Vento dell'Ovest - Capitolo 25
- Capitolo Venticinquesimo -
Vento
di Confronti
Dal
corridoio in cui si trovavano i due commissari proveniva
un borbottio sommesso e incomprensibile che Beatrice aveva
cercato più volte di decifrare, ottenendo, invece, come
risultato solo un peggioramento del suo mal di testa. Avvertendo
improvvisamente anche un fastidioso formicolio alle gambe, si
alzò
dalla sedia e mosse qualche passo, sperando di riattivarne la
circolazione e di sfogare almeno in parte la sua inquietudine.
A poca distanza da lei, seduti l’uno accanto
all’altra, c’erano Gerardo e Vittoria, entrambi inespressivi,
i volti terrei. Ogni tanto si scambiavano
qualche parola, ma si vedeva che erano tesi, sia per la situazione
precaria in cui si trovavano, sia per le loro discussioni irrisolte.
Dall’altra parte della stanza, invece, stretto tra i suoi
genitori, c’era
Leonardo, anche lui preoccupato per Marcello e unico tra
tutti i presenti ad avere ancora il fiato per chiedere a voce alta,
senza però ottenere risposta, come stesse il suo amico e se
fosse in
pericolo.
Quando il ragazzino era giunto alla villa, trafelato, annunciando cosa
era successo, Beatrice si era sentita estraniata dal suo corpo, come se
il suo peggiore incubo - il ritorno di Navarra e suo marito in pericolo
di vita - fosse diventato realtà.
Pertanto, temendo di impazzire, aveva messo a tacere tutti i brutti
pensieri
e,
non volendo pensare alle conseguenze peggiori, iniziò ad
autoconvincersi che il ragazzo sarebbe tornato da lei sano e
salvo il
prima possibile, perché, in caso contrario, non avrebbe
sopportato che gli potesse accadere qualcosa senza aver prima fatto pace.
Istintivamente, mentre cercava di concentrarsi
su quel poco di positività rimasta, si portò una
mano al pendente a forma di farfalla, proprio mentre il
commissario Molinari
giungeva a
rompere quel clima di silente disperazione.
«Ciò che ci ha detto è stato molto
utile» disse al dottor Costa, che lo seguiva, invitandolo ad
accomodarsi assieme agli altri. Quello subito ubbidì, prendendo
posto a tre sedie di distanza da quella occupata dalla fanciulla, anche
lui tutt’altro che allegro.
Poi, il poliziotto passò oltre e si avvicinò
proprio a
lei che, nel sapere che era lì si sentì subito più
sollevata,
poiché era convinta
che fosse l’unico davvero in grado di
arrestare lo spagnolo. Ovviamente, era rimasta parecchio sorpresa dal ritrovarlo a
Marciana Marina, ma, vista la delicatezza della circostanza, non poteva
esserne che contenta.
«Signora Tolomei, ha bisogno di qualcosa?» le
chiese quello, preoccupato, non appena le fu davanti.
«No, no... sto... va bene così»
esalò appena Beatrice, cercando di non far trapelare troppo
la
sua angoscia.
Per qualche istante, l’altro la squadrò
attentamente, ma, alla fine,
annuì, ritornando sui suoi passi.
«Perdoni la considerazione, ma... sembra quasi che lei e suo
marito vi facciate sequestrare a turno» commentò,
pensieroso.
«Però, non si preoccupi, le garantisco che faremo
di tutto per
farglielo riabbracciare tutto intero al più presto».
Rincuorata dalla sicurezza dell’uomo, Beatrice
abbozzò un sorriso, costretta ad ammettere con se stessa che, in
effetti,
viste dal di fuori, le loro vicende dovevano risultare alquanto
bizzarre.
In quel frangente, arrivò Baccari, agitando un foglio di
carta stampata.
«Commissario Molinari, sono appena arrivati i risultati della
scientifica e da Livorno hanno dato il via libera: il mandato
d’arresto arriverà, quindi possiamo
agire!»
esclamò, trionfante, l’ispettore.
«Tuttavia, il
commissario Guardalupi vorrebbe consultarsi con lei prima di entrare in
azione e...»
«Resto sempre dell’opinione che la signora Neri non
vada
assolutamente informata, se non vogliamo compromettere la riuscita
dell’operazione» lo interruppe il superiore, secco,
mentre
il dottor Costa, invece,
sobbalzava sulla sedia. Dal canto suo, Beatrice aveva sentito
il proprio cuore fermarsi, come se il pericolo fosse
diventato improvvisamente più concreto.
Tuttavia, nessuno parve accorgersi dello sconforto dei due e,
così, il giovane
agente annuì con vigore, dileguandosi all’istante.
Poi,
Molinari si avvicinò ai genitori di Leonardo.
«Signori Foresi, voi potete andare» disse loro, con
tono
calmo. Quelli, però, lo guardarono perplessi e, allora,
l’uomo aggiunse: «Non
c’è motivo per cui rimaniate qui.
Nel caso dovessero essere ancora necessarie le vostre testimonianze, vi
richiameremo».
«Io voglio solo sapere se Marcello sta bene...»
intervenne, a
quel punto, il ragazzino, alzandosi dalla sedia e osservando il
poliziotto che, improvvisamente, si illuminò, capendo il
motivo
della loro ostinata presenza.
«Ti prometto che lo rivedrai» lo rassicurò,
ammorbidendo
l’espressione. «Ora, però, devi tornare
a casa,
perché, tra poco, questo commissariato pullulerà
di
delinquenti».
«Li metterà in prigione?»
domandò Leonardo, spalancando i grandi occhi scuri, pieno di
speranza.
Molinari annuì e affermò, con fare deciso:
«Puoi contarci».
Allora, l’altro sorrise e, dopo essersi avvicinato ai
genitori, disse loro appena qualche parola per farli
alzare.
Quindi, i due adulti salutarono l’ufficiale di polizia, per poi
avvicinarsi a
Beatrice e salutarla mestamente; al contrario, Leonardo, invece di
trotterellare dietro ai suoi, tornò indietro e
la abbracciò di slancio, staccandosi da lei solo al
richiamo del padre, già fuori la porta.
La ragazza, dopo aver ricambiato la stretta come un automa, lo
osservò allontanarsi, avvertendo che il calore che quello le
aveva trasmesso si stava già dissipando nell’aria.
Quell’attesa
così snervante le stava prosciugando tutte le energie,
facendola sentire sempre più stanca e provata ogni
minuto che passava.
«Se volete, voi potete restare» disse, a quel
punto, Molinari, attirando l’attenzione dei presenti.
