ReggaeFamily
FIRENZE
Eravamo
sulla terrazza dell'albergo, non c'era molto fresco a dire il vero,
ma si stava discretamente bene. Tenevo tra le mani un libro e me lo
rigiravo tra le dita, senza decidermi ad aprirlo.
Il
giorno prima di un concerto era sempre così, mi sentivo
leggermente irrequieto e mi risultava difficile fare tutto ciò
che facevo di solito. Sospirai appena e spostai lo sguardo su Shavo,
il quale armeggiava con il suo cellulare e borbottava qualcosa di
incomprensibile.
«Che
ti prende, Odadjian?» gli chiesi.
«Uhm»
grugnì il bassista.
«Mi
rispondi decentemente?»
Shavo
alzò lo sguardo su di me e sospirò. «John, io non
ho voglia di avere nuovamente a che fare con i fan. Stasera mi hanno
sfiancato.»
Risi
brevemente con una punta di amarezza. «Intendi rinchiuderti in
albergo fino a martedì? Oggi è solo sabato» gli
feci notare.
«No,
ma... che rottura. Oggi è successo di tutto, non riuscivo a
fare due passi senza incappare in qualche esaltato che voleva una
foto o un autografo» spiegò, gesticolando con lo
smartphone in mano.
«Attento,
se ti scivola quello, sei fottuto» commentai. «Lo so,
Shavo. Ma siamo a Firenze, ti pare logico che dobbiamo stare qui a
marcire in albergo? Okay, la vista sull'Arno è stupenda, ma
questa città ha tanto altro da dirci.»
«Forse
dovremmo uscire di notte» commentò il bassista.
A
quel punto mi venne seriamente da ridere. «Sei assurdo. Ti
rendi conto che in questo posto non c'è tregua? A tutte le ore
del giorno e della notte c'è vita, è pieno di turisti e
di persone che fanno baccano in giro per le strade...»
osservai.
Shavo
scosse il capo. «Firenze»
pronunciò in italiano, lentamente, sentendo la forma di quelle
lettere nella sua bocca.
Lo notai perché
ripeté più volte il nome della città, cercando
di renderlo più simile al modo corretto di pronunciarlo.
«Ci volevamo venire da
una vita, ricordi?» gli chiesi.
«Sì,
certo, a Firenze ci
sono tantissime cose meravigliose da visitare. Ma dobbiamo sempre
guardarci le spalle, a te non rompe i coglioni?» sbottò
ancora il mio collega, mettendosi in piedi e appoggiando i gomiti
sulla balaustra in ferro battuto.
Abbandonai il libro sulla
sedia e mi misi di fianco a lui, perdendo gli occhi sui riflessi
chiari che la luna faceva scintillare sulle acque tranquille del
fiume sotto di noi. «Un po' sì, ma tu hai più
seguito di me» lo canzonai, dandogli di gomito.
«Stai sbagliando
persona, quello è Daron.»
«Giusto. Ma sappi che,
se vuoi uscire, mi offro per farti da guardia del corpo» gli
proposi.
Lui sorrise e mi restituì
una leggera gomitata. Poi portò gli occhi sulla strada
sottostante e aggrottò la fronte. «Spero di star vedendo
male» mormorò.
Aguzzai la vista e seguii la
direzione del suo sguardo. Notai che in strada, poco distanti
dall'ingresso del nostro albergo, un gruppo di ragazzi e ragazzi
chiacchierava e setacciava attentamente la struttura in cui ci
trovavamo. «Ti cercano, Odadjian» lo presi in giro.
«Spiritoso. Ora mi
metto a gridare e gli dico che sei qui, poi scappo dentro e te la
vedi tu» mi disse in tono ironico.
«Di me non se ne fanno
niente.»
Shavo osservò ancora
l'Arno e rifletté: «Mi piacerebbe tuffarmi da qui a lì.
Sarebbe emozionante».
«Certo, e ti
spaccheresti la testa sul fondo.»
«Sei sempre bravo a
distruggere i miei film mentali. Come fa tua moglie a sopportarti,
Dolmayan?»
Feci spallucce. «Puoi
chiederglielo, sono certo che anche lei saprebbe rovinare i tuoi
stupidi film mentali.»
«Siete irrecuperabili»
sospirò lui infine, mollandomi un pugno sulla spalla.
«Che male» finsi
di lamentarmi.
