosso che potrebbe benissimo essere confuso per
un peperone maturo o una mela appena caduta dall’albero.
“Smettila...
di fare così.”
“Così
come?”
Un
passo avanti di Viktor, uno indietro di Yuuri.
“Così
così.”
“Dovrai
essere più specifico se vuoi che capisca cosa vuoi dirmi.”
Viktor
è una persona estremamente intelligente e tanto è
intelligente quanto è subdolo.
L’ha
capito appena l’ha incontrato – e molto in fondo al suo
cervello potrebbe anche ammettere che è una parte del suo
carattere che l’ha attratto ma no, non lo dirà, non lo
dirà mai a voce alta –.
“Smettila
di mettermi alla corde, sono già abbastanza nervoso senza che
tu continui a punzecchiarmi con questo tuo modo di fare da prima
donna.”
Viktor
si ferma improvvisamente a metà della stanza, un sopracciglio
inarcato e quell’orribile vestaglia stracciata che si ostina a
portare addosso tutta piegata da un lato, la spalla scoperta...
No.
Focus
su qualcos’altro, focus
su qualcos’altro per l’amor di Dio, Yuuri.
“Io
non sono una una prima donna.”
“Sì
che lo sei Viktor. Vuoi sempre che le cose vadano come vuoi tu, vuoi
sempre sapere tutto e subito e se qualcosa non è programmata
da quel tuo cervellino perfetto allora metti il broncio come un
bambino. Sei la prima donna di tutta la Russia e probabilmente anche
di tutto il Giappone, se vuoi saperlo!”
Oh
oh. Forse non doveva dirlo. Viktor incrocia le braccia e gli volta le
spalle, offeso, come prevedibile.
“Allora
visto che io non ti vado bene cerca qualcun altro che ti corra
dietro.”
Ed
esce.
Yuuri
rimane imbambolato, la finestra sigillata alle spalle e il piede che
sbatte alla scrivania. Se n’è andato davvero e l’ha
lasciato come un imbecille a parlare da solo. Certo, lui non è
stato propriamente gentile ma... ma non è stata colpa sua, va
bene? Perché dovrebbe andare a scusarsi? Non ci andrà.
Non ci vuole andare.
Proprio
no.
Resiste
nella sua posizione per circa un minuto. Poi, sbattendo i piedi, si
avvia verso il corridoio.
Apre
la bocca, mette un piede fuori e subito dopo si ritrova di nuovo
dentro, spinto all’indietro dalle braccia forti di Viktor e le
gambe che sbattono sul letto fino a rovesciarsi fra le lenzuola.
Yuuri
ha la bocca aperta e Viktor lo blocca, praticamente seduto su di lui,
le mani che stringono i polsi senza fare male ma solo per non farlo
scappare e un tenero sorriso sulle labbra.
“Ci
hai messo un minuto di troppo, Yuuri.”
Yuuri
deve trattenere a stento una risata quando Viktor gonfia le guance
come un bambino.
“Mi
vergognavo... sono stato un po’ cattivo prima.”
“Lo
sei stato, mi hai ferito.”
“Scusa.”
Ora,
la buona educazione imporrebbe a Viktor di spostarsi e farlo sedere.
Non lo fa. E le dita sui suoi polsi non si allentano. Sembra stare
comodo sul suo grembo e in fondo non importa se il cuore di Yuuri sta
battendo tanto forte da fare male, insomma, d’altra parte non è
la prima volta che lo sente così fisicamente vicino. Ma in
qualche modo lo è? Non lo sa.
Forse perché si è
reso conto di provare attrazione per lui fin dall’inizio, e
beh, Viktor comunque è bello. È bello davvero.
Bello in
un modo diverso da tutte le persone che ha incontrato, da tutte le
sue frequentazioni (che comunque non sono durate più di un
battito di ciglia) ed è difficile sia guardarlo che
distogliere gli occhi dal suo viso. Fa
male fare entrambe le cose.
E
forse è quella consapevolezza che glielo fa capire. Forse
Viktor non aveva torto.
“Oh...”
Viktor
lo guarda confuso, inclina la testa.
“Yuuri?”
E
Yuuri ha il buon gusto di arrossire quando Viktor gli sfiora la
fronte con la mano. Se potesse sentire il suo battito cardiaco
penserebbe che si sta per sentire male così tanto da non
riuscire a proferire parola. Ma... ma non può sentirlo, vero?
“Sto...
bene.”
“Non
mi sembra proprio, Yuuri. Sei bollente e hai la febbre, non puoi
permetterti l’influenza a ridosso delle selezioni per il Grand
Prix! Fammi sentire la fronte.”
“No.”
“Yuuri
non fare il bambino.”
Yuuri
ci prova. Ci prova sul serio, e d’altra parte sa benissimo che
Viktor riuscirà a scoprirlo prima o poi, ma ci prova comunque
perché dai, non può confessare a Viktor che prova
attrazione – e non solo fisica – per lui. Non può.