«Non devo farvi altre
domande, almeno per oggi, ma penso proprio che non vogliate schiodarvi
da qui, giusto?»
«Finché non sapremo come sta Marcello, non
ci muoveremo!» esclamò subito Vittoria,
seguita da Gerardo che, però, si limitò ad annuire.
Dopo aver fatto scorrere lo sguardo sui tre ragazzi, l’uomo
si voltò verso il medico e, gentilmente, gli chiese:
«E lei, dottor Costa, cosa ha intenzione di fare?»
Quello lo fissò con espressione vuota,
come se non avesse capito, e fu solo dopo
qualche istante che si decise a rispondere, con voce roca:
«Io... vorrei rimanere».
Sospirando, l’altro fece una breve alzata di spalle in segno
di approvazione. Tuttavia, aveva appena mosso qualche passo per tornare dai
colleghi, quando fu richiamato dal dottore.
«Commissario, la prego... faccia in modo che non accada
niente alla signora Neri».
Nell’udire tale richiesta, così apparentemente
insolita, Molinari si fermò e riservò
all’interlocutore uno sguardo indagatore; non fece, però,
altre domande, anzi, in quel momento le rughe sul suo viso parvero distendersi.
«Non permetterei mai che rimanessero coinvolti civili innocenti» lo rassicurò. «Si fidi di
me».
Allora, il medico chiuse gli occhi, espirando lentamente con la testa
appoggiata al muro e il commissario, finalmente,
uscì dalla stanza, la quale fu avvolta da un silenzio denso
di inquietudine.
Beatrice lo trovò piuttosto spiacevole, giacché
quella falsa tranquillità sembrava fomentare i pensieri
negativi che, oramai, le stavano monopolizzando la mente.
«Non avrei dovuto lasciare Marcello da
solo...» mormorò,
all’improvviso, Vittoria, con voce frammentata, il busto
rivolto in avanti, quasi a volersi rannicchiare su se stessa.
«Ti
ha mandata via per proteggerti» le rispose Gerardo, talmente
piano che le sue parole furono appena percepibili. «E sarebbe
dovuto scappare anche lui».
«Son certa
che andrà tutto bene» sussurrò, invece,
Beatrice, forse più a se stessa che agli altri, avendo
meccanicamente registrato ciò che era stato appena detto dai
suoi amici. Poi, all’improvviso, si alzò in
piedi e, sotto lo sguardo
spento degli altri, si diresse nel piccolo giardino del commissariato.
Fu solo lì, all’aria aperta, una leggera brezza
che le accarezzava le guance, che poté permettersi di
piangere lacrime di sconforto e rabbia, rivolta sia verso di
sé, per essere stata tanto infantile, sia verso suo marito e
la sua tremenda caparbietà.
***
Marcello era seduto su una sgangherata cassa di legno ammuffito,
talmente malridotta che il giovane, da quando l’avevano
costretto a sedervisi sopra, non aveva smesso nemmeno un istante di
chiedersi quanto potesse resistere prima di farlo capitombolare a
terra. Infatti,
nonostante non fosse in sovrappeso, non era certo una piuma,
come gli ricordava puntualmente il signor Nardone ogniqualvolta lo
iscriveva ad un incontro nella categoria dei pesi
mediomassimi1.
Intanto, sotto il pergolato, Navarra e i due Landi stavano discutendo
animatamente sulla sua sorte, apparentemente incapaci di mettersi
d’accordo.
«Io propongo di portarlo con noi, ucciderlo non appena avremo
preso il largo e poi disfarci del cadavere in mare aperto»
propose Giacomo, lanciando al giovane un’occhiata astiosa.
«In tal caso, però, dovremo tenerlo nascosto per bene fino alla
partenza» gli fece notare subito lo spagnolo,
«visto
che la polizia potrebbe venirlo a cercare».
«In Italia, la polizia non può fare niente
finché
non passano ventiquattro ore dalla scomparsa» si
sentì in dovere di precisare Pierpaolo. «Per
allora saremo
già lontani».
«Se le cose stanno così, direi che avete ragione:
non
conviene ucciderlo subito, anzi... potrebbe perfino tornarci utile
aiutandoci a trasportare qualcosa sulla barca!» sentenziò alla fine Navarra,
ridacchiando, decretando la chiusura della questione e suggellandola con un ghigno
mefistofelico.
In risposta ai macabri progetti che lo riguardavano, Marcello
inarcò un sopracciglio e cominciò a
guardarsi
intorno
per cercare qualcosa con cui recidere le corde che gli legavano i polsi
dietro la schiena, poiché, nonostante fosse sicuro che Vittoria
avesse già dato l’allarme, non ne poteva
più di essere legato come un salame.
Così, mentre passava in rassegna tutto
ciò che c’era nel suo campo visivo, notò, appesa
alla
parete anteriore della casetta, una vecchia falce arrugginita che,
forse, non aveva perso del tutto l’antica
affilatura. Certo, sarebbe stato difficile prenderla, senza
contare i rischi che avrebbe comportato il tagliarsi con della
ferraglia in quello stato pietoso, ma per quest’ultimo aspetto si augurò di essere
ancora
sotto la
copertura della vaccinazione anti-tetanica.
Tuttavia, i suoi piani di fuga furono interrotti dalla risata cavernosa
di Navarra, il quale si stava avvicinando a lui, sul volto una smorfia
alquanto sinistra.
«Deve essere il mio giorno fortunato»
disse,
piantandosi davanti al giovane e sovrastandolo con la sua stazza
massiccia. «Ho sempre sperato di poterti incontrare
di nuovo,
così da poterti spedire all’infierno».
«Sai, è parecchio strano, perché io
potrei dire lo
stesso di te» rispose subito Marcello, piegando le labbra in
un sorriso strafottente.
A quelle parole, l’energumeno serrò la mascella e
scoccò al ragazzo uno sguardo di fuoco, puntandogli contro
la sua Colt .452.
«Ti sei preso gioco di me troppo a lungo»
ringhiò,
impugnando più saldamente l’arma e facendo
scattare la
levetta della sicura.
«Non puoi ucciderlo ora!» intervenne, però, repentinamente
Pierpaolo, agitando freneticamente le braccia. «Qui intorno
è pieno di bifolchi al lavoro che, appena sentiranno lo sparo,
si precipiteranno a vedere che cosa è successo!»