«Sei credibile, eh.
Ah, John, a che ora comincia lo spettacolo?» mi domandò
il bassista all'improvviso.
«Quale spettacolo?»
Shavo sorrise. «I
fuochi d'artificio. Quel tassista ha detto che oggi ci sarebbero
stati, ma non ricordo a che ora.»
«Giusto»
mi illuminai. «Mi pare che abbia detto verso
le dieci...» Consultai il mio orologio da polso e annuii.
«Mancano ancora dieci minuti.» All'improvviso mi rabbuiai
e mi lasciai sfuggire un piccolo sospiro.
Shavo se ne rese conto e mi
posò una mano sulla spalla. «Che c'è?»
volle sapere.
«Vorrei che mia figlia
li vedesse, ma ora non è possibile. È troppo tardi»
gli confessai con una vena leggermente malinconica nella voce.
«Lo so, anche io
vorrei che i miei due mostriciattoli fossero qui. Gli piacerebbero un
casino i fuochi d'artificio. Ma sai, John, Emma avrà tempo per
vederli. Ora non li ricorderebbe nemmeno» tentò di
rassicurarmi il bassista.
Ci pensai un attimo su. «Hai
ragione. Però ogni tanto mi faccio prendere dalla malinconia,
dev'essere per colpa del concerto di domani...»
Shavo
scoppiò a ridere. «Ah, ma se siamo in tour da settimane.
All'improvviso ti senti tu in
ansia? Tu e non io?»
mi canzonò.
«Tu sei un caso
perso.»
«Grazie, eh. Andiamo,
Dolmayan!»
Annuii.
«Il fatto è che siamo a Firenze»
commentai.
Il bassista alzò gli
occhi al cielo. «E allora? Cos'è tutto questo
romanticismo improvviso? Mi sa che la signora Dolmayan dovrà
preoccuparsi, corro a dirle che ti stai rimbecillendo!»
Gli strinsi con forza il
braccio. «Cretino. Ci sono città più magiche di
altre.»
«Sì,
è vero. Su questo ti do ragione, ma detto da te non
è affatto credibile!» scherzò ancora lui.
«Sta' un po' zitto...»
Shavo stava per ribattere
quando un boato improvviso mi fece sobbalzare e il cuore schizzò
a mille nel petto. «Cazzo...» farfugliai.
Avvertii la mano del mio
amico sulla spalla. «Tranquillo, sta solo iniziando lo
spettacolo. Non è un temporale» mi rassicurò in
tono gentile.
Spostando gli occhi verso
destra, notai che alcune scintille luminose stavano salendo sulla
distesa buia, producendo un fischio assordante. Questo durò
solo un istante, poi un altro rombo esplose nell'aria, impregnandola
e facendola risplendere di luce e colori.
Mi accorsi che Shavo aveva
impugnato il suo cellulare e si apprestava a filmare l'evento.
«Adesso faccio una ripresa, almeno quando Emma sarà più
grande, glielo farai vedere.»
Ero certo che non lo stesse
facendo solo per questo, aveva la strana abitudine di riprendere ogni
singolo avvenimento della sua vita, che fosse attraverso delle foto o
dei video, perciò per me non era stata una sorpresa notare che
si era già armato di smartphone.
Rimasi immobile a osservare
quell'arcobaleno che illuminava tutto il cielo e sembrava quasi
abbattersi sul nostro albergo; nell'aria aleggiava un lieve odore di
polvere da sparo e l'ambiente circostante veniva illuminato a giorno
dai fuochi artificiali.
«Guarda
sul fiume, John!» gridò Shavo all'improvviso.
Seguii il suo suggerimento e
mi ritrovai a bocca aperta nell'osservare la magia che quelle
girandole di colori stavano producendo sulla superficie dell'acqua;
insieme alla luna, i riflessi multicolore si specchiavano e
scintillavano sull'Arno, creando una giravolta iridescente che mi
faceva quasi girare la testa.
«Che roba...»
sussurrai tra me e me. Il rumore dello spettacolo pirotecnico aveva
sicuramente impedito a Shavo di udirmi, ma il bassista sembrava molto
più interessato a immortalare il momento, piuttosto che
ascoltarmi.
