Famiglia
~·~
La
Strada Verso Casa
2028
d.c. – marzo
Riesce
quasi a sentirne l’odore. La Luce. Akh si sta avvicinando,
ormai
non manca molto; lo sente, è dentro di lui, questa volta non
può
proprio sbagliarsi. Si guarda attorno spesso, nonostante sia conscio
che gli occhi non possano veramente servire, non in quel caso.
È in
volo da oltre sei ore e l’unica vera guida è
sempre stata la sua
Luce; non lo ha abbandonato nemmeno questa volta.
Poco
lontano, già visibile al suo sguardo attento, scorge le
prime chiome
di una foresta conosciuta che, questa volta, era davvero convinto non
avrebbe mai più rivisto. Poi qualcosa, una sensazione forse,
lo
spinge a planare, addentrandosi nel folto della foresta. Con
attenzione prosegue il suo volo, lentamente, aggirando guardingo i
grossi tronchi che lo attorniano. Nonostante sia giorno, lì
sotto la
luce del sole non sembra giungere con sufficiente vigore da dare al
luogo un aspetto chiaro e definito. Infine Akh si decide ad atterrare
e a proseguire a piedi. Le sue ali si richiudono morbidamente sulla
sua schiena e lui sospira, ancora una volta costretto a farsi strada
a piedi.
D’un
tratto quella strana sensazione, dentro di lui, si fa più
forte e
insistente, spronandolo a non perdere tempo e a raggiungere
ciò che
è venuto a cercare. Ma che cosa cerca, Akh? Se lo chiede
insistentemente da quando ha intrapreso quel viaggio inaspettato, e
ancora non ha trovato traccia di una risposta.
Improvvisamente
non ha più la forza né la volontà di
porsi ulteriori domande. Ciò
che è venuto a cercare si trova proprio di fronte a lui,
ora, e Akh
ancora non è in grado di capacitarsi di ciò che
sta fissando
basito.
«Com’è
possibile?» soffia incredulo.
Incerto,
solleva un braccio e allunga piano una mano, avvicinandola alla
piccola scintilla di luce che sembra galleggiare in aria senza alcun
sostegno. Prima che possa raggiungerla, tuttavia, si blocca,
ritraendo di poco la mano e osservando con più attenzione
quello
strano fenomeno.
«Che
cosa sei?» mormora, suo malgrado intimidito.
«Perché sei qui?
Perché mi hai chiamato?» chiede, senza sapere se
potrà mai
ricevere una risposta.
La
piccola luce continua a galleggiare, apparentemente ignara di
qualunque cosa attorno a sé. Eppure Akh, abituato ai moti di
quel
particolare elemento, ha notato un breve lampeggiare, quasi in
risposta al suono della sua voce.
«Puoi…
sentirmi? È così, vero? Tu…».
Trattiene
il fiato, osservando nuovamente un brillio più intenso che
scompare
un attimo più tardi. Qualunque cosa sia, sembra essere
attirata
dalla voce dello spirito. Nuovamente, Akh allunga una mano e la porta
appena al di sotto della piccola scintilla, come in attesa.
«Non
ti faccio del male. Voglio solo capire» prova a spiegare,
senza
muoversi.
Tuttavia,
la luce non sembra intenzionata a dargli risposte, oppure
più
semplicemente non ne ha la possibilità. Così Akh,
non sapendo in
che altro modo risolvere il dilemma, si decide a fare egli stesso un
piccolo passo avanti. Lentamente, solleva la mano e con il palmo
sfiora la piccola scintilla.
Tutto
è buio. Nero come inchiostro e denso come catrame. Poi
un’abbagliante luce dorata divora
l’oscurità e brucia ogni cosa
sul proprio cammino. Si lascia dietro solo cenere e polvere, silenzio
e dolore, e il freddo che ricopre tutto con il suo gelido manto.
Akh
spalanca gli occhi, incespica all’indietro e soffia un
rantolo
strozzato, scuotendo confusamente la testa nel tentativo di liberarsi
di quelle ultime, angoscianti immagini. Poi, piano, risolleva lo
sguardo, trovandosi nuovamente a osservare quella piccola scintilla
di luce.
«N-no»
geme, affondando le dita fra i capelli. Poi boccheggia, incredulo.
La
piccola luce, davanti a lui, lampeggia ancora una volta, debolmente,
quasi a chiedergli aiuto. Così Akh si scrolla di dosso la
propria
incredulità e, delicatamente, raccoglie fra le mani la
scintilla,
avvertendola calda sulla sua pelle.
«Shh…
Va tutto bene. Ci penso io» sussurra rassicurante.
Un
debole sorriso increspa le sue labbra. Sta per decidersi a lasciare
la foresta scomparendo con la propria luce, ma si ferma prima di
completare il pensiero, chiedendosi se non possa essere dannoso per
la piccola scintilla che intende portare con sé. Si perde un
lungo
momento a osservarla adagiata fra le proprie mani e infine stabilisce
che sia più sicuro riprendere la strada con le proprie ali.
Così,
poco dopo, raccoglie le braccia al petto per meglio custodire il suo
passeggero
e riprende agilmente quota, lasciandosi alle spalle (questa volta, si
augura, definitivamente) la foresta e i suoi segreti.
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Il
viaggio sarebbe stato indubbiamente più breve e comodo, se
avesse
potuto permettersi di intraprenderlo a modo suo. Akh ha deciso
altrimenti così da evitare possibili rischi per
l’incolumità e
l’esistenza stessa di ciò che ha condotto con
sé fino a quel
momento. Tuttavia, per quanto ben allenato e decisamente avvezzo a
percorrere lunghe distanze sulle proprie ali, attraversare
più della
metà del pianeta non è decisamente uno scherzo.
Per di più, non
sentendosela di sostare lungo il percorso, con il concreto rischio di
incappare in luoghi e creature pericolosi, è stato
praticamente
costretto a rimanere in volo per ore che, al momento, gli paiono
infinite. È letteralmente stanco morto e ha un freddo
allucinante;
ha provato a volare al di sopra delle nuvole, ma lassù fa
ancora più
freddo, così deve procedere al di sotto, infradiciandosi
dalla punta
delle ali a quella dei piedi a ogni nuovo maledetto acquazzone. Per
fortuna la sua meta non è più così
disperatamente lontana, a quel
punto.
«Mi
servirà una lunga vacanza ai tropici, dopo questo»
borbotta
esausto.
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Quasi
quattro ore più tardi, gelato e traballante, atterra
finalmente fra
gli alberi di un’antica foresta, sospirando di momentaneo
sollievo.
Momentaneo perché, tutto sommato, la sua faticosa avventura
non è
affatto conclusa: deve trovare lei e, soprattutto, un modo per
spiegarle l’accaduto. Mugola sconfortato e, lentamente, si fa
strada nell’intrico di vegetazione, incerto se desiderare di
trovarla velocemente oppure no.
Velocemente
o meno che sia, infine la scorge non eccessivamente lontana dalla sua
dimora. Non si affretta ad andarle incontro, non ne avrebbe comunque
le energie sufficienti. Si limita ad avvicinarlesi e a impegnarsi nel
palesare la propria presenza, che si augura non risulti
eccessivamente sgradita, viste le poco spiccate doti relazionali del
soggetto.
