X Agosto
“È
stato ucciso da un Auror?” chiese Harry esitante.“Oh,
no” rispose Sirius. “No, è stato
assassinato da Voldemort. O per
ordine di Voldemort, più probabilmente; dubito che Regulus
sia mai stato così
importante da scomodare Voldemort in persona. Da quanto ho scoperto
dopo la sua
morte, si era fatto coinvolgere fino a un certo punto, poi era stato
preso dal
panico per quello che gli era stato richiesto e ha cercato di fare
marcia
indietro. Bè, non si consegnano le dimissioni a Voldemort.
È servizio a vita, o
morte”.
“Il
pranzo” annunciò la signora Weasley. (*)
[…]
“Tu
non vieni, Sirius?” mi
chiese
Harry.
“Arrivo
tra un po’”
risposi,
senza neanche sapere il perché. “Devo dar da
mangiare a Fierobecco.
L’unica
giustificazione che
potevo addurre anche a me stesso.
Harry
uscì dal salotto. Udii i
suoi passi scendere le scale e mi dispiacque di aver cercato una scusa
per
rimanere solo. Il mio figlioccio era preoccupato per
l’udienza imminente ed io
non ero nemmeno in grado di tranquillizzarlo, se non di rivolgergli
qualche
parola consolatoria.
Ero
di nuovo prigioniero di
quella maledetta casa, con tutto quel che ne conseguiva. Neanche nei
miei
peggiori incubi avrei immaginato di potervi tornare, di udire di nuovo
le urla
di mia madre, di rivedere Kreacher, mentre ogni cosa, fino
all’ultimo
soprammobile, mi facevano tornare alla mente ricordi che avrei voluto
rimuovere
per sempre.
Ma
la cosa peggiore era quel nome
ricamato a filo d’oro sull’arazzo e che, se avesse
avuto gli occhi, in quel
momento mi avrebbe lanciato uno sguardo carico di accuse, le stesse che
tormentavano i miei incubi da sedici anni.
Non
sapevo perché avessi parlato
in quel modo a Harry; anzi, lo sapevo ma non riuscivo ad ammetterlo
nemmeno a
me stesso. Forse mi era sembrato imbarazzante, quasi vergognoso,
dimostrare di
rimpiangere un fratello Mangiamorte.
In
presenza di altri potevo anche
far finta di niente, ostentare indifferenza e disprezzo, ma quando ero
solo i
sensi di colpa tornavano ad attanagliarmi come sempre tutti i maledetti
giorni a
partire da quella seconda data scritta sotto il nome di Regulus. 10 agosto 1979.
Oggi,
10 agosto 1994,
erano
trascorsi esattamente quindici anni, ma per me non era cambiato nulla.
Non
volevo che gli altri lo
sapessero, neanche Harry. Ecco perché avevo parlato in quel
modo. D’altra
parte, cosa avrei dovuto dirgli? La verità era fuori
discussione: odiavo essere
compatito, anche se al momento ero proprio io a compatire me stesso.
Durante
il mio lungo soggiorno ad
Azkaban, i Dissennatori mi facevano rivivere i due momenti peggiori
della mia
dannatissima vita: la morte del mio migliore amico e quella di mio
fratello.
Rannicchiato
in un angolo della
mia cella, il viso poggiato sulle ginocchia flesse al petto, mi
sembrava quasi
di vederli dritti di fronte a me, mentre voci e urla si affollavano
nella mia
testa.
“Bella
idea proporre Peter come
Custode Segreto. Davvero una trovata geniale, Sirius, ti
ringrazio” mi diceva
l’immagine di James con un tono mostruosamente sarcastico.
Regulus
invece non parlava ma il
suo sguardo mi trafiggeva, ferendomi ancora più delle parole
di James, come se
stesse urlando:
“Mi
hai lasciato solo. Non ti
è
mai importato niente di quello che mi succedeva…”
Udii
il secondo richiamo di Molly
e, nonostante la nostra recente discussione, le fui grato di avermi
distolto da
quei pensieri.
Senza
guardare ancora l’arazzo,
gli voltai le spalle e uscii, intenzionato a portare davvero il cibo a
Fierobecco, ma mi fermai automaticamente all’ultimo piano.
Oltre
la porta sulla destra c’era
la mia stanza ma, nonostante vi dormissi da almeno due mesi, in tutto
quel
tempo avevo accuratamente ignorato la porta a sinistra. Oggi no.
Chissà
cosa mi aveva preso:
tutt’a un tratto ero diventato masochista.
Ritornai
col pensiero ai giorni
in cui quel pianerottolo era stato terra di nessuno, compreso tra le
due
trincee nemiche. Io avevo suppergiù nove anni, Regulus otto,
e trascorrevamo le
giornate a farci la guerra a vicenda.