Ma più prova a distogliere lo sguardo, il corpo e le mani, più
Viktor si fa insistente e alla fine, Yuuri è solo un uomo.
Un
uomo rovesciato sul letto e con seduto sul grembo il suo coach e la
cotta di una vita.
Così
fa la cosa più stupida che può fare in quel momento:
gli afferra il kimono, lo trascina giù alla sua altezza e poi
lo bacia. È impacciato, perché in realtà non è
davvero abituato a baciare le persone (cioè, ha avuto una
ragazza alle superiori che l’ha mollato dopo tre o quattro
settimane perché troppo
lento e
Yuuri ancora oggi si chiede cosa volesse dire) e in realtà
pensa che Viktor sia abbastanza esperto in materia. Però
rimane fermo. Rimane fermo per tutto il tempo in cui le labbra di
Yuuri sono sulle sue e anche quando decide di fargliela pagare perché
è
troppo fermo puntandogli
i denti nel labbro, Viktor fa la stessa cosa di prima: rimane fermo e
Yuuri si ritira sconsolato.
Non
è tanto difficile capire che è stato rifiutato e
d’altra parte non ha davvero fatto qualcosa perché
Viktor lo aspettasse dopo i baci che si sono scambiati. Sono
probabilmente i momenti più belli della sua vita, ma non deve
essere lo stesso per Viktor, giusto? È stato abbastanza
chiaro. E anche il suo viso lo è. Sembra... terrorizzato?
O disgustato? Non sa distinguere così nettamente le sue
espressioni ma vorrebbe. Vorrebbe saperlo fare. Non sa davvero in che
modo descrivere quella sensazione che sente nello stomaco ma è
piuttosto sicuro che il suo viso descriva perfettamente la delusione
di non venire ricambiato. Ma d’altra parte non dovrebbe
sorprendersi troppo, no? È solo Yuuri e quello è Viktor
Nikiforov, l’uomo più amato di tutta Europa e
probabilmente anche qualcosa in più.
La
possibilità che pensava di avere in realtà era forse
tutta una sua illusione.
Yuuri
cerca di sollevarsi, lo spinge via in modo che possa allontanarsi dal
suo corpo e si morde le labbra quando si rende conto che Viktor sta
facendo resistenza contro la sua mano.
“Viktor,
io-”
“Mi
hai baciato.”
Oh.
Il tono non è... come se lo aspettava. Non è
arrabbiato? O disgustato? Solo in quel momento alza gli occhi. Viktor
ha ancora la stessa espressione, la stessa di prima. Sembra
sconvolto. Perché? Si sono baciati già altre volte.
“Scusa.
Non avrei dovuto.”
E
Viktor a quel punto sembra riprendersi. Sembra capire, o forse, più
probabilmente, sembra riuscire a leggere nel suo viso la paura di
aver fatto qualcosa di sbagliato. Lui è così bravo a
leggerlo, a differenza sua.
“Perché
ti stai scusando?”
“P-perché
non volevi...? E io ti ho baciato contro la tua volontà.”
E
poi Yuuri non registra immediatamente cosa succede, o forse lo
capisce ma il suo cervello è più lento del suo cuore,
che già batte veloce. Viktor lo bacia, esattamente come le
altre due volte ma questa è diversa, e lo è per tanti
piccoli motivi. Il primo motivo è che Viktor gli sta
bloccando i polsi contro il materasso, stretti fra le sue dita. Il
secondo: Viktor è sdraiato sul suo corpo, e anche se non è
nudo Yuuri è convinto di sentire il calore della sua pelle.
Fore è solo un’illusione ma è sicuro sia così.
Il
terzo, e più importante, succede dopo pochi secondi che Viktor
lo ha spinto contro le lenzuola, e lo lascia senza parole perché
sembra un’altra persona rispetto agli altri baci. Lo sta
baciando con foga, da subito, le labbra aperte contro la sua bocca e
la lingua che lo forza ad aprirla e poi... Yuuri non ricordava che un
bacio potesse essere così buono come questo con Viktor ma lo
è. O forse è Viktor buono. E se è così,
vorrebbe continuare a baciarlo e toccarlo. Può stringerlo?
Pensa che va bene. Forza le dita di Viktor a lasciargli andare i
polsi, e poi è lui a stringere i suoi per pochi secondi.
Arriva al viso e la pelle di Viktor è delicata e meravigliosa,
reagisce a ogni suo tocco e ogni suo bacio e non è meno
imbarazzato ma in quel momento non può pensarci. Gli stringe
le ciocche di capelli fra le mani, la bocca passa sulla guancia e
continua a lasciare baci leggeri fino al collo. Viktor si lascia
cullare, fino a stendersi al suo fianco ed è meraviglioso come
allarghi le braccia per fargli spazio. Dovrebbero parlarne, essere
sicuri di quello che sta succendo e forse dirsi delle cose ma in
realtà non è importante o forse non è
necessario. Non fra loro due.
“Yuuri...”
