A volte a Lenalee
viene voglia di distruggere le rovine del mondo.
Non lo fa mai.
D’altronde, si
giustifica, a tutti capita di conservare una o due bambole rotte in cantina.
{ Le rovine del
mondo }
( => rovine : città = ricordi : persone)
Act 0.
Prologo
ovvero
di come la vita
(non) va avanti,
e di come i
fantasmi finiscono comunque per rovinartela
La nuova Sede dell’Ordine Oscuro ha un giardino interno: a
Kanda piace stare lì.
Da solo.
E’ una delle piccole costanti dell’Ordine: lo si può
vedere lì seduto in qualunque stagione, in qualunque momento. E’ lì con il
sole, con il vento, con la pioggia e con la neve – e di solito ci rimane finchè
la signorina che ha sostituito la matrona, esasperata, non viene a pregarlo ‘signor
Kanda, per favore, non fa bene alla sua salute!’.
Marie la accompagna sempre, e quello è l’unico motivo per cui Kanda si ritrova,
ogni tanto, a rientrare all’asciutto.
Eppure è un luogo così perfetto per meditare. Il
suo qi è terribilmente turbato, da un anno a questa parte, e sedersi
alle radici della grande quercia al centro del cortile lo aiuta, in qualche
modo, a ritrovare il suo baricentro.
Effettivamente è proprio in momenti come questo, che si sente la mancanza del
vecchio Bookman: il Panda – oh, Lavi – sarebbe riuscito perfettamente a
dargli una mano con questo problema di innegabile squilibrio di energia
interno.
Ma il vecchio Bookman non c’è.
E oggi fa freddo, e Kanda si ritrova a contare i minuti prima che la signorina
infermiera non si fiondi alla sua ricerca, perché-ha-saltato-la-visita-delle-cinque.
Sospira. Poi, inspira ed espira. Piano.
Quattro cicli di respirazione completa, e riesce persino a smettere di pensare.
Ne è grato, perché ha proprio bisogno di abbandonare il
mondo per un po’.
“Siamo proprio come insetti, ne,” trilla una voce alla sua
destra, e il miraggio del Nirvana sembra inspiegabilmente lontano. E’ una voce
che sorride, e sa di donna che gioca ancora ad essere bambina.
Lenalee.
Il quinto respiro abbandona le labbra più frettolosamente dei primi quattro, e
Kanda non può fare a meno di esserne vagamente indispettito.
Non apre gli occhi, ma si limita a chinare appena il capo
d’un lato.
Vaga rassegnazione, i capelli gli solleticano lo zigomo.
“Chiusi in una scatola. Non ti sembra di essere chiuso in
una scatola, con questo cielo grigio…?”
Ma i raggi di sole filtrano anche quella coltre di nubi, e
poi quello che Lenalee dice quando sono da soli non ha più senso da anni,
ormai.
“Mi fa venire voglia di smettere di respirare.”
Passi. Calpestano l’erba secca e la foglie secche, ed il
piccolo tonfo gli suggerisce che la donna – ragazza, amica d’infanzia,
compagna, superstite – si è seduta poco più in là. Le foglie protestano.
Ecco, adesso il qi sarà scombussolato di nuovo.
Merda. Ma davvero, è anche colpa sua.
Non riesce più a concentrarsi come si deve da troppo tempo, ormai.
“Però, ne, Yuu,” continua Lenalee, come se niente
fosse. “Dio è stato gentile, oggi. Guarda.”
Guardare non ha senso, perché non c’è niente da vedere. Ma
il tono è talmente cristallino e puro, che gli ricorda quasi una Lenalee
ragazzina ed innamorata.
Ah, Dio-in-cui-non-crede-più-nessuno. Che bei tempi erano quelli.
Schiude le palpebre, guardandola distrattamente con la coda dell’occhio: lei ha
gli occhi profondi e dispersi altrove.
Guardano in alto, verso il Paradiso.