Fortunatamente, quel richiamo fu sufficiente a fermare lo spagnolo che,
dopo aver riflettuto per una manciata di
secondi, abbassò
il braccio. Poi, fece per andarsene, ma, inaspettatamente, si
voltò nuovamente verso il biondo, avventandosi su di lui
come
una belva e colpendolo violentemente con il calcio della
pistola.
Preso alla sprovvista, il ragazzo si ritrovò piegato in due,
tramortito, e così rimase per qualche secondo, prima di
sentirsi
tirare bruscamente per i capelli.
«Stai
scherzando con la persona sbagliata, Tornatore»
gli fece notare Navarra, mentre l’espressione ferina sul suo
volto si dilatava.
Con la testa che gli pulsava, Marcello tossì, avvertendo un
rivolo caldo che gli colava dall’angolo della bocca
e gocciolava sulla maglietta bianca, chiazzandogliela di rosso.
«Ancora non posso ammazzarti, ma, nell’attesa,
posso sempre torturarti» rincarò l’uomo,
strattonandogli con forza
le ciocche che aveva strette in pugno. «E lo farò
lentamente. Beatriz
faticherà a riconoscere i tuoi resti, se mai ti
ripescheranno dal fondo del mare!»
A quel punto, con la coda dell’occhio, il giovane vide Pablo
avvicinarsi e ridere con cattiveria alle parole del capo, mentre i due
Landi, bianchi come due cenci, facevano saettare continuamente lo
sguardo da lui allo spagnolo.
«Poi, quando le acque si saranno calmate, la farò
rapire e
così, finalmente, sarà mia! Sai, comincio a
sentirmi solo, la noche»
proseguì il malvivente, sogghignando, prima di strattonare un’ultima volta i capelli di
Marcello e poi lasciarli andare.
Dopo aver scosso la testa per schiarirsela, il giovane
raddrizzò
la schiena e riservò all’altro
un’occhiata di odio,
mentre, con atteggiamento di sfida, si passava la lingua sulla ferita,
leccando via il sangue.
«Se oserai anche solo sfiorare Beatrice, tornerò
dall’oltretomba e ti perseguiterò
finché non
morirai» sibilò, incapace di reprimere l’impulso di fare a pezzi il suo carnefice,
pur sapendo che avrebbe fatto meglio a tacere per non istigarlo ulteriormente. Sua
moglie era abbastanza in gamba da potersela cavare anche senza di lui,
tuttavia, se si fosse fatto uccidere, avrebbe tradito la sua fiducia,
lasciandola sola di nuovo e questa volta per sempre.
Dal canto suo, l’altro, dopo essersi soffermato a guardarlo
con aria di finta compassione, ghignò, beffardo, come se
avesse aspettato solo un’altra provocazione prima di passare ai
fatti.
«Allora, sarà il caso di spararti subito,
così
potrai cominciare a cercare la via d’uscita, non
trovi?» gli disse, visibilmente compiaciuto, alzando il
braccio armato.
A quel punto, Marcello deglutì, consapevole di essersela
andata a cercare. Non si sarebbe mai umiliato supplicando il suo
aguzzino di risparmiarlo, ma al contrario si augurò che Beatrice,
un giorno, sarebbe riuscita a perdonarlo.
Istintivamente, allora, chiuse gli occhi per non vedere il trionfo di Navarra e,
una frazione di secondo dopo, udì il fragore di uno sparo.
Non passò molto tempo che ce ne fu un altro, al quale,
però, come nel primo caso, non seguì il dolore
causato da una pallottola conficcata nel petto.
Stordito, il giovane schiuse lentamente le palpebre, per poi aprirle di
colpo quando si rese conto che Pierpaolo e lo spagnolo si stavano
rotolando sul terreno, il primo che cercava di disarmare il
secondo.
«Non erano questi i patti!» grugnì il
Landi, cercando invano di contrastare la forza bestiale
dell’avversario. «Adesso chiameranno la polizia e
ci sarà addosso, abbiamo perso ogni vantaggio che ci
restava!»
Nello stesso momento, poco dietro i due che lottavano,
Pablo stava prendendo di nuovo la mira e, questa volta, non
sbagliò il colpo, colpendo Pierpaolo alla spalla, il quale
lanciò un grido straziante.
«Papà!» esclamò Giacomo,
rimasto inerme per tutta la durata dello scontro, scattando verso il
genitore, prima di venir bloccato dallo scagnozzo, che gli si era
minacciosamente parato davanti.
Intanto, sotto lo sguardo incredulo e sempre più confuso di Marcello, Navarra si era rimesso in piedi.
Soffiando come un mantice per l’affanno, l’uomo si
affrettò a raccogliere la Colt per poi puntarla contro
Pierpaolo, il quale, steso a terra, si lamentava, tenendo una mano
insanguinata sulla ferita.
Improvvisamente, però, qualcuno tuonò:
«Fermi, polizia!»
Fu un attimo: come se fosse stato lo spettatore di un film
d’azione, il biondo vide i poliziotti addosso a
Navarra, Pablo e Giacomo, inchiodandoli tutti a terra.
«La tua latitanza finisce qui, Conrado de Navarra!»
sentenziò una voce estremamente familiare. Scuotendosi, il giovane mise a fuoco la figura che stava ammanettando
l’energumeno e, con sua grande sorpresa, riconobbe il
commissario Molinari. Il delinquente tentò invano di
opporsi, ma l’altro strattonò verso il basso
le braccia bloccate dietro la schiena, facendogli emettere un verso
animalesco.
«Prova a ribellarti e ti spezzo i tendini!» lo redarguì, minaccioso.
«Vi ammazzerò tutti!» latrò in risposta lo
spagnolo, livido in volto e con gli occhi fuori dalle orbite,
agitandosi come una belva imprigionata.
Tuttavia, Molinari
non si scompose minimamente, riservandogli, anzi, lo stesso trattamento
di poco prima, ma questa volta imprimendo più forza.
«Grida ancora e ti staccherò le braccia!» gli
intimò, sovrastando i suoi lamenti, prima di spintonarlo per
farlo camminare.
«Qualcuno si
preoccupi del ferito!» vociò a quel punto Guardalupi,
mentre si occupava personalmente di Pablo e faceva
segno ad un agente di portare via uno stravolto Giacomo.
Ancora piuttosto stordito, Marcello sentì qualcuno che
armeggiava intorno ai suoi polsi in maniera decisamente più
delicata rispetto a come era stato trattato fino a poco prima.
«Signor Tornatore, sono l’ispettore
Baccari» gli disse con tono calmo e gentile il suo misterioso
salvatore. «Qualche attimo di pazienza e sarà
libero».