A me andava bene, perché
mi stavo piuttosto emozionando ed era meglio così, dato che
non volevo che il mio amico mi prendesse per il culo per il fatto che
i miei occhi si fossero leggermente inumiditi. Mi chiesi dove fosse
mia moglie, se si stesse divertendo con sua sorella e con Sonia, se
anche loro avessero trovato un buon punto da cui osservare quel
magnifico spettacolo.
«Non finiscono più!
Incredibile, ma in questo posto sono magici!» esclamò il
mio collega, con i gomiti poggiati sulla balaustra e il cellulare
sempre stretto tra le mani.
Gettai un'occhiata
all'orologio da polso e rimasi strabiliato: era trascorso già
un quarto d'ora dal primo rombo, e la cosa sembrava non essere ancora
in fase di concludersi.
«Già,
oh, guarda che forza questi! John, ma dove siamo finiti?! Io mi butto
davvero nell'Arno da quassù!»
strillò il bassista in fibrillazione. «Questa cosa mi
sta gasando un sacco!»
«Non essere stupido, a
Sonia prenderebbe un colpo» mi allarmai, notando che il mio
amico si sporgeva pericolosamente dalla terrazza.
«Chissà se lei
e le altre li stanno guardando, aspetta... chiamo Sonny, vediamo che
mi dice!» Shavo sembrava un bambino di due anni mentre
interrompeva le riprese e cercava in rubrica il numero di sua moglie.
Si portò il cellulare all'orecchio sinistro e attese con
impazienza, agitandosi sul posto. «Sonny! Stai guardando i
fuochi artificiali?» strepitò non appena lei ebbe
risposto.
Mi
accostai a lui per cercare di cogliere qualche stralcio delle
risposte di Sonia, ma Shavo si tappò l'orecchio destro e prese
a strillare: «Cosa?! Non ti sento bene, ripeti!... Dove siete?!
Su una tribuna?... Che culo allora, li vedete bene?... Dai, sul
serio? Angela soffre di vertigini, lo so, ma sul serio non vi ha
seguito sulle tribune solo per questo?».
«Non urlare, mi stai
ammazzando i timpani!» lo rimproverai, battendogli forte sulla
schiena.
«Ohi, Dolmayan, taci!
Non capisco!... Sonny, hai visto che bello, eh? Dall'hotel si vedono
benissimo, forse sareste dovute stare qui!»
Mi
guardai preoccupato intorno, poi feci qualche passo verso la
portafinestra che conduceva alla mia stanza. Gettai un'occhiata
all'interno e costatai che Emma dormiva tranquilla, non sembrava
essersi accorta di nulla. I doppi vetri istallati alle finestre
facevano il loro dovere, ne ero contento.
«Diana vuole sapere
come sta Emma!» mi disse Shavo, voltandosi per un attimo nella
mia direzione.
«Dorme, per fortuna»
affermai.
Shavo riferì quella
notizia a Sonia, poi scambiò con lei qualche altra battuta e
infine riagganciò. Ricominciò a filmare i fuochi
d'artificio che ancora scoppiavano in cielo e mi facevano accapponare
la pelle.
Il mio orologio segnava le
dieci e ventisei, era passata quasi mezzora e ancora stavamo là,
con il naso per aria, ad ammirare quel fenomeno pazzesco. I giochi di
luci erano mozzafiato, alcuni fuochi rimanevano silenziosi ed
esplodevano senza produrre alcun rumore, altri erano talmente forti
da farmi sobbalzare; ma nel complesso era tutto perfetto, tutto
estremamente formidabile.
All'improvviso i boati si
fecero più forti, simbolo che l'intrattenimento stava per
concludersi. Rimasi immobile a godermi gli ultimi minuti di pura
bellezza, pensando a tutto e a niente.
«Siamo
a Firenze, cazzo!»
sbottò Shavo colmo d'entusiasmo. Smise improvvisamente di
filmare, ripose il cellulare in tasca e mi travolse con un abbraccio
fraterno. «Ci siamo davvero, John!»
«Hai ragione! Sapevo
che ci avrebbe riservato qualcosa di così bello»
confermai, concordando appieno con lui.
«Ti è passata
l'agitazione per domani?» si informò Shavo, lasciandomi
andare.
Prima di poter rispondere,
dovetti attendere che gli ultimi boati squarciassero l'aria, poi
partecipai alle grida e agli applausi generali che si espansero per
l'albergo e in strada.
