Capitolo
uno
L’inferno
in Terra
«Ricordami
perché questo caso è di nostra competenza, ti
prego.»
Francesco
si china a terra, un ginocchio poggiato sul suolo polveroso mentre fa
scattare di nuovo la macchina fotografica.
«Perché
i colleghi della Polizia sono oberati di lavoro e hanno chiesto
gentilmente
a noi di prendere in carico questo caso» spiega
in fretta, cambiando angolazione «adorabili, non è
vero?»
Paolo si
arrotola le maniche della camicia fino ai gomiti, lasciando scoperti
gli avambracci. Non stenta a credere che le vere motivazioni per cui il
caso è stato affidato a loro siano ben altre: o per i loro
colleghi il caldo afoso di agosto è insopportabile a tal
punto da dover rinunciare a parte del loro lavoro – e questo
lo dubita fortemente, quegli avvoltoi farebbero qualsiasi cosa per
accaparrarsi i meriti delle indagini altrui, figurarsi se addirittura
si mettevano a donare gentilmente casi che avrebbero potuto mettere in
risalto persone non appartenenti al loro nucleo – oppure
sotto a quella storia c’era qualcosa di più grosso.
«Già»
commenta Paolo, con un sospiro seccato «proprio degli angeli
dal cuore d’oro.»
I colleghi
della scientifica, appurato che Francesco ha finito di fotografare
vittima e scena del crimine, provvedono a coprire il corpo morto a
terra con un lenzuolo bianco, mentre si affrettano a portare il
cadavere via da lì. Con le temperature proibitive di quel
periodo, c’è anche il pericolo che gli agenti
atmosferici provochino delle modifiche molecolari compromettenti nella
salma, il che sarebbe abbastanza problematico per la buona riuscita
delle indagini.
«Comunque»
Francesco si rialza in piedi, spazzando via la polvere dai suoi vestiti
«per ora non sappiamo granché della vittima. Non
aveva documenti con sé, però avrà
avuto al massimo quaranta, quarantacinque anni. Non hanno cercato in
alcun modo di cancellargli impronte digitali o altri elementi di
riconoscimento, per cui possiamo ipotizzare che…»
«Fosse
incensurato» conclude in automatico Paolo. Ha
un’espressione corrucciata in volto, lo sguardo ancora fisso
sulla pozza di sangue a terra, poco distante dal punto in cui, fino a
qualche istante prima, si trovava il corpo della vittima.
«Conosco
quello sguardo» Francesco gli si fa vicino, le braccia dietro
la schiena «è lo stesso che hai ogni volta che
c’è qualcosa che non ti torna.»
Paolo
sospira di nuovo. E da quando in qua Francesco passa così
tanto tempo ad osservarlo da accorgersi di una cosa del genere?
«Ragiona
anche tu: in tutto questa storia non c’è una cosa
che abbia senso» afferma infatti, impensierito
«perché qualcuno dovrebbe prendersi il disturbo di
uccidere un incensurato in un posto dimenticato da Dio come questo?
Potevo capire se si fosse trattato di un latitante o di un qualsiasi
altro genere di delinquente, se invece si tratta di qualcuno che non
è nemmeno schedato capisci anche tu che il tutto comincia a
delinearsi in una maniera abbastanza assurda.»
Per
sottolineare la paradossalità della situazione, Paolo
allarga le braccia, come a voler indicare il luogo
tutt’intorno a loro: si trovano infatti in un capannone
abbandonato, diversi chilometri fuori Roma, nel bel mezzo del nulla
– o quantomeno di una campagna incolta, dove
l’incuria la fa da padrona ormai da almeno un decennio, tra
erbacce alte quasi due metri e rifiuti ingombranti ammassati in piccoli
capannelli a distanza di un paio di metri l’uno
dall’altro – tra le lamiere fatiscenti e il tetto
mancante per metà. Tutto ciò non ha assolutamente
alcun senso.
