XV-439
Sensazioni
Supergirl sfrecciò nel cielo, ruotò su se
stessa e tornò indietro, evitando con una rotazione le scaglie di metallo che
l’alieno lanciava. Quando lo colpì il corpo del suo avversario risuonò come una
campana e lei sentì un dolore sordo risalire come un fulmine dalle sue nocche
fino alla spalla.
Strinse i denti e colpì una seconda
volta, l’alieno fece un passo indietro, ma non sembrò risentire in altri modi
della sua forza. Con un guizzo fu di nuovo in cielo. Se non poteva usare la
forza allora doveva usare altre sue qualità, così concentrò il suo sguardo
facendo appello alla vista calorifera.
L’essere non risuonava solo come il
metallo, era anche di base metallica e infatti iniziò a urlare e, pochi istanti
dopo, si arrese alzando le mani e chiedendole di smettere. Kara scese a terra
con un sorriso soddisfatto e aiutò gli agenti DEO, accorsi sul posto, ad
ammanettare l’ostile e a caricarlo su un camion che lo avrebbe portato in una
zone di contenimento adatta a lui.
“Ottimo lavoro, Supergirl.” Gli disse il direttore nel suo
auricolare.
“Grazie, J’onn.”
Rispose, poi al cenno affermativo di Alex, a capo del gruppo di agenti DEO,
spiccò il volo verso il cielo e sparì agli occhi di tutti.
In realtà si diresse verso casa dove
atterrò qualche minuto dopo.
“Ciao, tesoro.” Sorrise alle parole
di Mon-El che stava leggendo seduto sul divano, e si
diresse in camera per indossare i suoi abiti da Kara Danvers.
Avrebbe potuto usare la super-velocità, ma non lo fece. Sospirò mentre,
lentamente, si toglieva il mantello, la gonna e gli stivali per sostituirli con
pantaloni e camicia. Prima di indossare le scarpe si sedette sul letto e si
massaggiò le nocche della mano destra.
Era strano, aveva una vita felice:
come Supergirl riusciva sempre a vincere, come Kara
aveva un lavoro che amava e nel quale si sentiva realizzata, aveva un fidanzato
che l’amava e una sorella che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei… allora
perché si sentiva così vuota? Perché si sentiva soffocare, come se attorno al
suo collo si stesse stringendo un cappio?
Era da alcune settimane che quella
sensazione la tormentava, ma oggi sembrava quasi toglierle il respiro.
Si alzò e si fissò allo specchio. Per
un secondo, un brevissimo secondo, non fu il suo riflesso quello che vide,
sbatté gli occhi e vi era solo lei, Kara Danvers. La
donna dai bruni capelli era scomparsa.
Doveva essere stanca.
Lena Luthor
si guardò nello specchio per l’ennesima volta. I capelli erano perfettamente in
ordine, così come il trucco e il suo abito elegante. Era l’immagine della donna
di successo, sicura di sé, forte e pronta a dominare il mondo. Quell’ultimo
pensiero le fece storcere il naso, no, era una Luthor,
era meglio se non esagerasse, lei voleva solo controllare la sua compagnia,
quella era l’immagine giusta da dare in quel momento.
Tolse un invisibile granello di
polvere dal suo polsino e poi si voltò con un sospiro, aveva ventiquattro anni
e stava per prendere il controllo di una delle più ricche compagnie del paese,
eppure non era felice, neppure un po’. Era così difficile credere che lei
volesse solo tornare al suo laboratorio, ai suoi esperimenti, alla sua vita
fatta di piccole sfide per cambiare il mondo? Da poco era riuscita a trovare
qualcosa di promettente e…
“Miss Luthor?”
Si voltò verso la segretaria, perché ora aveva una segretaria, e annuì.
Era pronta, doveva essere pronta.
