Stuck
Paralizzato.
Il corpo
trafitto da mille spilli, la bocca spalancata ma incapace di produrre
qualsiasi suono, mentre un intenso ronzio gli riempiva le orecchie,
simile al mescolarsi di onde in tempesta e voci lontane.
Gli occhi si
aprirono, scontrandosi con un buio pesto, sopra e intorno a
sé, suscitandogli un forte senso di disagio.
Respirava a
stento, sopraffatto dall’orribile percezione di aver
inghiottito delle schegge affilate che gli si erano piantate in gola.
Il cuore pulsava veloce, il sudore gli solleticava le tempie,
riversandosi fino alla nuca, e non riusciva a muoversi.
Era sveglio,
almeno così credeva, riconoscendo l’odore
familiare di cera rappresa, polvere da sparo e alcol che viziava
l’aria della sua cabina, eppure non aveva il controllo di
nessuno dei suoi arti, come se un peso invisibile gli schiacciasse il
petto.
Doveva urlare.
Era l’unico modo per spezzare quella sorta di beffardo
incantesimo in cui erano imprigionati i suoi muscoli. Così
concentrò tutte le sue forze sui propri polmoni, cercando di
inspirare quanto più possibile, anche se era più
faticoso del normale, sentendosi strozzare.
Per i primi
interminabili secondi fu capace di emettere solo un rantolo flebile e
rauco, poi iniziò a percepire il fiato annaspare a poco a
poco attraverso la trachea, quasi raschiandone le pareti arse e
asciutte nel tentativo di vincere l’attrito di quel qualcosa
di intangibile, finché con uno strillo acuto e poco virile
balzò sui reni, riacquistando lentamente la padronanza dei
nervi scossi e intorpiditi.
Seduto in
mezzo alla sua branda disfatta da un sonno travagliato, le lenzuola
attorcigliate alle caviglie e le palpebre appiccicaticce, Jack Sparrow
attese qualche istante che quel fastidioso formicolio che gli pizzicava
la carne passasse e la testa smettesse di girare vorticosamente, prima
di cercare tastoni la fiaschetta che teneva sempre a portata di mano
sotto il guanciale e tracannarne con foga il liquido ambrato, unico suo
dolce conforto in assenza di altre piacevoli compagnie.
Oramai gli
capitava sempre più spesso di dover affrontare quello
sgradevole incubo lucido prima di svegliarsi del tutto e poter
cominciare le sue giornate, scandite come sempre da sale, vento,
solitudine e sotterfugi.
Forse stava
diventando troppo vecchio per quella vita scapestrata, osava
importunarlo di tanto in tanto una vocina dispettosa, ma lui
puntualmente non le dava alcun conto.
Non voleva e
non poteva arrendersi allo scorrere inesorabile delle maree. Aveva
ancora tanto da provare, tanto da vedere, tanto da dare al mondo,
sebbene lo avesse girato in lungo e in largo per molti più
anni di chiunque avesse mai conosciuto.
Schioccò
la lingua con un mugolio di approvazione, la pancia piacevolmente
scaldata dal sapore zuccheroso del rum e, buttando via la bottiglietta
oramai vuota, si diede una grattatina alla bandana logora e ad
un’ascella umidiccia, gettando un’occhiata
assonnata allo scarso chiarore dell’ambiente che lo ospitava.
Le candele
dovevano essersi consumate del tutto durante le ore notturne, aveva
dimenticato di sostituirle con altre più nuove la sera
prima, ma adesso qualche spiraglio di luce stava infiltrandosi
furtivamente a dissipare l’oscurità dominante.
Così
poggiò i piedi scalzi sul pavimento e avanzò con
gambe malferme sulle assi scricchiolanti, disseminate di scartoffie e
cianfrusaglie che aveva accumulato di porto in porto nelle ultime
settimane, raggiungendo la vetrata prospiciente per dare
un’occhiata al panorama esterno.
Calypso doveva
essere di umore particolarmente giulivo, osservò tra
sé e sé.
Un cielo senza
nuvole stava rischiarandosi alle prime luci dell’alba e il
mare placido e piatto ne rifletteva i tenui colori, luccicando come uno
specchio. Non una vela si stagliava all’orizzonte, lo scafo
rollava appena cullato dalla placida risacca, le forti correnti del
golfo insolitamente tacevano, i gabbiani dormivano ancora, e
così il resto della nave, a giudicare dal pesante silenzio
che ristagnava tra le lerce paratie.