«Magari
invece non è incensurato, anche se non gli hanno cancellato
le impronte digitali» ipotizza Francesco, portandosi una mano
al mento per riflettere meglio «chi l’ha ucciso
potrebbe aver lasciato qui il corpo, impossibilitato in quel momento a
spostarlo altrove o a cancellarne le tracce, con la convinzione di
tornare qui in seguito per disfarsene definitivamente. Avrà
pensato che tanto, essendo questo un posto abbandonato, nessuno avrebbe
notato o meno la presenza di un cadavere, per cui avrebbe potuto anche
agire con calma…»
«Mi
sembra piuttosto azzardato, come scenario» replica Paolo,
sempre più impensierito «ammesso e non concesso
che il nostro amico qui appartenesse alla malavita, mi spieghi chi
correrebbe il rischio di farsi scoprire lasciando il corpo della
propria vittima qui, specie se il cadavere in questione appartiene a
qualcuno che è schedato? D’accordo, in questo
capannone non ci metterà piede anima viva da anni,
però nelle campagne qui intorno ci sono alcune aziende
agricole e le proprietà di qualche piccolo agricoltore, che
porteranno sicuramente le greggi a pascolare qui intorno…
per cui è impossibile che prima o poi qualcuno non si
sarebbe accorto del puzzo di cadavere proveniente da qui, vento
favorevole o meno. A proposito di questo, il caldo di questi giorni
rende un po’ difficile stabilire da quanto tempo il cadavere
si trovasse qui, tuttavia da quel che possiamo vedere è
impossibile dargli meno di due giorni.»
«Beh,
oggi è lunedì» riprende Francesco,
concentrato al massimo nei suoi ragionamenti «questo apre la
scena a nuove possibilità! Se il delitto è stato
commesso due giorni fa, in un arco temporale compreso tra
venerdì notte e domenica mattina, potrebbe anche essersi
trattato di gesto episodico: magari qualche giovane, stordito
dall’alcol e da chissà quale altra sostanza, dopo
una serata in discoteca… potrebbe starci, dopotutto sono
molti i ragazzi che frequentano questa zona un po’
più appartata, specie di sabato.»
«Non
vorrei sminuire anche questa tua ipotesi, Francesco, sappi tuttavia che
la trovo abbastanza inverosimile» ribatte Paolo, stavolta con
un lieve sorriso «una persona in quelle condizioni non
avrebbe mai la lucidità necessaria per sparare due colpi di
pistola e centrare in entrambi i casi il malcapitato, addirittura in
pieno petto. E poi, che motivo avrebbe avuto? D’accordo lo
stordimento, mi spieghi però perché un ragazzo
dovrebbe essere in possesso di una pistola e, per di più,
dopo aver passato una serata in discoteca se ne andrebbe in giro nelle
campagne romane ad ammazzare gente a caso?»
«Non
lo so, magari anche la vittima si trovava nel locale
dell’assassino, ci aveva provato con la fidanzata del ragazzo
e questi ha deciso di porre rimedio alla faccenda con un regolamento di
conti stile western?» prova Francesco, con
l’abbozzo di un sorriso dipinto in volto.
Per tutta
risposta, Paolo gli lancia un’occhiataccia.
«Okay,
ho detto una cazzata, lo ammetto da solo» si affretta a
riparare Francesco, mentre il sorriso scompare dal suo volto.
«“Sii serio, Francesco, questo è un caso
di omicidio vero, mica un poliziesco in TV”. Va
bene.»
Paolo
distoglie lo sguardo dal suo collega, tornando a fissare la macchia di
sangue a terra; deve essersi allargata parecchio, nel corso dei giorni.
È strano: nonostante quel cadavere si trovi lì
presumibilmente da diversi giorni, in barba alla calura estiva il
liquido non si è seccato. Adesso alcune mosche si aggirano
su di esso, conferendo alla scena un’aria ancor
più macabra.
