A.A.A.
Nome cercasi
"Adelaide!"
"Troppo
lungo, Amelie è più semplice e decisamente
più dolce!"
"Adair?
Va bene sia per un bimbo che per una bimba!"
"Alfred?
O Alphonse!"
"No,
no!" Eren si alzò in piedi, chinandosi in avanti in un
tentativo di sovrastare tutti gli altri, addirittura battendo le mani
sul tavolo. "Ce l'ho io il nome perfetto: Adrian!"
Un
mormorio concitato si alzò dalla marmaglia che, quella sera,
si era riunita attorno al tavolaccio della cucina della Guferia
– il nomignolo che le piccine Tori, Astrid e Myra
avevano dato a casa Springer-Braus – a suggerire, o
meglio tempestare, di nomi gli ultimi futuri genitori
della compagnia. Tutti gli altri, infatti, avevano avuto
un fagottino di gioia nei precedenti tre anni, mentre
loro due erano stati sorpresi da un fortunato
incidente.
"A
me piace." disse Armin, mano nella mano con Annie che, seduta a fianco
lui, lo guardava interessata.
"Esattamente
come mi aspettavo, marittimo amico mio. E' latino e significa-"
"Proveniente
da Adria. La città da cui prese il nome
il Mar Adriatico!" Armin finì la frase, sorridendo. Era il
primo, del lungo elenco di nomi che gli erano stati buttati in faccia,
a piacergli davvero. Almeno per quanto riguardava i nomi maschili. Se
fosse stata una bambina, lui aveva già fatto la sua scelta.
"Esatto!
Ma potresti almeno farmi finire?" Eren rise, assestando una vigorosa
pacca alla spalla del suo migliore amico.
"Da
quando la Pianta è così erudita?" Il commento
sarcastico di Jean viaggiò dall'altra estremità
del tavolo fino alle orecchie di Eren, facendolo girare di scatto con
le sopracciglia già aggrottate e la bocca pronta a
rispondere.
"Guarda
che anch’io sono andato al ginnasio con loro due!"
si
riferiva ad Armin e a Mikasa, che in quegli anni come nei precedenti
erano stati anche i suoi compagni di banco.
"Ah
già, l'avrai letto dai loro compiti mentre li copiavi."
Sasha
e Connie sghignazzavano e persino Annie accennò un sorriso
divertito, mentre Ymir rispondeva al cinque che Jean le aveva alzato
per complimentarsi.
"Esattamente"
continuò lui, pronto per il gran finale. "Se lo
sarà ricordato sul cesso dopo essersi scordato il
telefo–"
"Ora
basta." lo interruppe Mikasa, senza scomporsi. Silenzio immediato. "Per
una volta, Eren s'è impegnato davvero per cercare il nome."
"E'
vero!" confermò il diretto interessato, prima di ragionare
un attimo. "Aspetta, Miks, in che senso per
una volta?"
Il
silenzio venne rotto da delle nuove risate a danno del povero Eren, che
avrebbe continuato a deprimersi sulla sua seggiola se non fosse stato
per una manina venuta a tirargli la manica del maglione.
Abbassò gli occhi, trovandone un paio verdissimi, come i
suoi, a ricambiare lo sguardo.
"Pappo?"
lo chiamò la piccola Tori, biascicando ancora quel goffo
nomignolo che gli aveva dato.
"Sono
tutto orecchi, rondinellina." Eren si ravvivò, tutto
concentrato sulla sua bimba.
"Anch'io
voglio dire un nome per il cuginetto." Nonostante la frase abbastanza
lunga, riuscì a non incespicare più di tanto.
"Ah
sì? E allora vai dalla zia Annie a dirglielo. Cosa aspetti?"
La
bambina, a passi veloci, fece velocemente il giro del tavolo fino ad
andare a tirare, questa volta, la manica di Annie.
"Zia
Rocky?" Questo, invece, era il soprannome che lei e le sue amichette
avevano dato alla bionda più tosta della nazione. "Voglio
dire un nome per il cuginetto."
"Sì?
Sono curiosa." rispose Annie, indietreggiando appena con la sedia per
farle spazio, in modo che potesse volare fra le braccia del suo
amato Zio
Superquark.
