Dieci ore.
Seicento minuti.
Trentaseimila secondi.
Sarebbe bastato un attimo in più,
una singola minuscola particella di tempo, e Sae Niijima avrebbe
potuto commettere un omicidio.
La giornata era partita sotto i
peggiori auspici: la giovane avvocatessa aveva deciso, qualche giorno
prima, di difendere un uomo accusato di omicidio plurimo. Tutti gli
indizi sembravano condurre alla sua colpevolezza ma Sae, che aveva
esaminato con cura meticolosa le testimonianze e i rapporti della
polizia, stava lavorando senza sosta per scagionare il suo cliente.
Tuttavia, sebbene ci fossero stati dei progressi, la battaglia si
stava rivelando più complessa del previsto e motivo di grande
frustrazione. La situazione, già abbastanza sfiancante, era
resa quasi insostenibile dagli incessanti insulti sussurrati alle sue
spalle dai colleghi, che giudicavano il recente operato della ragazza
come un arrogante ed avventato tentativo di mettersi in mostra. Era
sconcertante quanto fosse familiare quella routine, già
vissuta tempo addietro durante i suoi exploit come pubblico
ministero. Era un dato assodato: il suo sesso e la giovane età
erano degli stigmi sfavorevoli nel suo lavoro, non importa da quale
lato della barricata si trovasse. Probabilmente, dovette ammettere a
se stessa, nel profondo del suo subconscio sperava di dimostrare il
suo valore vincendo un processo che tutti ritenevano perso in
partenza. Un ragionamento che in passato le aveva causato non pochi
problemi.
Dopo dieci ore in un simile ambiente,
Sae era quasi giunta al limite. Nonostante fosse sua intenzione fare
la cosa giusta, così da mantenere la promessa fatta con sua
sorella ed i suoi amici, venire costantemente ostacolata,
sottovalutata e derisa la stava mettendo a dura prova. Se non fosse
stato per la sua notevole determinazione, avrebbe gettato la spugna
molte ore prima.
Esausta e nervosa, Sae sospirò ed iniziò a riordinare i
suoi documenti, per poi controllare l'ora sul display del suo
smartphone. 'Forse sono ancora in tempo' pensò.
Sojiro Sakura non l'avrebbe mai ammesso
pubblicamente ma in fondo amava il suo lavoro. Il Leblanc non
era semplicemente un locale appartato, bensì un rifugio
dove le persone, lui compreso, potevano lasciarsi momentaneamente
alle spalle la follia e la frenesia del mondo, così da
gustarsi con tutta calma un ottimo caffè accompagnato da un
curry altrettanto valido.
Quella sera, Sojiro stava chiudendo il
locale dopo quella che, secondo i suoi standard, poteva essere
considerata una buona giornata: pochi ma piacevoli clienti e nessun
seccatore. Inoltre sua figlia, Futaba, aveva finalmente ripreso a
frequentare la scuola in virtù di una rinnovata determinazione
e ciò non poteva che giovare al suo umore. Sì, poteva
definirsi soddisfatto.
Giunta l'ora di chiusura, l'uomo si
tolse il grembiule che usava abitualmente durante il lavoro e indossò
la giacca ed il cappello che era solito portare nel tempo libero. In
pochi sapevano che quel look sofisticato, che tanto gli aveva portato
fortuna in gioventù, era stato ispirato dal personaggio di un
vecchio manga con protagonista un ladro gentiluomo. Dati i recenti
avvenimenti, di cui lui era stato in un certo senso complice, non
poteva che sorridere dinanzi all'ironia che permeava quell'apparente
coincidenza.
Una volta spente le luci, l'uomo uscì
dal locale con l'intenzione tornarsene a casa, quando sentì
una voce che attirò la sua attenzione.
“Troppo tardi...” mormorò
quest'ultima.
Incuriosito, Sojiro si voltò
verso la persona che le aveva pronunciate. Sae Niijima. La giovane,
notò mentalmente, presentava delle pesanti borse sotto gli
occhi, lo sguardo spento e la mascella serrata. Non ci voleva un
genio per capire che la ragazza aveva passato una pessima giornata.
Senza dire una parola, l'uomo rientrò nel locale, posò
la giacca ed il cappello su uno dei divanetti posti all'interno e
fece cenno all'avvocatessa di seguirlo.
Colta di sorpresa, la giovane esitò.
“Cosa fa lì impalata
Niijima-san? Si accomodi.” disse Sojiro con un sorriso gentile,
appena smorzato dall'evidente stanchezza. Dopotutto, non era più
giovane come un tempo.
Sae scosse lentamente la testa.
“Non voglio arrecarle disturbo
Sakura-san, stava per chiudere e-”
Una risata la interruppe.
“Nessun problema. Il Leblanc
esiste per coloro che hanno bisogno di un buon caffè e un po'
di serenità. Inoltre,” aggiunse Sojiro con tono galante
“non sono il tipo che sbatte la porta in faccia alle signore.”
Per la prima volta da giorni, Sae accennò un sorriso.