«Piuttosto,
c’è una cosa che continua a non
tornarmi» ammette infine, con una certa dose di frustrazione
nella voce.
«Sarebbe
a dire?» s’informa subito Francesco, stringendo
lievemente la fotocamera tra le mani.
«Se
l’omicidio è davvero avvenuto qui,
perché la scientifica non ha ritrovato nemmeno un
bossolo?» domanda Paolo, consapevole di aver centrato un nodo
fondamentale della questione.
«Mhh…
l’omicida se li è portati via?» prova a
suggerire Francesco, nuovamente in tono sardonico.
Prima che
gli possa arrivare una nuova occhiata di traverso da parte di Paolo, si
affretta a ritrattare.
«Va
bene, la pianto» commenta infatti, scuotendo lievemente la
testa.
«Comunque,
finché non avremo un riscontro dalla scientifica
è inutile stare qui a fare ipotesi» conclude
Paolo, non senza una certa dose di rassegnazione «per quanto
ne sappiamo noi, l’omicidio potrebbe anche essere avvenuto da
un’altra parte e il corpo spostato qui in un secondo momento
– anche se lo trovo improbabile per i motivi che ti ho
spiegato prima. Ad ogni modo, adesso ci converrà andarcene
di qui, quello che dovevamo vedere l’abbiamo visto. E poi
questo caldo è davvero insopportabile.»
Chiara si
maledice tra sé.
Ancora
poco pratica delle strade di Roma, aveva pensato che affidarsi alla
metropolitana fosse il metodo più efficace per non finire a
Calcutta – o quantomeno evitare di perdersi al suo secondo
giorno in quella nuova città.
Ovviamente,
aveva sbagliato lato della metropolitana, finendo per andare
anziché in direzione della sua nuova
“casa” – Chiara nutriva ancora qualche
remora nel definire in quel modo l’appartamento malandato
dove era approdata giusto il giorno precedente – in quella
opposta, ossia sulla linea per Termini. Fantastico.
Almeno
così avrebbe imparato a controllare se ci fosse un altro
ingresso, la prossima volta. Teresa le aveva detto che la distanza del
loro palazzo dall’università era davvero
irrisoria, per di più si era perfino prodigata nello
spiegarle come tornare facilmente lì – solo che
lei, ovviamente, non aveva capito nemmeno una parola della sua
delucidazione, ancora troppo ignara in merito al nuovo, magico mondo
delle strade di Roma. O almeno, così appaiono davanti ai
suoi occhi, abituati alla realtà rurale di Pristino
– per cui all’apparenza inconciliabili con
l’attuale dimensione in cui si trova.
Un’altra
cosa che avrebbe dovuto sicuramente evitare di fare era quella di
lanciarsi sul primo treno disponibile, senza nemmeno controllare sulla
mappa lì accanto se andasse nella direzione giusta o meno.
Solo che vedere il vagone lì, davanti a sé,
l’aveva inondata di energia, come se una scarica elettrica
avesse percorso da capo a piedi il suo corpo… e se poi non
fossero più passati mezzi per delle ore? No, doveva salire
su quello, assolutamente.
La
verità, constata amaramente Chiara, è che stava
ragionando ancora con la mentalità di una ragazza che viveva
in un paesino sperduto nel cuore dell’Italia. Ora che si
trova a Roma, però, le cose sono notevolmente cambiate.
Sembra ricordarsi solo in quel momento, infatti, che tra le altre cose
Teresa le aveva detto anche che lì la metropolitana e i
treni in generale passano praticamente ogni minuto. Chiara ricorda che
a Pristino passava solo un treno, due volte al giorno, al mattino e
alla seria. Probabilmente le ci vorrà ancora un
po’, prima di abituarsi a quella nuova routine.
