Insieme
~·~
La
Strada Verso Casa
~
Parte Prima ~
2038
d.c. – settembre
I
suoi occhi dorati sono persi da lunghi minuti nei riflessi
cristallini del piccolo lago, quando una leggera folata di vento
annuncia un nuovo arrivo. Poco dopo Akh atterra leggero sul ramo
sopra il quale Pitch è seduto.
«Stai
bene?» chiede, un po’ preoccupato, lo spirito della
Luce.
Pitch
distoglie lo sguardo dal laghetto e lo punta sullo spirito, annuendo
adagio.
«Sì.
Volevi parlarmi?».
«Non
io. Faccio il messaggero, ora; come Hermes» borbotta Akh,
visibilmente contrariato.
Pitch
distende le labbra in un morbido sorriso rilassato e fa segno
all’altro di accomodarsi al suo fianco.
«Dimmi
tutto» lo invita gentilmente.
«Emily
Jane dice che ha bisogno di parlare con te di una certa
questione»
annuncia Akh.
«Ne
sono certo» sospira Pitch.
«Non
penso ti lascerà in pace tanto facilmente» lo
avvisa di buon grado.
«No,
non lo credo neppure io» ammette.
Akh
lo osserva attentamente, mentre Pitch torna per un momento a perdersi
nei recessi del lago (o più probabilmente di sé
stesso).
«Vuoi
che le dica che non ti ho trovato?» tenta incerto.
Pitch
sbuffa una mezza risata. «Non ci crederebbe nessuno. E lei
tenterebbe per l’ennesima volta di farti arrosto».
«Uh…
Beh, io ci ho provato» borbotta Akh, imbarazzato.
«Lo
apprezzo» assicura. «Va’ pure, goditi il
vento» soffia, piegando
le labbra in un mesto sorriso e osservandolo spiegare le grandi ali e
prendere quota.
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«Volevi
vedermi?» si annuncia Pitch, comparendo in un istante al suo
fianco
su un’altura dalla quale si può scorgere una parte
dello
sconfinato paesaggio verdeggiante che li circonda.
Emily
Jane sobbalza impreparata, nonostante debba ormai essere avvezza alle
repentine apparizioni del padre.
«Sì,
io…» tentenna, nervosa «devo
parlarti».
«Capisco»
sospira Pitch. «Ebbene, io sono qui. Ti ascolto»
avanza, seppur
evidentemente a disagio.
«Perché
vuoi andartene?» chiede repentinamente Emily Jane, in un tono
che ha
l’aria di un’accusa.
Pitch
trasale, sia al tono che alle parole, e per un attimo chiude gli
occhi, cercando la calma necessaria.
«Emily
Jane, non ho intenzione di andarmene. Ho cercato più volte
di
spiegartelo. Io…» esala, esasperato, portandosi
una mano fra i
capelli. «È qualcosa che devo fare,
che… sento necessario».
«Ma
non lo è!» protesta lei con veemenza.
«Lo
è, invece» replica lui, seccamente. «Tu
non lo senti. Io sì.
Questo…». Il respiro di Pitch si fa d’un
tratto erratico, la sua
mano si posa sul petto. «Questo vuoto. A volte ho
l’impressione di
venir risucchiato al suo interno e di non poterne più
uscire»
sospira con voce strozzata.
«Papà».
«So
che vorresti capire, ma non ho idea di come spiegarti. Ci sono
momenti in cui è quasi dolore, e in quei momenti vorrei
poter essere
altrove. Sento che potrei impazzire, perché mi sento come
spezzato»
ammette in un lieve singulto.
Sospira,
mentre le braccia tiepide e sottili di Emily Jane lo circondano e lo
avvolgono, facendolo sentire meno perso.
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2038
d.c. –
ottobre
“Promettimi
che tornerai”.
“Sulla
mia anima”.
Emily
Jane, affacciata alla finestra che dà sul tramonto, si
mordicchia
pensierosa le labbra e prega: prega che suo padre abbia la
possibilità di mantenere la parola, prega che nulla al mondo
vada
storto e che lui possa realmente fare ritorno come promessole. Lei
non permetterà che vada diversamente. “Non questa
volta. Mai più”
impone caparbiamente a sé stessa, attendendo pazientemente
alla
finestra, mentre il cielo imbrunisce. “Mai
più”.
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«Pitch».
«Sì»
sospira lui, mentre un angolo delle sue labbra si solleva.
È
incerto; non sa bene se farsi avanti o attendere che sia lei a
mostrargli, ancora una volta, la via.
«Tu
sei… s-sei…» tenta Katherine, sconvolta.
«Qui»
le risponde lui, decidendo questa volta per lei la direzione da
prendere.
Katherine
porta una mano tremante sulle labbra, dalle quali sfugge un
singhiozzo, poi un altro.
«Come…
q-quando…» balbetta.
«Io…
avrei voluto poter venire prima, ma non ci sono riuscito»
ammette
dispiaciuto.
La
testa di Katherine è zeppa di domande, ma su tutto si impone
l’unica
cosa che valga veramente la pena di sapere.
«Sei
tornato» soffia, incredula.
Il
sorriso di Pitch è un poco tremante, ma rimane e sembra
così reale,
così… adesso.
A
Katherine, in quel momento, non interessa affatto né il come
né il
quando. Adesso
è ciò che davvero importa. E adesso lui
è lì, di fronte a lei. Il
suo Pitch.
Improvvisamente
sorride, prendendo di sorpresa lo spirito che sbatte freneticamente
le ciglia confuso, e con rapidità sconcertante colma la
distanza che
ancora li separa e si aggrappa tenacemente al suo collo, stringendo e
stringendo fino quasi a soffocarlo. Per loro fortuna non è
umano.
«Sei
tornato. Sei tornato» continua instancabile a ripetere al suo
orecchio, lasciando cadere qualche lacrima sul suo collo.
«Sì,
l’ho fatto» mormora, avvolgendola fra le braccia e
tenendola
stretta a sé.
«Mi
sei mancato. Così tanto» sussurra, con ancora il
volto seppellito
nel suo collo.
«Anche
tu» ammette senza esitazioni.
Si
sente bene. Bene come mai è veramente stato da quando non
è più un
essere umano. Si sente… vivo,
per quanto assurdo possa apparire. Aveva quasi scordato quella
sensazione di essere finalmente completo che ha sentito e sente ora,
con lei e con nessun altro.