“Non
è cambiata minimamente” si scopre a riflettere
Akh, osservandone
il comportamento dopo che lei lo ha individuato. Dapprima è
giustamente sorpresa, ma le ci vogliono a dir tanto tre secondi per
ritrovare la propria aria impettita e seriosa. Quest’ultima,
tuttavia, dura molto meno del previsto; le è sufficiente
un’occhiata
più approfondita alla macilenta figura dello spirito della
Luce per
passare dall’infastidita
all’impensierita,
e giungere infine al seriamente
preoccupata.
Quando
lei gli si fa più vicino per controllare le sue condizioni,
Akh si
sente stordito e ha la sensazione che uno sconosciuto peso opprimente
lo stia schiacciando al suolo. Sa bene che deve parlarle, che deve
cercare di farle comprendere gli ultimi, inattesi avvenimenti;
è
arrivato fino a lì appositamente per questo, in fondo. E
tuttavia,
con lei di fronte a sé, che si sta facendo prendere dal
panico per
le mancate risposte di Akh, non è per nulla semplice. Ma
quando mai
lo è stato, a ben vedere?
Infine
Akh, sconfortato dalla sua stessa incapacità di spiegarsi,
decide
che l’unico metodo privo di complicazioni sia quello di mostrarle
la verità. Così fa: con attenzione e un poco di
nervosismo, scosta
lentamente le mani dal proprio petto, permettendo nuovamente alla
piccola scintilla dorata di respirare
liberamente. Un accenno di sorriso increspa appena le sue labbra alla
vista di un debole lampo luminoso che ha tutta l’aria di
indignazione. Ma certo Akh non si darà pena di scusarsi per
il
trattamento riservatogli; ritiene di aver fatto del proprio meglio
per preservare la sua sicurezza, e tanto gli dovrà bastare.
Nonostante
le belle speranze di Akh, Emily Jane non sembra ancora comprendere la
situazione. Come potrebbe, del resto? È uno spirito della
Natura,
non della Luce come Akh. Già rassegnato
all’inevitabile, ha però
d’un tratto un’illuminazione e, con un pizzico di
speranza,
trasferisce delicatamente la scintilla dorata in una sola mano e usa
l’altra per raccogliere un sottile polso della donna e
accostarla a
sé.
Quando
le lunghe dita di Emily Jane sfiorano la piccola luce, il suo corpo
ha un sussulto incontrollato e i suoi occhi verdi si sgranano
increduli, mentre un suono stridente e sconvolto erompe dalle sue
labbra.
«Come…
è possibile?» soffia atterrita.
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«Non
capisco» ripete, per quella che dev’essere ormai la
ventesima
volta, Emily Jane, rivolta a un esausto Akh.
«Ti
ho già detto tutto quello che so. Non ho idea di come sia
successo e
non ho altre risposte per te… non in questo momento, per lo
meno»
fa stancamente presente lo spirito della Luce.
«Ma
non…» prova a tornare alla carica la donna.
«Ti
prego» implora Akh, «ho davvero, davvero, davvero
bisogno di riposare, adesso. Almeno qualche ora» geme, nella
speranza che lei riesca, per una volta, a comprendere la situazione.
«Per favore» pigola, sulla buona strada per la
disperazione.
Emily
Jane lo fissa, dapprima attonita, poi torva, infine rassegnata.
Sbuffa, leggermente seccata ma troppo agitata per mantenere il
cipiglio a lungo.
«D’accordo,
hai ragione. Prima riposa, poi ne riparliamo» acconsente.
Akh
geme, indeciso fra la momentanea gratitudine per
quell’inattesa
concessione e lo sconforto per il futuro confronto che lo attende.
«Andiamo»
lo esorta pratica. «Ti accompagno alla tua stanza».
«Mia?»
chiede confuso.
Con
sua sorpresa, Emily Jane accenna un piccolo sorriso.
«Sì.
Potrai occupare la stessa camera dell’altra volta. Se ti
va»
aggiunge incerta.
Akh
abbozza una risata divertita e fa tranquillamente spallucce.
«Per
come mi sento, potrei benissimo addormentarmi su uno sperone di
roccia appuntito in cima a una scogliera e non me ne accorgerei
comunque» fa ironicamente notare.
«Non
ne dubito. Ma posso assicurarti che, se non altro, quando ti
sveglierai domattina non avrai mal di schiena né ossa
rotte».
Lui
la fissa con tanto d’occhi e poi scoppia a ridere di gusto,
tenendosi lo stomaco con una mano e posando l’altra al petto
con
cautela per evitare di danneggiare la piccola scintilla.
«Non
ti ricordavo così divertente» soffia, molto
più rilassato di
quando è atterrato nell’antica foresta.
«Beh,
qualcuno doveva pur prendere il tuo posto vacante, visto che sei
scomparso dalla circolazione» borbotta sarcastica,
sussultando
subito dopo con il sospetto di aver parlato troppo.
«Io… Scusami,
non intendevo…».
«So
perfettamente ciò che intendevi» la interrompe lui
incupito. «E
francamente non mi sento di contraddirti. È vero, sono
sparito per
qualche tempo. Credevo di…» si blocca, incerto su
cosa dire.
«Speravo potesse aiutarmi a tornare ciò che
ero» ammette.
«E
lo ha fatto?» domanda lei, cautamente.
«No,
non lo ha fatto» replica lui, asciutto.
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ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
È
solo nel momento in cui varcano la soglia della camera di Akh che i
due spiriti si rendono conto di non aver proprio riflettuto su come
custodire la piccola scintilla.
«Vuoi…»
tentenna Emily Jane, turbata. «Preferisci che la tenga con
me?»
prova.
Akh,
seppur non del tutto consapevole, si irrigidisce a quella proposta e,
istintivamente, si scosta di un passo, celando parzialmente
ciò che
si trova nelle sue mani.
Lei
stiracchia un sorriso velato di malinconica amarezza e scuote
leggermente la testa.
«Non
importa. Fai conto che non abbia parlato» mormora, cercando
di
risultare rassicurante senza realmente riuscirci.
Akh
reclina il capo e soffia un pesante sospiro.
«Non…
credo di avere il diritto di negartelo» fa tristemente notare.
«Forse
no» conviene lei. «Ma comprendo comunque la tua
reticenza». Il suo
sorriso si fa più convinto. «Faremo
così: ora tu ti accomoderai
sul letto e io gironzolerò per la stanza, fingendo di
riflettere sul
modo migliore per proteggerla. A quel punto direi che tu ti sarai
già
addormentato e io potrò finalmente togliere il disturbo e
rimandare
certe sottigliezze a domani». Per un lungo momento fissa Akh
con
sguardo affilato e indagatore, poi una luce divertita illumina i suoi
occhi. «Che te ne pare come piano?» domanda
ironicamente.
«Mi
sembra ottimo» conviene Akh, suo malgrado divertito.
«Grandioso.
Ora va’! Sdraiati sul letto e fa’ attenzione a non
schiacciarla
sotto tutte quelle piume» lo esorta pratica.
«Sissignora!»
acconsente Akh, il quale non vede l’ora di riposare in santa
pace
per il resto della notte e, potendo, anche della mattina.