Tra
l’altro, aveva vissuto tutta la sua – breve
– permanenza in metropolitana in maniera estremamente
rilassata, le mani strette attorno al sostegno in ferro centrale e lo
sguardo perso in quella folla soffocante di persone. Solo quando dagli
altoparlanti era stato annunciato che la prossima fermata sarebbe stata
quella di Termini, aveva cominciato a farsi venire ben più
di qualche dubbio.
“Beh,
Termini è una stazione molto grande” aveva
valutato tra sé, cogitabonda “se fosse dovuta
andare in direzione di un punto di riferimento così
importante Teresa me l’avrebbe detto, no?”
A quel
punto, aveva alzato lo sguardo, fissandolo sulla piccola mappa della
metropolitana fedelmente riportata sopra le porte del vagone. Se lei
era salita a Policlinico e adesso stava andando in direzione
Termini…
…
allora aveva completamente sbagliato.
Prima che
le porte del vagone si chiudano, Chiara schizza fuori di lì
veloce come una scheggia. Riesce a confondersi in una stazione piccola,
figurarsi nel caos che non fatica ad immaginarsi essere presente a
Termini.
Così,
mentre la metropolitana riparte, Chiara si avvia verso le scale,
lasciandosi alle spalle un mezzo di trasporto pieno di turisti intenti
a conversare in una lingua per lei incomprensibile e passeggeri
d’ogni genere, razza ed età con al seguito enormi
valige e trolley da viaggio.
“Sicuramente
stanno andando alla stazione, saranno in partenza o qualcosa del
genere” commenta mentalmente Chiara.
Nel
frattempo, la ragazza sta frugando in maniera affannosa e confusa nella
sua borsa, alla ricerca del proprio telefono. D’accordo,
è una frana con la tecnologia e riesce a confondersi perfino
con la direzione da prendere in treno – e no, essere in una
città per lei nuova, immensa e totalmente sconosciuta
è solo in parte una giustificazione –
però deve pur trovare un modo per tornare
all’appartamento.
Sta giusto
digitando l’indirizzo dell’abitazione sul
navigatore – e si sente immensamente stupida per questo
– quando una folata di vento la raggiunge in pieno. Strano,
da quello che ne sa lei a Roma non tira un filo d’aria da
settimane…
La mappa
sul suo telefono le sta segnalando che, per andare
dall’università a via Pavia, non avrebbe dovuto
prendere alcuna metropolitana, tuttavia Chiara non ha il tempo
materiale per accorgersene, perché quel vento le sta
portando via i fogli che aveva in mano.
No, i
fogli!
È
andata all’università, per poi puntualmente
perdersi nei sotterranei della metropolitana, al fine di ottenere quei
documenti: sono le ultime pratiche da riempire per
l’ammissione a Psicologia e lei se l’è
appena lasciate portare via così, in quel modo tanto banale.
Chiara non
sa se mettersi a piangere. O forse ad urlare dalla frustrazione.
Tuttavia, l’opzione che al momento le sembra la
più plausibile, quantomeno se ci tiene a preservare la sua
sanità mentale, è quella di mettersi ad inseguire
quei dannati fogli.
Così,
prima di poterci ripensare, inizia a correre dietro ad essi, lo sguardo
puntato in alto a seguire la loro traiettoria attraverso il cielo.
Per sua
immensa fortuna – o più probabilmente per un
ennesimo colpo di malasorte – il vento pare di colpo
placarsi, così che la sua pratica inizia a planare
lentamente verso il suolo, finendo addosso ad un’altra
persona, senza che Chiara possa fare niente per evitarlo.
«Ehi!»
grida istintivamente, mentre si affretta a raggiungere il destinatario
delle sue parole.
È
un uomo, avrà al massimo quarant’anni, i capelli
neri d’ebano e la camicia bianca spiegazzata, le maniche
arrotolate fino ai gomiti. Al momento sta osservando confuso la sua
pratica d’ammissione, la testa leggermente inclinata di lato.