«Stai
piangendo» soffia Katherine sulla sua maglia umida.
Pitch
trema per un lungo momento e prova a scostarsi, appena un poco, senza
però riuscirci.
«Mi
dispiace» si scusa, senza ben sapere il perché.
«No»
soffia Katherine, scuotendo lentamente la testa e carezzando il suo
volto. «No, Pitch. Va tutto bene. Anche io mi sento
così» rivela.
Pitch
spalanca gli occhi, sorpreso, e la scruta preoccupato.
«Da-davvero?».
Katherine
annuisce piano e sorride.
«Ma…
stai bene?» si accerta lui.
«Adesso
sì, Pitch. Molto».
I
suoi occhi dorati sono ancora sgranati. Non ci aveva mai pensato. Non
era affatto qualcosa che avesse preso in considerazione e, in ogni
caso, difficilmente avrebbe potuto trovare una soluzione.
Eppure…
«Non
intendevo procurarti dolore» mormora tristemente.
«Oh,
Pitch. È accaduto, e tu non potevi farci proprio nulla. E
comunque è
cominciato prima che tu scomparissi».
«Prima?»
rantola tremante.
Che
cos’ha fatto? Come è potuto accadere? Aveva
giurato che l’avrebbe
protetta, invece è riuscito a farle nuovamente del male.
«Pitch,
basta. È passato, non sei responsabile per ciò
che è stato. E
anche se lo fossi, non è qualcosa che si possa cambiare,
neppure
volendolo».
«Ma…
K-Katherine, io» tentenna Pitch.
«Shh.
Non ora. Ora stringimi e vedi di farlo per bene, così tengo
da parte
la mia scorta per un po’» scherza la ragazza.
Per
quanto sembri incredibile, a Pitch sfugge una lieve risata e le
obbedisce prontamente, desideroso quanto lei di una buona scorta di
serenità.
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ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
Stanno
sonnecchiando su una panchina, godendosi il tiepido sole pomeridiano
e la reciproca vicinanza che riesce, chissà come, ad
alimentare la
sensazione di calore. Le dita di Pitch scorrono leggere e delicate
fra i capelli di Katherine, mentre lei ha il capo posato sul suo
petto, sopra il suo cuore tranquillo, e sulle sue labbra permane
l’ombra di un sorriso felice. Qualche minuto più
tardi gli occhi
verdi di Katherine si socchiudono contro il cielo terso; sospira.
«Quando…
sei tornato?» tenta, incerta.
Pitch
posa il mento sul capo della ragazza e chiude un momento gli occhi.
«Ufficialmente,
un anno dopo essere scomparso».
Katherine
sussulta e sgrana gli occhi.
«Un…
anno?» domanda confusa.
Lui
si limita ad annuire pacatamente e a stringerla maggiormente a
sé.
«Sono…
p-passati dieci anni» continua, tremante.
«Ne
sono conscio» ribatte, ancora a occhi chiusi.
Avverte
il respiro di lei rallentare, dopo aver corso freneticamente, tenuto
cocciutamente sotto controllo dalla volontà della ragazza.
«Spiegami»
pretende, decisa.
Pitch
accenna un sorriso compiaciuto e riapre gli occhi, fissandoli in
quelli verdi di lei. Poi inizia a narrarle la sua nuova avventura.
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«Com’è
stato?» soffia Katherine, alla conclusione del lungo racconto
di
Pitch. «Ha fatto male?» vuole sapere, seppur
consapevole delle
conseguenze.
Gli
occhi dorati di Pitch si perdono qualche momento in quelli addolorati
di Katherine. Sa ciò che lei gli sta chiedendo. Sono
piuttosto in
sintonia, ormai, e riesce a comprendere i suoi ragionamenti e le sue
necessità. Preferirebbe non doverle parlare di quello, ma
lei sembra
averne bisogno, così decide di accontentarla.
Cauto,
annuisce. «Sì. Non puoi neppure immaginare quanto,
e di questo sarò
eternamente grato» sospira, affondando poi il naso nei suoi
capelli
soffici e profumati.
Le
braccia di Katherine si stringono nuovamente attorno al suo collo e
il suo viso ora fronteggia quello dello spirito con uno sguardo serio
e triste insieme che lo fa fremere d’inquietudine.
«Mi
dispiace» dicono le sue labbra, confondendo Pitch.
Scuote
la testa e fa scorrere i polpastrelli sulla guancia serica della
ragazza.
«Perché?».
Lo
sguardo di Katherine, sicuro fino a un momento prima, si abbassa
colpevole.
«Perché
sono stata io a farti tornare, dieci anni fa».
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«Cosa?
Non… n-non capisco» tentenna Pitch, fissandola
confuso e un po’
sconvolto.
«Io
non… avevo in mente tutto questo. Ho solo pensato che se ci
avessi
creduto, come mi avevi detto tu, se lo avessi fatto con sufficiente
convinzione, allora… avrei potuto riaverti con me, almeno
per un
po’» mormora Katherine, tremante.
Pitch
deglutisce, costernato. La portata di ciò che è
accaduto è
piuttosto sconvolgente e lo schiaccia con sadico divertimento.
«Lo
hai fatto tu» soffia, lo sguardo perso nel vuoto.
«Sì»
conferma Katherine, desolata. «Ti giuro che se solo avessi
avuto
idea delle conseguenze, io…».
Pitch,
finalmente, risolleva lo sguardo e la vede davvero.
«No»
replica deciso. «Non è questo il motivo per cui
sono sconvolto.
Comprendo benissimo che non avresti mai potuto immaginare
ciò che
sarebbe accaduto». Sbuffa una risata amara.
«D’altronde, chi mai
avrebbe potuto farlo? No, non è questo ciò che mi
turba» ribadisce
serio.
Lei
lo guarda incerta e scuote la testa senza capire.
«La
tua presenza in questo mondo, in qualche modo, sembra impedire che la
mia si estingua completamente. Quando le mie energie si sono
esaurite, in teoria, avrei dovuto perdermi definitivamente, o quanto
meno… mutare in modo irrevocabile la mia essenza. Invece non
sono
scomparso; una parte di me, di ciò che sono e sono sempre
stato, è
rimasta, in attesa che qualcosa riaccendesse la scintilla. E tu lo
hai fatto. Ma non hai fatto solo questo, no. Continuando a esistere,
a vivere, hai permesso che lo facessi anche io. Mi chiedo
se…»
soffia Pitch, eccitato e turbato assieme.