L’intero consiglio d’amministrazione la stava aspettando. Sapeva che volevano
che prendesse le redini della compagnia ora che suo fratello era stato
arrestato. Avrebbe dovuto condurre la Luthor
Corporation oltre quel momento di grave crisi finanziaria e ridarle l’antico
splendore. Era suo dovere, era una Luthor, l’ultima
visto che sua madre era stata nel consiglio d’amministrazione di Lex e ora doveva tirarsene fuori se non voleva che la compagnia
affondasse assieme al figlio.
“Signori.” Disse, entrando nella
stanza e guardandosi attorno. Sentiva il cuore battere veloce, ma nulla nel suo
aspetto indicava che era tesa.
Sorrise, annuì, strinse mani e dopo
appena mezz’ora era la nuova CEO della Luthor
Corporation.
Attorno al suo collo si era appena
chiuso un cappio.
Prima ancora di accettare il nuovo
ruolo aveva già preso numerose decisioni, una su tutte spostare la sede
principale della compagnia. Aveva bisogno di un nuovo inizio.
Così, quel pomeriggio stesso, prese
l’aereo e arrivò a National City. Una macchina la stava aspettando e la portò a
casa. Lena osservò i grattacieli di quella nuova città con gli occhi persi,
sentiva che avrebbe potuto solcare i cieli se solo avesse voluto. Scosse la
testa a quel pensiero anomalo, lei odiava volare e per quel giorno aveva già
fatto un volo di troppo.
Quando la macchina si fermò, scese,
anticipando l’autista che voleva aprirle la porta, e salì gli scalini guardando
la casa con un misto di piacere e dolore. Tra quelle mura aveva passato
numerose vacanze, lì suo padre aveva saputo rilassarsi per qualche giorno,
lontano dagli affari e da Metropolis, con Lex aveva potuto giocare, dimenticando la scuola e la
rigida scaletta di impegni che entrambi avevano dovuto seguire, lì, persino sua
madre era stata più morbida. Era la casa in cui l’avevano accolta per la prima
volta a quattro anni e in cui aveva imparato a giocare a scacchi.
Una cameriera anziana, Catherine,
ricordò, le aprì il ricco portone e la accolse con un sorriso.
“Bentornata a casa, miss. Ci è mancata.”
Lena rimase sorpresa nel vedere il personale schierato nell’atrio, tutti con
ampi sorrisi sulle labbra. Non si era aspettata una simile accoglienza.
“Grazie…” Riuscì a dire, leggermente
commossa.
“La sua stanza è pronta, desidera
qualcosa di speciale per cena?” Lena scosse la testa. “Il cuoco si chiedeva se
le piacciono ancora…”
“Pizza.” Rispose. “Pizza hawaiana.”
“Pizza, miss?” Chiese il cuoco
intervenendo, sorpreso. Lena sbatté le palpebre confusa, aveva avuto un intenso
desiderio di pizza con l’ananas, ma era assurdo.
Rise e il personale la imitò,
sorpreso dal fatto che avesse fatto loro uno scherzo.
“Qualsiasi cosa avete in mente andrà
benissimo. Grazie.” Affermò alla fine.
Il meeting con il consiglio
d’amministrazione e il viaggio dovevano averla stancata più di quanto
immaginasse.
“Pizza!” Esclamò Kara entusiasta
osservando Mon-El entrare con un cartone gigante.
“Mi sembravi un po’ giù, così ho
pensato che questa avrebbe potuto ritirarti su.” Ammise con un sorriso,
ruotando il pollice da giù in su e lei annuì afferrando lo scatolone e
aprendolo, i suoi occhi confermarono ciò che il suo naso aveva già capito.
“La mia preferita.” Costatò.
“Non mi merito un bacio?” Chiese il
ragazzo, ma lei si era già voltata verso la cucina per prendersi da bere e
lasciò il ragazzo a stringersi nelle spalle.
“Mangi con me o devi andare?” Gli
chiese, Kara, con una fetta già in bocca.
“Devo andare, mi aspettano al bar.”
“Buon lavoro e grazie per la pizza!”
Le disse allora lei prendendo un altro boccone.
