Eleutheria
O
sapiente e scellerato profano, insaziabile cultore e
caparbio dissodante dei confini tra il mortale e il divino, a te
rivolgo la profezia da me incisa sulla superficie marmorea del glorioso
faro di Alessandria prima di elevarmi all’ultraterreno.
A te, padroneggiante
del greco antico, degno quindi delle mie parole e del mio eterno
castigo, narrerò la testimonianza di questo dio minore da te
studiato e approfondito con la recondita volontà di renderlo
familiare ai posteri.
O visitatore, la tua
rivincita si sta manifestando di fronte ai tuoi occhi, così
come la mia. La tua irrefrenabile sete di conoscenza sazierà
la mia di vendetta.
Proteo, “il
primo nato”, è il mio nome, e
dell’unione di Oceano e Teti io sono il frutto. Delle
rinomate sponde dell’isola di Faro e dei recessi del mare
limitrofo io ero il padrone; a me spettava pascere le placide monache*
del consorte** della Nereide Anfitrite e vaticinare la ventura degli
invadenti mortali propensi alla perizia e al gaudio.
Ah per gli dei, quale
illogicità celava la mia anima troppo ignava per adempiere
tale ruolo! La mia stessa identità mi era ostile,
poiché abusata dagli stolti che contaminavano la mia amata
terra. Mutavo le mie sembianze per sottrarmi a chi mi interpellava,
sfruttando il dono concessomi dalla grazia dei padroni celesti; in
serpente, leone, ardente fiamma, piante e acqua scorrente mi
trasformavo, e il saggio oracolo che era in me vacillava, corrotto
dall’indole primitiva di chi inglobava il mio aspetto, o
estinto dalla mera linfa vitale dei fiorenti virgulti.
Il vaticinio
avvelenava il mio animo letargico, ma l’egoismo e la brama di
sapere dei mortali spegnevano ogni loro traccia di compassione: mi
coglievano all’impensata nelle calde ore del pomeriggio,
legandomi ed impedendo la mia fuga sotto forma di mille sembianze,
mille maschere di volti che non mi appartenevano ma che desideravo
possedere eternamente.
Ho trascorso
un’esistenza triste, iniqua e non gratificata; motivo per il
quale nacque in me il desiderio di tramandare la mia figura, le mie
sofferenze e impacci manifestandomi sulla loro nuda pelle.
Così come
io non ho mai ottenuto pace ed ossequi, non ne avrete nemmeno voi, o
stolti mortali che verrete a profanare la mia tomba. Chiunque
leggerà questo mio scritto, sarà maledetto dal
mio stesso rovello. Nell’arco di un anno, il vostro aspetto
assumerà caratteristiche vergognose e disonorevoli. Le
vostre ossa, le vostre membra subiranno una crescita e deformazione
incontrollata, saranno costellate di morbi letali ed insanabili. Il
vostro intelletto perturbato vi impedirà di raziocinare;
sarete sopraffatti dall’ignominia e
dall’inettitudine. La vostra suprema conoscenza
verrà deteriorata, la vostra vita diverrà
opprimente.
Ti vedo, o temerario,
mentre resti basito e tremi di fronte a queste parole. Ti vedo mentre
sussurri imprecazioni e trattieni risate nervose per
l’ingenua convinzione che ciò possa essere una
menzogna. Ben presto diverrai martire; non ci sarà rimedio,
sollievo a tale sciagura. Niente e nessuno potrà rimuovere
questa mia incisione, perché così è il
mio volere.
Perpetuo
e temuto sarà il mio nome, nell’epilogo senza fine
e nell’eterno avvenire.
~
* foche
**
Poseidone
Angolo
dell’autrice
Volevo approdare in
questo fandom già da un po’ di tempo, dopo aver
sfogliato i miei vecchi libri scolastici di letteratura/mitologia greca
e aver sentito un’incredibile nostalgia.
L’occasione me
l’ha fornita questo contest di flashfic. Quando ho visto tra
i fandom accettati questa categoria, non ho potuto fare finta di
niente, cogliendo quindi la palla al balzo e iscrivendomi.
Il contest richiedeva di
ispirarsi ad una di dieci immagini proposte. Ho scelto quella che
vedete in alto poiché mi è venuto in mente di
collegarla alla leggenda di Proteo, divinità greca col dono
di mutare le proprie sembianze, poco conosciuta ma dalla quale la
celebre sindrome di Proteo ha preso il nome; si tratta di una malattia
che, appunto, trasforma l’aspetto fisico di una persona
tramite una crescita incontrollata delle ossa e dei tessuti.
L’immagine,
che rappresenta tante maschere identiche, si ricollega ai mille volti,
mille aspetti fisici differenti che nella storia appartengono ad un
solo individuo (Proteo), così come al perenne senso di
insoddisfazione, vuoto, rabbia di quest’ultimo per non essere
riuscito a cambiare totalmente se stesso e il suo destino.
A parlare è
proprio lui; per questo motivo, essendo egli una figura divina, ho
utilizzato un linguaggio quanto più formale e aulico
possibile, consono quindi alla mistica aura e sapienza del personaggio.
La storia di Proteo
è stata sintetizzata nelle prime righe (ma ciò
non vi vieta di approfondire la sua conoscenza); la seconda parte,
invece, narra come io ho immaginato la diffusione del morbo, ossia
tramite vendetta personale nei confronti di chi avrebbe messo piede nel
suo territorio e letto la sua scritta.
È la prima
volta che mi cimento in una flashfic, poiché tendo a
scrivere capitoli prolissi e mi è difficile sintetizzare le
mie idee; tuttavia, dopo un sacco di versioni e rimozioni (*ride*),
sono riuscita a ultimare questa storia di 500 parole esatte.
Infine, il suo titolo,
Eleutheria, è una parola greca che significa
“libertà”. La libertà che
Proteo ottiene fisicamente, “elevandosi
all’ultraterreno”; psicologicamente, mettendo in
atto la sua vendetta e saziando il suo astio; socialmente, per aver
trovato il modo di farsi ricordare.
Spero che essa vi sia
piaciuta e vi abbia incuriosito, e vi ringrazio tantissimo per essere
arrivati fin qui.
Commentate, mi farebbe
piacere leggere i vostri pareri!
Tornerò da
queste parti; non so quando, ma tornerò.
Un saluto a tutti,
Scarlet
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