Nel giro di qualche minuto, il ragazzo avvertì le corde
cedere e allora, finalmente, poté massaggiarsi le giunture dolenti
e far roteare un poco le spalle per scioglierle. Infine, barcollando,
si mise in piedi.
«Come si sente? Ha bisogno di un dottore?» gli
domandò il poliziotto, sistemandosi gli occhiali
sul naso e osservandolo attentamente.
«No, grazie... credo di potercela fare» rispose lui, anche se poco convinto.
In risposta, l’altro annuì e sorrise, prima di
congedarsi e raggiungere i suoi superiori, impegnati nel distribuire
ordini per concludere nel modo giusto quella delicata operazione.
Rimasto solo, Marcello prese coscienza solo in quel momento di
ciò che era veramente successo e, strofinandosi la guancia
con il dorso della mano per cercare di rimuovere il sangue coagulato,
ringraziò Vittoria, Leonardo e il tempismo della polizia per
avere ancora l’opportunità di fare pace con
Beatrice.
***
Non
sapeva per quanto
tempo era rimasto ad osservare un ricciolo attorcigliato intorno ad un
orecchino di Vittoria, ma, a giudicare dalla fievole luce che entrava
attraverso le inferriate della finestra e si rifletteva sui muri
bianchi della stanza, doveva esserne trascorso
parecchio. L’ultima volta che aveva controllato
l’orologio erano le cinque e, nel dargli una rapida
scorsa, ebbe la conferma che erano da
poco passate le sei e mezza del pomeriggio.
Ormai
erano ore che lui e le ragazze aspettavano di poter parlare con
Marcello, dopo aver ricevuto solo una rapida rassicurazione
dall’ispettore Baccari riguardo le sue condizioni, e al fatto che, prima di poter
andar via, avrebbe dovuto rispondere ad alcune domande.
Inoltre, il fatto che Molinari si fosse incaponito di far trasferire
immediatamente Navarra e il suo sgherro a Rebibbia, così da
potersi occupare personalmente del latitante cui aveva dato la caccia
per mesi, aveva rallentato un po’ il lavoro di tutto il
commissariato, poiché la Questura di Livorno, invece, aveva reclamato i
due arrestati ed il diritto di condurre le indagini, finché non era
intervenuto il questore Saltarini in persona, riuscendo miracolosamente a sbloccare
la
situazione.
Nel frattempo, a causa di una gravissima emorragia in corso, Pierpaolo era
stato portato urgentemente agli Spedali Riuniti3.
In realtà, Gerardo non aveva capito granché di cosa
era successo e le poche informazioni che aveva carpito dai dialoghi dei
poliziotti gli avevano fornito un’idea molto generale della
situazione, perciò era impaziente di riabbracciare Marcello anche per scoprire qualcosa di più al riguardo.
Stanco di aspettare, alla fine, il giovane diede una rapida occhiata a
Vittoria, stravolta quanto lui, e poi
passò a Beatrice, il cui pallore si era leggermente attenuato
solo alla notizia che suo marito era ancora vivo e che Navarra,
criminale destinato ad un reparto di Alta Sicurezza, sarebbe stato
portato immediatamente a Livorno, senza transitare per quel
commissariato.
L’unico rumore, perciò, era il lieve brusio di sottofondo,
dovuto a Fiammetta e al dottor Costa che parlottavano in un angolo.
«Secondo te, quanto lo tratterranno ancora?» gli
sussurrò, tutto d’un tratto, la
fidanzata e Gerardo, non volendo dare a vedere la sua sorpresa, si
prese un po’ di tempo prima di rispondere.
«Spero non molto» sospirò, infine,
voltandosi verso di lei ed alzando le spalle. La ragazza si
soffermò a scrutarlo per qualche istante, ma, quando entrambi si
resero conto che era la prima volta che si guardavano negli occhi da
quando avevano litigato, si affrettarono a distogliere lo sguardo,
imbarazzati.
Tuttavia, quel momento di disagio durò poco, perché
presto si trovò a transitare per la stanza Giacomo, ammanettato
e scortato da Baccari e dall’agente Teani, che lo teneva saldamente
per un braccio. Il ragazzo sembrava preoccupato, forse per suo padre,
per la sua situazione o per entrambi, ma ciò non gli
impedì, quando scorse Vittoria, di fermarsi e tentare un ultimo,
squallido approccio.
«Bambola, dovrai aspettare un po’ per il nostro prossimo incontro» le sussurrò, infatti, lascivo.
Immediatamente, l’ispettore lo strattonò indietro e lo
ammonì: «Chiudi la bocca e cammina, perché i
colleghi di Livorno non possono aspettare i tuoi comodi!»
Quello, però, rimase ben piantato ad osservare la ragazza che, a
sua volta, ricambiava lo sguardo, sbigottita e scossa da un leggero
tremore. A
quel punto, Gerardo, accecato dalla rabbia, si alzò in piedi e
si avvicinò all’altro a passo di carica.
«Adesso mi hai proprio stancato!» latrò, prima di
sferrargli un pugno allo stomaco, talmente forte da farlo accasciare su
se stesso. «Avvicinati ancora alla mia ragazza e ti farò
ingoiare tutti i denti!»
«Si calmi!» intervenne subito Teani, tirando nuovamente su Giacomo
senza alcun riguardo. «La giustizia farà il suo corso e quest’essere presto marcirà in
galera».
«Ma la soddisfazione è un’altra cosa» replicò,
allora, Fiammetta, giunta anche lei davanti al marito, assieme al
dottor Costa, che rivolse al prigioniero uno sguardo disgustato. In quel
preciso istante, calò il silenzio e nemmeno i due poliziotti
osarono replicare.
«Ci sei anche tu? Non ti avevo vista» commentò
Giacomo, deglutendo, prima di mostrare alla giovane un sorrisetto
beffardo.
«Che novità!» insorse lei, furibonda.
«È da prima di sposarmi che non mi vedi, preferendo la
compagnia di altre donne!»
«Be’, direi che hai trovato la tua consolazione, però!» le
rispose l’altro, indicando il medico con un astioso cenno del
capo.
Adirata da quella considerazione, Fiammetta si mosse rapida e, senza che nessuno
potesse impedirglielo, schiaffeggiò il ragazzo con tutte le sue
forze, lasciandogli sulla guancia l’impronta della mano.
«S-Signora Neri...» balbettò Baccari, meravigliato
da tanta foga, dando voce ai pensieri di tutti i
presenti.