"Oh,
anche io!" ridacchiò Armin, mettendo in piedi la bambina
così che la vedesse tutta la tavolata. "Tori vuole suggerire
dei nomi!"
La
bambina gongolò un poco, fissando la sua mamma due posti
più avanti. Quando Mikasa con un sorriso la
incoraggiò a parlare, si scrollò quel poco
imbarazzo di dosso e propose:
"Se
è femminuccia Ärtzerin*, perché
tanto sarà intelligente come zio!"
"Grazie
mille, cara." Fu il turno di Armin di gongolare. La sua nipotina lo
adorava ed era un vero tesoro nel dimostrarlo.
"Se
è maschietto altrimenti Mausi**, anche
se non ha la A!"
"Hey,
ma Annie già chiama me così!" ribatté
per gioco Armin, attirandosi subito gli occhi spalancati di Annie
addosso. Evidentemente s'era lasciato sfuggire qualcosa che non doveva.
Del resto, se in quasi un decennio non era saltato fuori...
"Aw,
ma che carina!" commentarono Sasha e Historia, stringendosi le mani al
petto, mentre tutti gli altri si trovavano a ridere a crepapelle per
l'ennesima volta – e non di certo l'ultima – quella
sera, chi intenerito come loro e chi invece più sul lato
sconvolto.
"Anche
se ormai non è più tanto -ino come
anni fa." dissero alcuni di loro, riferendosi a come alla fine il tempo
e la natura avevano fatto crescere persino Blondie. Era,
certo, ancora minuto, ma non più come prima.
"Mio
figlio rimane piccolo." disse Mikasa, sorseggiando dal suo bicchiere.
Tutti quegli anni a "crescerlo" non erano certo pochi. Annie si
ritrovò a darle ragione, senza però dirlo ad alta
voce: anche per lei rimaneva un piccolo e
tenero, adorabile topolino.
"Sono
nomi davvero carini, nipotina
volante, ma non penso che all'anagrafe li accetterebbero."
spiegò Armin a Tori, tenendosela sulle ginocchia.
"E
che cos'è l'a... anafafe?"
"E'
il posto dove le mamme e i papà vanno a dire che
è nato il loro bambino e a dargli un nome." le rispose
Mikasa. "Anche io e il tuo papà siamo andati lì
per dire che c'eri tu."
"E
perché lì non vogliono quei nomi?" Perché. La
parolina magica che, con i bambini, dava inizio a una spirale senza
fine di domande capitanate dalla stessa. L'intervento di Connie fu
tempestivo nel salvare lei ed Eren da un viaggio di ritorno in auto
sulle note di quella compilation per genitori esauriti.
"Ah,
ma Astrid? Lei invece ha qualche nome da proporre?", chiese alla
bambina, riferendosi alla sua, di figlia, che era rimasta a giocare in
salotto senza curarsi minimamente del discorso, figurarsi andare fino
lì per parteciparvi.
Tori
scosse la testa, facendo cadere il fiocchetto da una delle codine in
cui Eren le aveva raccolto i capelli prima di uscire. "No, As dice che
non le interessa. Dice che lei odia i bambini."
Questa
volta, altro che ridere: passarono direttamente allo sganasciarsi.
Historia si era piegata in due, battendo il minuscolo pugno accanto
alla testa poggiata sul tavolo. Accanto a lei Ymir batteva le mani
urlando a Connie "Cazzo, nanerottolo, Astrid e la sua amichetta sono
esilaranti!" ed Eren andava a riprendersi in braccio Tori quasi senza
respirare, tant'è che dovette passarla a una ben
più stabile Mikasa per evitare di farla cadere. Sasha e
Connie erano combattuti fra il lasciarsi andare con gli altri e lo
sprofondare dall'imbarazzo, con Jean a fianco che riusciva a malapena a
dire quanto fosse tipica
e prevedibile la risposta di sua nipote. Non
però che i genitori della piccola Springer avessero tanto
bisogno di vergognarsi per quell'uscita poco felice, seppur solo
raccontata, proprio davanti ai genitori di quel – presto
– bambino; anzi, persino loro due sembravano parecchio
divertiti.
Alla
fine, quando tutti si furono ricomposti, fu proprio Annie a riprendere
la parola.