«Pitch?»
pigola Katherine, un po’ spaventata.
Pitch
la fissa negli occhi e assottiglia lo sguardo.
«Mi
chiedo se possa trattarsi di una regola
a doppio senso».
«Cioè?»
indaga lei, dubbiosa.
«Quando
giungerà il tuo momento, ti verrà concesso di
abbandonare questa
vita?».
«C-come?»
rantola Katherine, costernata.
Pitch
fa scorrere una mano, dolcemente, lungo una sottile spalla della
ragazza, in un impacciato tentativo di conforto.
«È
una possibilità» ammette. «E visti gli
sviluppi appena emersi, non
mi sento di scartarla a priori, nonostante appaia abbastanza
grottesca e inaspettata» spiega razionalmente.
«Non…
sono certa che sia un’idea confortante» mugola
Katherine,
appoggiandosi al suo petto in cerca di sostegno.
«Probabilmente
no» concorda Pitch, stringendola a sé e sospirando
appagato.
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ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
«Pitch»
mormora un po’ assonnata, senza accennare a staccarsi da lui.
«Mh?».
Katherine
sorride e stringe fra le dita il cotone nero della sua maglia.
«Quanto
tempo puoi rimanere?» si arrischia a chiedere.
Pitch
solleva uno sguardo comprensivo su di lei.
«Tu
cosa vorresti?» chiede a sua volta.
Katherine
ridacchia divertita, poi lo colpisce piano sulla spalla.
«Sai
che i tuoi giochetti psicologici non funzionano con me» lo
ammonisce.
«Lo
so. Ma dimmelo lo stesso. Solo per questa volta, ti prego» le
chiede
con voce piccola.
Lei
lo scruta, attenta, e infine comprende e scuote la testa.
«Non
puoi cambiare le cose in questo modo. Lo so io, che ho a mala pena
l’età per sposarmi, a maggior ragione dovresti
saperlo tu, che sei
in giro da millenni» lo sbeffeggia.
Pitch
sorride. «Sei proprio crudele».
«Lo
sono?».
«Oh,
sì» sospira, tornando ad abbracciarla
perché sembra proprio non
averne mai abbastanza.
«Vorrei
che rimanessi per sempre» decide infine di accontentarlo,
guardandolo nei suoi occhi tristi.
«Anche
io» mormora, poggiando la fronte sulla sua.
«Ma
non puoi» offre Katherine, comprensiva.
«No»
conferma a malincuore, «non posso».
«Allora
quanto?» insiste Katherine, ora decisa più che mai
ad avere una
risposta valida.
«Questa
sera dovrò andarmene».
Katherine
boccheggia e si scosta bruscamente, guardandolo allucinata.
«Ma
è… prestissimo» rantola intontita.
«Lo
so, io… ho promesso…» tenta invano.
«Ah,
sì. Un’altra di quelle tue promesse senza capo
né coda, immagino»
ribatte sarcastica.
«Ehi!
Non sono affatto…» prova inutilmente a protestare
Pitch.
«Come
no. Lo sono eccome. Esattamente come le occasioni in cui mi dicesti
che saresti rimasto. Te le ricordi, sì? Quante
erano?» lo rimbecca
duramente.
«Mh»
replica solo Pitch, senz’altro da poter aggiungere. Nulla che
suoni
sensato, per lo meno.
«Giusto»
conferma Katherine. Poi lo fissa assottigliando gli occhi e
costringendolo ad agitarsi nervosamente sul posto. «Intendi
farti
rivedere, un giorno?» si informa, con un tono stranamente
gelido.
«Katherine,
io…» tentenna Pitch, incerto.
«Capisco»
ribatte asciutta, prima di scostarsi e rimettersi in piedi.
Pitch
sbarra gli occhi e, con una strisciante sensazione di panico che
ingabbia la sua mente, si alza a sua volta e le si para di fronte.
«No,
ti prego, aspetta. Non è questo che intendevo».
«Ah
no? Cosa intendevi, dunque?» sibila, delusa.
Lentamente,
Pitch allunga una mano e raccoglie una di quelle di Katherine,
trovandola ancora così piccola rispetto alla sua. Sorride
malinconicamente.
«Probabilmente
non sarà domani, ma non sparirò di nuovo per
undici anni,
Katherine. Non credo nemmeno di potermelo permettere, se devo essere
sincero» ammette, con un’ondata di angoscia al solo
pensiero.
L’espressione
di Katherine, ora, è un poco più rilassata, anche
se rimane
guardinga.
«Dimmi
quando» insiste.
Pitch
sospira e accarezza il dorso della sua mano con il pollice, come
faceva quando era una bambina.
«Credi
che un mese sia un tempo eccessivo?» prova.
Può
avvertire il suo corpo irrigidirsi a quelle parole. Spera che sia
ancora abbastanza lucida da vedere la verità in esse.
Apparentemente
lo è. «Un mese» soppesa, pensierosa.
«E… fra un mese rimarrai
più di qualche ora?» indaga.
I
lineamenti dello spirito si distendono impercettibilmente. Annuisce.
«Farò
in modo che succeda. So ancora essere persuasivo».
Katherine
sorride e Pitch respira, finalmente.
«Non
ne dubito affatto» soffia divertita. Poi lo scruta, di nuovo
seria.
«Io ci conto, Pitch. Ti assicuro che se fra un mese non sarai
davanti a me, verrò a cercarti. E quando ti
troverò (perché puoi
star certo che lo farò), pregherai di essere ancora un
gatto» lo
avverte, facendolo piacevolmente rabbrividire.
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ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
Il
cielo cremisi annuncia la fine di un’altra giornata, ma Pitch
non
sembra decidersi a staccarsi dalla ragazza che trattiene fra le
braccia. “Un mese: che idea balorda” borbotta fra
sé. Si insulta
mentalmente, tremando al solo pensiero di quanto lungo potrebbe
risultare. Certo, ha atteso dieci anni per poter fare ritorno da lei,
ma allora non sarebbe stato in grado di raggiungerla neppure se ci
avesse provato con tutto sé stesso. E lo voleva, lo voleva
davvero.
