ONE IN
A MILLION
Prologo
Manosque,
Francia
Elijah
si alzò dallo sgabello che oramai occupava tutte le sere da quasi dieci anni,
sorrise al cameriere e si sedette al bancone, dopo aver sfiorato i tasti
un’ultima volta. Non si sarebbe mai stancato del fresco e del liscio della
galalite sotto i suoi polpastrelli, dell’adrenalina che lo pervadeva ogni qual
volta si preparava a suonare. Si sentiva libero e felice, si sentiva leggero e
Dio... era una sensazione magnifica.
Manosque gli
era sempre piaciuta, a volte si ritrovava a chiedersi perché ci avesse messo
così tanto a trasferirsi lì. Aveva visto posti meravigliosi nella sua vita, ma
nessuno come quella piccola perla in Provenza. Tutto era antico e quasi magico
lì e lui si sentiva a casa oramai.
Aveva
un discreto giro di amici, un lavoro che amava, una bella casa, una
meravigliosa fidanzata e tutta una vita da vivere. Sì, non poteva fare a meno
di sorridere.
“Hey
Elijah” gli disse Paul, il cuoco di quel piccolo ristorante in cui suonava
tutte le sere. “La tua bella verrà a sentirti suonare domani? È da un po’ che
non si fa vedere, va tutto bene tra voi?”
L’altro
sorrise. “Benissimo. Ha solo molto da fare. La Pâtisserie ha preso il
volo, ci sono parecchie ordinazioni e un viavai continuo di gente. Stiamo
persino pensando di ingrandirla e mettere dei tavoli, così i clienti potranno
sedersi per mangiare un dolce, invece di essere costretti a portarlo via.”
Paul
scosse il capo pensieroso, poi abbozzò un sorriso. “Solo alla tua fidanzata
poteva venire l’idea di chiamare una pâtisserie, Pâtisserie.”
Elijah
rise. “Nella sua poca originalità, è un nome originale però, devi ammetterlo.”
“Sarà”
sbuffò il suo interlocutore. “Ad ogni modo, portale i miei saluti. E” gli mise
davanti due sacchetti di carta. “Hamburger e patatine alla paprica, come
piacciono a lei.”
“Grazie
Paul” replicò l’altro poggiando dieci dollari sul bancone e avviandosi verso
l’uscita. “Ci vediamo domani.”
Fuori
la serata era calda e piacevole, il cielo era pieno di stelle e tutto andava
bene. Con un sorriso raggiunse l’auto.
****
“Io
detesto fare i conti” la donna si versò un bicchiere di vino, guardò i fogli
sparpagliati sul tavolo, e infine abbassò lo sguardo verso il cane. Lola, si
chiamava così, era una palla di pelo color champagne che aveva trovato qualche
anno prima per strada. Quando l’aveva vista la prima volta aveva solo tre mesi
e se ne stava tremante ai piedi di un grande albero, sotto una pioggia
torrenziale. L’aveva avvolta nel suo cappotto e l’aveva portata a casa con sé e
da allora non si erano mai più separate. Elijah poi la adorava, non faceva
altro che coccolarla e viziarla. Ha sofferto abbastanza, ora ha solo bisogno
di amore. Tanto amore, diceva sempre.
Un
po’ come te avrebbe voluto replicare lei ogni vota, ma non
lo faceva mai perché...
“Sono
a casa!” urlò proprio lui dall’entrata. La porta si richiuse alle sue spalle, i
pensieri di lei si rifugiarono di nuovo nell’angolo di cervello in cui dovevano
stare. “E ho portato la cena.” Lola scattò in piedi e come un razzo corse verso
la porta, come faceva ogni sera e la donna rimase sola col suo bicchiere di
vino.
“Incredibile”
mormorò versandone uno anche ad Elijah. “Lui arriva ed è come se io smettessi
di esistere.”
“Ciao
bellissima” Elijah le posò un bacio sui capelli. “Scusa se ho tardato. Paul ti
manda i suoi saluti e le patatine fritte alla paprica.”
“Amo
Paul, lo amo davvero! È come se riuscisse a leggermi nel pensiero, mi manda
sempre il cibo giusto nelle serate giuste.”
Il
suo fidanzato rise. “Ho pagato per questo cibo. È me che dovresti amare.”
La
donna aprì una delle buste e ne tirò fuori una patatina che mangiò in due
bocconi. “Ho abbastanza amore per entrambi” scherzò voltandosi a guardarlo:
alcuni ciuffetti di capelli gli ricaddero sulla fronte quando si girò per
ricambiare il suo sguardo. Gli occhi scuri e malinconici, sempre un po’ velati
nonostante il sorriso.
“Che
c’è?” le chiese in un sussurro.
Lei
alzò una mano e gli accarezzò una guancia con dolcezza. “Ti amo” gli disse
spostando i ciuffetti dalla fronte con le dita dell’altra mano. “Tutto qui.”
Elijah
si piegò per baciarla. “Anche io ti amo.”
“Non
quanto io amo te” scherzò lei. “Ma non dirlo a Paul.”
Lui
rise di nuovo, lo faceva spesso, le prese il viso tra le mani e la baciò di
nuovo, più profondamente, con dolcezza. Pensò che la sua bocca sapeva di vino,
paprica e famiglia. Sapeva di tutte le cose che lo facevano stare bene. “Ah
Allison Morgan” le disse rompendo il bacio ma tenendola abbracciata. “Come ha
fatto una come te ad innamorarsi di uno come me? Dovrò ringraziare la sorte per
il resto dei miei giorni.”
Allison
sorrise appena. Era lei che doveva ringraziare la sorte o meglio, doveva
ringraziare Marcel, per aver cancellato ogni brutto ricordo dalla mente di
quell’uomo stupendo e felice che era il suo tutto da oramai tanti anni.
“Hai
fame?” gli chiese. “Perché io sto morendo e quelle patatine mi stanno
chiamando. Riesci a sentirle?”
Elijah
finse di mettersi in ascolto. “No, non sento niente. Eccetto il tuo cuore che
batte all’impazzata. Stai bene, amore mio?”
Lei
deglutì a vuoto ignorando quella brutta sensazione che la infastidiva da
giorni. “Sì, sto bene.” Un altro bacio, poi la cena. Esattamente come ogni sera.