Sorride, e le ciocche corte – ha di nuovo tagliato i capelli come lui,
quando la smetterà? – le solleticano la nuca.
Con un sospiro, Kanda solleva lo sguardo al monotono cielo
grigio, e agli sprazzi di cielo che si affacciano tra le nuvole scure.
Pioverà, pensa. Stupida, irritante signorina-matrona.
“Ha fatto dei buchi nella scatola, vedi? Gentile da parte
sua. Forse ha capito che anche noi abbiamo bisogno di respirare…”
La voce di Lenalee si abbassa, e Kanda smette di
ascoltarla quando inizia a borbottare ‘ah, anni, anni, ci sono voluti anni…’
La sua voce tranquilla scema nel silenzio di un sospiro
soddisfatto.
Lenalee non ci sta decisamente più con la testa,
pensa Kanda, mentre torna a far finta di meditare.
Sospira anche lui, ma ormai la sua è semplice rassegnazione.
Gira voce, negli ampi corridoi della Sede, che il Generale
Lee e il Generale Kanda siano amanti.
Non c’è davvero altra spiegazione al modo in cui li si
vede spesso camminare insieme, e mangiare insieme, e compilare dossier insieme,
e generalmente appoggiarsi l’uno all’altra come bambole stanche che si
sostengono a vicenda da sedute, ben dritte, su una mensola.
E non c’è davvero altra spiegazione al modo in cui il
Generale Lee sembra particolarmente abile nel girare e rigirare il Generale
Kanda attorno al suo mignolo. Guardarli è una piccola commedia, che ricorda
nostalgicamente la vecchia favola della Bella e la Bestia.
Difficile stabilire, tuttavia, dove finisca la Bella e
dove finisca la Bestia.
Il Generale Lee è una bella donna. Una bella donna molto
forte – si bisbiglia che sia stata lei la prima a portare l’innocence
alla sua nuova evoluzione di cristallo.
Si bisbigliano leggende di akuma dalle sembianze d’angelo, e innocence liquida
e bracciali di sangue.
E’ una donna gentile che sorride spesso.
Ed è anche un po’ matta, ma bisogna passare un po’ di
tempo con lei per rendersene conto. I suoi apprendisti, spesso contenti di
essere sfuggiti alla tutela del Signor Kanda, finiscono per rimangiarsi ogni
grido di giubilo.
Perché Lenalee Lee è un pessimo connubio di ragazza,
bambina, e madre iperprotettiva – un connubio che ti fa sperare, se mai dovessi
finire nelle grinfie di un akuma di cattivo umore, di morire sul colpo e
non dover affrontarla al riguardo.
Al Generale Kanda, invece, non importa se ti fai male.
Importa solo che venga portata a termine la missione – e anche in quel caso, da
lui non si ottiene mai un riconoscimento. Mai. Ci pensa il Generale Lee, a
dirti che ‘Yuu’ le ha detto che è fiero di te.
Helen Goldwing è la nuova esorcista che Dio ha donato
all’Ordine, un misero contentino dopo mesi di religioso silenzio. Helen
è una ragazza sul punto di diventare donna. Sufficientemente di bell’aspetto,
anche, se si ignora l’occhio rosso di sangue con cui l’ha graziata la
sua innocence parassita.
Medusa, l’hanno chiamata. La sua innocence.
Non è un nome lusinghiero.
E’ semplicemente orrido.
E come se non bastasse, risulta essere anche inutile, dal
momento che il Generale Kanda la guarda dritto in quell’occhio e tuttavia non
ne viene affatto pietrificato.
“Bridget,” esordisce, invece, e la sua voce è talmente infastidita
da far venir voglia ad Helen di ricoprirsi l’occhio con la sua piccola e fidata
benda da pirata, e nascondersi mortificata in un angolino e non uscirne mai
più.