Lì per lì, Giacomo rimase intontito e, approfittandone,
la ragazza gli urlò contro: «Questo è niente
in confronto a tutto quello che tu e tuo padre mi avete fatto!»
Poi, trattenendo a stento le lacrime, indietreggiò e
lasciò che il dottor Costa la prendesse tra le sue braccia per rassicurarla.
Allora, finalmente, i due poliziotti riagguantarono il giovane e, senza dire altro, lo portarono via.
Dopo la dipartita di Giacomo, Fiammetta e il medico decisero che era
giunto per loro il momento di tornare a casa e, dopo pochi minuti, si
congedarono.
Non appena furono andati via, Gerardo si voltò verso Vittoria,
guardandola deciso. Lei se ne accorse subito e le sue guance si colorirono
appena, anche se non cercò in alcun modo di evitare il contatto
visivo.
«Lo so che Marcello è ancora dentro... ma non posso
più aspettare. Dobbiamo parlare» affermò lui,
serio, non volendo rinviare ulteriormente quel confronto incapace di essere in lite con lei. «Non penso che
si dispiacerà se ci allontaniamo per qualche minuto».
«Ma... non possiamo lasciare sola Beatrice!» gli fece notare l’altra, sbattendo le palpebre, perplessa.
Proprio in quel momento, però, la fanciulla si mise in piedi e
si avvicinò a loro, camminando ritta,
un’espressione di dignitosa fierezza sul viso e Gerardo, nel vederla, si
ritrovò a pensare che se non aveva preso parte all’alterco
contro Giacomo doveva essere per pura stanchezza, non per paura.
Parlando con lei quella mattina, infatti, aveva capito che solo
una donna della sua tempra avrebbe potuto catturare l’interesse
del suo incontentabile amico.
«Non preoccupatevi per me, anch’io ho bisogno di prender una boccata d’aria» sospirò. «Se Marcello dovesse uscire, gli riferirò che lo avete aspettato».
«Grazie, Beatrice» le fece il giovane, riconoscente e quella, in risposta, abbozzò appena un sorriso.
A quel punto, Gerardo si rivolse a Vittoria, indicandole elegantemente
la porta, per invitarla ad uscire e l’altra, dopo un breve
cenno d’assenso, lo precedette.
***
Un gabbiano planò dolcemente sulla spiaggia di ciottoli, a pochi
passi da Gerardo che, seduto su uno scoglio, osservava Vittoria passeggiare sulla battigia, immersa nel mare fino alle caviglie,
tenendosi i capelli con una mano per evitare che il vento, seppur
leggero, glieli mandasse davanti agli occhi.
Non era stato facile trovare un posto tranquillo e solo il caso aveva voluto
che quel piccolo lembo di litorale fosse rimasto incontaminato dal
fermento che aveva investito Marciana Marina, in seguito alla recente
retata alla villa dei Neri.
«A quest’ora l’acqua è caldissima»
commentò la ragazza, tentennante, una volta che si fu seduta
accanto a lui. «Sai, dovresti... provare anche tu».
Il giovane apprezzò il suo tentativo di approcciare un discorso
e, incurvando le labbra, si voltò verso di lei.
«Possiamo tornare domani alla stessa ora per... la tua prima
lezione di nuoto» la buttò lì. «Sempre che tu voglia ancora».
«Mi piacerebbe molto» rispose subito l’altra,
abbozzando un timido sorriso incoraggiante.
Per un po’ rimasero entrambi in silenzio, assaporando quel clima
di ritrovata serenità, avvolti dalla luce rosso-arancio del
tramonto, così in contrasto con l’indaco del mare davanti
a loro.
«A dire il vero, due giorni fa
Beatrice mi ha chiesto se vogliamo restare qualche altro giorno,
visto che la settimana appena trascorsa non è stata propriamente
una vacanza» riprese Vittoria, lasciando diverse pause tra una
parola e l’altra, come se ciò che stava dicendo fosse
frutto di una lunga riflessione non ancora conclusa.
«Già» sospirò l’altro, in risposta, non potendo che concordare.
A quel punto, con uno scatto inatteso, la ragazza si mise in ginocchio
sullo scoglio di fronte a lui e, dopo aver preso un bel respiro, si
liberò di tutto quello che aveva dentro: «Gerardo, io...
mi dispiace per quello che è successo. So
che avrei dovuto raccontarti tutto, ma avevo paura che ti saresti
arrabbiato... anche se poi è successo ugualmente».
Intontito da quella confessione impetuosa ed improvvisa, così
tipica di lei, il giovane impiegò appena qualche secondo per
rendersi conto che non solo l’aveva perdonata da un pezzo, ma che
sentiva anche il crescente bisogno di scusarsi a sua volta.
«Ho sbagliato anche io. Non avrei dovuto aggredirti, soprattutto
perché, dentro di me, in realtà ero certo che non avessi incoraggiato
quell’idiota» ammise, infatti, subito dopo.
«Certo che no!» esclamò l’altra, intristita.
«Sapessi cosa mi hanno detto alle spalle lui e Navarra, questa
mattina!»
«Posso immaginare» bofonchiò tra i denti lui, e,
rimpiangendo di essere stato fin troppo magnanimo nei confronti di
Giacomo, aggiunse: «Peccato che gli ho rifilato solo un pugno!»
Quella risposta alleggerì immediatamente l’atmosfera e
divertì talmente tanto Vittoria che, ormai completamente
distesa, scoppiò a ridere. Nell’udirla, Gerardo si
sentì sciogliere e, avvertendo il forte desiderio di baciarla,
le accarezzò una guancia.
Finalmente rasserenata, la giovane si ricompose e si soffermò a guardarlo ad occhi socchiusi.
«Sai che mi piaci da morire quando mostri il tuo lato oscuro?»
gli sussurrò, con una punta di malizia, dimostrando di essere
tornata la ragazza di sempre, e lui si chiese come avesse fatto a
restare per così tanto tempo senza di lei.
«Vittoria, quando qualcuno ti importuna, per
favore, dimmelo senza aspettare, d’accordo?» le disse il
ragazzo, guardandola con dolcezza. «So che sai difenderti
benissimo da sola, ma mi piacerebbe tanto essere un tuo...
alleato, per una volta».
Alla giovane dovette piacere quella definizione, poiché, dopo
averci riflettuto su per qualche istante, dispiegò le labbra in
un sorriso radioso.
«Gli alleati non sono mai troppi» considerò,
avvicinandosi a lui, il quale, affondando una mano tra i suoi ricci
scuri, l’attirò delicatamente a sé per baciarla.