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ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
Quando
Akh si risveglia l’alba è già lontana e
la luce del sole inonda
la camera, rimproverandolo per aver poltrito fino a tardi.
«Accidenti.
Se continuo di questo passo dovrò procurarmi una
sveglia» borbotta
assonnato.
Fa
per stiracchiarsi e dire così addio agli ultimi strascichi
del
riposo, quando un pensiero improvviso lo congela sul posto.
Freneticamente, si guarda intorno, avvertendo il proprio battito
accelerare con l’aumento dell’agitazione. Infine la
vede:
galleggia placidamente proprio di fronte alla finestra; sembra
intenta a bearsi della calda e accecante luce del sole. Con un
sospiro di sollievo, Akh si alza e distende le labbra in un piccolo
sorriso di speranza, poi si avvicina.
«Hai
riposato bene?» domanda in un fioco sussurro.
Non
si attende una risposta, eppure la scintilla vortica un paio di volte
su sé stessa, e Akh schiude le labbra, sorpreso ancora una
volta per
l’inaspettata reazione alla sua voce. Accosta una mano,
lentamente
e con attenzione, fino a sfiorare la luce con un polpastrello.
«Mi
sei… mancato» soffia scosso. «Questa
volta ero certo che… c-che
non ci saremmo mai più incontrati» aggiunge con
voce tremolante,
speranzoso che possa servire a dare conforto a entrambi.
Così
in effetti sembra essere: la scintilla, lentamente, si scosta dalla
finestra e gli si fa incontro, fermandosi a pochi centimetri dal suo
petto, ed emette un breve bagliore più intenso. Una
silenziosa
richiesta; una che Akh accontenta avvolgendola fra le proprie mani e
trattenendola a sé per lunghi minuti.
È
un poco della sua luce che chiede, e ad Akh fa piacere donargliela.
Dopo tutto è troppo piccola perché possa
rappresentare un reale
rischio per la sua incolumità. Forse, quando
crescerà, dovrà
prestare maggiore attenzione; ma non ora. Ora Akh non vuole altro che
accontentare il disperato bisogno di una piccola scintilla di vita.
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2029
d.c. –
settembre
Sono
giorni, ormai, che Akh ed Emily Jane tengono d’occhio la
piccola
luce, che tanto piccola più non è; ha finito con
il superare
l’estensione di un palmo dello spirito alato. Il problema
è un
altro, ora: da quasi una settimana si comporta in modo strano,
più
del solito per lo meno; vortica quasi incessantemente nel dedalo di
corridoi della dimora di Madre Natura e manda insistenti bagliori che
abbagliano anche gli angoli più bui e remoti. Emily Jane ha
chiesto
ad Akh di controllare i suoi movimenti e di cercare una spiegazione
ma, per quanto ci si sia impegnato, Akh non è ancora
riuscito a
comprendere ciò che spinge quella luce a comportarsi in un
modo
tanto inusuale. Inoltre, quel giorno in particolare, sembra
instancabile e molto più rapida del solito, tanto che per un
soffio
Akh non travolge la padrona di casa, svoltando un angolo a tutta
velocità all’inseguimento della luce.
«Akh!
Insomma, ti pare il modo?» sbotta Emily Jane.
«Scusa»
esclama Akh, visibilmente agitato. «È veloce.
Molto più del
normale» ammette sorpreso.
Lei
lo scruta, attenta. «Ancora non sappiamo cosa sta succedendo,
vero?».
Le
ali di Akh si afflosciano; scuote la testa dispiaciuto.
«Purtroppo
no. È come se… parlasse un’altra
lingua. O forse… Ci sarebbe
anche la possibilità che non ne sia affatto cosciente,
oppure non
sappia in che modo spiegarmelo» ipotizza dubbioso.
«Quindi,
aspettiamo?» ironizza lei con un sorrisetto storto.
Lui
risponde di buon grado a quel sorriso e annuisce.
«Come
sempre» conferma.
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Akh
si risveglia bruscamente, con il fiato corto, e si guarda attorno,
inspiegabilmente agitato. È buio, sia fuori che dentro.
Dev’essere
ancora notte fonda, eppure dentro di lui qualcosa lo ha spinto a
tornare desto e vigile. Forse lo stesso qualcosa
che lo ha ridestato un anno e mezzo prima. Impaziente, continua a
percorrere con il proprio sguardo acuto ciò che lo circonda:
c’è
qualcosa di sbagliato, o meglio, qualcosa che manca. Infine realizza
che ciò che manca è l’ormai familiare
presenza della sfera dorata
che è solita vagare pigramente nella sua camera durante le
ore
notturne. Ora, invece, non è presente e Akh, preoccupato, si
chiede
dove possa essersi cacciata. Così, seppur vagamente seccato,
dopo
un’ultima occhiata all’intorno per assicurarsi che
non si sia
nascosta in qualche pertugio, lascia la camera e si avventura per i
corridoi ormai conosciuti, alla ricerca della luce perduta.
Gli
occorre molto più tempo del previsto per ritrovarne le
tracce, ma
infine la individua poco distante dal grande portone in quercia che
chiude l’uscita principale. C’è comunque
qualcosa di anomalo,
nota Akh, avvicinandosi con cautela. Invece di fluttuare come sempre,
la sfera dorata è posata al suolo e, in luogo dei conosciuti
bagliori, sembra emettere piccoli lampi, del tutto simili ai fulmini
di elettricità che attraversano il cielo durante i temporali.
«Che
cosa succede?» soffia impensierito all’indirizzo
della luce.
Lentamente
si accosta, poggiando le ginocchia a terra e piegandosi sopra quella
per meglio studiare la situazione. Sgrana gli occhi, sorpreso e
agitato, e allunga una mano, tentando ancora una volta di sfiorare la
superficie luminosa. Tuttavia uno dei lampi lo colpisce e Akh ritira
in fretta la mano con un piccolo guaito di dolore e un paio di dita
bruciacchiate.
«Emily
Jane!» grida, mentre la preoccupazione sale. «Emily
Jane!» ripete,
un poco spaventato.
Poco
dopo sente il rumore di una porta che si apre ai piani superiori, al
quale seguono pochi passi lungo il corridoio.
«Akh?»
domanda dubbiosa la voce della donna.
«Vieni
qui, ti prego. Fai presto» la sprona.
I
passi si moltiplicano frettolosi, poi più nulla, fino a che
una
folata di vento freddo lo investe, seguita a ruota dalla donna,
scarmigliata e con la vestaglia avvolta alla bene e meglio attorno
all’esile corpo.
«Akh,
che succede?» chiede un po’ impensierita.
Ma
non le occorre molto, giusto un paio di passi, per vedere da
sé ciò
che sta succedendo e che ha evidentemente messo in allarme Akh.
«Che
cos’ha? Perché fa così?» si
allarma a sua volta.
«Non
lo so» ammette Akh, sconfortato. «No,
attenta!» l’avverte,
impedendole di accostare una mano per evitarle di bruciacchiarsi a
sua volta come già è capitato a lui.
«Non
capisco» geme lei, spaventata.
«Nemmeno
io» soffia Akh con un tremito.