Quella visione
di pura quiete gli instillò una viscida sensazione di
malessere nelle budella, la stessa che lo teneva vigile e insonne per
gran parte del giorno e della notte, sottraendogli indispensabili ore
di riposo, col bel risultato che finiva per appisolarsi nei momenti
meno opportuni e per attirarsi le malevole critiche sottovoce di quei
cani ingrati dei suoi sottoposti, sempre dannatamente inclini a
rimarcare le sue piccole pecche.
La
verità era che quella imperturbabile situazione di stallo lo
stava lentamente uccidendo. Uccideva la sua mente brillante, figurarsi
il suo corpo che, per quanto ancora più che vigoroso, era di
certo meno agile e scattante di un tempo, e stava rammollendosi nel
crogiolarsi in quel tedioso ozio.
Aveva bisogno
di incappare in qualcosa di imprevedibile, di spaventoso, di eccitante,
qualcosa capace di accendere i suoi sensi, di attorcigliargli lo
stomaco, di far fremere la sua spina dorsale.
Un diversivo,
un inconveniente, un guaio, una catastrofe …
No, beh ecco,
forse non bramava proprio trovarsi coinvolto in qualcosa di
così estremo e potenzialmente fatale per la sua pellaccia,
ma quantomeno sognava di incorrere in una sfida diversa, in una
scoperta oltre i limiti della mappa che mettesse alla prova le sue
tante innate qualità e lo strappasse a
quell’infida bonaccia che perdurava da un po’
troppe lune, snervandolo.
Non poteva
farci niente. Era sempre stato così. Troppa pace lo rendeva
inquieto.
Un bagliore
improvviso gli colpì le pupille, rimbalzando dalla parete
alle sue spalle e infrangendosi sulla finestra che aveva davanti.
Si
voltò di scatto, facendo tintinnare i variopinti monili
intrecciati tra i lunghi capelli stinti dal sole.
Era stata lei a richiamarlo.
E chi altri sennò?
«Credi
che mi sia dimenticato di te?! Giammai! Ti tirerò fuori da
lì. L’ho promesso e lo
farò!», strepitò con tenace
convinzione, agitando bizzosamente un pugno per dare maggiore credito
al suo giuramento.
Il riflesso
luminoso occhieggiò una seconda volta con minor
intensità, portando un’ombra scura ad incupire il
volto del famigerato Capitano e spingendolo ad avvicinarsi con fare
meno spavaldo alla sua fonte.
Scostò
i cuscini e raccolse cautamente tra le mani il fragile oggetto di vetro
che custodiva il tesoro più prezioso che avesse mai
conquistato, uno splendente trofeo da cui si ostinava a non volersi
separare, nonostante tutto.
«Non
ti fidi più di me neppure tu, nevvero?», la
interrogò atteggiando le labbra in un ghigno stentato e
profondamente amareggiato.
La Perla Nera
in miniatura beccheggiò tra i lievi flutti intrappolati
insieme a lei in quel perpetuo e statico galleggiare, altera e
insofferente.
Ogni volta che
si soffermava ad osservare quella bottiglia e a considerare che il
vascello racchiuso lì dentro non era un insulso modellino
fabbricato da un abile artigiano per il capriccio di qualche
collezionista, bensì un pezzo incommensurabile della sua
anima e della sua storia, veniva travolto da un miscuglio di emozioni
crudeli e contrastanti. Nessuno avrebbe più potuto averla,
neanche lui.
Neanche lui,
che ci aveva versato sangue, sudore e lacrime amare su quel robusto
ponte, ora lungo solo appena più di un pollice. Neanche lui,
che aveva condotto fughe spettacolari, intessuto imbrogli sopraffini e
perpetrato innumerevoli ruberie grazie alla resistenza di quelle vele,
ridotte a minuscoli brandelli di stoffa. Neanche lui, che insieme a lei
aveva solcato con successo acque tenebrose e oceani in tempesta,
affidandosi alla formidabile tempra della sua chiglia, ormai poco
più solida di un mucchio di stuzzicadenti.
“Imprigionata,
non perduta”.
Si era impuntato a ripetersi allo sfinimento quando, seppure in una
condizione decisamente diversa da quella che aveva sognato,
l’aveva infine recuperata. Ma la speranza di tornare a
cavalcare con lei quel glorioso passato si era rivelata una spietata
illusione, col disastroso naufragare dei suoi molteplici tentativi di
sbottigliarla.
Avrebbe
preferito di gran lunga saperla irraggiungibile sul fondo
dell’oceano, lontana e nascosta a chiunque, piuttosto che
doversi rassegnare a vederla in quella indegna prigione di vetro,
appena ad un soffio da lui, e non poterla toccare che col pensiero.
Forse esisteva
una sola persona in tutti i sette mari che avrebbe potuto aiutarlo a
portare a termine quella bizzarra impresa.
