Un
fiore tra la cenere
D’inverno,
né calore, né luce, né pien meriggio;
la sera e il mattino si
confondono, tutto è nebbia e crepuscolo, la finestra
è appannata e
non ci si vede bene. Il cielo è uno spiraglio, come
l’intera
giornata è una cantina: il sole ha l’aria
d’un povero. Stagione
spaventosa! L’inverno muta in pietra l’acqua del
cielo ed il
cuore dell’uomo.
(Victor Hugo)
Ottobre,
1812
Quella
mattina era caduta la
prima neve di fine ottobre, inaugurando la stagione invernale. Le
fiamme dell'incendio si erano sopite ormai da giorni, portando via e
distruggendo case, edifici, chiese e negozi e lasciando dietro di
sé
solo la cenere, che ora si confondeva con la candida neve al suolo.
La
zarina Elisabetta Alekseevna non riusciva a credere che Mosca, un
tempo la più grande e maestosa città dell'intera
Russia, fosse
stata ridotta a nulla più che rovine dal terribile incendio.
Con
gli anni quello era divenuto il posto in cui preferiva stare e le
piaceva rifugiarsi per sfuggire alla severa corte russa di San
Pietroburgo, sebbene Mosca fosse anch'essa ben diversa rispetto alla
sua terra di origine. Doveva pur ammettere che all'inizio per lei era
stato difficile abituarsi a quella nuova realtà e alla vita
in
Russia. Il freddo degli inverni tedeschi non era minimamente
paragonabile a quello russo. Oltretutto, la città da cui lei
proveniva, Karlsruhe, si trovava in una delle regioni dal clima
più
mite della Germania, in cui l'inverno era meno rigido della media
tedesca. La prima volta che era arrivata a San Pietroburgo, su invito
dell'imperatrice di Russia Caterina, intenzionata a trovare una sposa
adatta al nipote Alessandro, era rimasta stupita dal gelido clima
russo, sebbene nel periodo in cui vi era andata per la prima volta
fossero ancora in autunno, e da usi tanto diversi da quelli a cui era
solita. A quei tempi era solo una bambina timida, di nome Maria
Luisa, e ricordava ancora benissimo il timore che le aveva incusso
l'imperatrice e i nobili di corte, con i loro intrighi e sorrisi
falsi. Riuscì a trovare sollievo e sicurezza solo in
Alessandro. Il
loro amore era sbocciato lentamente e ingenuamente, come un fiore
delicato e meraviglioso. Non fu semplice intendere l'uno i sentimenti
dell'altro, poiché allora era anche lui un bambino molto
insicuro,
ma a Elisabetta bastarono poche settimane per innamorarsi e, quando
si furono dichiarati l'uno all'altra, l'imperatrice si
affrettò ad
organizzare le loro nozze. E fu così che la piccola Maria
Luisa
divenne la donna e moglie Elisabetta Alekseevna.
Elisabetta
si voltò a
guardarlo. Alessandro era in piedi, fiero nelle vesti da imperatore
che aveva indossato per tanti anni, senza neanche un attimo di riposo
dagli impegni pubblici, politici ed esteri, soprattutto in quegli
ultimi difficili anni. Quelli erano tempi duri per la Russia, ancora
provata dalla disastrosa campagna di Napoleone, e sulle sue spalle
era ricaduto il gravoso compito di mostrarsi forte di fronte al
popolo stremato dagli interminabili e terribili anni di guerra. Lei
però lo conosceva, perché gli anni di matrimonio,
fitti non solo di
amore, ma anche di difficoltà, infelicità, crisi
e tradimenti,
erano riusciti a rinsaldare almeno in parte il loro critico rapporto
e ad avvicinarli. Infatti, aldilà dei problemi e delle
sofferenze
che avevano affrontato, l'affetto e la protezione che si davano non
erano mai scomparse e mai erano state coperte dalla freddezza e dal
disinteresse, che, eppure, spesso avevano minacciato di distruggere
definitivamente il loro legame.