«Sei
pronto?» sussurra Katherine contro il suo collo.
«No»
ammette Pitch, avvertendo un peso posarsi sul suo cuore.
Le
labbra di Katherine si dischiudono in un sorriso esitante. Solleva il
viso e accarezza piano il volto dello spirito.
«Nemmeno
io lo sono. Ma se vuoi tener fede almeno a una dei tuoi milioni di
promesse, direi che questo è decisamente il momento giusto
per
farlo» lo deride, con un fastidioso groppo in gola.
Pitch
scuote la testa, mesto.
«Mi
dispiace. Ti giuro che farti soffrire era davvero l’ultima
delle
mie intenzioni. Eppure, pare proprio che io non riesca a fare
altrimenti» si rammarica.
«È
successo, invece. E succederà ancora, Pitch, oppure saremo
noi a
farlo accadere».
«Saremo
noi» mormora Pitch, riflettendo.
Katherine
annuisce. «Sì, esatto. Ora vai, o farai tardi e qualcuno
se la prenderà con me» lo sprona.
Pitch
si sporge e posa un bacio sulla sua fronte.
«Grazie».
Katherine
sorride e scuote la testa.
«Non
ringraziarmi. E ricordati che ti aspetto» replica,
picchiettando
minacciosamente l’indice contro il suo petto.
Sta
ancora sorridendo, quando Pitch svanisce nel nulla, lasciandola
nuovamente sola. Il suo sorriso si affievolisce ma non scompare
completamente. Lui tornerà, questa volta ne è
certa. Lui tornerà,
per lei.
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Ha
giusto il tempo di posare i piedi sul soffice terreno ricoperto di
muschio e accertarsi di essere giunto a destinazione tutto intero,
che qualcosa gli si getta addosso con un po’ troppa forza.
Già
pensa di dover fare i conti con qualche imboscata imprevista, quando
il suo naso intercetta odore di pioggia e polline. Allora abbassa gli
occhi, posandoli su una nuvola di lunghi capelli neri avvinghiata al
suo petto. Sospira, già stremato.
«Emily
Jane» mormora, posando con delicatezza una mano sulla sua
schiena.
«Infine
sei qui» borbotta la donna, combattuta tra il ritrovare un
minimo di
compostezza e la necessità di non lasciarlo allontanare
neppure di
un solo passo.
«Così
pare» conferma Pitch, quasi divertito (quasi, se solo la
preoccupazione non fosse ben superiore).
Lei
lo scruta senza riuscire a placare l’ansia che l’ha
tenuta in
tensione per l’intera giornata. Neppure averlo davanti senza
un
graffio e all’apparenza in perfetta salute sembra servire a
tranquillizzarla.
«Stai
bene? Non… ti hanno fatto del male, vero?».
Pitch
scuote lentamente la testa e si massaggia il collo. Non pare, dopo
tutto, che essere riuscito (per una volta) a fare ciò che si
era
ripromesso sia servito a molto.
«Nessuno
mi ha fatto del male, Emily Jane. D’altronde, non era questo
lo
scopo del mio viaggio».
«No,
certo, ma avrebbe comunque potuto accaderti qualunque cosa, nel
mentre» insiste lei, irremovibile.
«Qualcosa?»
dubita, osservando con attenzione negli occhi agitati della figlia.
«Qualcosa di che genere, esattamente?».
Lei
lo fissa attonita, quasi gli fossero cresciute due teste in
più.
«Scherzi?»
sbotta, mollando finalmente la presa sulle sue braccia e raddrizzando
rigidamente la schiena. «Hai forse già dimenticato
quanti sono
quelli che preferirebbero saperti morto e sepolto (sotto qualche
tonnellata di terra), piuttosto che libero di gironzolare a tuo
piacimento per il loro prezioso pianeta?» chiede, con una
nota
isterica nella voce.
Pitch
rimane un momento spiazzato, infine si rende conto del reale
significato delle parole della figlia e schiude le labbra, indeciso
su cosa replicare.
«È…
questo che pensi? Questo a cui hai sempre pensato?».
«Naturalmente!
Ma dal modo in cui mi guardi pare proprio che io sia l’unica,
al
momento, ad avere certe preoccupazioni».
Lo
sguardo di Pitch si indurisce e le lancia un’occhiata affatto
lieta.
«Se
credi che passerò il resto della mia esistenza nascosto
sotto un
qualche sasso sperduto in questa maledetta foresta, forse non mi
conosci abbastanza bene» sibila irritato.
Emily
Jane solleva seccamente il mento e accetta la sfida
all’ultimo
sguardo incendiario.
«Quindi
cosa? Andrai a farti una passeggiata per il mondo come se niente
fosse e scommetterai la tua testa su chi sarà il primo a
staccartela?».
Ecco,
questa chiacchierata
non era affatto nei piani di Pitch che, ora come ora, si ritrova
spiazzato e leggermente offeso dall’attuale atteggiamento
disfattista della sua unica figlia.
«Sono
ancora sufficientemente lucido da fare in modo di evitare certi
incontri, suppongo. E anche se fosse, so ancora difendermi
discretamente. O magari, chissà, potrei pensare di risolvere
qualcuno dei vecchi dissapori semplicemente parlandone».
La
risata sarcastica di Emily Jane lo turba più del dovuto e
non lo
predispone esattamente a un dialogo civile e ragionato.
«Oh,
ma certo! Penderanno tutti dalle tue labbra» sbotta.
“Perfetto:
e addio serenità” rimugina acidamente dentro di
sé.
«Sai
che c’è? Ad averlo saputo prima, non mi sarei dato
tanto da fare
per tornare in tempo» sibila offeso, poco prima di scomparire
fra le
ombre della foresta, lasciandosi dietro solo silenzio e una basita
Madre Natura.