"Vorrà
dire che dovremo continuare a cercare noi i nomi. Grazie comunque,
Tori."
"Niente,
zia Rocky. Ora torno a giocare."
"Certo,
vai pure."
Appena
si allontanò, gli adulti non persero un istante. Annie
poteva giurare che si fossero tutti girati su di lei e Armin con occhi
famelici, prima di ricominciare a propinare nomi su nomi che subito
loro due scartavano. Sembravano non finire mai.
"Agidius!"
"Alvar!"
"Amory!"
"Arya!"
"Beh,
è un bel nome nerd per una bambina," disse Armin su
quest'ultimo, "ma no."
"Ariel!
Dai Armin, la Sirenetta!? Non va bene?" Lui scosse la testa.
"Alviria!"
"Anselm!"
"Angelika!"
"Aloisa!"
"Axel!
Axel!"
Ormai
non si preoccupavano nemmeno più di presentarli in modo
accattivante, limitandosi a spararli come una raffica di proiettili, al
limite della violenza psicologica. Armin a un certo punto scosse la
testa.
"Ma
non abbiamo fatto certo questa tiritera a cena, quando è
toccato a voi!" provò a farli ragionare, nel breve spazio
fra un'Alfonsine e
un Augustus.
Annie
intanto rifletteva, in particolare su una cosa che Tori aveva detto e
che spiegava tante, tante cose.
Alla
fine suo marito si lasciò andare proprio quel
dubbio. "A me tutti i nomi che ci state suggerendo
sembrano tutti uguali."
"Ci
state dando solo nomi con la A iniziale."
Annie completò il pensiero.
"Beh,
sì." ammise Eren, guardandoli quasi stupito.
"E
perché mai, di grazia?" chiese Armin, che dopo ore
incastrato in quella situazione dai suoi stessi amici cominciava ad
esasperarsi, nonostante sapesse che lo stessero facendo con tutto
l'affetto e le buone intenzioni – avevano solo il loro modo,
non proprio ortodosso, di dimostrarlo. Apprezzava in particolare Mikasa
che non aveva preso parte a quella furiosa competizione, limitandosi a
dare uno o due suggerimenti con un tono di voce normale fra un boccone
e l'altro – eppure nemmeno lei aveva mancato l'iniziale!
Anche Historia aveva cominciato così, con un nome, anche
carino, detto ogni tanto. Poi, vuoi la sua ragazza e tutti gli altri
che urlavano come al mercato del pesce, vuoi che al vino rosso di casa
Braus non si dice mai di no, la piccoletta s'era infervorata e aveva
cominciato a proporre sempre più nomi, fino a raggiungere il
ritmo insostenibile degli altri commensali.
"Come
perché?" Di nuovo, Eren sembrava guardarli come due alieni.
"Voi
due avete entrambi la A iniziale nel nome, Armin addirittura nel
cognome e così anche il bambino, se prenderà il
suo." prese a spiegare Sasha quella che, a tutti loro, sin da subito
era sembrata un'ovvietà. "Non volete mantenere la
tradizione?"
"Dai
su, non ditemi che non ci avete nemmeno pensato!" le diede manforte
Connie, alzandosi per mettere il suo piatto ammollo.
"Sì?"
rispose Annie, titubante. Ovviamente l'aveva pensato, era una
coincidenza evidente, ma non riusciva a capire come potesse essere
così cruciale. Come spesso accadeva, fu Armin a dare voce ai
suoi pensieri, o quantomeno a provarci.
"Sì,
ci è passato in mente, ma non capia-"
"E
allora!" venne interrotto da quell'esclamazione collettiva, mentre
stanco si rivolgeva ad Annie col viso, senza dire una parola.
Sospirarono entrambi. La serata si prospettava ancora molto lunga.
Ore
dopo, quando furono in macchina da soli sulla strada di ritorno a casa,
riuscirono finalmente a parlarne davvero, di nomi.
"Topolino,
tu hai qualche idea?" domandò Annie, massaggiandosi le
tempie. Prima di andar via aveva preso una tachipirina in acqua, ma
l'effetto tardava ad arrivare e la testa continuava a scoppiarle.