Soltanto che
con quella vecchia carogna infame non aveva alcuna intenzione di
incrociare più la sua rotta. E in ogni caso, non si
sarebbe mai abbassato a chiedere il suo appoggio.
La Perla Nera
era andata persa … o meglio catturata, per
colpa di quell’irritante individuo, che dopo tale sconfitta
aveva pure compiuto l’ignobile scelta di cambiare
partito, diventando un patetico corsaro al servizio della Corona
Inglese.
Dubitava che
una disgrazia del genere sarebbe successa se al timone ci fosse stato il
grande Capitan Jack Sparrow. Lui avrebbe combattuto fino
all’ultimo battito, si sarebbe opposto fino
all’ultimo spasimo, piuttosto che consegnare il suo gagliardo
veliero a quella sorte iniqua.
D’altro
canto, aveva già anteposto la sua vita a quella nave in
almeno un paio di occasioni.
….
Magari era proprio quella l’origine di tutte le sue
tribolazioni. Non avere ancora avuto il fegato di lasciarla andare.
In un moto di
stizza, Jack ripose la bottiglia nello scrigno argenteo foderato di
velluto che aveva fatto costruire appositamente per lei, per
proteggerla da urti accidentali e sguardi indiscreti.
Notò
che la superficie trasparente era già stata intaccata da
piccolissime scalfitture.
E se gli fosse
inavvertitamente scivolata di mano e nell’impatto si fosse
infranta? Sarebbe tornata alle sue grandiose dimensioni, oppure si
sarebbe polverizzata?
Non lo sapeva,
non poteva saperlo, non lo avrebbe saputo mai, perché si era
sbarazzato di tutti gli altri velieri imbottigliati usandoli come merce
di scambio, e malauguratamente non aveva pensato che avrebbe potuto
sperimentare l’esito di quelle congetture con alcuni di
essi.
Ora al solo
lasciarsi sfiorare dalla tentazione di provare a vedere cosa sarebbe
successo se l’avesse lasciata cadere, una morsa di terrore si
impossessava delle sue dita, stringendole con più forza al
fragile oggetto.
Ma alla
peggio, cosa poteva mai capitare, dopotutto? O avrebbe funzionato, e
allora gli si sarebbe allagata e distrutta e l’attuale
cabina, oppure la Perla Nera si sarebbe frantumata in mille
insignificanti pezzetti e non avrebbe più dovuto
scervellarsi inutilmente a cercare la maniera di liberarla.
Restò
con le braccia a mezz’aria, assorto a contemplare
l’impassibile nave dalle vele nere, atrocemente indeciso
sull’opportunità o meno di sconfiggere una volta
per tutte quella morbosa incertezza che tormentava con insistenza le
sue meningi.
«Non
è che ti voglio male, nient’affatto. È
che vorrei solo non vederti più soffrire»,
farfugliò in un melanconico sorriso a denti
stretti. Raddrizzò la schiena, dandosi un contegno
più grave: «Spero che non soffrirai
più. Addio, mia cara», pronunciò con una
voce che voleva suonare sentita e solenne, ma venne incrinata da un'intima commozione.
Serrò
le palpebre, terrorizzato da quel che si stava azzardando a commettere,
allentando con estrema lentezza la presa sulle estremità
della bottiglia …
«Capitano!»
La porta si spalancò bruscamente, i suoi gomiti
sobbalzarono, i polpastrelli persero aderenza, la bottiglia
eseguì una doppia giravolta, il suo battito si fermò, le
ginocchia scattarono in avanti e il suo corpo impattò
rovinosamente sul pavimento, allungandovisi sopra come un tappeto
srotolato per tentare di parare la caduta nel vuoto di quel singolare affetto che non voleva
rassegnarsi ad abbandonare.
Jack
strabuzzò gli occhi bistrati, lasciandosi andare ad un
sospiro di sollievo. La Perla era salva.
«Mannaggia!
Gibbs!», imprecò esasperato, rialzandosi in piedi
e occultando la bottiglia
miracolosamente afferrata tra i risvolti della larga camicia ingiallita, appena prima che il suo secondo entrasse.
«Si può sapere che cosa diamine porta il tuo
grosso e pesante posteriore ad introdursi di soppiatto nei miei alloggi
senza preavviso alcuno?!», lo rimbrottò con
più veemenza e astio di quanto fosse solito fare altrimenti.
Il buon
nostromo, conoscendolo e sopportandolo da anni, era più che
avvezzo alle stranezze e ai repentini sbalzi di umore del suo stravagante amico. Pur essendosi lievemente risentito per quelle parole, non si
turbò più di tanto per il suo accento offensivo.