Non appena
la voce di Chiara gli giunge alle orecchie, subito alza lo sguardo
nella sua direzione, la confusione che, seppur attenuata, stenta ancora
ad abbandonare il suo volto.
«È
tua questa?» il suo salvatore solleva appena i fogli,
tenendoli ben stretti in una mano.
Nel
frattempo, Chiara lo raggiunge; tuttavia, prima di potergli rispondere,
è costretta a piegarsi su se stessa, le mani poggiate sulle
ginocchia, mentre cerca di riprendere faticosamente fiato. Non credeva
che la corsa l’avesse sfiancata così tanto.
«S-sì»
si costringe a rispondere infine, sollevando il volto arrossato
«mi dispiace, una folata di vento improvvisa me
l’ha strappata via. Avrei dovuto essere più
attenta…»
«Immagino
di sì» commenta l’altro, restituendole i
fogli «diciamo però che sei stata parecchio
fortunata. Ammissione alla facoltà di psicologia,
eh?»
«Ehm…
già» ammette Chiara, non senza imbarazzo
«ha letto?»
«Temo
si tratti di “deformazione
professionale”» ammette l’uomo, con un
sorriso radioso che gl’illumina il volto.
Chiara sta
già per domandargli quale sarebbe la sua deformazione
professionale, quando d’improvviso sposta lo
sguardo di lato,
notando solo in quel momento che, appeso al muro di un palazzo poco
distante da loro, si trova lo stemma delle forze armate.
Oh.
«Comunque,
piacere» prima che Chiara possa accorgersene,
l’altra persona ha già allungato la mano destra
nella sua direzione «Paolo.»
Chiara
deve fare appello a tutte le sue forze per non lasciarsi sfuggire dei
nuovi commenti monosillabici; per un momento quasi non si accorge
neanche che l’uomo le ha rivolto di nuovo la parola,
tant’è che – quando se ne rende conto
– non può fare a meno di arrossire ancora di
più.
«Chiara,
piacere» si decide finalmente a rispondere, ricambiando
lievemente la stretta di mano e limitandosi a tenere ora lo sguardo ben
basso, fisso al suolo, decisamente in soggezione.
«Mi
pare di capire che tu sia nuova di queste parti» commenta
Paolo, con un sorriso bonario «beh, in tal caso
benvenuta.»
«Oh,
grazie» replica in automatico la ragazza, torturandosi una
ciocca di capelli mentre se la sistema dietro l’orecchio
«è così evidente, eh?»
«Avevi
lo stesso sguardo perso che ho visto negli occhi di tanti turisti in
tutti questi anni, da quando mi sono trasferito qui a Roma. E credo che
lo avessi anche io, i primi tempi qui» spiega lui, scrollando
le spalle. «Questa è una città immensa
e piena di sorprese. Vedrai, ti troverai bene.»
«Spero
solo di riuscire a trovare il modo di riuscire a tornare a casa e di
non perdermi nei labirinti di Termini, adesso» ammette
Chiara, mentre sente le guance farsi sempre più rosse e
calde. «Incredibile, sono arrivata a Roma da due giorni e mi
sono già persa.»
«Ah,
non essere troppo dura con te stessa» la rassicura Paolo,
lasciandole una pacca sulla spalla «vedrai che col tempo
imparerai ad orientarti. In bocca al lupo con
l’università, comunque!»
«Ancora
grazie! Beh, allora arrivederci!» lo saluta Chiara,
voltandosi di scatto e tornando a camminare verso
l’imboccatura della via. Probabilmente al momento si stanno
chiedendo entrambi cosa li abbia portati a dare confidenza ad un
perfetto sconosciuto. Paolo è sempre così sulle
sue, mentre Chiara è un’inguaribile timida, invece
sono quasi riusciti ad intrattenere una conversazione. Che strano.