Mentre Sojiro era impegnato a preparare
il suo famoso nettare Sae, seduta al bancone del Leblanc,
scorreva con lo sguardo i vari contenitori dei chicchi di caffè
posti di fronte a lei, le mani intrecciate sotto al mento. Nonostante
cercasse di svuotare la mente e di abbandonarsi all'accogliente
atmosfera del locale, la negatività accumulata durante la
giornata sembrava non volesse lasciarle tregua. Per fortuna, i suoi
pensieri vennero interrotti da una tazza di caffè fumante. Il
profumo bastò per restituirle un briciolo di pace interiore
“Brutta giornata uh?”
domandò Sojiro dopo qualche istante, grattandosi il collo con
leggero nervosismo. Era la tipica domanda che poteva dare inizio ad
un breve scambio di battute come ad una lunga conversazione irta di
pericoli e tasti dolenti. La seconda possibilità,
malauguratamente, si rivelò essere quella più
probabile.
“Già... non che il resto
della settimana sia andato meglio.” rispose Sae con amarezza,
tenendo lo sguardo incollato alla sua tazza.
“Problemi sul lavoro?”
“Sì... ogni giorno ho a
che fare con un branco di idioti che mi ritengono, nella migliore
delle ipotesi, una ragazzina eccessivamente arrogante e ambiziosa.
Con tutta probabilità il loro disprezzo è dovuto in
parte alla mia precedente professione. Non mi sono guadagnata molti
ammiratori durante quel periodo.”
“Ricordo bene.” sussurrò
Sojiro, assumendo un'espressione torva. Sebbene avesse da tempo
perdonato la ragazza, non poteva dimenticare il carattere duro ed i
mezzi a dir poco discutibili del pubblico ministero Sae
Niijima. “Ma è storia passata ormai. Lei è
cambiata e, presto o tardi, lo capiranno anche loro.”
“Sarà davvero così?”
rifletté Sae, contemplando con espressione indecifrabile un
punto fisso nel vuoto, le braccia conserte. “In passato avrei
fatto di tutto per vincere, per raggiungere la vetta con ogni mezzo e
a volte... a volte temo di non essere cambiata affatto, di non aver
compiuto nessun passo in avanti. Ho... paura. Paura di non essere
all'altezza delle aspettative che Makoto, Akira e gli altri hanno
riposto in me.”
Dopo essersi sfogata, Sae si rese conto
di quanto si fosse esposta ed ammutolì imbarazzata. Sapeva di
essere in presenza di una persona non ostile, ma non era abituata a
mostrare le proprie debolezze a chicchessia. Certo, nutriva molta
stima per Sakura-san, lo considerava un uomo dotato di rara
gentilezza e compassione. Per certi versi quelle caratteristiche,
unite alla ferma volontà di fare la cosa giusta malgrado le
conseguenze, le ricordavano suo padre. La stessa somiglianza che,
durante le loro prime interazioni, le aveva dato non poco sui nervi.
Stupida.
Ciò nonostante, non era in
rapporti abbastanza stretti da potersi confidare così
liberamente, avrebbe dovuto essere più cauta.
Nel locale scese un pesante silenzio,
la tipica assenza di suono che lascia posto al frastornante rumore
dei pensieri e al furioso susseguirsi di strategie e simulazioni
mentali utili a riprendere il discorso interrotto nel modo più
naturale possibile, di solito senza successo.
Dopo quelle che a Sae parvero delle ore
Sojiro, con un gran sospiro, trovò la forza per riprendere la
conversazione.
“Penso che lei stia
fraintendendo, Niijima-san.” Il tono serio dell'uomo attirò
l'attenzione dell'avvocatessa, che alzò lo sguardo per
incontrare quello del suo interlocutore. “Nessuno le sta
chiedendo di compiere l'impossibile o di realizzare un'utopia. La
responsabilità di noi adulti, la promessa che abbiamo fatto a
quei ragazzi, è di fare del nostro meglio senza voltarci
dall'altra parte di fronte alle difficoltà e le ingiustizie di
questa società. Non sta combattendo una battaglia solitaria,
può contare sull'affetto ed il sostegno della sua famiglia e
delle persone che hanno riposto fiducia nella sua persona e nelle sue
capacità.” Poi, con un un occhiolino aggiunse: “E,
perché no, anche su quello di un attempato gentiluomo e del
suo piccolo locale.”
Sae rimase a fissare sbigottita Sojiro
per diversi secondi e, ancor prima di accorgersene, si ritrovò
a ricambiare il sorriso di quell'uomo gentile.
Il resto della serata passò più
velocemente di quanto entrambi avrebbero voluto. Avevano passato il
tempo sorseggiando caffè e conversando amabilmente come due
vecchi amici, o forse come qualcosa di più. I due rimasero
ancora qualche minuto sulla soglia del Leblanc, per scambiarsi
un ultimo saluto.
“Sarà meglio che vada,”
disse Sojiro “Futaba si starà chiedendo dove sia finito,
sempre che non abbia piazzato nuovamente delle cimici nel locale.”
“Comprendo perfettamente,”
replicò Sae con una smorfia divertita “ricordo bene i
tempi in cui Makoto mi accoglieva a casa come se fossi appena tornata
da una guerra. Non che avesse tutti i torti.”
“Possiamo ritenerci fortunati ad
avere dei familiari così preoccupati per la nostra
incolumità.”
“Non potei essere più
d'accordo.”
I due si salutarono ed iniziarono ad
allontanarsi dal locale,
ognuno diretto verso la propria destinazione. Dopo qualche metro, Sae
si voltò indietro, verso Sojiro.
“Aspetta!” esclamò
la ragazza, facendo voltare l'uomo.
“Sì?” chiese
quest'ultimo con espressione stupita.
“Ecco, volevo dirti solo...
grazie per la serata. Ne avevo bisogno.
“È stato un piacere.
Buonanotte, Sae.”
“Buonanotte anche a te, Sojiro.”
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