Rimasta sola Kara prese lo scatolone
e il bicchiere di coca cola e si sedette alla finestra osservando il cielo e le
stelle. Non lo aveva detto a Mon-El, ma aveva un
profondo senso di nostalgia quella sera. Quel senso di oppressione non se n’era
andato, anche se ora forse era mischiato a della rassegnazione, ma al tutto si
era aggiunta la malinconia.
Finì la pizza e rimase, lì, immobile
a pensare ai suoi genitori e al suo mondo, gli occhi puntati verso il cielo,
verso Rao, la stella attorno alla quale aveva
orbitato il suo pianeta.
Una lacrima scese lungo il suo viso e
lei lasciò che le rigasse la gota.
Lena raccolse la lacrima e la osservò
con sorpresa. Era nella stanza della sua gioventù, per tutta la serata non
aveva potuto fare a meno di pensare a suo padre e a suo fratello, persino a Lillian che ogni tanto si era mostrata gentile verso di
lei. Provava un’intensa nostalgia, come se essere di nuovo lì avesse acuito un
sentimento che non pensava di provare. Era stata felice quando se n’era andata,
perché ora si sentiva in quel modo?
Sfregò la lacrima tra i polpastrelli
di pollice e indice, poi scelse uno dei pigiami dall’armadio, notando che le
sue cose erano già state sistemate al loro posto, e si stese nel letto.
Per qualche ragione le nocche della
mano destra le dolevano da un po’, le massaggiò per qualche minuto, poi chiuse
gli occhi e si addormentò.
Kara aprì e chiuse la mano destra,
Alex l’avrebbe uccisa se avesse scoperto che non le aveva detto quanto male si
era fatta, ma il dolore stava lentamente passando ed era sicura che l’indomani
sarebbe scomparso del tutto. Sperava che anche quella malinconia sarebbe
scomparsa assieme al dolore. Si stese nel letto e chiuse gli occhi, pochi
minuti e si addormentò.
Lena si guardò attorno con interesse.
“Ciao.” Mormorò una voce alle sue spalle e lei si voltò. C’era una
bambina che guardava il paesaggio.
“Dove siamo?” Chiese. Ora anche lei era una bambina.
“Casa…” Disse soltanto la piccola. Aveva capelli lunghi e biondi e grandi
occhi azzurri, tristi.
“È bella.” Commentò, tornando a osservare la città. I grandi palazzi di
vetro erano colorati di rosso dal sole, come al tramonto.
“Mi manca.” Bisbigliò la bambina e Lena si voltò osservando i lacrimoni
scendere lungo quelle infantili guance.
“Lo so.” Ed era vero, sentiva un dolore sordo nel cuore. Era di nuovo
grande quando prese tra le braccia la donna, perché ora anche la bambina era
cresciuta.
La stretta sciolse il dolore nel suo petto e lei si sentì finalmente
libera dall’oppressione che l’aveva condannata per settimane, da quando aveva
saputo di Lex e di conseguenza del suo destino.
Sorrise e si sistemò meglio in quel tranquillo abbraccio.
Nel letto Kara si sistemò meglio, le
lacrime si asciugarono sul suo volto, mentre il sogno sfumava e la sua mente si
rilassava in un placido sonno.
Lena si spostò nel letto e le sue
labbra sorrisero, mentre il sogno sfumava e la tensione della giornata spariva,
lasciando spazio a un sonno ristoratore.
Note: Finalmente
ho una nuova long pronta per voi. Ovviamente SuperCorp!
Non c’è molto
da dire, questo primo capitolo introduce la situazione, come avrete notato gli
eventi sono simili, ma non identici a quelli della serie. Sintetizzando vi è
una traslazione negli eventi, Lena è appena arrivata a National City, ma Kara e
Mon-El sono già una coppia e, vedremo, anche Alex e Maggie…
detto questo, spero che questi primi accenni di trama vi abbiano intrigato a
sufficienza da farvi desiderare un seguito.
Cosa ne
pensate? Fatemi sapere!
La storia è
completa, quindi, la velocità di pubblicazione dipende, come sempre, solo da
voi! ;-)