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ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
La
tenue luminosità argentea della Luna, riflessa sulle piume,
fa
sembrare le sue ali metallo fuso. Ci sono momenti in cui si chiede
cosa lo trattenga ancora lì, in un luogo così
estraneo e lontano
dalla sua natura aperta e luminosa. Spesso, perfino nei giorni
più
sereni, ci sono punti nella foresta in cui si potrebbe pensare che
sia sempre notte. Dovrebbe proprio portarci Anubis a fare un giro; ci
sguazzerebbe di certo in quell’oscuro groviglio
all’apparenza
inestricabile. Akh sorride un momento, al pensiero, e un attimo dopo
i suoi occhi allenati scorgono un’ombra più fitta
delle altre ai
piedi di un albero. Angola le ali e rapido precipita in basso in una
picchiata controllata che smorza a pochi metri dal suolo, distendendo
armoniosamente le piume e toccando morbidamente terra a qualche passo
dall’ombra. Solo che, come immaginava, non si tratta
propriamente
di un’ombra, ma di Pitch, rannicchiato strettamente fra le
grosse
radici di una quercia secolare. Cauto, gli si fa vicino.
«Ehi»
bisbiglia appena, con l’unico intento di palesare
all’altro la
propria presenza.
Di
scatto, Pitch solleva il capo e fissa su di lui il suo sguardo
affilato.
«Akh»
raschia ruvidamente.
La
sua voce è roca e cedevole. Akh reclina il capo di lato,
interdetto
dal comportamento dell’altro. Piano, si accosta di qualche
passo
ancora e, solo allora, nota il suo viso sciupato e gli occhi stanchi.
«Cos’è
accaduto?» chiede cauto.
«Ah,
un poco di tutto» soffia Pitch, in un pessimo tentativo di
fare
dell’ironia.
«Il
tuo viaggio non è andato come speravi?» si informa
con genuina
preoccupazione.
Gli
occhi dell’altro sembrano allargarsi, presi da qualche
pensiero
importante.
«No,
è… andato tutto bene» mormora Pitch.
«Circa» aggiunge incerto.
«Circa,
quanto?» indaga Akh, impensierito.
«Ahm…
Beh, abbiamo avuto momenti poco simpatici, ma li abbiamo egregiamente
superati, insieme».
«Bene»
si compiace Akh, sorridendo. «Quindi, come mai non siete
ancora
insieme a ricordare i bei momenti?» si informa, dubbioso.
«Perché
sei già tornato?» vuol capire.
Pitch
lo osserva, indeciso; sembra intento a riflettere, poi accenna un
sorriso tirato.
«Dovevo…
fare ritorno» prova a spiegare, senza tuttavia essere in
grado di
trovare le giuste parole.
Akh
rimane inutilmente in attesa; infine, comprendendo che non
avrà
facilmente la spiegazione anelata, si siede accanto all’altro
e,
poggiata una spalla a quella di Pitch, attende che lui sia pronto.
ҩ
ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
Quando
Pitch, dopo avergli narrato più dettagliatamente del suo
incontro
con Katherine, gli spiega di averla dovuta lasciare per tornare
lì,
Akh lo scruta confuso e corrucciato, scuotendo la testa.
«Avresti
dovuto rimanere con lei, almeno qualche giorno. Avrebbe certamente
giovato a entrambi» commenta pacato.
«Lo
so. Non era possibile» replica laconicamente Pitch.
Akh
lo squadra, accigliato. Qualcosa gli sfugge, oltre agli occhi
dell’altro.
«Ma
certo che lo era. Che diavolo hai da fare, qui? Non è che tu
abbia
tutti questi impegni improrogabili in agenda» tenta di
scherzare.
«Emily
Jane attendeva il mio ritorno» cerca inutilmente di spiegare
Pitch.
«Sicuro!
Beh, con tutto il tempo che ha atteso in passato, cosa vuoi che sia
qualche giorno in più» fa innocentemente notare.
Tuttavia,
nonostante la fioca luce della Luna, può comunque osservare
l’ingrigirsi dell’incarnato dell’altro
spirito. Ed è in quel
momento che si fa sospettoso.
«Pitch,
che cosa c’è sotto, veramente?» insiste,
deciso a capirci
qualcosa.
«Le
avevo promesso che… sarei tornato al più
presto» pigola Pitch.
Akh
sbuffa spazientito. «Capisco, ma una manciata di ore, per
attraversare il globo e ritorno, è un po’ troppo
presto. E francamente non mi sembra il caso che tu ti metta a
sprecare inutilmente energie per passare con Katherine una
quantità
di tempo così ridicola. I benefici che ne trai sono
sicuramente
inferiori rispetto ai danni di un viaggio tanto impegnativo e di un
distacco che, da quanto posso capire, sembra essere stato piuttosto
traumatico. Quindi: almeno avete in programma di rivedervi a
breve?»
insiste Akh.
«Un
mese» soffia Pitch, pregando in cuor suo di non essere udito.
«Cosa?!»
sbraita Akh, mandando in fumo le sue esili speranze. «Ma sei
imbecille? E in che modo conti di arrivarci, alla fine di questo
fantomatico mese?» ringhia attonito.
«Con…
un po’ di fortuna?» tenta timidamente Pitch.
Akh
lo fissa allucinato, indeciso se prenderlo a sberle o strapparsi i
capelli. Infine solleva gli occhi al cielo, frustrato.
«Ah,
sarà stata deliziata dalla notizia, Katherine»
immagina, con una
tonnellata di sarcasmo.
«Non
proprio» ammette Pitch, contrito.
Lo
spirito della Luce si massaggia stancamente le tempie doloranti e
sospira.
«Non
ti capisco, davvero. Perché devi farti del male in questo
modo? E
alla ragazza, non hai pensato?».
Pitch
lo fissa con occhi grandi e atterriti, e Akh comprende di aver
nuovamente aperto bocca a sproposito.
«Scusa.
Ho detto una cavolata» si affretta a rimediare.
«Questo però non
spiega la tua decisione. Vorrei capire che diamine di
necessità c’è
che tu sia qui, bloccato senza poter fare nulla, quando potresti
invece essere là e lavorare attivamente per stare finalmente
bene».
«Te
l’ho detto» protesta debolmente Pitch, evitando
accuratamente il
suo sguardo.
«No
che non lo hai fatto!» si inalbera Akh, seccato dai modi
evasivi
dell’altro. «Tu hai detto solo che
avevi… promesso…» esita.