Solo
lei, perciò, riusciva a
vedere quanto in realtà suo marito fosse stanco e triste. Di
fronte
all'implacabile avanzata di Napoleone e al massacro della battaglia
di Borodino, si era trovato costretto ad abbandonare con lei Mosca,
una delle città più importanti della Russia e, un
tempo, la più
bella insieme a San Pietroburgo, lasciandola nelle mani dell'esercito
nemico. Napoleone era riuscito a sconfiggere la barriera umana
dell'esercito russo e a penetrare nella città, facendo la
sua
entrara trionfale. Mai, tuttavia, egli si sarebbe aspettato di
trovarla deserta, eccezion fatta per i più anziani, infermi
e
poveri, che, nella fretta della fuga da Mosca, erano stati lasciati
là. Il giorno dopo nella città venne appiccato un
incendio, i cui
responsabili non erano ancora stati individuati, che dilagò
in
fretta, prima in piccole aree e quartieri, per poi raggiungere quasi
l'intera superficie di Mosca, favorito dalla cospicua presenza di
edifici in legno. Questo tolse a Napoleone la possibilità di
sfruttare e saccheggiare i viveri e le ricchezze abbandonati dai
russi nelle loro case e palazzi.
Egli
non riuscì a vedere altra
via se non quella di tornare indietro e fare ritorno in Francia,
perché, altrimenti, sarebbe rimasto bloccato nella
città distrutta
e disabitata senza i mezzi per nutrire e garantire la sopravvivenza
dei suoi soldati e avrebbe dovuto affrontare l'intera stagione
invernale, già di per sé dura da sopportare, non
essendovi
abituati, con la costante minaccia di sommosse in Francia e negli
stati sottomessi fomentate dai suoi avversari.
La
fuga precipitosa di Napoleone avrebbe dovuto rappresentare una
vittoria per Alessandro e una prova della forza del popolo russo,
poiché la loro patria era stata liberata dagli oppressori e
conquistatori francesi, ma tutto ciò era accaduto a caro
prezzo.
Avevano perso quasi tutto, poiché anche altri villaggi e
città
erano state abbandonate e date alle fiamme per sottrarre ai francesi
i loro depositi di cibo e sostentamento e indebolirli grazie
all'avanzata del terribile inverno russo, oltre che alla forza del
loro esercito e degli attacchi che questo aveva perpetuato. Molti
avevano perso le loro case e i loro averi, nobili compresi, ed ora si
ritrovavano senza più nulla in mano.
In
seguito all'incendio, in qualsiasi parte della città si
andasse, si
potevano vedere solo ruderi e cadaveri di russi e di francesi
incondizionatamente, chi ucciso durante l'incendio, chi per l'odio e
sotto le armi dell'esercito invasore.
I
francesi non avevano mostrato la minima pietà verso i
numerosi russi
che non erano riusciti (o forse non avevano trovato il coraggio) a
fuggire e lasciar diventare i loro averi merci e premi dei soldati
nemici. Molti di loro erano stati giustiziati mediante fucilazione,
altri erano morti per malattia e per il freddo, indeboliti dalla
scarsità di cibo. Anche dopo l'incendio e la fuga
dell'esercito, i
morti non erano diminuiti, bensì aumentati; solo che
stavolta le
vittime erano i francesi stessi. Quando questi se n'erano andati,
avevano lasciato dietro di loro una scia di morte e corpi senza vita.
Ma
la vera vittima della campagna francese in territorio russo e la
più
devastata, oltre al loro popolo, era stata Mosca. Quel giorno i russi
stavano rientrando in città, pochi giorni dopo la partenza
repentina
di Napoleone, che al momento si trovava debole e lontano e non
rappresentava più un pericolo per loro e la loro patria,
logorato e
decimato com'era il suo esercito. Però, mai avrebbero mai
potuto
anche solo lontanamente immaginare che Mosca fosse ridotta ad un
cumulo di macerie.
Erano
molti gli edifici scampati
alle fiamme, tra cui diverse chiese, alcune ancora intatte, e il
Cremlino, simbolo del potere politico e civile della città,
ma
altrettanti erano quelli distrutti dalla furia dell'incendio. Interi
quartieri erano scomparsi, lasciando solo polvere e rovine al posto
degli edifici, insieme all'eco dello splendore che erano stati un
tempo.