“Poco
male, tanto questa città è così grande
che, con molte probabilità, non lo rivedrò mai
più in vita mia…” si sta giusto dicendo
Chiara, mentre fa per scendere le scale della metro.
«Ehi!»
d’un tratto una voce la richiama, costringendola ad alzare lo
sguardo.
“…
né tantomeno lo risentirò” finisce in
quel momento di mormorare mentalmente, tuttavia Chiara sa
già di essersi sbagliata per l’ennesima volta,
perché i suoi occhi trovano la conferma a ciò che
le orecchie avevano già intuito: la voce rivolta nella sua
direzione, infatti, appartiene proprio a Paolo.
«Se
non vuoi finire a Termini devi prendere la metro nella direzione
opposta» le fa notare, con un sorriso bonario
«l’ingresso lo trovi dalla parte opposta della
strada.»
Chiara
avvampa nuovamente; riesce a biascicare qualcosa di simile a un
“grazie” un momento prima che l’imbarazzo
prenda il sopravvento su di lei, costringendola a voltarsi e a
schizzare in fretta e furia via da lì.
Paolo
resta a guardare ancora per qualche secondo il punto in cui ha visto
per l’ultima volta quella ragazza, prima che scomparisse,
inghiottita dalla folla onnipresente sui marciapiedi romani. Non
saprebbe dire nemmeno lui perché, eppure, mentre si volta
per rientrare in caserma, pensa distrattamente che la giovane che ha
appena incontrato abbia qualcosa di speciale.
I due
ancora non lo sanno, eppure le loro strade sono destinate ad
incrociarsi
ancora.
Angolo
autrice
Odio il
fatto di non sapere mai cosa dire in questa parte. Forse dovrei
cominciare ad ometterla, eppure è come se –
paraddossalmente – ci fossi
così affezionata da non riuscire a farne a meno.
Oh, perfetto, non ha assolutamente alcun senso.
Bando alle
ciance, so già che adesso arriverà la parte in
cui risulto assolutamente ridicola, per cui vedò di
sbrigarmi e dire subito le cose importanti. Ringrazio anzitutto Gagiord
per essersi presa l'onere di betare tutto ciò. È
una precious cutie, prima o poi troverò il modo per ripagare
tutti i suoi sforzi ♥
Poi,
allora, vediamo: finalmente introduciamo la vicenda su cui
verterà la storia. Abbiamo un omicidio: cosa sarà
successo? Chi è la vittima? E il killer? Oh, beh, credo che
sia ancora troppo presto per tutto ciò, se tuttavia qualcuno
avesse voglia di lanciarsi in qualche volo pindarico in merito, le
ipotesi sono più che benaccette ~
Spero di
essere riuscita a far emergere un po' di più il carattere di
Paolo: essendo un personaggio a cui tengo molto, è chiaro
che più la sua personalità spicca e
più me ne sento appagata. Tuttavia mi rendo conto che sia
ancora un po' presto per esprimere giudizi in merito, per cui proviamo
ad andare avanti e poi magari si vedrà, chi lo sa.
E
dell'incontro tra i nostri due protagonisti, invece, cosa ne pensate?
Io ne prevedo delle belle, tuttavia non vi anticipo altro.
Sono
felice di essere riuscita ad aggiornare ad un mese esatto dalla
pubblicazione del prologo, magari fosse sempre così! Nel mio
piccolo cercherò sempre di mantenere una certa
regolarità con gli aggiornamenti, tuttavia non vorrei
mettermi fretta, altrimenti so già che il risultato dei
capitoli potrebbe essere scadente, perciò... staremo a
vedere ~
E niente,
anche per questa volta credo di aver detto tutto. Grazie a chiunque
leggerà, un commento è sempre gradito
♥ non so se riuscirò a rispondere
perché questo è un periodo un po' incasinato,
però come al solito proverò a fare del mio
meglio, promesso.
Spero che
il capitolo vi sia piaciuto.
A presto
Aria
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