Tuttavia
a quei tempi andavamo
ancora d’accordo…più o meno. Lui faceva
la spia ai nostri genitori quando ne
combinavo una delle mie ed io facevo il bulletto, senza risparmiargli
nessun
pugno. Poi però ciascuno dei due si ritrovava dietro la
porta della propria
camera, con la mano sulla maniglia, entrambi incerti se mettere da
parte
l’orgoglio o no.
Alla
fine era sempre lui a
cedere: non aveva la mia stessa forza di carattere.
Quando,
spiando attraverso il
buco della serratura, lo vedevo sbirciare oltre la porta socchiusa,
uscivo sul
pianerottolo esclamando:
“Ti
ho visto! Ho vinto di
nuovo!”
Anche
se avevo tutte le
intenzioni di approfittare della sua resa silenziosa per assestargli
qualche
calcio di sfogo, ogni volta rinunciavo solo guardandolo: aveva un anno
in meno
di me ma, mingherlino com’era, sembrava molto più
piccolo e riusciva
addirittura a farmi tenerezza.
Così
le nostre battaglie
terminavano con qualche battutina e delle pacche sulle spalle.
Questo
prima, molto prima che,
crescendo, prendessimo strade opposte.
Mi
avvicinai a quella porta, con
un accenno di sorriso amaro quando lessi la targa col familiare
messaggio:
Non
entrare
senza
il permesso
di
Regulus Arcturus Black
Naturalmente,
non gli avevo mai
chiesto il permesso per entrare, nonostante l’intimidazione
fosse rivolta
soprattutto a me. Anzi, era proprio per quel motivo che spesso
irrompevo nella
sua camera all’improvviso, solo per il gusto di dare
fastidio. Ripensandoci,
ero un ragazzino davvero odioso a quei tempi…
Non
mi accorsi nemmeno di aver
aperto la porta. Me ne resi conto solo quando mi ritrovai sulla soglia
di
quella stanza in cui, diversamente dalla mia, i colori verde e argento
dominavano incontrastati.
Fui
assalito da una cupa
desolazione nel vederla così vuota e abbandonata. Erano
secoli che non vi
mettevo piede e il solo fatto che stavolta non vi fosse nessuno a
sbattermi la
porta in faccia mi fece stare male.
Osservai
con rassegnazione lo
stemma dei Black dipinto sopra il letto impolverato, mi avvicinai a
guardare
gli articoli della Gazzetta del Profeta attaccati alla parete e mi
trattenni a
stento dal cedere alla tentazione di strapparli.
Avevo
cercato di farglielo capire
in tutti i modi, con le buone e con le cattive, ma non mi aveva dato
retta.
Non
mi dava mai
retta, come io non ne davo a lui. Aveva perso gli ultimi anni
della sua breve vita a seguire ad ammirare quello che sarebbe stato il
suo
assassino.
I
miei occhi s’inumidirono ma
trattenei le lacrime sbattendo velocemente le palpebre. Sapevo che non
sarei
dovuto entrare.
Mio
fratello mi guardava dalla
foto di gruppo della sua squadra di Quidditch. I Grifondoro spesso
accusavano i
Serpeverde di avere giocatori che si distinguevano solo per la forza
bruta e
l’inclinazione a commettere falli, ma Regulus era davvero
bravo, e a dimostralo
contribuivano le continue lamentele di James, che non poteva sopportare
l’idea
di avere un rivale alla propria altezza a minacciare la sua nomea di
miglior
Cercatore di Hogwarts.
“Senti,
Felpato” mi diceva
spesso
alla vigilia di una partita, “io ti voglio tanto bene, ma se
quel moccioso
domani oserà prendere il Boccino, sarò costretto
a renderti figlio unico”.
“Questo
dipende solo da te.
Invece di pensare alla Evans, concentrati” gli rispondevo io
con un ghigno.
In
realtà, anche se non osavo
ammetterlo, ero orgoglioso del fatto che Regulus desse del filo da
torcere a
James.
Ripensando
a quelle parole, mi
dissi che sarei diventato davvero figlio unico, già dal
momento in cui me ne
andai di casa.
Era
stato comodo scappare da
Grimmauld Place: in quel modo ero riuscito a vivere serenamente per
qualche
anno, ma non avevo risolto i problemi che mi ero lasciato alle spalle;
li avevo
semplicemente aggirati.
Ero
così desideroso di mandare
tutti al diavolo che non mi era neanche passato per la testa di pensare
al
fratello che lasciavo solo.
Avevo
rinunciato alla mia opera
di convincimento, ed era questo a tormentarmi. Quasi ogni notte, dopo
incubi
che ormai avevo imparato ad accettare come parte di me, mi risvegliavo
con la
consapevolezza che, se non lo avessi lasciato solo, forse non sarebbe
diventato
un Mangiamorte…o che almeno avrebbe chiesto il mio aiuto.