«Dobbiamo…
f-fare qualcosa» protesta flebilmente la donna.
«Non possiamo
lasciare che… Potrebbe farsi del male».
«Non
so cosa fare. Se agissi nel modo sbagliato, potrei perfino
danneggiarlo» ipotizza Akh.
Emily
Jane, atterrita, sgrana gli occhi e si morde furiosamente un labbro.
«Perché
finisce sempre così? Perché siamo sempre noi
quelli che devono
stare a guardare senza poter fare nulla?» sbotta, arrabbiata
ma
soprattutto preoccupata.
Akh
fa una smorfia sofferente e reclina il capo verso terra.
«Vorrei
saperlo. Se lo scopri, dillo anche a me» propone mesto.
È
solo un momento. Un istante prima, di fronte a loro, c’era
luce
sfrigolante, l’istante successivo quella stessa luce sembra
collassare su sé stessa lasciandosi dietro, sotto il loro
sguardo
sconcertato, una piccola forma scura e tremante.
«A-Akh,
che cos’è?» farfuglia Emily Jane,
attonita.
«Sembra
un… u-un…» tenta lo spirito della Luce,
senza troppo successo.
Qualunque
idea intendesse proporre muore, tuttavia, sulle sue labbra
spalancate, nel momento in cui la cosa
raggomitolata a terra emette un flebile miagolio.
«Un
gatto?» chiede lei, stranita.
Nel
frattempo Akh si è accucciato, abbassando il capo e
scrutando quella
che ora appare come una palla di pelo nero non più grande
del palmo
della sua mano. Lentamente, riprova ad avvicinarsi e, dato che questa
volta non accade nulla di spiacevole, sfiora con un polpastrello il
contorno di un minuscolo orecchio nero, ricevendo in cambio un altro
miagolio allarmato che lo convince a ritrarsi e attendere ancora del
tempo, così che la palla di pelo possa ambientarsi.
Nell’attesa,
Akh si volta verso Emily Jane e le scocca un’occhiata
divertita.
«Cosa?»
borbotta lei.
«Ti
risulta ci fossero gatti
nel tuo albero genealogico?» domanda allegro.
«Oh,
ma taci!» lo rimbrotta, piccata.
«Beh,
pensiamo positivo: difficilmente, nell’attuale forma,
potrà essere
più veloce rispetto alla precedente» offre Akh,
trovando suo
malgrado tutto molto esilarante.
«Ah-ah-ah,
molto divertente. E se ti trasformassi in un passerotto? Credo
proprio che sarebbe ancora più divertente, tu che
dici?» ribatte
acida.
«Accidenti,
che simpatia mia signora» sbuffa, scuotendo la testa.
Quando
riabbassa lo sguardo nota, con un pizzico di sorpresa, che il gatto
è
ancora inchiodato nello stesso punto in cui è comparso.
Ricordava
fossero più vivaci, i felini. Ma, in fondo, quello non
è certo un
gatto normale.
Questa
volta fa scivolare una mano a terra, fino a toccare la scura
pelliccia che avverte tiepida sulla sua pelle. Accarezza con un dito
il fianco del gatto e quello si scosta un poco, seguitando a tremare.
«Sembra
terrorizzato» ragiona interdetto.
«Che
cosa ti aspettavi?» replica Emily Jane. «Non credo
che se tu ti
ritrovassi improvvisamente racchiuso in una creatura così
piccola e
indifesa saresti particolarmente tranquillo» fa notare.
Akh
riflette su quelle parole e deve convenire con lei. Stabilito questo,
torna ad accucciarsi vicino al gatto, senza tuttavia toccarlo, e
cerca di attirarne discretamente l’attenzione.
«Nessuno
qui intende farti del male. Anche se, ammetto, Emily Jane ha sempre
questo aspetto arcigno e poco rassicurante».
«Ehi!
Come ti permetti?» protesta lei, offesa.
«Ah,
lo sai che scherzo. Prova a rilassarti, ogni tanto» le
suggerisce.
«Sei
davvero insopportabile» si lagna in risposta.
«Sicuro.
Tu invece sei una creatura deliziosamente amabile e comprensiva,
giusto?».
Emily
Jane sta per sbuffare spazientita per l’ennesima volta,
quando il
suo sguardo verde cade quasi per caso sulla figura scura ai piedi di
Akh, la quale sta palesemente cercando di svignarsela alla
chetichella.
«Attento,
scappa!» lo mette prontamente in guardia.
«Che?»
sussulta Akh, impreparato.
Ma
gli basta riportare l’attenzione sul gatto, per notare che
effettivamente, anche se goffamente e con parecchio affanno, si sta
allontanando da loro, aggrappandosi tenacemente alle mattonelle del
pavimento per aiutarsi ad avanzare.
«Ehi,
tu, palla di pelo! Dove credi di andare?» chiede divertito,
raggiungendolo in un paio di passi e sbarrandogli il cammino.
Con
sua enorme sorpresa, lungi dal darsi per vinto, il gatto cambia
direzione e riprende la fuga.
«Ma
tu guarda» ridacchia, seguendolo con gli occhi.
«Nemmeno riesce a
camminare e sembra convinto di poter scappare via come se niente
fosse».
Con
cautela lo segue nel suo lento procedere e quando, inevitabilmente,
finisce con l’incontrare sulla propria strada un ostacolo
insormontabile (le scale che portano al piano superiore), Akh sorride
con indulgenza e si piega sul gatto, facendo gentilmente scorrere una
mano sotto di lui e sollevandolo con delicatezza da terra. Poi se lo
porta all’altezza del viso e torna a sorridere.
«Sai,
non è molto cortese abbandonare gli amici senza neppure un
saluto di
commiato» fa ironicamente notare.
Il
gatto lo scruta, sospettoso, e replica con un miagolio sottile e
indignato.
Akh
invece ridacchia e volta il gatto verso Emily Jane, così da
mostrarle qualcosa di interessante.
«Vedi,
mia signora? È tale e quale a lui, solo più
piccolo e peloso. Ma
guarda i suoi occhi; non sembra anche a te che ti fissino con
rimprovero?».
Emily
Jane ci prova, ma non riesce a impedirsi di ridacchiare.
«Sei
sempre il solito» lo ammonisce divertita.
«Lo
prenderò come un complimento».
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ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
Da
qualche giorno Akh ha preso a bighellonare per i lunghi corridoi
della dimora di Emily Jane con il gatto acciambellato sul palmo della
sua mano. È così che la donna lo incrocia,
durante uno dei suoi
sopralluoghi per verificare che tutto sia in ordine e fili liscio, e
nel vedere la strana coppia gli angoli delle sue labbra si curvano
verso l’alto di loro iniziativa.
«Fai
la guida turistica, ora?» si informa ironica.
Akh
reclina il capo di lato e accenna un ghigno.
«E
qui di fronte potete ammirare la secca figura della padrona di casa
che incede ammantata dei suoi oscuri propositi» declama lo
spirito
della Luce, sbeffeggiandola bellamente.
Emily
Jane incrocia le braccia e mette il broncio, poi strabuzza gli occhi,
momentaneamente congelata sul posto da un’occhiata felina e
palesemente divertita.
