Komorebi

di JEH1929
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24 dicembre, Vigilia di Natale

Finisco di indossare il Montgomery invernale e apro la porta della nostra camera. Hayama mi aspetta sulla soglia, impaziente, sta guardando l’orologio che tiene al polso e si appoggia allo stipite della porta. Mi blocco un attimo a guardarlo, senza farmi notare. Ha lo sguardo accigliato, ma adesso i suoi occhi ambrati non sono più coperti dal ciuffo troppo ingombrante di capelli dorati, visto che glieli ho tagliati. Sembra irritato, perché odia aspettare e non sopporta quando ritardo troppo, ma allo stesso tempo emana la stessa calma, la stessa totale serenità che io stessa sono sicura di emanare.
Quando alla fine mi vede un angolo della bocca gli si piega leggermente verso l’alto, anche se fa di tutto per dissimulare, alzando gli occhi al cielo.
- Finalmente, Kurata!
Lo affianco, mentre scendiamo le scale. Hisae e Gomi sono partiti per una piccola vacanza natalizia, mentre Aya e Tsuyoshi sono dai genitori di lei a festeggiare la vigilia, quindi io e Akito siamo gli unici rimasti nell’appartamento.
- Dove andiamo? – gli chiedo.
- È una sorpresa. – dice.
Rimaniamo in silenzio per tutto il tragitto fino alla stazione, camminando l’uno a fianco all’altro, ma non si tratta di un silenzio imbarazzante, si tratta di quel silenzio rilassante, che puoi provare solo con le persone che conosci da così tanto tempo e con cui ti trovi talmente a tuo agio da non avere più bisogno di dire niente. E con Akito adesso è sempre così.
Alla fine raggiungiamo la stazione. Non appena ci sediamo nella carrozza un senso di déjà-vu si impossessa di me prepotentemente. Mi giro nella direzione di Akito, che siede dalla parte del finestrino, una mano intrecciata alla mia, lo sguardo intenso rivolto chissà dove sul paesaggio circostante. Quando si accorge che lo sto fissando si volta nella mia direzione.
Al nostro primo appuntamento, così tanto anni fa, mi aveva portato in un posto non molto usuale per dei bambini di dodici anni, ma io avevo capito quanto fosse importante per lui e quanto fosse importante anche il fatto che avesse deciso di portarmi proprio lì. Così anche adesso, capisco immediatamente dove stiamo andando e mi sento così piena di dolcezza dentro di me che non posso fare a meno di allungarmi e di stampargli un bacio sul naso, mentre il solito lato della sua bocca si inclina leggermente verso l’alto.
 
Siamo in piedi davanti alla tomba di mia madre. Ricordo quando ho portato qui Sana la prima volta, al nostro primo appuntamento. Nel corso degli anni ci siamo tornati, diverse volte, ma non so perché questa volta è diverso, è speciale. È come se fosse di nuovo la prima volta, quando, dopo che le avevo raccontato quella storia assurda, a cui io stesso non avrei mai creduto se non l’avessi vissuta, lei mi aveva creduto, si era fidata ciecamente di me e aveva capito. Non l’avevo raccontato a nessuno, né prima né dopo, e mai l’avrei fatto. Perché chiunque avrebbe riso di me, perfino Tsuyoshi, perfino Natsumi, ma Sana no. Lei non l’aveva fatto.
La vedo, sta sorridendo in direzione della tomba, probabilmente sta chiacchierando con mia madre nella sua testa, gliel’ho visto fare così tante volte in questi anni. Ogni volta le chiedevo cosa le aveva detto, ma lei, imperturbabile, si rifiutava si rispondere. E ogni volta si inchinava, in segno di ringraziamento.
E infatti, puntualmente, anche oggi la vedo sorridere e poi inchinarsi. Allora mi raggiunge, un sorriso di gioia stampato sul volto, un sorriso che riesce sempre a scaldarmi il cuore.
- Perché ogni volta la ringrazi? – le chiedo.
E questa volta, stranamente, lei mi risponde.
- La ringrazio perché ti ha salvato la vita…
Lo dice con una tale semplicità, eppure rimango senza fiato.
- Due volte. – aggiunge.
Avevo deciso di aspettare, ma capisco che quello è il momento giusto, davanti alla tomba di mia madre. Le porgo il regalo di metà compleanno che le ho fatto con anni di ritardo.
 
Akito mi porge un pacchetto e io sgrano gli occhi, stupita.
- Non dovevi…
Ma lui mi interrompe bruscamente.
- Aprilo.
Non replico e comincio ad aprire il pacchetto, lentamente, mentre lui sembra sempre più impaziente e nervoso. Sorrido del suo nervosismo, ma mi affretto un po’ di più nell’aprirlo.
Finalmente riesco a schiudere la scatola e vi guardo all’interno. Quello che vi trovo mi lascia senza fiato. E per un secondo Akito si preoccupa, mi si avvicina.
- Va tutto bene? – chiede.
Quando riesco a riacquistare le mie capacità cognitive, non posso fare altro che saltargli addosso e baciarlo. E mentre le nostre labbra si incrociano e le nostre anime si intrecciano, sentiamo che questa volta niente potrà finire.
Il cestello di Venere. O Euplectella aspergillum. Questo è il regalo che Akito mi ha fatto.
La natura riesce a sorprendere con la sua perfezione anche nelle profondità del mare. Tra i 40 metri e fin oltre i 5.000 metri di profondità, crescono e si sviluppano le spugne di vetro Euplectella. Una specie di spugne marine delle Hyalospongiae, classe dalla quale deriva il nome di spugne di vetro. Lo scheletro di queste spugne è un intreccio di spicole silicee che le rende quasi indistruttibili. Questa resistente fibra di vetro naturale permette alle spugne di sopportare l’enorme pressione esercitata dalla massa d’acqua in profondità. Il maschio e la femmina della specie di gamberetti Spongicola Venusta, quando sono ancora allo stato larvale, attraversano le maglie delle spugne trovando al suo interno rifugio e nutrimento. Contemporaneamente alla crescita dei gamberetti, avviene la crescita delle spugne le cui maglie di fibra di vetro diventano sempre più fitte. Il Cestello di Venere diventa così per la coppia di gamberetti un rifugio naturale. Rimarranno all’interno della spugna per tutta la loro vita, insieme fino alla morte. La storia d’amore dei gamberetti nelle spugne di vetro è sicuramente tra le più romantiche del mondo animale. Sorprendente è il loro “vivere insieme finché morte non ci separi”. Per questo motivo le spugne di vetro, nella cultura di alcuni paesi asiatici ed in particolare del Giappone, rappresentano il dono ideale per i novelli sposi, come simbolo e auspicio di fedeltà coniugale.
Ed è così incredibile, ma così naturale, come noi due, Sana e Akito, Kurata e Hayama, la ragazza “S” e il ragazzo “A”, dopo tutti questi anni siamo ancora insieme, all’interno della nostra spugna. Da quando eravamo bambini, fino a quando moriremo. Per sempre.

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E siamo giunti alla fine di questa storia! Spero davvero che vi sia piaciuta e di non aver totalmente perso il mio tempo.
Ringrazio nuovamente tutti coloro che l'hanno commentata, coloro che l'hanno aggiunta alle preferite, alle seguite e alle ricordate e infine ringrazio tutti coloro che l'hanno letta, lettori silenziosi e non!




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