La
voce di Viktor gli arriva forte al petto, il caldo si espande e deve
respirare un paio di volte per poter aprire gli occhi e guardarlo. Ha
gli occhi più chiari che abbia mai visto, e se la prima volta
ha pensato fossero di un blu oceanico ora può dire che siano
di un ghiaccio purpureo. Sembrano fatti di vetro, creati dal più
bravo dei maestri... ma no, sono suoi. Sono di Viktor e belli solo
per quel motivo.
“Scusa
per prima. Ero solo sorpreso. Sono sempre stato io a baciarti, non
pensavo che-”
Yuuri
lo bacia di nuovo. Non parlano più, per tutta la sera e va
bene così. Ad entrambi.
—
Yuuri
trema. Ha paura. Non sa esattamente in che modo Viktor sia riuscito a
convincerlo che sarebbe andata bene la qualificazione del Grand Prix
fino a farlo uscire dalla stanza in cui si è barricato nelle
ultime due ore (o forse lo sa, ma non è salutare per il suo
cuore pensarci).
Ci
sono molti pattinatori che ha già conosciuto negli anni
passati e molti che ancora non ha conosciuto ma ha visto esibirsi in
televisione.
Sembrano
in gamba, forti e mille volte più sicuri di lui –
non che comunque ci voglia molto –. Indossa uno degli abiti da
esibizione di Viktor, uno di quelli che ha indossato a sedici anni
proprio per un Grand Prix, quello nero con le perline e i pezzi di
ghiaccio semi-trasparente attaccati alla parte superiore e sul
fianco. Ha sempre adorato quel vestito e ha conservato gelosamente il
poster in cui lo indossava fino a quel momento ma non è ancora
abituato all’idea che può avere qualunque cosa di
Viktor, se solo glielo chiedesse.
E
questa volta non glielo aveva chiesto, ma Viktor l’aveva capito
lo stesso e sdraiati sotto le coperte, nudi e stanchi, una sera
Viktor gli aveva chiesto se voleva indossare uno dei suoi abiti per
l’esibizione e sembrava avergli letto nella testa perché
voleva.
Voleva tantissimo ballare con Viktor o anche solo con una parte di
lui. Ora lo indossa, con qualche modifica qua è là per
renderlo di nuovo luccicante e perfetto. Viktor lo ha aiutato a
indossarlo negli spogliatoi – cercando di fermargli la
tremarella agli arti, ma era stato difficile e ci avevano messo
quindici minuti buoni perché si fermava ogni minuto per
baciarlo – e ora lo guarda come se risplendesse di luce
propria. E Yuuri non vuole illudersi ma probabilmente anche Viktor...
sì, anche Viktor è innamorato di lui.
“Yuuri...
sei nervoso?”
Viktor
gli prende le mani, stringe le dita – e non è come se il
cuore gli stia per saltare fuori dal petto, assolutamente, sente solo
come il suo mondo stesse girando al contrario e basta – e
sorride.
È
elegante e bellissimo come la prima volta che l'ha visto da vicino,
al banchetto post Grand Prix dell'anno prima. Era rimasto a fissarlo
per tutto il tempo e solo dopo due o tre bicchieri di champagne era
riuscito a distogliere lo sguardo e a convincersi che avrebbe fatto
meglio ad uscire dalla sala prima di chiedergli qualcosa di
inopportuno – tipo diventare il suo coach o avere un
appuntamento, ecco, l'appuntamento era decisamente più
plausibile del fargli da coach – e adesso è lo stesso.
Viktor
gli sorride ed è come se esplodesse una stella davanti ai suoi
occhi, ogni volta uno spettacolo meraviglioso e nuovo, uno che non
vorresti perderti mai più quando l'hai visto la prima volta.
“Un
po'. Mi guarderai?”
“Ti
guardo sempre, Yuuri.”
E
Yuuri sa che Viktor non mente.
“Continua
a farlo. Non distogliere gli occhi da me.”
Gli
tocca la fronte con la sua. Vorrebbe baciarlo ma non lo fa e comunque
non è necessario: sono entrambi lì, ed è Viktor
ad averglielo permesso, dopo tutto quel tempo in cui aveva già
messo una pietra sopra ai suoi sogni lui glieli ha regalati di nuovo
e non potrà mai fare abbastanza per ripagarlo.
Quando
dall'altoparlante chiamano il suo nome, Yuuri fa fatica a lasciargli
andare le mani e lo fa solo perché Viktor gli bacia le dita e
sussurra vinci.
E dal modo in cui lo dice, Yuuri capisce che il suo non è un
augurio ma una realtà, una convinzione. La fiducia che ripone
in lui è tutta lì, in quella parola.
Yuuri
pensa che lo deve fare, che è giusto così per tutti e
due.
Qualche
mese prima avrebbe dato tutto per essere sullo stesso palcoscenico di
Viktor Nikiforov e adesso non vede l'ora di scivolare fuori dal
ghiaccio per sentire le sue braccia strette al collo, per potergli
consegnare la sua vittoria.
E
se nel frattempo gli consegna anche il suo cuore non può
essere una cosa tanto malvagia, no?
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