«Voi
due passate decisamente troppo tempo insieme» si lamenta la
donna.
«Inoltre dimenticate troppo spesso che se mi fate irritare
eccessivamente potreste ritrovarvi appesi a testa in giù in
mezzo
alla foresta» minaccia seccata.
Detto
questo, piccata e con il naso all’aria, fa diètro
frónt e si
incammina per riprendere la sua spedizione.
«Uh,
che simpatia» sospira Akh.
Il
gatto, quasi in risposta, emette un soffice sbuffo e poggia il capo
sulle dita dello spirito.
«Ah,
non darti pensiero. Non ti terrà il muso a lungo. Domani
sarà già
di ritorno e pronta a grattarti le orecchie, vedrai» scherza
Akh,
sperando di risollevare il morale della palla di pelo. Ma,
osservandolo abbassare tristemente un orecchio, si rende conto di non
aver fatto un buon lavoro. Così riprova con una nuova idea.
«Ti va
di uscire un po’? Andiamo in esplorazione, che ne
dici?» propone
speranzoso, facendo affidamento sull’innata
curiosità felina.
Infatti,
dopo essersi preso del tempo per ponderare l’offerta, il
gatto lo
fissa negli occhi ed emette un secco miagolio di consenso che fa
sorridere lo spirito.
Akh
avvolge le dita attorno al corpo del gatto e balza sul primo
davanzale che incontra, planando dolcemente all’esterno e
sorvolando lentamente le chiome degli alberi più vicini. Sa
dove
andare: vuole mostrare al suo passeggero un posto che si augura possa
placare le sue inutili preoccupazioni.
Qualche
minuto dopo, piacevolmente riscaldati dai tiepidi raggi solari e
contemporaneamente rinfrescati dalla brezza mattutina, Akh osserva
per un momento l’espressione beata del gatto che si sta
evidentemente godendo il breve viaggio, con gli occhi socchiusi e le
orecchie tese a percepire ogni singolo rumore interessante.
Incapace
di resistere, Akh accarezza con un polpastrello il suo dorso
vellutato e sorride alle sorde vibrazioni del suo corpo in risposta.
«Siamo
quasi arrivati» mormora dolcemente al suo orecchio.
Infatti
poco più tardi Akh si abbassa di quota e, con eleganza,
atterra nel
mezzo di un morbido prato a ridosso di un piccolo lago cristallino
bordato da felci e fiori colorati, ancora rigogliosi nonostante la
stagione.
Prima
che riesca a impedirlo, il gatto balza dalla sua mano e atterra
ruzzolando nell’erba, ancora troppo piccolo per avere il
controllo
dei suoi movimenti. Ciò nonostante, senza apparentemente
avvedersi
del capitombolo, traballante si rialza e saltella fra l’erba
i cui
steli risultano essere più alti di lui, senza tuttavia
potersi
opporre alle giocose zampate del felino.
Akh,
dal canto suo, ridacchia, soddisfatto per aver abilmente deviato i
pensieri del compagno, dandogli così modo di rilassarsi e
smettere
di arrovellarsi su questioni per le quali non hanno una soluzione;
non nell’immediato futuro, per lo meno.
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ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
Il
sole è già tramontato da qualche minuto, quando
Akh rimette piede
all’interno della dimora di Madre Natura con il gatto steso
sulla
spalla a guisa di stola. Con loro somma sorpresa, qualcuno li attende
al varco e, a giudicare dall’espressione, quel qualcuno non
è
esattamente di buon umore.
“Che
sorpresa” pensa cinicamente Akh.
Ciò
che però nessuno dei due si aspettava è la
reazione, a loro avviso
assolutamente spropositata, a quel loro ritorno a tarda ora.
«Si
può sapere dove siete stati?» sibila Emily Jane,
visibilmente
alterata.
«Uhm…
Beh, a fare una passeggiata fino al laghetto» risponde di
buon grado
lo spirito della Luce che, onestamente, non trova nulla di strano
nella loro piccola gita.
«Otto
ore» esala la donna, fremendo di indignazione. «Una
passeggiata di
otto maledettissime ore! E nemmeno uno straccio di appunto per
avvisarmi!» esclama.
Mentre
il tono di Emily Jane aumenta progressivamente, alcune scariche di
elettricità si disperdono dell’atrio e Akh fa un
balzo indietro
per evitarne una sfuggita al controllo della sua creatrice.
«Ehi,
cerca di calmarti, o qui finiamo tutti arrosto»
l’avverte.
«Non
osare dirmi cosa devo fare!» ringhia, prendendo di mira Akh e
cercando palesemente di friggerlo sul posto.
Purtroppo
per lei, Akh è rapido e, ancora una volta, si scansa
bruscamente,
digrignando i denti quando gli artigli del gatto si conficcano nella
sua spalla per mantenere l’equilibrio.
«Tu
sei pazza. Chi è stato l’idiota che ti ha dato la
licenza per
scatenare tempeste e tentare di ammazzare il prossimo?»
sbotta Akh
inviperito.
Il
gatto, ancora saldamente ancorato alla sua spalla, strabuzza gli
occhi dorati e, silenziosamente, prega qualunque divinità in
ascolto
di risparmiargli la vita, almeno questa volta.
Dopo
una serrata serie di invettive, attacchi, contrattacchi,
insinuazioni, insulti ed esplosioni, la violenta diatriba ha termine
con Emily Jane scaraventata fuori dalla finestra da uno spazientito
spirito della Luce e con Akh bruciacchiato e appeso al grosso
lampadario dell’ingresso.
Il
gatto si è rintanato già da tempo sotto la blusa
alle spalle dello
spirito e da lì, ha deciso, non uscirà fino al
nuovo sorgere del
sole e, si augura, di una giornata migliore (ma ci crede poco).
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2029
d.c. –
novembre
È
accoccolato
contro la gamba di Emily Jane e si sta godendo una piacevole sessione
di grattini e morbide carezze. Il suo corpo vibra sonnolento e i suoi
occhi socchiusi fanno pensare che non lo rimarranno ancora a lungo.
Contro
ogni previsione, tuttavia, la voce della donna, improvvisa ma pacata
nel placido silenzio pomeridiano, ridesta i suoi sensi.
«Lo
sai, continui a sorprendermi».
Il
gatto solleva al suo indirizzo un sopracciglio in modo decisamente
umano, tanto da farla sorridere.
«Mi
dicesti che saresti tornato presto» soffia.
Il
corpo del gatto si irrigidisce contro la sua gamba; i suoi occhi
dorati sono spalancati su un passato lontano; troppo per poterlo
raggiungere, per poterlo cambiare.
«Avevo
sei anni e… la mia concezione del tempo era molto immatura,
ammetto. Ho aspettato, sai? Ho atteso così a lungo: anni,
che in
seguito sono divenuti secoli, e poi millenni, e… Alla fine,
non
immagino neppure come tu ci sia riuscito, hai mantenuto la promessa.
Sei tornato; nonostante tutto, sei tornato da me».
I
suoi occhi verdi si abbassano a osservare la piccola, nera figura che
ora ha il capo appoggiato sulla sua coscia. Distende le labbra in un
tremulo sorriso.