"Qualcuna,
sì. Aspetta un attimo" Armin non staccò gli occhi
dalla strada buia illuminata ritmicamente dai lampioni –
nonostante fosse deserta –, né le mani dal
volante. Preferì non aggiungere altro e aspettare fino al
primo semaforo rosso prima di tirar fuori dalla tasca una pagina di
quaderno ordinatamente piegata che Annie prese subito, divorata dalla
curiosità.
Accese
la lucina in alto e spiegò il foglio, nel mentre che la loro
piccola utilitaria ripartiva. Scorse velocemente l'elenco di nomi,
scritto in stilografica blu con una grafia pulita e ordinata, diversa
da quella più frettolosa ma sempre distinta che Armin aveva
quando prendeva appunti o scriveva in preda all'ispirazione notturna.
Sorrise, soddisfatta: erano decisamente più belli di quelli
proposti dagli altri, e avevano più di una dannata iniziale.
"Armin?"
"Mi
dica, principessa."
Annie
si sfregò il naso, tenendo il viso basso. "Rompiamo
la tradizione
della A.", disse poi, rialzando lo sguardo. Si
ritrovò a osservare quasi rapita il profilo del volto di
lui, prima buio e bluastro poi illuminato d'arancione, di nuovo
bluastro, di nuovo arancione. Osservava la fronte coperta da ciuffi di
capelli color miele, che ormai da anni lui portava lunghi fino alle
spalle, raccolti in un codino, le ciglia lunghe con dietro i suoi
grandi occhi blu, il naso a bottone che lei tanto adorava pigiare, e le
labbra che proprio in quell'istante si schiusero in un sorriso
divertito.
"Mi
sta bene. Per puro dispetto?"
Annie
tirò su un angolo della bocca: le piaceva un sacco quando
era lui a prendere iniziative di quel genere. "Per puro dispetto,
affare fatto." Allo stop lo
siglarono stringendosi la mano, ed Annie pensò bene di
approfittarne. In un attimo, invece di lasciarlo andare, lo stava
tirando verso di lei, preparandosi all'impatto fra le loro labbra.
Chiuse gli occhi, assaporando quel bacio che sapeva sarebbe stato breve
e poggiando la mano sul collo di Armin in un tentativo di trattenerlo,
come mettere nel sacco della refurtiva una manciata di secondi in
più, per il suo bacio rubato. Lo lasciò andare a
malincuore, mordicchiandogli il labbro inferiore. Superarono l'incrocio
con le dita ancora intrecciate.
"Che
poi" aveva ripreso lui, dopo qualche minuto, "Non è solo
dispetto, alla fine. Se anche decidessimo, assurdamente, un nome con
quell'iniziale…"
"Non
deve essere perché ci è stato detto di farlo,
esatto, e…"
"Un
minimo di originalità poi, non trovi?"
Svoltarono
l'ultima curva prima di casa, chiacchierando e finendosi le frasi a
vicenda.
"Questi
sono tutti nomi da bambino." constatò Annie, rileggendoli
per la seconda volta. Era ancora prestino per restringere
così tanto il campo di ricerca: all'ultima ecografia
avrebbero dovuto scoprire il sesso, ma sfortunatamente il bambino non
era nella posizione giusta e il medico non era riuscito a vedere
alcunché. "Non hai avuto idee per una bambina?"
"Annie."
Sembrava quasi sovrappensiero, come se non si fosse accorto del
sussurro che gli era sfuggito dalle labbra.
"Dimmi?"
"No,
no." Armin, come riscossosi, respirò a fondo. "Annie."
Lei,
che stava ripiegando il foglio e spegnendo la luce, spalancò
di colpo gli occhi. Non finì di far l'ultima cosa e si
girò verso di lui, col sopracciglio destro piegato in un
misto di sorpresa e perplessità.
"Intendi…"
lasciò la domanda appesa, incompleta.
"Come
te, sì." disse Armin mentre si avviavano su per le scale che
portavano al loro appartamento, l'ascensore era rotto. Percorsero le
tre rampe in silenzio, riprendendo il discorso solo dopo che il
portoncino blindato si chiuse alle loro spalle.
"Perché?"
chiese Annie, facendo scorrere il passante e dando due giri di chiave.