Infine mi voltai a guardare
il mio collega: indossava una maglia bianca, un paio di bermuda e
delle semplici scarpe da tennis in tela. Era rilassato, felice,
sprizzava gioia da tutti i pori, così tanta da farmi quasi
scoppiare a ridere. Aveva davvero l'atteggiamento di un bambino di
sette anni che va per la prima volta al luna park.
«Certo che mi è
passata. Ma sappi che racconterò ai tuoi marmocchi questa
scena raccapricciante, gli dirò che ti sei comportato da
cretino per degli stupidi fuochi artificiali.»
Shavo mi mollò uno
scappellotto. «Ma piantala, hai gli occhi lucidi pure tu,
Dolmayan.» D'un tratto afferrò il suo cellulare e mi
scattò una foto a tradimento, per poi strizzarmi l'occhio.
«Così ho qualcosa con cui ricattarti e tu terrai la
bocca chiusa.»
Mi strinsi nelle spalle. «Tu
e la tua stupida fissa per la tecnologia...»
Shavo ridacchiò e si
frugò nuovamente in tasca, estraendone un pacchetto di
sigarette. Ne portò fuori una e l'accese con il suo Zippo, poi
si appoggiò nuovamente alla balaustra in ferro battuto e
commentò: «Eddie Vedder ora può cominciare il suo
spettacolo».
Gli rubai una sigaretta e la
accesi a mia volta, usufruendo anche del suo accendino. «Spero
gli vada bene.»
«Spera che vada bene a
noi» osservò il bassista.
«Ma
sì, non preoccuparti. Siamo a Firenze,
no? Qui va tutto bene» affermai. Ormai sia io che lui stavamo
provando parecchio gusto a pronunciare il nome della città in
italiano, sembravamo due cretini ma non ci importava poi tanto.
«Già. Ecco, è
tornato tutto alla normalità» disse Shavo.
«Cioè?»
mi informai leggermente confuso.
«Cioè che io ho
l'ansia e tu no.»
«Che stupido.»
Tirai una boccata dalla mia sigaretta e mi soffermai sugli anelli di
fumo che salivano verso l'alto e si disperdevano nell'aria umida
della notte. «Quindi le nostre donne dove sono finite?»
cambiai argomento.
Shavo prese a grattarsi
distrattamente l'avambraccio. «Ah, hanno trovato un posto in
una certa piazza, aspetta... com'è che l'ha chiamata Sonny?
Piazza Croce... dice che hanno allestito delle tribune per non so
quale evento, e una volta cominciato lo spettacolo, un sacco di gente
si è arrampicata fin lassù per poterselo godere!
Maledette zanzare... mi stanno uccidendo le braccia!» sbottò
infine, continuando a grattarsi furiosamente.
«Così peggiori
solo la situazione! E Angela è rimasta di sotto?»
Shavo
annuì con aria divertita e infastidita allo stesso
tempo. «Certo, avevi forse qualche dubbio?»
Scossi il capo. «Certo
che no!»
Il mio amico proseguì
a grattarsi il braccio e a un certo punto batté con forza una
mano sul polso, cercando invano di schiacciare uno di quegli insetti
infernali.
Scoppiai a ridere per
l'ilarità del momento; così facendo scatenai la sua ira
e il mio amico cominciò a pontificare sul fatto che io fossi
fortunato perché il mio sangue era amaro e neanche gli insetti
avevano voglia di nutrirsene.
«Che idiota, Odadjian,
sei proprio un caso perso!» lo accusai scherzosamente.
«Sai che c'è?
Io me ne esco, arrangiati.»
«Come sarebbe a dire?
Non hai paura di quei fan che sono appostati da ore qua sotto?»
lo punzecchiai, controllando se il gruppetto che avevo adocchiato
poco prima fosse ancora sotto il nostro albergo. I ragazzi erano
ancora lì e non sembravano intenzionati a spostarsi.
«Uscirò dal
retro» disse il bassista con semplicità, avviandosi
verso la portafinestra.
«Così non vale,
io sono un padre di famiglia e devo stare qui mentre tu esci a
spassartela?!» Gli andai dietro, fingendo di volerlo fermare.
«Non me ne frega»
borbottò, mentre cercava di trattenere le risate. Si fece
improvvisamente serio e cercò il mio sguardo. «Se vuoi
rimango a farti compagnia» aggiunse.
Lo
spinsi verso la soglia e lo mandai al diavolo, intimandogli
di uscire prima che lo buttassi giù dal terrazzo e gli facessi
davvero conoscere l'ebbrezza di un volo nell'Arno.