Fatto
sta che, quando aveva avuto
bisogno di e, io non c’ero. E Regulus non sarebbe mai venuto
a cercarmi, non
era nel suo stile da perfetto Black orgoglioso… tale e quale
a me.
Cercai
di nuovo di trattenermi.
Non potevo mettermi a piangere, dannazione…
Mi
alzai dal letto, desideroso di
andarmene al più presto, perché non ne potevo
più di stare lì. Il senso di
colpa mi soffocava.
Nella
fretta di uscire, urtai col
piede qualcosa che spuntava da sotto l’armadio e abbassai lo
sguardo su quel
qualcosa: era un piccolo baule, più una scatola, per la
verità, il classico
ripostiglio per gli oggetti di troppo, ma anche il posto perfetto per
nascondere qualcosa di compromettente.
Ormai
non ragionavo più, quindi
nemmeno mi chiesi perché tirai fuori la scatola e la aprii.
Era
piena di cianfrusaglie, ma
anche di oggetti cui Regulus teneva molto, come la miniatura della
Nimbus 1000
che gli aveva regalato nostro padre.
Quando
mi ritrovai una fotografia
per le mani, ebbi un tuffo al cuore, chiedendomi se facesse parte delle
cianfrusaglie o delle cose importanti. Ma doveva per forza appartenere
alla
seconda categoria.
Due
bambini sui quattro o cinque
anni con i lisci capelli neri e gli occhi grigi si picchiavano per
gioco, per
poi scoppiare a ridere e salutare allegramente con la mano. Sullo
sfondo c’era
un vasto prato molto familiare.
La
foto era stata strappata e
accartocciata, ma qualcuno l’aveva stirata e aggiustata con
del Magiscotch,
probabilmente la stessa persona, dopo qualche violento scatto di rabbia.
Mi
ricordavo di quella giornata
trascorsa nella villa di campagna dello zio Alphard. Sembrava passato
un
secolo…
“Sei proprio
una schiappa, Regulus!” Quante storie per aver fatto
quattro passi in un prato!”
Un ghignetto divertito
era dipinto sul volto del bambino più grande,
circondato dall’erba alta, mentre osservava il fratellino
arrancare per
raggiungerlo.
“Mi sono preso
una storta!” piagnucolò l’altro.
“Non è colpa mia”.
“Smettila di
frignare” lo canzonò Sirius, ma tornò
indietro per
aiutarlo a camminare, concedendogli di aggrapparsi a lui per tornare
alla
villa.
Ovviamente Walburga se la
prese con Sirius. Secondo lei era colpa sua
se Regulus si era fatto male. Avrebbe dovuto tenerlo
d’occhio, invece di
comportarsi da irresponsabile, eccetera: ormai Sirius aveva capito che
fosse
meglio tacere, invece di replicare.
Quella sera stessa, dopo
cena, Sirius e Regulus ottennero il permesso
di salire su nella grande terrazza. C’erano anche le loro
cugine.
“Come va la
caviglia, Reg?” chiese Andromeda, accarezzandogli i capelli
con affetto.
“Adesso sto
bene” rispose lui, osservando ammirato il cielo notturno.
Quella terrazza era un ottimo osservatorio.
“Andromeda, mi
fai rivedere dove sta la mia stella?” chiese Sirius,
ignorando Narcissa e Bellatrix che sospiravano: loro non avevano la
pazienza di
dare retta a due bambini, diversamente da loro sorella.
“In questo
periodo non si vede bene, però è
da quella parte” spiegò lei, indicando un punto
indefinito del cielo.
“E
Regolo?” domandò Regulus, tirandola per
la manica del vestito.
“È
lì. Guarda, si vede perfettamente”
rispose Andromeda, voltandolo verso la costellazione del Leone.
Regulus rimase in
silenzio per un po’, poi
fu colto da un dubbio e chiese:
“Cosa succede
quando ci sono le stelle
cadenti? Perché cadono?”
“Perché
muoiono” intervenne Sirius,
ostentando un’aria saputa.
Suo fratello lo
guardò male.
“No che non
muoiono. Le stelle non possono
morire…vero?” aggiunse poi, rivolgendosi di nuovo
alla cugina, improvvisamente
preoccupato. “Io non voglio che la stella di cui porto il
nome muoia”.
Andromeda sorrise.
“In
realtà non è così. Quelle che vediamo
cadere non sono stelle vere e proprie, ma meteore che bruciano quando
attraversano l’atmosfera…”
“Per favore,
sembra che tu ti sia letta un
libro di astronomia babbana, Andromeda” osservò
Bellatrix apparentemente
sarcastica, ma lo sguardo d’intesa che rivolse a Narcissa
aveva un’aria
pericolosa.
La sorella tuttavia non
rispose, ignorando
le altre due.