Per un attimo sembra che le rotelline della sua testa si siano
inceppate in un ragionamento troppo complesso, poi un lampo di
comprensione balena accecante dentro di lui e Akh maledice tutta la
dannata stirpe piantagrane dei Pitchiner. «Non glielo hai
detto!»
lo accusa, gridando sconvolto. «A che diavolo hai pensato?
Perché
non le hai parlato del fatto che devi
stare vicino alla ragazza, se desideri anche solo sperare di stare
bene e scongiurare la possibilità di impazzire del
tutto?».
«Non…
sapevo come dirglielo» esala Pitch, tremante.
Akh
scatta in piedi come una molla, l’espressione di qualcuno che
ha
solo voglia di fare a pezzi ogni cosa.
«E
immagino che a lei non sia venuto alcun dubbio» sibila, a un
soffio
dal perdere definitivamente la pazienza.
«Ha…
d-detto che non ritiene sia una buona idea che… c-che io mi
allontani da qui» soffia costernato.
Akh
si schiaffa pesantemente una mano sulla fronte e ringhia frustrato.
«Ma
voi lo fate apposta a infilarvi in questi assurdi casini?! Non ce la
fate proprio, per una volta nella vostra vita, a parlare
chiaro?»
grida, svegliando mezza foresta.
«T-teme
che qualcuno dei miei antichi nemici possa volermi fare del
male»
tenta inutilmente di spiegare.
«Certo,
così evitiamo che qualche spirito vendicativo ti stacchi la
testa,
ma in compenso finirai con il dare di matto, così lontano
dalla
parte mancante della tua anima. Pitch, ma come diavolo
ragioni?»
sbotta incredulo.
«Ho…
provato a spiegarle che mi fa male, ma…» tentenna
Pitch.
«Al
diavolo!» ringhia Akh, spazientito. «Se non ci
riuscite voi, ci
penserò io» decreta minaccioso.
«C-cosa?»
incespica Pitch, interdetto e preoccupato.
«È
facile: trovo tua figlia e le illustro le tue opzioni (che non
esistono affatto, per la cronaca)».
«Akh…
A-Akh, aspetta, non…» tenta, allarmato.
«Scordatelo.
È ora che certe questioni vengano chiarite»
dichiara irremovibile
Akh, un momento prima di spiccare il volo, lasciando Pitch impietrito
e ancora seduto rigidamente sotto la quercia.
ҩ
ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
Akh
ha brevemente riflettuto sulla possibilità di fermarsi un
momento,
prendersi del tempo per smaltire la rabbia e ritrovare un poco di
lucidità. Ma infine ha deciso che non gliene frega niente di
essere
lucido e sereno, che per quello che deve fare andrà
benissimo anche
così, con i nervi a fior di pelle e un’emicrania
da primato. E al
diavolo anche la diplomazia.
Atterra
bruscamente di fronte all’entrata della dimora di Madre
Natura e dà
un paio di pesanti calci al portone, palesando graziosamente
la propria presenza.
«Emily
Jane Pitchiner, esci fuori immediatamente, dobbiamo parlare!»
sbraita spazientito.
Qualche
minuto dopo la porta si spalanca e un’allucinata padrona di
casa lo
fissa dall’entrata.
«Akh,
che diavolo succede? Sei impazzito?» esclama incredula.
Akh
fa una smorfia infastidita e, senza troppe cerimonie, supera la donna
e si fa largo nell’atrio.
«Non
io, signora. Voi lo siete: tu e il tuo paparino. Ma adesso basta, ne
ho fin sopra i capelli dei vostri inutili e dannosi silenzi, delle
vostre decisioni sconsiderate, dei vostri piani al limite
dell’idiozia» sbotta Akh, imbestialito.
Lei
continua a fissarlo, interdetta, senza comprendere di che diavolo
stia parlando.
«Forse
dovresti spiegarti meglio» fa pacatamente presente.
«Forse
invece dovresti cercare di usare le orecchie per ascoltare»
ribatte
seccamente Akh. «E magari gli occhi per vedere».
«È
quello che faccio» ribatte asciutta.
Una
risata amara sgorga dalla gola dello spirito della Luce.
«Sì,
come no. E io sono uno stramaledetto angelo del paradiso. Ma fammi il
piacere» le grida addosso. «A cosa credi ti
servirà costringerlo
recluso in casa tua? Pensi che proteggerlo da presunti nemici esterni
lo salverà? Credi che nasconderlo al mondo
servirà a tenerlo in
vita per sempre? Sei davvero così cieca, Emily Jane? Non lo
vedi che
sta male, che non potrà mai essere completo, lontano da lei?
Non hai
mai davvero prestato ascolto alle sue parole, quando ti ha parlato
del vuoto che sente dentro? Non ti sei mai chiesta cosa succederebbe
se la sua fonte di controllo venisse a mancare una volta per
tutte?».
«Lui
è… uno spirito» soffia Emily Jane,
pallida.
«Io
sono uno spirito! Lui era un essere umano, uno che è stato
ucciso da
creature oscure, e poi posseduto da quelle stesse creature. Non
possiede un nucleo completo. Non ha neppure un’anima integra.
Non
sarà mai uno spirito, non nel modo in cui lo siamo tu o io.
Devi
mettertelo in testa una volta per tutte. Devi capire, finalmente, che
non è possibile paragonarlo a qualunque altro spirito tu
conosca o
abbia conosciuto, perché non lo è e non lo
sarà mai completamente.
Ti è chiaro il concetto? Riesce, finalmente, a entrarti in
testa?».
Lei
lo guarda con occhi grandi e atterriti, le sue labbra tremano quando
soffia «Non me ne ha mai parlato» con voce confusa.
Akh
sospira, frustrato. «Probabilmente no. Ma non hai
più sei anni,
Emily Jane. È davvero necessario che ti si spieghi ogni
singola
volta come stanno le cose? Mi è parso che conoscessi
abbastanza bene
il passato di tuo padre. Non sei in grado di trarre da te le
conclusioni?».
«Lui
ha detto… c-che aveva bisogno di vederla,
ma…» tenta.
«Stare
con lei» precisa Akh. «E non per una manciata di
ore; non saranno
sufficienti, se è questo che pensi. È tornato per
qualche assurda
promessa, ma non significa che fosse una scelta adeguata. Sarebbe
stato più utile se fosse rimasto con lei per qualche giorno;
per
entrambi, ma in particolare per lui. Adesso è qui»
sbuffa Akh,
scuotendo la testa incredulo, «e pare le abbia detto che
avrebbe
fatto ritorno fra un mese».