Mosca,
o ciò che ne rimaneva, si estendeva sotto ai loro occhi,
dall'alto
della Collina dei passeri, dove Elisabetta si era recata insieme al
marito e a un manipolo di burocrati per constatare con i loro occhi i
danni apportati a quella meravigliosa città, ora quasi
irriconoscibile. Il fiume Moscova serpeggiava sinuoso e solenne nella
città, passando in mezzo alla zona interamente bruciata di
Mosca,
quindi al Cremlino, che poteva scorgere da lontano, per poi
fuoriuscirne. La zarina, inoltre, vide con estremo sollievo che la
splendida cattedrale di San Basilio era rimasta praticamente intatta,
mentre aveva saputo dai primi bilanci sulle perdite artistiche che
erano stati distrutti i teatri Arbatskij
e Petrovskij, così come la biblioteca Buturlin e
l'università
statale della città. Quel giorno gran parte dell'arte e
della
cultura russa contenuta a Mosca erano andate perdute, portate via
dall'impeto del fuoco.
Abbassò
lo sguardo, non riuscendo più a reggere la vista di una tale
devastazione, e gli occhi le caddero su un minuscolo e innocuo
fiorellino. Era tanto piccolo da poter essere scorto solo quando vi
si guardava con particolare attenzione, soprattutto perché i
petali
bianchi si confondevano con la poca neve che era scesa. Forse era
proprio per quel motivo che riusciva ancora a resistere, sebbene esso
fosse già piegato sotto il peso di alcuni fiocchi che si
erano
posati sui suoi petali. Eppure, il fiore, nonostante fosse evidente
che il freddo lo avrebbe fatto appassire e morire, continuava a
sopportare quel fardello e a perseverare. Speranza,
ecco cosa le venne in mente, guardando l'incredibile forza di quel
piccolo fiore.
Non
sarebbe stato affatto facile ricominciare; Elisabetta lo sapeva con
assoluta certezza, soprattutto per le precarie condizioni economiche
in cui Napoleone li aveva lasciati, ma era anche sicura che, con la
stessa forza di volontà e fermezza che aveva loro permesso
di
logorare e sconfiggere lo sterminato esercito francese, sarebbero
riusciti a ricostruire tutto e ripartire da dove quell'assurda
campagna li aveva costretti a interrompere il normale scorrere delle
loro vite, per affrontare la minaccia francese.
Avrebbero
trovato il modo di ripartire e riedificare non solo Mosca, ma
l'intero paese dalle macerie. Avrebbero sopportato il dolore e le
ferite che quell'esperienza aveva lasciato loro e sarebbero andati
avanti, con il medesimo coraggio che stava dimostrando quel fiore,
all'apparenza tanto delicato e fragile.
Ce
la faremo pensò
Elisabetta, guardando il viso di profilo di Alessandro, che a sua
volta stava osservando con preoccupazione malcelata ciò che
era
rimasto della città. Gli strinse delicatamente la mano,
inducendolo
a voltarsi verso di lei. Insieme.
Dicembre,
1819
Mosca
stava ricrescendo dalle
sue ceneri, avviandosi a tornare la città grande e florida
che era
stata un tempo. Nonostante la neve e il freddo pungente, gli operai
continuavano a lavorare per ricostruirla e renderla quella di prima
dell'incendio, che l'aveva lasciata spogliata e in gran parte
distrutta.
Elisabetta
si portò alle labbra
il bicchiere colmo di caldo e pregiato vino, sperando che quello,
insieme al fuoco che scoppiettava nel camino della stanza, riuscisse
a riscaldarla a dovere. Non appena ighiottì il liquido e lo
sentì
scendere fino allo stomaco, con il suo consueto e ormai piacevole
pizzicore, percepì il fresco farsi meno rigido di prima e
più
sopportabile.
Mentre
appoggiava il calice
ancora pieno su un tavolinetto, sentì qualcuno avvicinarsi a
lei da
dietro e toccarle le braccia con fare protettivo. Lei
appoggiò la
mano sulla sua e insieme, stretti l'uno all'altro, continuarono a
guardare la città attraverso le ampie e leggermente
appannate per il
freddo vetrate di una delle tante stanze del Cremlino, ma senza dire
nulla. In quegli ultimi anni avevano avuto fin troppe occasioni per
farlo, soprattutto quando le loro conversazioni si erano tramutate in
aspre liti, sia a carattere politico che sentimentale. Tuttavia, era
evidente che in quegli ultimi anni periodo il loro rapporto si era
riassestato all'improvviso, guarendo tutte le ferite che si erano
reciprocamente provocati e le crepe createsi con gli anni. I ripetuti
tradimenti e l'indifferenza con il tempo avevano congelato i
sentimenti genuini che avevano provato duranto i loro primi incontri
e agli albori del loro matrimonio. Solo la morte delle sue due
bambine, Maria ed Elisabetta, e il profondo dolore che queste perdite
le avevano portato erano stati in grado di riavvicinarli.