«A
volte… mi chiedo se io abbia realmente meritato
ciò che hai fatto
per mantenere quella promessa, ciò che hai fatto per
noi» ammette
tristemente.
Soffici,
le piccole zampe nere si poggiano sulla sua gamba, la lunga schiena
flessuosa si stende e il suo muso si struscia delicato contro il
collo sottile della donna, dalle cui labbra sfugge un singhiozzo
incredulo.
«Aspetterei
altre mille vite per poterti avere di nuovo con me» mormora
Emily
Jane, stringendo a sé il tiepido corpo del gatto.
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ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
L’odore
della sua Luce non è più così lontano,
ormai; lo avverte spandersi
per il sottobosco con più forza. È vicino. Ancora
non ha idea di
come riuscirà a fargli comprendere ciò che
desidera, ma ha deciso
che ci penserà una volta che lo avrà raggiunto.
Un problema alla
volta: è questo il suo nuovo mantra, dal giorno in cui si
è
risvegliato con più pelo di quanto rammentasse e molta meno
massa
corporea. Ma a tutto c’è un rimedio, e comunque
non rimarrà così
in eterno; lo sa, questo, anche se non è certo del come
né del
perché. Molte cose gli sfuggono, ultimamente, ed essere un
gatto non
aiuta per nulla.
L’agilità
con cui si sposta fra gli alberi non ha comunque assolutamente nulla
da invidiare a quella della sua forma precedente, né tanto
meno
l’innata eleganza che, tutto sommato, non sembra averlo
abbandonato
come è invece accaduto al resto del suo corpo. A volte gli
manca;
certo, non era esattamente piacevole alla vista, ma anche solo per la
possibilità di interloquire con il prossimo e reggere fra le
mani
gli oggetti, era senza dubbio molto più utile
dell’attuale.
“Ah,
eccolo!” esulta mentalmente, dopo aver individuato Akh, come
al
solito appollaiato su un ramo come una civetta. “Una civetta
blu?”
si chiede dubbioso, tremando di raccapriccio un attimo dopo.
Senza
perdere altro tempo, si tuffa su di lui, atterrando morbidamente
sulle sue ginocchia e facendo brutalmente sobbalzare lo spirito della
Luce.
«Dì,
vuoi uccidermi per caso?» brontola Akh, con il cuore a mille
per lo
spavento.
Il
felino si produce in un ghigno da manuale che fa sgranare gli occhi
allo spirito.
«Come
mai da queste parti, palla di pelo?» lo apostrofa, seccato,
senza
minimamente preoccuparsi del fatto che non potrà comunque
avere una
vera risposta alla sua domanda.
Il
gatto si siede composto sulle sue gambe e riflette su come spiegare
all’altro il motivo della sua presenza. Tuttavia, quando nota
che
Akh lo sta fissando, incuriosito e in parte divertito, attendendo
realmente una spiegazione, si spazientisce per i limiti imposti da
quello stupido corpo e si imbroncia. Il suo malumore non dura
comunque a lungo; è sufficiente una confortevole carezza sul
suo
fianco per farlo andare letteralmente in visibilio. Mentalmente, si
insulta per questa debolezza, ma che mai può farci se ha
istintive
reazioni da gatto.
«Meow»
miagola, in apprezzamento alle coccole riservategli.
«Un
po’ ti invidio, sai?» lo sorprende d’un
tratto Akh. «Riesci a
essere felice con così poco» sospira.
Il
gatto colpisce piano la sua mano con il muso e lo fissa intensamente,
cercando evidentemente di comunicargli qualcosa che non è
tuttavia
in grado di giungere a destinazione.
Akh
gli concede comunque un sorriso comprensivo e la sua piena
attenzione.
«Vuoi
dirmi qualcosa. Sei qui per questo, lo so. Prova a spiegarmi, io ho
tempo» lo rassicura, sperando sia sufficiente.
Dopo
averlo guardato a lungo negli occhi, il gatto sembra avere
un’illuminazione. Con buona probabilità, se
potesse, si metterebbe
a ridere per non averci pensato prima. Addenta una manica della blusa
di Akh, facendogli chiaramente intendere di seguirlo e, insieme,
balzano giù dal ramo, atterrando nel sottobosco ricoperto di
foglie
secche. Frettolosamente, il gatto raspa con le zampe per levarne di
mezzo un po’ e poi si allontana alla ricerca di qualcosa.
Poco dopo
torna con un sottile ramoscello trattenuto fra i denti e lo posa con
cura sul terreno sgombro. Akh, incuriosito, lo osserva fare avanti e
indietro velocemente e portare ogni volta con sé un nuovo
ramoscello, per poi posarlo in modo studiato assieme agli altri.
Infine l’impegno del gatto dà i suoi frutti e Akh
sgrana gli
occhi, incredulo.
Sul
terreno, i sottili rametti sono accuratamente disposti a formare
poche lettere. L’inizio di un nome, Akh ne è ormai
certo.
«K
– A – T – H» sillaba Akh,
osservando il gatto. «Katherine, è
questo che vuoi dirmi?».
Il
gatto annuisce con vigore e gira vorticosamente attorno alle gambe
dello spirito, speranzoso.
«Vuoi…»
tenta Akh, incerto «andare da lei?» chiede
titubante.
Di
nuovo il gatto annuisce. Akh lo fissa, sorpreso, osservandolo balzare
da un punto a un altro del sottobosco senza sosta, evidentemente
preda dell’euforia. Infine sorride e piano annuisce.
«D’accordo,
ti accompagno da lei» promette.
Il
gatto, lesto, si arrampica su di lui e si sistema attorno al suo
collo, fremendo di attesa e impaziente di rivederla.
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ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
Assieme,
giungono nel Nuovo Mondo. Fa già piuttosto freddo e i gatti,
si sa,
non amano particolarmente le basse temperature. Una folata di gelido
vento dà loro il benvenuto, e il gatto rabbrividisce
violentemente,
appiattendosi contro il tiepido collo dello spirito alla ricerca di
un poco di riparo. Akh solleva su di lui uno sguardo impensierito,
gli fa segno di scendere e, dopo averlo accolto fra le braccia,
avvolge entrambi nelle sue ali blu, augurandosi che possano essere
sufficienti per tenerlo al caldo.
«Meglio?»
mormora.
Rannicchiato
contro il petto dello spirito e costernato per la scarsa resistenza
di quel suo temporaneo corpo, piano il gatto annuisce e socchiude gli
occhi, rammaricato.
Akh
abbozza un piccolo sorriso comprensivo e rinsalda la presa.
«Troviamo
Katherine. Poi penseremo anche a trovare un posto più
caldo»
propone, alzandosi in volo.
Il
gatto solleva lo sguardo su di lui, pensieroso, ma decide di
attendere che lo spirito torni con i piedi per terra, prima di
tentare di comprendere davvero le sue intenzioni. Nel frattempo si
gode il tepore che emanano le sue braccia e fa del suo meglio per
rintanarsi al loro interno, nell’attesa che le sue ali
tornino a
creare un solido riparo.
Il
volo non dura a lungo; pochi minuti e già sono in vista del
quartiere che ospita l’edificio scolastico frequentato dalla
bambina. Lentamente, lo spirito plana sul prato che si estende sul
retro e, come sperato, richiude le ali su entrambi, procurandosi un
gorgoglio compiaciuto del suo passeggero.