Subito, l’altra gli buttò le braccia al collo, come se
anche lei non avesse aspettato altro che quel momento, e Gerardo le
mise la mano libera sul fianco, trovando estremamente piacevole il
contatto con la pelle fresca di lei, lasciata scoperta dalla corta
canottierina. Intrigato da quella sensazione, senza mai smettere di
riempirla di baci, decise di andare oltre, alzando il resto
e sfiorandole la schiena con la punta delle dita, fino a sfiorarle i laccetti del costume.
La ragazza, allora, emise un piccolo sospiro sulle sue labbra e
ricambiò, accarezzandogli i capelli sulla nuca e percorrendogli
con dolcezza il collo, facendolo rabbrividire.
Tutte le emozioni provate nel corso della giornata avevano
stordito abbastanza il giovane, al punto da renderlo alquanto
disinibito rispetto al solito. Tuttavia, ciò non gli dispiacque,
giacché, in quell’istante, non voleva avere
nessun’incertezza o preoccupazione, ma solo scambiarsi tenerezze
con la sua fidanzata.
«Devo esserti proprio mancata...» ridacchiò
Vittoria, staccandosi appena da lui, non riuscendo a smettere di
sorridere.
«Parecchio» commentò Gerardo, avvertendo che
l’imbarazzo cominciava a far di nuovo capolino dentro di lui. Ciononostante, sentì di
non
riuscire più a trattenersi e, approfittando di quel momento di
euforia e profonda intimità, chiese alla ragazza, tutto
d’un fiato: «Vittoria, mi vuoi
sposare?»
Per qualche istante, lei si limitò a fissarlo a bocca aperta.
Poi, arrossì di colpo e deglutì a vuoto, aggrappandosi
ancor di più alle spalle di lui.
«Sono... mesi che aspetto che tu me lo chieda» mormorò, alla fine, visibilmente commossa. «Tanto
che avevo deciso di farlo io, non appena tornati a casa, perciò... certo che voglio sposarti!»
«D-Davvero?» domandò l’altro, imbambolato. «Vuoi essere... mia moglie?»
In risposta, Vittoria sorrise, felice e il giovane, sentendosi avvampare con
la sensazione di essere sul punto di sciogliersi, si affrettò ad
aggiungere, nonostante non sapesse bene cosa stesse dicendo:
«Scusami se ci ho messo tanto a chiedertelo, ma, ecco, sai che
sono un po’... lento».
«Meglio tardi che mai, non trovi?» commentò,
però, la ragazza, guardandolo intenerita. «E, comunque,
sei perfetto così» concluse, prima di accoccolarsi di
nuovo contro di lui.
***
Nel momento in cui tacquero le voci dei poliziotti provenienti
dalla stanza attigua, Marcello avvertì la propria emicrania
attenuarsi leggermente, segno che, forse, l’aspirina offertagli
gentilmente dall’ispettore stava cominciando a fare effetto e il
ragazzo sperò seriamente che fosse così per non dover
consultare il dottor Costa.
Aveva appena cominciato a rilassarsi, quando una considerazione di
Molinari, facilmente riconoscibile dal timbro di voce, richiamò
la sua attenzione: «Voglio assolutamente occuparmi io di Navarra.
Per fortuna, è intervenuto il dottor Saltarini ed è
riuscito ad ottenere il trasferimento di quel delinquente a Roma.
Sinceramente, non credevo che avrebbe accolto con una prontezza simile
la mia richiesta».
«Evidentemente, ha grande fiducia in lei» rispose, allora,
Guardalupi. Fece una breve pausa, quindi aggiunse: «Invece, i due
Landi non supereranno i confini della Toscana».
«Certo! Per quanto machiavellici, sulla loro testa non pende un mandato
di cattura internazionale» spiegò l’altro.
«Navarra è pericoloso, non è un
malvivente qualunque, anche se, finalmente, ora è nelle mani
della giustizia».
Nell’udire quelle parole, il giovane sospirò, augurandosi
che lo spagnolo avesse finito una volta per tutte di creare problemi a
lui e a Beatrice. Poi, nel corridoio, riecheggiò un rumore di
passi che sembravano farsi sempre più vicini e Marcello
sperò che i due venissero a comunicargli che poteva tornare a casa.
«Sono davvero contento che le circostanze l’abbiano portata
da queste parti, commissario Molinari, visto che abbiamo formato
proprio una bella squadra... Elba Squadra Cinque Zero4» commentò Guardalupi, soddisfatto, mentre entrava nel suo ufficio, assieme al suo collega.
«In effetti, questo caso intricato sarebbe perfetto per un
telefilm poliziesco» ribatté quello, incrociando le braccia
sul petto. Poi, come se si fossero ricordati della presenza del
ragazzo, seduto sul divanetto in fondo alla stanza, i due si voltarono verso
di lui.
«Signor Tornatore, ci dispiace di averla fatta attendere»
esordì il più giovane, aprendo appena le braccia in
atteggiamento
di scusa. «Dovevamo sbrigare un po’ di burocrazia, prima di
poterla congedare».
«Non importa» rispose Marcello, ben felice di alzarsi, impaziente di uscire da lì. «Ora, però,
posso andare?»
«Se l’ispettore Baccari le ha fatto firmare tutto quello
che doveva, non abbiamo motivo di trattenerla» rispose
Molinari, annuendo. «Abbiamo il suo recapito, perciò,
eventualmente, sapremmo come contattarla. Anche se, spero che questo
sia
l’ultimo caso in cui la vedo coinvolta».
«Lo spero anche io» commentò il biondo, con un sospiro.
A quel punto, i tre si salutarono e Guardalupi chiamò
l’agente Angelini per ordinargli di accompagnare il ragazzo alla
porta. «Se non sbaglio,
c’è sua moglie ad attenderla in giardino» disse il
commissario al giovane, prima di lasciarlo andare definitivamente.
«Direi che ha aspettato fin troppo, povera ragazza!»
Non appena Marcello mise il piede fuori dal commissariato,
trovò conferma a ciò che gli aveva detto Guardalupi.
Infatti, a poca distanza da lui e seduta su un massetto di cemento,
c’era Beatrice, intenta a giocherellare con l’orlo del
vestito.
Quella scena provocò al ragazzo una fitta allo stomaco,
poiché fu solo allora che realizzò quanto avesse
seriamente rischiato di non poter più vedere sua moglie.
«Beatrice!» la chiamò, istintivamente.