«Va bene, va bene!»
si arrese.
«Ma sappi che hai
perso una guardia del corpo» gli dissi.
«Chiederò aiuto
a Sako.»
Alzai gli occhi al cielo.
«Allora siamo fottuti. E poi ti ricordo che lui è il mio
tecnico, quindi farà ciò che gli dico io.»
«Come no, Dolmayan! Ci
vediamo domani, buona serata da padre di famiglia.»
«Buona fortuna con i
fan!» conclusi, per poi lasciarlo passare. Lo osservai mentre
entrava in silenzio nella stanza dove mia figlia stava riposando, poi
sgusciò in corridoio e richiuse piano la porta.
Richiusi a mia volta la
portafinestra e mi riaccostai alla balaustra, appoggiando nuovamente
i gomiti su di essa. Osservai il cielo ormai scuro e silenzioso,
mentre i rumori della città sottostante facevano da sottofondo
ai miei pensieri.
Mi sentivo meglio, la magia
di Firenze mi stava pian piano avvolgendo e sicuramente avrei serbato
un bellissimo ricordo di quella tappa del tour europeo.
Udii un rumore provenire
dall'interno della mia stanza e compresi che Emma si era svegliata e
stava piangendo. Sospirai appena e sorrisi, preparandomi per
rientrare e confortare la mia bambina.
Ero decisamente troppo
felice che lei e Diana mi avessero seguito in tour, non avrei saputo
come fare senza di loro per tutto quel tempo. E per questo ero grata
ad Angela, la quale aveva convinto sua sorella a unirsi a noi e le
aveva fatto capire che sarebbe andato tutto bene e che
quest'esperienza le sarebbe piaciuta e rimasta nel cuore.
Ero certo che Diana si
stesse divertendo e questo mi riempiva l'animo di gioia, una gioia
infinita e difficile da descrivere.
Quando mia moglie rientrò,
mi trovò sul letto con Emma tra le braccia e lo sguardo
vigile, perso nel vuoto e in pensieri che non sapevo mettere in
ordine o classificare.
Si sdraiò accanto a
noi e si addormentò poco dopo, senza dire nulla o produrre
alcun rumore.
C'era solo la calma e
l'atmosfera strepitosa di quella magica città.
«Firenze»
mormorai a fior di labbra, poco prima di scivolare a mia volta in un
sonno ristoratore.
*
* * * *
Cari
lettori, so che vi aspettavate un aggiornamento della mia long, ma
oggi invece ho deciso di regalarvi questa piccola OS.
Ecco,
sapevo che sarebbe successo, sapevo che il mio viaggio a Firenze per
il concerto dei System avrebbe portato fuori qualcosa del genere,
sono fin troppo prevedibile, vero? Eheheheheh :D
Per
questa breve storia ho preso ispirazione da ciò che è
realmente successo a Firenze il 24 giugno; era la festa di San
Giovanni e verso le dieci di sera ho potuto assistere ai fuochi
artificiali più belli della mia vita. Mi trovavo sulle tribune
in Piazza Croce, quelle citate da Shavo, su cui ho immaginato si
fossero arrampicate Sonia e Diana per assistere allo spettacolo ^^
Vi
posso assicurare che è stato bellissimo e, mentre mi trovavo
nel bel mezzo di tanta magnificenza, mi sono chiesta se anche i
ragazzi la stessero ammirando da un altro punto della città.
Allora mi è subito venuto in mente Shavo, ho pensato che lui
sicuramente lo stava facendo, magari in compagnia di John...
Ed
ecco a voi questa shot, nata per caso e intrisa della magia che io ho
sentito sulla pelle mentre ero lì; non è stato bello
solo il concerto dei System, ma anche l'incontro con una città
meravigliosa come Firenze e tutto ciò che c'è stato a
corredo.
Spero
vi sia piaciuto e abbiate apprezzato i miei riferimenti alle famiglie
dei nostri amati ragazzi. Devo ringraziare, come sempre, la cara
Stormy per avermi raccontato delle cose che poi hanno fatto spuntare
delle idee per questo scritto, lei è sempre una fonte
inesauribile di info e di cose che ispirano, ahahahahah :'D
Alla
prossima e sappiate che giovedì prossimo aggiorno la long,
promesso ♥
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