Bridget Fay, Supervisore dell’Ordine, accavalla le gambe
sotto la scrivania e solleva appena lo sguardo, al di là degli occhiali. “Una
firma qui, prego,” non sorride, ma non è una persona che da l’impressione di
sorridere spesso.
Tamburella invece l’indice su un foglio – un dossier?
– sostenendo lo sguardo dell’asiatico.
Il signor Kanda batte ciglio – ed in fondo è un bell’uomo,
anche se sembra molto stanco e non troppo in salute. Begli occhi, belle ciglia
ed Helen è cresciuta per strada, quindi si ritrova anche a pensare
distrattamente bel culo.
“Non voglio gente come lei,” sta dicendo, però,
quel bell’uomo. E la voce è talmente gah! che alla lista Helen si
ritrova ad aggiungere anche ‘carattere di merda’.
“Razzista!” protesta invece, per amor della censura, ad
alta voce. La parola sembra scuoterlo un pochino, ma finisce semplicemente per
farlo sembrare più nauseato di prima.
“Dalla a Lenalee,” è l’unica cosa che commenta,
voltandosi drammaticamente verso la porta – e chi si crede di
essere - con un ondeggiare eccessivo e sicuramente abusivo di quella tenda
che si ritrova per capelli. “Ne sarà estasiata.”
Qualcosa, nel modo in cui lo dice, non le piace per
niente.
Sarà che un aggettivo del genere suona male, se intriso di
veleno.
Fa per replicare – qualsiasi cosa, la lingua biforcuta
ce l’ha – ma il Generale è andato via, sbattendo la porta. E neppure il
rumore sordo riesce a coprire la piccola scarica di colpi di tosse che lo
seguono, mentre si allontana.
Bridget sospira, sollevando lo sguardo al cielo.
“E chiedo solo un po’ di personale competente, non mi
sembra di chiedere tanto.”
Estasiata, dice lui. Chissà se questa Lenalee ha anche lei
un’innocence parassita.
Lenalee non è estasiata, ma Lenalee non ha mai
imparato a dire di no ai bimbi sperduti.
Forse è per questo che la sua squadra sembra un centro di
recupero per disadattati.
Quella sera, il Refettorio è animato dall’ennesimo atto di
una vecchia commedia che si trascina avanti da anni, ormai trita e ritrita ed
innegabilmente esausta. I veterani – ne sono rimasti veramente pochi -
non ci fanno nemmeno più caso, ma per le nuove leve rimane sempre uno
spettacolo sufficientemente affascinante e di grande intrattenimento.
E’ il Generale Lee ad inaugurare la scena, attraversando a grandi falcate la
Sala – ha sempre avuto gambe molto forti – e sbattendo i pugni sul
tavolo dove il Generale Kanda, come abitudine, mangia da solo. Il colpo lo fa
sussultare appena, e i tagliolini fumanti ben stretti dalle bacchette cadono giù,
andando ad insudiciare il dossier che stava compilando.
La Sala trattiene il respiro.
Ma Kanda si limita a sollevare lo sguardo, e a battere
ciglio.
Per l’espressione del viso contratta, Lenalee potrebbe
essere benissimo un’arpia, al momento.
“Estasiata, Yuu? Estasiata? Come hai potuto anche solo insinuare…”
“Non voglio fantasmi nella mia squadra,” è la
semplice risposta, stanca, e priva di veemenza. “Tantomeno il suo fantasma.
Mi disturba.”
I palmi delle mani di Lenalee si stringono appena. Si
chiudono in pugni, alla fine, e battono sulla superficie di legno ancora una
volta. “E cosa ti fa pensare, sentiamo, che io invece non sia…”
“… disturbata? Lenalee, dormi nella sua stanza almeno tre
notti alla settimana. E’ evidente che lo vai cercando, il suo fantasma.