Quella alzò di scatto la testa e, nel vederlo, spalancò
gli occhi. Allora, il giovane cominciò ad andarle incontro,
aspettandosi che lei facesse lo
stesso. Con sua grande sorpresa, tuttavia, la fanciulla rimase immobile. Perplesso, il
ragazzo si arrestò e stava proprio per chiederle se si sentisse
bene, quando, lasciandolo di sasso, l’altra si mise in piedi e,
senza alcun motivo apparente, scappò via.
***
Dopo
la giornataccia che aveva trascorso (e che non sembrava ancora
finita) correre a perdifiato per le stradicciole di Marciana Marina,
per Marcello, si rivelò il colpo di grazia.
Infatti, nonostante fosse ben allenato, arrivò a Villa Paolina
con il fiatone e la testa ancora più dolente. In tutta
onestà, non si era aspettato che, ovviamente, dopo tutto
quello che era successo, la moglie lo accogliesse a braccia aperte, ma
nemmeno che fuggisse da lui, scegliendo stradine nascoste per seminarlo.
Il giovane aveva capito perfettamente che Beatrice era ancora molto
arrabbiata, ma la loro lontananza era durata fin troppo e riteneva, perciò, che
l’unica cosa da fare fosse trovarla e sperare che gli concedesse la
possibilità di spiegarsi, anche a costo di supplicarla.
Dopo lunghi minuti, con le mani sui fianchi ed il respiro più regolare, Marcello
finalmente alzò la testa e si guardò intorno alla ricerca di qualche
indizio che potesse suggerirgli dove si fosse nascosta la fanciulla,
quando, inaspettatamente, il vento cominciò a spirare in
direzione del balcone della loro stanza da letto, il marmo del
corrimano appena arrossato dalla luce del tramonto.
Dentro di sé, allora, il ragazzo comprese il significato di quel
suggerimento e lo
seguì, precipitandosi su per le ripide scale della villa due
gradini alla volta, cercando di fare ordine nei suoi pensieri per
scegliere accuratamente le parole da rivolgerle.
Tuttavia, ogni sforzo fu vano, poiché, non appena uscì
sulla terrazza e la vide, tutto ciò che aveva preparato gli
sfuggì di mente: era lì, davanti a lui, incorniciata
dalle fronde del glicine, i
capelli rossi leggermente arruffati e le iridi blu che lo squadravano
severe. In quel momento, fu come se tutte le emozioni che il giovane
aveva cercato di controllare fino a quel momento lo investissero
con tutta la loro forza, confondendolo e inibendolo, tanto che gli
sembrò strano udire la sua voce che diceva:
«Beatrice, perché scappi da me?»
Quella però, non rispose, limitandosi a fissarlo per qualche
altro secondo. Poi, cominciò ad avvicinarsi lentamente, sempre
senza aprire bocca, fino a quando non gli fu quasi addosso.
Sotto quello sguardo di rimprovero, Marcello si sentì ancora
più in difficoltà e stava proprio per scusarsi, quando,
inaspettatamente, la ragazza cominciò a colpirlo al petto.
«Beatrice, ma... che cosa ti prende?» domandò lui,
arretrando, talmente basito che non provò nemmeno a difendersi.
«Che cosa mi prende?!» esclamò l’altra, inviperita. «Sparisci per due giorni senza dire nulla e poi vengo a sapere dalla Polizia che stavi giocando all’eroe, rischiando di farti ammazzare!» rincarò, continuando a colpirlo.
A quel punto, il giovane prese per i polsi e la bloccò, stando comunque attento a non farle del male.
«Calmati... ti prego, calmati!» le intimò, preoccupato per
quella reazione. Lei, dal canto suo, cercò di divincolarsi
ancora per qualche istante, poi, però, si arrese e rimase a
guardarlo in un modo che, nel complesso, aveva qualcosa di buffo:
sembrava, infatti, più imbronciata che arrabbiata.
«Adesso posso lasciarti senza che tenti di farmi a pezzi?»
«A tu’ rischio e pericolo» gli rispose lei, battagliera.
«Rischierò» decretò Marcello con un sospiro, lasciando lentamente la presa.
Per alcuni secondi si studiarono a vicenda e, in quel frangente, il
giovane si chiese se la moglie avrebbe ripreso a picchiarlo, tuttavia,
quella alla fine si mise a braccia conserte e sbuffò.
«Cos’hai fatto all’angolo della bocca?» gli chiese, vagamente accigliata.
Interdetto, Marcello si portò una mano nel punto che gli aveva
indicato, rendendosi conto che era tumefatto e dolente, e,
improvvisamente, ricordò quello che era successo.
«Un regalino di quel bastardo di Navarra» le rispose con
una smorfia, guardandosi le dita per controllare che non si
fossero imbrattate di sangue.
A quel nome, un’ombra passò sul volto di Beatrice che, con uno scatto, distolse lo sguardo.
«Per fortuna, ora l’è in galera» commentò, inquieta. «Vo’ a prendere il disinfettante e il cotone» aggiunse subito dopo, rientrando in casa.
Un paio di minuti più tardi, la fanciulla fu di ritorno con
tutto l’occorrente ed invitò il marito a sedersi
sulla panchina sotto al glicine, prima di prendere posto accanto a lui.
«Sai... a dire il vero, non so se curarti
o darti il resto» commentò, caustica, mentre impregnava un batuffolo di ovatta con l’acqua ossigenata.
«Se proprio devi, aspetta almeno che mi sia ripreso»
replicò l’altro, con una scrollata di spalle.
«Malridotto
come sono, non credo avresti molta soddisfazione».
In risposta, Beatrice scosse la testa e cominciò a tamponargli delicatamente
la ferita, pulendo anche la guancia dai residui di sangue
incrostato, mentre lui la lasciava fare, avvertendo solo un lievissimo
bruciore.
Approfittando del fatto che la moglie fosse impegnata, il
giovane provò a cercare nuovamente le parole adatte per
scusarsi, poi, sperando che
lei non riprendesse a colpirlo, decise di cominciare nel modo
più semplice.
«Mi dispiace» le sussurrò con un velo di malinconia.
«Per che cosa?»
«Per... tutto» aggiunse, incerto e
facendosi via via sempre più sicuro. «Per averti trascurata, per
averti lasciata sola, per averti fatta preoccupare».
Di fronte a quella confessione, la fanciulla smise di medicarlo e lo fissò tra il severo e l’intristito.
«Sai bene che tu se’ l’unica persona che ho»
mormorò, vicina alle lacrime. «Mi hanno già
abbandonata in troppi».
«Hai ragione» ammise, sinceramente addolorato, accarezzandole una guancia. «Sono stato un...
irresponsabile».