«Siamo
pronti a salpare, signore», si limitò molto
spicciamente a comunicargli, portando le mani callose alla cintura e
alzando un sopracciglio in un conciliante cenno di intesa.
Capitan
Sparrow rimase immobile, le braccia strette al petto a camuffare il
rigonfiamento provocato dalla bottiglia nascosta, le gambe incrociate
in una posa poco spontanea, la mascella tirata in
un’espressione compassata: «Molto bene»,
commentò laconico.
Ma il fidato
Gibbs si trattenne ancora a fissarlo esitante, il labbro inferiore
leggermente in fuori, in palese attesa di eventuali ordini.
«Tracciate
pure una rotta a vostro piacimento», lo spiazzò
Jack, girando su se stesso e voltandogli le spalle, così da
potergli sottrarre alla vista i suoi maneggiamenti per sfilare la Perla
dal risvolto della camicia e riporla momentaneamente nella tasca del
suo logoro soprabito appeso ad un gancio della parete.
«Come?!»,
esclamò basito Joshamee, avanzando un passo verso di lui.
Il pirata
sbuffò, roteando gli occhi al cielo, assillato dal suo
indiscreto indugiare nella sua intimità. Con quel trambusto
non aveva neppure potuto indossare i calzoni: «Da qualche
parte dovremmo pure andare!», sbottò pragmatico e
spazientito, infilandosi con nonchalance il lungo pastrano, per coprire almeno un po’ le proprie vergogne e darsi un tono più dignitoso.
«Mi fido del tuo giudizio», asseverò
sfuggente, andandosi a sedere allo scrittoio e curvandosi a esaminare
alcune carte, lasciandogli intendere che aveva parecchio su cui
meditare.
«Aye,
capitano», sospirò il suo ufficiale, ben capendo
che al momento non gli restava altro da fare che licenziarsi senza
più contraddirlo.
Non appena la
porta sbattendo contro lo stipite malmesso ebbe chiuso fuori ogni
rumore e interferenza, Jack si spogliò della
formalità rappresentata da quella elegante casacca scura, e
ne frugò il fodero, recuperando l’adorato cimelio
che vi aveva occultato.
«Perdonami»,
bisbigliò pentito, rivolgendole un ultimo sguardo carico di
nostalgica ammirazione prima di sistemarla nella sua argentea custodia,
chiuderla a chiave e spedirla con un calcio misurato sotto la branda,
al riparo da brame altrui e da suoi stessi colpi di testa.
Espirò
dalle narici, indulgendo nella considerazione che l’insonnia
era proprio una brutta bestia.
Avrebbe dovuto
bere qualche sorso di più magari, prima di andare a dormire. L'alcol era un ottimo sonnifero. Eccola la soluzione, semplice e abbordabile.
Ragion per cui dovevano depredare al più presto qualche
ricco mercantile.
Orientò
la specchiera a favore della luce oramai chiara del mattino, e si
apprestò a raccattare pantaloni, stivali, cintura e
cappello, rientrando totalmente nelle sue vesti di rispettabile
Capitano.
Aveva ancora tanto da
fare, tanto da dare, tanto da scoprire, sul mondo e forse anche su se
stesso, pensò rincuorato, avviandosi con andatura sicura al
ponte di coperta, consultando l’ago instabile della sua
prodigiosa bussola.
Salve a tutti, marinai e
donzelle :D
Non mi facevo viva da
parecchie maree tra questi lidi, ma finalmente il caro capitano
è tornato a bussare alla porta della mia ispirazione e
così, iniziando a fantasticare su ciò che
potrebbe aver provato in questo lasso di tempo compreso tra gli eventi
de "On stranger tides" e quelli dell'imminente "Dead men tell no tales"
(mi rifiuto di usare gli imbarazzanti titoli italiani ^^"), ho
cominciato a mettere giù qualche appunto ed è
uscita fuori questa bislacca one shot dai toni piuttosto ambigui e
agrodolci. Eh sì, per chi mi conosce bene o ha letto qualche
altra mia ff dedicata a Capitan Sparrow, si tratta della mia ennesima
incursione nello Sparrapearl XD
Dalle veloci immagini dei vari trailer e spot sembrerebbe che i due
torneranno finalmente insieme. E chissà che l'uscita del
nuovo capitolo non mi costringa a produrre altre ff (i Turner!
Torneranno anche i Turner stavolta *.*).
Intanto ringrazio quanti si sono incuriositi ed hanno dedicato un po'
del loro tempo per leggere fin qui. Commenti, critiche e opinioni sono
sempre graditi :)
Adesso tolgo le ancore, al prossimo approdo!)
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