«Un
mese?» chiede Emily Jane, crucciata. «Non ne sapevo
nulla».
«Non
ne dubito» replica Akh, sarcastico. «Per caso gli
hai anche dato
del tempo per metterti al corrente degli sviluppi?».
Lei
si irrigidisce al ricordo del loro ultimo e poco piacevole incontro.
«Non
proprio» ammette.
«Chiaramente.
Farò ciò che posso per convincerlo ad anticipare
la partenza,
perché tu lo sappia» l’avverte di buon
grado. «Se è per la sua
incolumità che temi, posso offrirmi di accompagnarlo, se lo
credi
utile» propone dubbioso.
«Lo
faresti?» chiede sorpresa.
Per
la prima volta da ché è giunto da lei, Akh
abbozza un sorriso.
«Se
può servire a fugare le vostre paranoie, farei questo e
altro» la
prende benevolmente in giro.
Emily
Jane replica con un vago sorrisetto tremolante e, incerta, annuisce.
«Grazie»
mormora impacciata.
«Risparmia
il fiato. Ci dovrai parlare. Sono stufo marcio di fare da traduttore
ai vostri cavolo di silenzi enigmatici. È il caso che ne
discutiate
da persone adulte e mature» la rimprovera pacatamente.
Emily
Jane sospira, poi annuisce.
«D’accordo,
hai ragione. Io… gli parlerò e…
farò in modo di farmi spiegare
ciò che non sembra io abbia mai avuto ben chiaro»
concorda.
«Bene»
soffia Akh, soddisfatto. «Lui è vicino al
laghetto, sotto la grossa
quercia: vallo a riprendere, prima che si faccia venire una sincope a
furia di complicate supposizioni e oscure previsioni» scherza
con un
poco di impaccio.
Detto
questo, con un ultimo cenno di saluto, si risolleva in volo, pronto a
godersi quel che resta di una notte che avrebbe dovuto essere dolce e
serena, e che invece si è rivelata un mattone sullo stomaco.
ҩ
ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
«Padre»
bisbiglia Emily Jane, avvicinandosi con circospezione alla nera
figura ancora adagiata sotto la quercia.
Il
suo richiamo non ottiene tuttavia risposta. Scavalcando agilmente
radici e arbusti, la donna lo raggiunge e si china al suo fianco,
posando cautamente una mano sulla sua spalla.
«Papà»
ritenta.
Sfiora
il suo viso con le dita e si rende conto solo allora che lui si
è
addormentato. Con un sorriso tremolante accarezza i suoi capelli, poi
lo stringe a sé e lascia che il vento li trasporti
velocemente di
nuovo a casa. Parlerà con lui quando si sarà
risvegliato.
Ciò
che tuttavia non aveva previsto era che si sarebbe a sua volta
addormentata in sua compagnia. Per questo la mattina, quando si
ridesta, si ritrova stretta al corpo ancora sopito del padre. Rimane
a lungo a osservarlo riposare, ripensando alle parole di Akh e alla
sua presunta incapacità di vedere ciò che invece
dovrebbe essere
chiaro. Per lei non lo è stato affatto e, a quel punto, ha
davvero
bisogno di capire dove ha sbagliato e perché. Soprattutto
perché.
Sospira.
Tutto ciò che voleva e che tutt’ora desidera
è che lui stia bene
e sia al sicuro. Non è accettabile che per ottenere una cosa
sia
necessario rinunciare all’altra. A costo di seguirlo come
un’ombra
per proteggergli le spalle, otterrà entrambe.
Un
respiro più profondo attira tutta la sua attenzione. Emily
Jane
torna a osservare la figura del padre, sapendo che presto
sarà
nuovamente desto e che una chiacchierata chiarificatrice
l’attende.
Un
tenue mugolio scivola fra le labbra socchiuse di Pitch, poi le sue
ciglia sfarfallano nella penombra della camera e i suoi occhi mettono
finalmente a fuoco l’ambiente, che non è affatto
la foresta, come
sarebbe stato logico aspettarsi dopo essersi addormentato ai piedi
della quercia.
«Mh»
soffia confuso.
«Ti
ho riportato io a casa» lo tranquillizza Emily Jane,
scorgendo le
preoccupazioni del padre.
Pitch
sposta lo sguardo su di lei e deglutisce nervoso.
«Va
tutto bene, non preoccuparti» assicura.
Ma
per lui c’è ben poco di sicuro, e il modo in cui
la scruta ne è
un segno tangibile.
«Perché?»
soffia cauto.
Emily
Jane prova un sorriso, fallisce e sospira di nuovo.
«Ho
parlato con Akh» si risolve quindi a spiegare,
così da chiarire
qualche dubbio.
«Capisco»
replica Pitch, asciutto.
Non
sembra, tutto sommato, che lui intenda renderle le cose facili. Ma
quando mai è successo, in fondo?
Lei
lo fissa, incerta sul modo in cui iniziare quella necessaria
conversazione. Invece, con sua sorpresa, lui l’anticipa.
«Non
posso rimanere qui. Non in modo stabile. Non credo
sopravvivrei».
Emily
Jane sussulta alle sue parole e impallidisce.
«Avresti…
potuto parlarmene prima» obbietta incerta.
«L’ho
fatto» specifica lui, scuotendo leggermente il capo.
«Forse avrei
dovuto spiegarlo più chiaramente, ma…».
«Sì,
avresti dovuto» conferma lei con voce traballante.
«Perché pare
che io sia un po’ dura di comprendonio».
«Emily
Jane, questo non è vero» tenta, imbarazzato.
«Lo
è, invece. Lo è. Non riesco mai a…
comprendere. E quando succede,
di solito, è sempre tardi».
«Non
è tardi» obbietta Pitch.
«Lo
sarebbe stato, se Akh non si fosse messo in mezzo!» sbotta
spazientita dai suoi stessi limiti. «Non sei
l’unico ad avere un
problema, padre. È ovvio che ne ho uno anche io, e bello
grosso per
giunta».
Pitch,
con sua sorpresa e sgomento, sorride.
«Cos’hai
da sorridere in quel modo? Lo trovi divertente?» sibila
piccata.