«Parecchio» sbuffò lei, corrucciata, tirando su col
naso ed evitando di guardarlo negli occhi. Davanti a
quell’espressione, che aveva un qualcosa di tenero, Marcello non
riuscì a trattenersi dal sorridere e, prendendola per il mento,
le diede un leggero bacio.
Arrossendo per quel gesto inatteso, Beatrice alzò lo sguardo su di lui
e, riappropriatasi del suo cipiglio, lo interrogò: «Almeno,
dopo tutta questa baraonda, se’ riuscito a sistemare tutte le magagne?»
«Sì, ora è tutto risolto».
Per un po’, allora, tacquero entrambi, restando in ascolto
dell’aspro frinire delle cicale che ben presto sarebbe stato
sostituito da quello notturno e più armonico dei grilli.
«Grazie... per aver salvato questa casa»
disse poi, all’improvviso, la ragazza, abbandonando finalmente
ogni traccia di severità e rivolgendogli un’occhiata colma
di gratitudine.
Sollevato da quel cambiamento, il giovane si rilassò un poco,
intuendo che non sarebbero rimasti in lite ancora per molto.
«So quanto ci tieni» si schermì, guardandola con dolcezza.
«Sì, è così»
confermò lei. Quindi, si prese una piccola pausa, emettendo un
piccolo sospiro. «Anch’io ti devo delle scuse... non avrei
dovuto dirti tutte quelle cattiverie, perché sapevo che
stavi lavorando per aiutarmi» aggiunse subito dopo,
decretando finalmente la fine di tutte le ostilità.
«Non importa» la interruppe lui, ben consapevole di quali
fossero le sue colpe. «In fondo, non avevi tutti i torti. Dovrei
imparare ad essere meno... inquadrato».
«Ah, sì?» fece, osservandolo incuriosita.
«Be’, potresti cominciare già da ora» gli
suggerì poi, accorciando la distanza che c’era tra di loro.
«Ottima idea» approvò il giovane, spostandole via i
capelli dal viso, poco prima di appropriarsi delle sue labbra. In un
primo momento, Beatrice si lasciò completamente andare, poi,
però, si distaccò e gli chiese, preoccupata: «Ti fa
male la ferita?»
«Niente di insopportabile» la rassicurò lui,
riprendendo a baciarla subito dopo. Gli era mancata così tanto
che non sarebbe certo bastato l’indolenzimento generale a
trattenerlo, anche perché essere lì con lei a lasciarsi
inebriare dal suo profumo di lavanda era una ricompensa più che
sufficiente.
Per stare più comoda, la ragazza, allora, si sedette in braccio al
marito, continuando ad accarezzarlo con delicatezza, come se così facendo volesse
cancellare i segni che gli aveva lasciato lo
spagnolo.
Dal canto suo, Marcello, appagato da tutte quelle tenerezze, la strinse
a
sé, desideroso di sentire il corpo di lei contro il proprio,
deliziandosi a baciarle il collo con intensità e lentezza,
così da poter carpire tutto il piacere che quelle effusioni gli
procuravano.
«Dovresti lasciare
questo filo di barba più spesso, sai?» gli fece notare
Beatrice, con un sorriso birichino, sfiorandogli la guancia e poi le
labbra con la punta delle dita. «Magari, senza che ci sia un rapimento di mezzo».
«Vedrò che cosa posso fare» le rispose il ragazzo,
chiudendo gli occhi, prima di sprofondare dolcemente il volto nel
delicato seno di lei, lasciando scivolare le mani sulle cosce, solo
parzialmente coperte dal vestito, mentre lei gli circuiva le spalle con
le braccia e appoggiava la guancia sui capelli di lui.
Allora, confortati dal calore reciproco, i due giovani, finalmente, assaporarono
appieno la sensazione di pace ritrovata, circondati dalla quiete della
sera e nascosti al mondo dalle foglie del glicine, appena mosse dal
vento.
***
Per la revisione di questo
capitolo, ringrazio Lady
Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la
grafica del titolo è opera mia.
Grazie anche alla mia Anto
per seguirmi sempre.
***
[N.d.A]
1. pesi mediomassimi:
nel pugilato a carattere dilettantistico (diverse sono le regole per i
professionisti), questa categoria comprende gli atleti di peso tra i 75
e gli 81 Kg;
2. Colt .45:
sarebbe la Colt
M1911, una pistola semiautomatica molto diffusa durante le due guerre
mondiali e usata come arma d’ordinanza
nell’esercito degli
Stati Uniti dal 1911 al 1985. Ho scelto questa per diversi motivi: si
prestava al modello che avevo in mente per Navarra, ne esiste una
versione prodotta in Spagna ed è tutt’oggi in uso
presso
l’esercito spagnolo;
3. Spedali Riuniti: è la principale struttura ospedaliera di Livorno;
4. Elba Squadra Cinque
Zero: è un riferimento alla serie tv poliziesco-giudiziaria Hawaii Squadra Cinque Zero (in
originale Hawaii Five-O),
trasmessa negli Stati Uniti dal 1968 al 1980 (In Italia a partire dal
1971). Forse, qualcuno di voi conoscerà il riavvio di questa
serie, prodotto dal 2010 e ambientato ai giorni nostri, intitolato Hawaii Five-0.
Guardalupi la cita perché, oltre ad essere una serie della
sua gioventù, si svolge in un ambiente isolano.
***
Salve a tutti!
Come sempre, non faccio mancare un po’ di ritardo rispetto a
quanto promesso (purtroppo, organizzo il mio tempo in funzione degli esami).
Sembra strano da scrivere, dopo aver passato quasi cinque anni a
lavorare su questa storia, ma è vero: il prossimo capitolo
sarà l’ultimo, nel quale verranno svelati gli ultimi
enigmi lasciati irrisolti. È già in lavorazione, quindi
spero di non metterci troppo tempo a finirlo.
Comincio ad anticipare già da adesso che questo racconto non
avrà seguiti, se non in forma un po’ diversa dai canonici
sequel, ma di questo ve ne parlerò meglio la prossima volta.
Ringrazio, come sempre, chi legge, anche in silenzio, chi ha messo la
storia tra le preferite/seguite/ricordate, chi mi ha lasciato un parere
allo scorso capitolo (Anto, moet et chandon, Aven).
Per leggere in antepirma un estratto di ciò che vi
aspetterà nell’epilogo, vi lascio il consueto link alla
mia pagina
facebook.
Alla prossima!
Halley S.C.
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