Akh
ridacchia beato. «Quindi, ricapitoliamo: ti piace essere
coccolato,
saltare sui rami e i loro occupanti, sonnecchiare al calduccio e
giocare con l’erba. Ho dimenticato qualcosa?»
domanda
ironicamente.
Il
gatto lo fissa truce per un attimo, poi emette un sordo brontolio e
volta il capo dalla parte opposta per rendere noto quanto si senta
offeso. Ma Akh accarezza la sua gola con un dito e di nuovo il suo
istinto felino gli fa presto dimenticare qualunque supposta offesa, a
beneficio delle coccole.
Tanto
è occupato nel crogiolarcisi che manca totalmente la
campanella di
fine giornata e anche l’uscita degli studenti. Ma Akh
è più
attento ed esce dal riparo di alcune siepi che delimitano il prato,
apparentemente con l’intenzione di raggiungere il crocchio di
bambini.
Il
gatto, finalmente conscio di ciò che sta accadendo sotto il
suo
naso, sbarra gli occhi e soffia allarmato, piantando le zampe sul
petto dello spirito nella vana speranza che siano sufficienti a
fermarlo. Akh, confuso, abbassa lo sguardo e incontra quello
incredulo del gatto, ansante per l’agitazione;
così, pur non
comprendendone la ragione, si ferma e rimane a osservarlo.
«Perché?»
soffia, scuotendo la testa senza capire.
Il
gatto fissa alternativamente Akh, poi il gruppo di bambini appena
usciti da scuola, poi nuovamente Akh, e muove freneticamente le
soffici zampe sul suo petto, in un’imperfetta imitazione di
veloce
camminata.
Akh
solleva interdetto un sopracciglio, poi sembra giungere alla
comprensione e, silenziosamente, si allontana tornando dietro le
siepi.
«Non…
Volevi vederla, ma non desideri che lei veda noi?» indaga,
ancora
confuso.
Piano,
il gatto annuisce.
«Perché?»
chiede nuovamente Akh, ancora troppo lontano dalla verità.
Nessun
genere di risposta giunge in suo soccorso. Lo spirito osserva il
gatto sollevare lo sguardo sul gruppetto sempre più sparuto
di
bambini. Là in mezzo può scorgere Katherine.
È cresciuta, ma è
ancora così dolorosamente lei. Akh non ha ottenuto la
risposta che
cercava; avrebbe avuto piacere di parlare con la bambina, farle
sapere che loro esistono ancora, che lui
esiste ancora. Ma non ne ha avuto l’opportunità e,
a giudicare
dallo sguardo triste del suo compagno, pensa ci debba essere
un’ottima ragione per quell’opportunità
perduta, e spera di
poterla conoscere, un giorno.
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2037
d.c. –
maggio
Le
sue ciglia sfarfallano un momento, prima che i suoi occhi si decidano
ad aprirsi completamente. La camera è buia; ne deduce che
sia ancora
notte, ma c’è comunque una luce che si fa spazio
nell’oscurità.
Solleva lo sguardo e i suoi occhi incontrano prima l’ampia
finestra, dalla quale entra l’argentata luce della Luna, poi
una
figura più piccola e scura, appostata compostamente sul
davanzale e
inondata da quella luce, tanto che il suo manto nero scintilla come
la superficie di un laghetto di montagna. Incuriosito, osserva con
più attenzione, notando i lenti e sinuosi movimenti della
coda, che
oscilla e a tratti si arriccia, e il suo sguardo dorato puntato
direttamente sulla fonte della luce. Aggrotta le sopracciglia,
interdetto. Sta per porre una richiesta di spiegazioni, ma si
interrompe prima ancora di aprire bocca. Lentamente, il muso del
gatto si volta verso lo spirito, quasi fosse stato sempre consapevole
che quest’ultimo si era ridestato e, che Akh lo possa credere
o
meno, sembra proprio che gli stia indirizzando un piccolo sorriso.
«Pitch?»
sussurra in un’incerta domanda.
Gli
occhi del gatto si sgranano impercettibilmente, prima che il pallido
lucore argentato diventi un abbagliante lampo dorato. Akh,
impreparato, socchiude gli occhi per un breve momento, e quando li
riapre il davanzale è vuoto e la Luna è tornata
la protagonista
della notte. Con una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco,
Akh si guarda febbrilmente intorno e, per un momento dolorosamente
lungo, si blocca impietrito fissando diritto in un paio di occhi
dorati che lo guardano confusi.
«P-Pitch»
soffia Akh, con un fremito di sgomento.
«Mh»
conferma con un filo di voce e l’impercettibile sollevarsi di
un
angolo delle labbra.
Prova
ad alzarsi dal pavimento sul quale è rannicchiato, ma
qualcosa va
storto; le sue gambe cedono sotto un peso eccessivo e il suo corpo
torna a ripiegarsi su sé stesso, mentre il tentativo lo fa
sprofondare nell’oscurità.
Akh
spalanca gli occhi, allarmato, e rapidamente si alza, precipitandosi
alla finestra e inginocchiandosi a fianco dell’altro,
scoprendolo
con sgomento privo di sensi.
«Gran
bella entrata in scena, brutto bastardo» bercia, digrignando
i denti
preoccupato.
Celere,
lo solleva da terra e, con un poco di impaccio, lo trascina fino al
proprio letto, adagiandovelo e rimanendo qualche lungo istante a
scrutarne il volto, quasi più pallido di quanto rammentasse.
«La
morte non ti ha giovato per niente, amico» prova a scherzare,
senza
tuttavia riuscire a migliorare il proprio umore nero.
Titubante,
allunga una mano e fa scorrere le dita sul suo viso spigoloso,
rilassandosi impercettibilmente nel sentirlo tiepido.
«Vado
a chiamare la padrona di casa» mormora, pur conscio che non
lo possa
sentire.
Poi,
rapido, imbocca l’uscita e vola al piano superiore,
impaziente di
trovare Emily Jane, ma anche terribilmente nervoso a quella stessa
prospettiva.
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«Che
cosa?!» grida Emily Jane, sorpresa e sconvolta.
«Dov’è adesso?»
chiede imperiosa.
«In
camera» la informa prontamente Akh. «Ma
è…».
Lei,
tuttavia, non sembra più granché interessata ad
apprendere
ulteriori dettagli. Lo scosta malamente e si precipita oltre la
porta.
«…
privo di sensi, al momento» borbotta, sospirando subito dopo
e
passandosi stancamente le dita fra i capelli arruffati.
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«Cos’è
accaduto? Perché non è sveglio?» lo
aggredisce Emily Jane,
nell’istante stesso in cui Akh torna a varcare
l’entrata della
propria stanza.
Emette
un debole gemito e prova vanamente a farsi forza.
«Non
posso saperlo» tenta, ragionevole. «Credo
che… È possibile che
recuperare la forma originaria non sia privo di dispendio di energie.
Forse, semplicemente, ne ha consumate troppe e ora, probabilmente,
deve riposare per recuperarle» avanza incerto.