«Forse»
ammette Pitch. «In realtà sorrido
perché per un momento mi hai
rammentato tua madre».
Emily
Jane trattiene bruscamente il respiro e trema leggermente.
«Lei…
mi manca molto» soffia angosciata. «E a
te?».
«Ogni
singolo giorno» conferma Pitch, addolorato.
Poggia
il capo sulla spalla del padre, mentre lui le accarezza la schiena
con gesti lenti e gentili.
«Non
permetterò che tu stia ancora male. Voglio che tu sia
sereno, che tu
possa vivere ancora a lungo senza… s-senza più
doverti preoccupare
per gli altri. Non… voglio più vederti soffrire,
papà» ringhia
angosciata.
«Ah,
Emily Jane, sai che queste tue speranze sono mera utopia. Quando mai
la mia vita è stata tranquilla e priva di
intoppi?».
«Lo
sarà da adesso» si intestardisce lei.
Lui
le sorride tristemente e la stringe maggiormente a sé.
«Non
funzionerà. Ma devo ammettere che apprezzo il
pensiero».
ҩ
ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
Un’improvvisa
folata di vento lo investe nel mezzo della sua tranquilla passeggiata
in mezzo ai boschi. “Come cappuccetto rosso”
soppesa Pitch,
sorridendo fra sé; anche se, sospetta, verrebbe
più facilmente
scambiato per il lupo cattivo. Il tempo di voltarsi per capire cosa
ci sia di nuovo all’orizzonte e Akh lo strattona nella
direzione
opposta a quella che avrebbe desiderato seguire. Pitch non si prende
comunque la briga di protestare; sarebbe perfettamente inutile e
dispendioso per le sue energie.
«Dove
andiamo?» si limita a indagare prudentemente.
«A
casa di tua figlia, per cominciare» replica Akh, sibillino.
«Mh»
commenta incerto Pitch, ma senza aggiungere altro.
Immagina
che il resto lo scoprirà giunti a destinazione,
così si rassegna a
seguire docilmente lo spirito della Luce.
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ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ
«Akh!»
esclama sorpresa Emily Jane, ritrovandoselo inaspettatamente in
salotto. «Padre?» aggiunge, incuriosita, vedendolo
al seguito di
Akh. «È capitato qualcosa?» si
impensierisce, notando lo sguardo
cupo dello spirito della Luce.
«Non
ancora. Ma con voi due c’è da aspettarsi il
peggio, in effetti»
si lagna Akh, mollando finalmente il polso di Pitch.
«Quindi»
si incuriosisce la donna, «come mai siete entrambi qui? A
quest’ora,
normalmente, gironzolate come barboni per la mia tenuta».
Le
gote di Pitch assumono una delicata sfumatura rosata che lo fa
apparire curiosamente umano, e i suoi occhi si sgranano per la
sorpresa e l’imbarazzo. Tuttavia non apre bocca e si limita a
distogliere lo sguardo.
Al
contrario Akh arruffa le penne e incrocia le braccia al petto,
seccato e un po’ offeso.
«Barbone
lo dici a qualcun altro, vipera» borbotta stizzito.
Si
rivolge poi a Pitch con uno sguardo che sembra un’accusa, ma
invece
di infierire soffia uno sbuffo e gli indirizza un veloce gesto, a
indicargli di sedersi.
Pitch
ritiene che potrebbe essere una buona idea e segue di buon grado il
suo silenzioso ordine mascherato da consiglio.
«Ebbene?»
rompe lo stallo Emily Jane, spazientita. «Si può
sapere a cosa devo
questa vostra gentile visita?».
Akh
la squadra truce e si lascia sfuggire un sordo ringhio esasperato.
«Avete
avuto modo di parlare, voi due, mi auguro» si accerta,
pregando di
non rimanere deluso anche in questa circostanza.
«Non
credo che questi siano…» tenta Emily Jane,
irritata.
«Finisci
la frase e ti giuro che ti faccio volare fuori dalla finestra, di
nuovo» minaccia Akh.
Emily
Jane sta per dare in escandescenze, ma Pitch si rimette velocemente
in piedi, portandosi fra i due e allargando le braccia.
«Basta,
ora! Non serve che cerchiate di ammazzarvi a vicenda».
La
donna cerca invano di protestare, ma il padre allarga una mano e le
fa silenziosamente capire quanto sia preferibile tornare a sedersi.
Poi torna a rivolgere l’attenzione ad Akh.
«Sì,
abbiamo parlato» conferma, sperando che questo possa
tranquillizzarlo almeno in parte.
Akh
lo fissa sospettoso per un interminabile istante, poi sbuffa e sembra
sgonfiarsi, mentre la rabbia evapora lasciandosi dietro unicamente un
senso di spossatezza.
«Non
aspetterai un mese» annuncia a un atterrito Pitch.
«Come,
prego?» si accerta infatti quest’ultimo.
Akh
assottiglia gli occhi e contrae la mascella.
«Non
hai tutto quel tempo. Aspettare un mese non è solo inutile,
è
soprattutto dannoso».
Pitch
sfarfalla le ciglia, interdetto, socchiude le labbra, aggrotta le
sopracciglia e mette il broncio.
«La
tua malsana abitudine di fare promesse che non puoi mantenere deve
proprio finire, Pitch. Ti accompagnerò da lei, come ho fatto
negli
ultimi anni. Tre giorni, non di più. Se fra tre giorni non
sarai
pronto a partire, ti ci porterò per i capelli; sei
avvisato» lo
minaccia senza mezzi termini Akh.
«A
me piacciono i miei capelli» borbotta Pitch, scocciato per
quella
fastidiosa imposizione.
Akh
ghigna, divertito. «Beh, motivo in più per farti
trovare pronto e
disponibile, no?».
Pitch
incrocia strettamente la braccia al petto e incassa la testa fra le
spalle, mantenendo cocciutamente il broncio.
«Per
me va bene» replica a sorpresa Emily Jane.
Sia
Akh che Pitch lo guardano stralunati, ma mentre Akh si riprende
velocemente e annuisce compiaciuto, Pitch la fissa con occhi sbarrati
e inorriditi che strillano chiaramente
“Traditrice!”.
Emily
Jane fa spallucce e torna a sorseggiare il suo tea delle cinque come
se niente fosse.
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