Ignari dei significati
più profondi di quel
silenzio, i due fratelli continuavano a fissare il cielo, scambiandosi
di tanto
in tanto qualche sorriso.
Bastava poco a far
divertire due bambini.
Bastava poco anche a riappacificarli dopo una discussione.
In fondo, alla loro
età, si litigava per
sciocchezze…
Non
riuscivo
più a fingere: le lacrime ormai mi rigavano il viso, e la
vista appannata m’impediva
di guardare con nitidezza la foto che ancora tenevo in mano.
Forse
Andromeda si era sbagliata.
Perché
quella
notte di quindici anni fa, il dieci agosto, era la notte delle stelle
cadenti,
e Regulus era caduto.
Neanche
udii i
passi di qualcuno che saliva le scale, almeno finchè non si
fermarono con una
chiara esitazione sul pianerottolo.
Udii
quel
qualcuno bussare alla porta.
“Sirius,
sei
qui?” chiese la voce gentile e cauta di Remus.
Risposi
con un
mugugno e mi affrettai ad asciugarmi gli occhi, inutilmente. Tuttavia
Remus non
si azzardò a entrare e gliene fui grato. Lui aveva sempre
saputo quanto tenessi
a Regulus, fin da quando avevamo undici anni; l’aveva capito
molto prima di
James stesso.
“Volevo
solo
dirti che siamo tutti a tavola. Scendi quando vuoi”.
“O-ok…”
risposi, la voce spezzata.
Remus
tornò in
cucina ed io chiusi gli occhi nella speranza di bloccare il pianto.
Quasi riuscivo
a vederlo, Regulus, strappare e accartocciare quella foto dopo la mia
fuga, per
poi pentirsene e provare ad aggiustarla. Non pensavo che anche lui
avesse
desiderato di avermi di nuovo accanto. Credevo che mi avesse
dimenticato: aveva
interpretato bene la sua parte, ed io pure.
Mi
chiesi se
sapesse quel che avevo fatto dopo la sua morte. Ero stato
così ingenuo da
pensare che una simile disgrazia avrebbe potuto riavvicinarmi ai miei
genitori.
Ero addirittura tornato a trovarli proprio qui, ma le loro reazioni
erano state
prevedibili.
Mio
padre
finse di non conoscermi. Non si arrabbiò neanche
perché era troppo debole. Già
da allora avevo capito che sarebbe morto di lì a poco.
Mia
madre
invece m’impedì di entrare, urlandomi in faccia,
fuori di sé. Mi accusò di
essere responsabile della morte di mio fratello e mi disse di non
tornare mai
più.
Capii
fino a
che punto fossero giunti a odiarmi e mi convinsi che Regulus avesse
fatto
altrettanto.
Ora
sapevo di
essermi sbagliato.
“Scusa”
pensai, come se potesse sentirmi. “Mi
dispiace…”
Non
l’avrei
mai detto a voce alta.
Asciugandomi
il viso bagnato, tornai in piedi e diedi un’ultima occhiata
alla foto. Infine,
me la infilai nella tasca della giacca. Se Regulus aveva voluto
conservarla, io
avrei fatto altrettanto.
E
magari avrei
smesso di fare incubi e odiare me stesso, se mi fossi ricordato di
riguardare
quella foto, dalla quale mio fratello continuava a sorridermi.
(*) da
Harry Potter e
l’Ordine della Fenice,
capitolo 6, pagina 116
*Angolo
autrice*
Qualche
giorno fa stavo rileggendo alcune parti dell'Ordine della Fenice, e in
particolare il capitolo in cui Sirius mostra a Harry l'albero
genealogico della famiglia Black e, ripensando alle sue parole su
Regulus, mi è venuta fuori questa one-shot.
Naturalmente,
il fatto che Regulus sia morto il 10 agosto è un'invenzione
tutta mia. Ipotizzando che sia successo durante l'estate, ho scelto
questa data sia per il collegamento con le stelle cadenti, sia
perchè mi è tornata in mente la poesia di
Pascoli, intitolata proprio così. Insomma, tutto tornava,
perciò non potevo non pubblicarla!
Spero
che vi sia piaciuta. Ci tenevo a rifarmi viva! XD Al momento sto
lavorando ad un'altra long fiction sempre su Regulus (per maggiori
informazioni, guardate la mia pagina personale su EFP!)
Giulia
8/01/2010
La
fanfiction ha partecipato al "Flash contest" indetto da
Addison89/CallieAM.
Questo è stato il giudizio:
4^
classificata (a pari merito con ISI e HermioneForever92) Julia Weasley
con X Agosto
Metri Di Giudizio:
Grammatica e sintassi: 10 – 8.5
Lessico e Stile: 10 - 8
Originalità: 15 - 15
Caratterizzazione dei Personaggi: 10 - 10
Giudizio Personale: 15 - 15
Per un totale di 56.8 su 60
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