Lei
lo sta ancora fissando con uno sguardo duro, ma in fondo ai suoi
occhi può facilmente scorgere la confusione e
l’ansia che deve
provare in quel momento. Questo è il principale motivo per
cui Akh
fa del proprio meglio per mantenere la calma ed evitare di attaccar
briga con lei. “Non è proprio il
momento” riflette amaramente.
«Avremmo
dovuto prepararci a questa eventualità» sibila
Emily Jane,
costernata.
«Sì?
E come, esattamente?» chiede Akh, stanco morto e desideroso
di
riposare a sua volta.
Lei
stringe i pugni con forza. La osserva lottare strenuamente per
limitare i danni. Porta l’attenzione su Pitch che, nel breve
tempo
in cui è stato via ed è tornato con la figlia,
sembra aver
recuperato un minimo di colorito sul viso.
«Vuoi
che lo porti in camera tua? Farebbe bene anche a te un buon
riposo»
propone Akh dolcemente.
Lei
sposta velocemente lo sguardo su Akh, poi torna sulla figura del
padre, infine sospira.
«Ti…
seccherebbe?» soffia, incerta.
Akh
stiracchia un sorriso e scuote la testa.
«No,
non lo farebbe» le assicura. «Coraggio, fammi
strada» chiede
pacato, raggiungendo il letto e raccogliendo nuovamente fra le
braccia il corpo (affatto leggero, per la cronaca) di Pitch.
«Gli
abbiamo dato troppi croccantini» borbotta seccato e
affannato,
stando a fatica dietro a Emily Jane.
Lei
si volta, lo squadra interdetta, poi spalanca gli occhi allibita.
«Scemo!
Che diavolo di discorsi ti vengono in mente, adesso?»
protesta.
«Beh,
prova tu a salire le scale con un cavolo di peso morto di ottanta
chili» ribatte a sua volta Akh.
«Non
può pesare così tanto. È pur sempre
uno spirito» fa presente
Emily Jane.
«Lo
dici tu» sibila Akh, adocchiando la porta della camera di lei
come
una maledetta oasi nel deserto. «Grazie al cielo!»
esclama, quasi
lanciando Pitch fra le lenzuola verdi della donna.
«Ehi,
fa’ piano! Che modi» si lamenta lei.
«Quello
che ti pare, signora. Da gatto era molto più
leggero» ribatte
cocciuto.
Emily
Jane solleva gli occhi al cielo e, poco diplomaticamente, lo sospinge
fuori dalla sua camera.
«Grazie.
Ci vediamo domattina» annuncia, prima di richiudergli la
porta in
faccia.
«Tsk!
Donne!» sbotta Akh. Infine torna in camera e finalmente a
dormire.
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Fatica
un poco a mettere a fuoco ciò che ha davanti agli occhi;
socchiude
le palpebre, reclina leggermente il capo, ma non
c’è molto che
possa fare per cambiare i fatti: sul soffitto ci sono uccellini che
cinguettano. Sul soffitto? Uccellini? Solleva scettico un nero
sopracciglio e scuote cautamente la testa, avvertendola enormemente
pesante.
«Non
capisco» soffia confuso.
«Allora
siamo in due» replica una voce sottile nelle dirette
vicinanze.
Volta
il capo, troppo in fretta. La vista gli si oscura per un lungo
istante ed è costretto a serrare con forza gli occhi per
arginare
l’emicrania che aspetta in agguato il suo prossimo passo
falso.
«Chi…
c-cosa…?» chiede, dolorante.
«Emily
Jane. Non ti affaticare, papà. Presto andrà
meglio, vedrai».
«Mh»
mormora, ben poco convinto.
«Le
tichodroma ti infastidiscono?» chiede impensierita, notando
il suo
respiro spezzato. «Vuoi che dica loro di uscire, per
ora?» propone
gentile.
«Mh»
rantola, mentre un pulsare sordo ottunde le sue percezioni. Poi
sibila, accecato da quello che gli è parso un lampo dorato.
«Papà?»
chiama, preoccupata.
«I-io…
L-luce» ansima, strizzando gli occhi.
Emily
Jane fa rapidamente sgombrare la stanza e accosta le imposte,
sperando che la penombra possa dargli un poco di sollievo.
Così
è, apparentemente. Pitch sospira, più rilassato,
e distende i
muscoli irrigiditi.
«Meglio?»
sussurra, dopo essersi accostata.
«Sì»
soffia, deglutendo. «Grazie».
Il
silenzio e il buio sembrano avere un effetto calmante. Il suo respiro
torna docile e l’emicrania retrocede rispettosamente. Dopo un
tempo
che pare dilatarsi, Pitch si arrischia a socchiudere gli occhi e nota
con sollievo che il soffitto ora è libero da qualunque
genere di
creatura piumata e sembra molto più… beh, un
soffitto.
Cauto, sposta lo sguardo all’intorno, studiando la camera e
il suo
semplice arredamento. Infine i suoi occhi si soffermano sulla figura
di una donna: sua figlia, e Pitch prova una specie di sorriso che
viene davvero male. Alla fine rinuncia e torna a socchiudere gli
occhi.
«Quanto…
t-tempo…» tenta, faticando non poco a collegare i
pensieri con le
parole.
«Hai
dormito per quattro giorni, se è ciò che desideri
sapere» lo
informa pacatamente Emily Jane.
Annuisce.
La testa è ancora pesante, per non parlare del suo corpo. Ha
cercato
di muovere un braccio, ma quello non gli ha per nulla risposto.
«S-stanco»
cerca di spiegare.
«Lo
so» lo rassicura lei, sedendosi al suo fianco e posando
leggera una
mano sulla sua fronte. «Non ci aspettavamo che…
Ecco, noi non
eravamo preparati a… questo» gesticola, indicando
tutta quella
situazione complicata.
«Mi…
dispiace» offre Pitch, contrito.
Emily
Jane sgrana gli occhi, sorpresa.
«Oh,
no papà. Non è questo il motivo per cui te
l’ho detto. Avremmo
voluto poterti assistere meglio, ma non sapevamo come. Non è
comunque tua la responsabilità. Nessuno di noi lo pensa, te
l’assicuro».
Non
sapendo cos’altro aggiungere, si sdraia al suo fianco e lo
cinge
fra le braccia, desiderando ardentemente che possa tornare in salute.
«Emily
Jane» mormora Pitch.
«Sono
qui, papà. Presto starai meglio, vedrai. Presto»
promette, seppur
nell’incertezza.
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2037
d.c. –
giugno
I
suoi passi sono ancora un po’ incerti e i suoi occhi ancora
troppo
sensibili alle luci forti, ma finalmente è fuori e
può godersi per
bene il profumo di un’estate che si sta avvicinando e la
gentile
brezza che rinfresca la sua pelle troppo chiara e scompiglia
giocosamente i suoi capelli neri.
Adesso
è più semplice sorridere. Il suo corpo gli
risponde meglio e la sua
mente è più limpida e veloce. Ha ancora molta
strada da fare, ma è
certamente sul sentiero giusto, e non è più da
solo; al suo fianco
ci sono le persone che ama. Ne manca solo una all’appello, ma
sa
che presto anche quel tassello troverà il suo posto. Molto
presto.
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