Quindi te la lascio. La nuova mammoletta,” una piccola pausa, mentre l’uomo,
senza alcuna malizia, procede a risollevare i tagliolini caduti sulla sua
superficie di lavoro. Osserva le macchie d’olio, critico. “Consideralo un
regalo anticipato di compleanno.”
Decisamente stanco.
E di cattivo umore per il dossier rovinato – non è mai stato bravo, a
scriverli. Ci mette sempre troppo tempo.
Fortunatamente, il cervello di Lenalee sembra essersi fermato, offeso, al “tre
notti alla settimana”, e aver completamente ignorato la successiva sfilza
di cattiverie perfettamente prive di malizia.
“Tre notti, dice! Tre notti! Non è assolutamente
vero. Come fai a…”
“So dove sei le altre notti – sarei un idiota, se
non ti vedessi sotto il mio naso.”
“Ho anche una mia stanza, sai. Il fatto che io non
sia nella tua…”
“… sono anni che va avanti questa storia,” la
interrompe nuovamente lui, poggiando le bacchette sulla ciotola e portando una
mano alla tempia. “E sei talmente rumorosa che c’è gente che pensa ancora che
quella stanza sia fottutamente infestata. Per favore, non prendermi per
idiota. Sarò lento, ma non sono completamente rimbambito.”
“Non ancora,” è la vendicativa risposta della
donna. Per ripicca quasi infantile.
Ma l’unica reazione di Kanda, è un semplice battito di ciglia. Ed
un’espressione più abbottonata del solito.
“A quello provvederà il tempo,” taglia corto, scostando lo
sguardo. “Tu che ne hai così tanto, non vedo che male ti faccia occuparti
di un fenomeno da baraccone in più.”
Lenalee odia litigare con Kanda.
Forse è perché si conoscono talmente bene che sanno
perfettamente come farsi male a vicenda.
Quella notte, dopo aver illustrato ad Helen una piantina
della Sede e averle fatto il prospetto del programma di allenamento, Lenalee
sgattaiola lo stesso nel suo letto. Lui le dà le spalle, ma si stringe lo
stesso un pochino di più contro il muro per farle spazio.
“Yuu.”
Un grugnito.
“… Sembra una brava ragazza, quella Helen.”
Un sospiro esasperato. Qualche colpo di tosse, e Lenalee
si ritrova a sospirare come un’eco, poggiandogli una mano sulla spalla. Movenza
piuttosto inutile, di vuoto conforto.
Rimangono in silenzio, per un po’.
“Komui,” esordisce d’un tratto l’amico d’infanzia,
con voce impastata dal sonno. Stava evidentemente dormendo prima che lei lo
disturbasse, ma il nome da lui pronunciato la scuote talmente tanto, che non ha
nemmeno la decenza di sentirsi dispiaciuta di averlo svegliato.
Stringe le labbra, serra gli occhi, e poggia la fronte sulla sua schiena.
Veementemente.
Sbatte contro le ossa, che tendono sotto la pelle.
Kanda sta dimagrendo di nuovo.
“Ko… Komui cosa?” riesce a dire, alla fine. Lui schiocca
la lingua, e si muove appena, quasi a volersela scrollare di dosso. Non ci
riesce, perché Lenalee è una donna molto testarda. Dopo un po’ rinuncia, con
uno sbuffo.
“Ho parlato con lui oggi pomeriggio. Mi ha contattato.”
“E cosa vuole?” ringhia lei, sulla difensiva, crucciando
appena le sopracciglia. Kanda si volta appena, per guardarla con la coda
dell’occhio da sopra la spalla. Apprensione, e stanchezza.
“Sapere come stiamo. Come stai.”
Non ottiene risposta.
“Ha detto che gli piacerebbe vederti.”
“Venisse lui. Venisse lui. Io sono rimasta qui,
è lui che se ne è andato a…”
“… dice che il lavoro al Vaticano è troppo, e che sta
facendo del suo meglio per frenare certe iniziative proposte da Leverrier,”
mugugna, in quella sua voce monotona adatta soltanto a parlare del tempo, o a
leggere la lista della spesa. Il che, sicuramente, non è l’accorata imitazione
della ben più passionale voce dell’ex-supervisore. “Dice che è contento.”