Il
prematuro decesso di Maria, a solo un anno di vit,a la gettò
in uno
stato di profonda infelicità e depressione, peggiorato dopo
che ebbe
ascoltato la notizia che suo marito aveva iniziato ad intrattenere
una relazione amorosa con la principessa polacca Maria Czetwertynska.
Lei allora tentò di attenuare la sofferenza che si portava
dentro
riprendendo i contatti e riallacciando una relazione con il suo
vecchio amante, Adam
Czartorysky, e in seguito il capitano Aleksej Ochotnikov. Dopo tre
anni rimase incinta, forse dello stesso Aleksej. Non avrebbe mai
potuto sapere la vera identità del padre della piccola,
poiché lui
morì pochi giorni dopo la sua nascita e la bambina, che
aveva
chiamato con il suo stesso nome, Elisabetta, lo seguì dopo
soli
quindici mesi di vita.
Entrambe
le sue bambine non vissero abbastanza per far comprendere alla zarina
cosa volesse dire essere una madre, né per permetterle di
vederle
crescere nella stessa felicità che lei aveva sperimentato in
giovinezza e diventare donne. Quando
aveva abbracciato per l'ultima volta il corpicino fragile e morente
della figlia, il dolore che aveva sentito nel cuore era stato
talmente forte da farle pensare che non sarebbe più riuscita
a
riprendersi da un tale colpo.
Odiava
ricordare quei terribili giorni: si era sentita abbandonata e sola
come mai prima e aveva trascorso ogni singolo minuto a piangere nello
stesso letto in cui la sua piccola Lisinka
era stata data alla vita, per poi vedersela privare così
brutalmente. A quell'epoca non riusciva più a vedere
speranza di
redenzione e rinnovata felicità per la sua anima. Continuava
a
chiedersi perché un simile fardello fosse toccato a lei e ad
augurarsi di poter morire anche lei per non dover essere più
costretta a sopportare un tale dolore e per poter rivedere ancora una
volta le sue tenere bambine.
Alla
fine, però, aveva davvero ritrovato la speranza: Alessandro
le era
stato vicino notte e giorno, confortandola e aiutandola a poco a poco
a ritrovare la voglia di vivere e a riscoprire il suo affetto per il
marito, che, tutto sommato, non aveva mai smesso di provare,
nonostante le crisi e le difficoltà. Lui le era stato vicino
quando
nessun altro avrebbe potuto farlo e con la sua presenza costante e
rassicurante l'aveva guarita.
Ed
ora i tempi in cui erano costretti a trovare calore e conforto tra le
braccia di altri amanti erano solo un ricordo lontano. Non erano
certamente una coppia perfetta e pienamente felice, perché
mai
sarebbero potuti esserlo con l'ombra delle sofferenze e tradimenti
che si portavano dietro come macigni, ma l'importante era solo
l'amore che provavano l'uno per l'altra e che ancora li univa.
Di
pari passo con il loro rapporto, anche Mosca stava lentamente
guarendo dalle ferite lasciate dall'incendio. All'improvviso
ripensò
a quel piccolo e fragile fiore che aveva notato durante il loro
ritorno a Mosca, successivamente all'accaduto. Si chiese che fine
avesse fatto dopo tanti anni: era riuscito a sopravvivere
all'inverno? Era morto o, invece, era cresciuto tanto fino a
diventare una pianta grande e rigogliosa, rinata con l'avvento della
primavera?
Se
lo immaginò forte come appariva allora, alto anche in mezzo
alla
neve e alla cenere. Alla fine la speranza e l'amore avevano
sopraffatto la morte e la distruzione, lasciando di essi solo il
lontano e doloroso ricordo. Avevano ricostruito ciò che
avevano
perso e Mosca stava gradualmente tornando quella di un tempo,
così
come il loro matrimonio. Continuò ad osservare rapita la
maestosità
della città su cui stavano cadendo fitti fiocchi di neve,
mentre
pensava: Ce
l'abbiamo fatta, mon trésor.
Mosca è rinata, grazie alla speranza e alla nostra forza.
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