Oh. Non è una bella notizia, anzi.
E’ come un pugno allo stomaco, per Lenalee, perché lei è abbandonata, e sola, e
contenta per niente.
“Ah sì?” mormora piano.
“Perché pare che il Papa abbia richiesto esplicitamente la
presenza dei generali alla prossima udienza sulle nuove misure da adottare
nella Guerra, che dirà qualcosa che ritiene essere importante,” sbadiglio “e ci
toccherà decisamente andare al Vaticano.”
Il tono di Kanda rimane talmente piatto che, per un
attimo, Lenalee non comprende neanche tanto bene quello che ha detto. Ma quando
lo comprende, la prima reazione che ha è quella di sollevarsi seduta – e Kanda
sembra essersi aspettato quello scatto, perché nemmeno si volta a guardarla.
Piuttosto, chiude gli occhi e sembra aspettare
l’esplosione.
“… al Vaticano? Io non lo voglio vedere, Yuu! Non
voglio vederlo, non voglio vedere né lui né… né Leverrier e non voglio
andare al Vaticano! Lì… lì…” e la voce piano piano s’infrange, e sa di isterico.
Ma Kanda è abituato anche a quello, e si volta a pancia in su per guardarla.
Dal basso, con i suoi soliti occhi onesti. “Lì…” continua Lenalee, e i suoi
occhi invece sono velati di lacrime.
Vuole conforto, ma Kanda è sempre stato negato in queste cose.
“E’ solo un piccolo dolore, Lenalee,” mormora, perché lui
conosce bene i piccoli dolori.
E sa che passano, prima o poi. E’ il suo modo di affrontare la vita, quello.
“Lì… mio frate… mio fratello e l… lui, lì… non
voglio andarci, no, non voglio veder…”
Kanda sospira, quando la frase della donna s’infrange lì,
con un singhiozzo, a metà strada.
“Beh, hai due settimane per convincerti a volerlo. O è
probabile che mandino Leverrier a prenderti a domicilio,” e Kanda odia
usare questi trucchetti, perché fanno tremare Lenalee il doppio, ma sono
l’unica cosa che funziona, ormai, e DioDioDio quanto detesta dover
fare da balia – ma glielo deve, dannazione, glielo deve – e solleva una
mano a stropicciare un occhio, e massaggiare una guancia intorpidita. “Sei cresciuta
Lenalee. Sei un’adulta. Potresti anche farmi il favore di
cominciare a comportarti come tale.”
E chiude gli occhi, come se il discorso fosse finito lì.
Lenalee continua a scuotere il capo e mormorare inezie e
singhiozzare per tutta la notte.
Lui, per tutta la notte, fa finta di dormire.
Kanda odia litigare con Lenalee.
E, Dio, non ha davvero tempo per queste cose.
(Sa che Lenalee si
è addormentata, appena dopo il sorgere del sole, perché la sente distrattamente
accoccolarsi al suo fianco, lisciargli i capelli e bisbigliare, come un mantra,
quel nome.
E’ sempre quello,
il nome che pronuncia solo mentre dorme e mentre non sta attenta ad evitarlo
come la peste.)
(Allen.)
A/N : giuro che era nata come oneshot. Ma ha preso vita da
sola. Mi fa paura. Seriamente. Anche perché mi spaventa sempre un po’ scrivere
della coppia di Lenalee e Allen =D Il sottotitolo è una frase di... Stendhal o flaubert. Li ho ripetuti entrambi oggi, quindi non ricordo, il che dimostra che ripetere è una cosa perfettamente superflua °_°
Commenti e critica costruttiva son bene accetti <3
E cavolo, dovrei pensare a studiare per gli esami.