Non riusciva veramente a capirlo, eppure lui sembrava così
convinto...
"È
un nome magnifico." la stava guardando con gli stessi occhi entusiasti
che aveva quando parlava per ore di tutto quello che più lo
appassionava: sogni, interessi o anche piccole bagatelle che solo lei e
pochi altri sarebbero rimasti ad ascoltare. Parlava senza esitare,
sicurissimo di quell'idea, e aveva un sorriso che gli andava da un
orecchio all'altro, facendolo sembrare di nuovo bambino. "E lo porta
una persona stupenda, la
più forte che io conosca."
Chiuse
gli occhi, l'aria colma di salsedine a riempirle i polmoni ad ogni
respiro, mentre allungava le braccia per stare comoda sulla piccola
sdraio che si erano premurati di lasciarle, quando si erano sistemati
attorno al fuoco. La brace del falò che prima aveva
illuminato la serata scoppiettava quieta sulla sabbia bianca, a
riempire a malapena il silenzio che s'era creato, assieme allo
sciabordio del mare alle sue spalle e al respiro calmo e pesante di
Armin, appisolato su un asciugamano lì accanto. Di quella
sabbia, ormai fresca dalla notte inoltrata, Annie ne prese una
manciata, lasciando poi che i granelli minuscoli le scorressero fra le
dita. Distratta dai suoi stessi pensieri continuò a lungo
quel gioco, portando poi la sabbia a cadere e ad ammucchiarsi sulla sua
pancia – ormai tanto gonfia da guadagnarsi sguardi
incuriositi non solo per strada, ma anche dal suo stesso gatto
– coperta da un prendisole nero che danzava leggero al soffio
del vento.
In
quei mesi, Annie Leonhardt aveva riflettuto a lungo. E anche in quel
momento, mentre i suoi amici si allontanavano brevemente per una
passeggiata o per cominciare a ritirarsi dentro casa e da ore le
piccole della compagnia s'erano addormentate abbracciate sullo stesso
telo, lei approfittava del silenzio per poter far luce dentro la sua
testa.
Per
tanto tempo non aveva mai pensato a se stessa come una madre,
una mamma. Quell'argomento
a stento l'aveva sfiorato, preferendo saltarlo a piè pari e
non preoccuparsene. Nel primissimo istante, aveva sentito la paura
infilarsi dentro di lei, affiancare la creatura nella placenta. Dopo
tutti quegli anni passati a crescersi da sola, l'immagine di
sé mentre consolava un bambino – suo
figlio! – che piangeva perché gli era stato fatto
un dispetto, cui faceva la veglia quando era malato, che correggeva
dove sbagliava, che accompagnava a scuola ogni mattina, che festeggiava
Natale e Capodano e Pasqua con lei ed Armin, passeggiavano con la
carrozzina – o
mano nella mano, quando finalmente avrebbe camminato –
le pareva quasi surreale, lontana anni luce da lei, che si riteneva
totalmente inadatta a un compito tanto importante quanto l'amare ed
essere amata da quello stesso figlio.
Pian
piano, però, cominciava ad avvicinarsi,
l’immagine, allo stesso ritmo con cui lei si affezionava a
quell'altro topolino. Abituarsi,
anche questo lentamente, le rimaneva un compito incredibilmente arduo,
soprattutto mentre si veniva gettate in un vortice di visite,
ecografie, dubbi e incertezze ma anche cose più semplici,
come le compere per il bimbo – e per lei, che s'era ritrovata
con tutti i pantaloni e addirittura le scarpe troppo strette
–, ciucciotti, culle, gente per strada che insiste per
toccarti la pancia quando tu rifuggi qualsivoglia contatto fisico da
estranei, tiralatte, giocattoli, copertine, corsi preparto e nomi.
Per
quello che alla fine s'era rivelato un maschietto, Armin ed Annie
avevano sfoltito, rifornito, e sfoltito di nuovo la loro lista di nomi,
un lavoro che aveva impegnato ore e ore a partire da quella sera di
aprile in cui i loro amici li avevano bombardati con la prima lettera
dell'alfabeto. Ormai ne rimanevano soltanto tre, scarabocchiati su un
piccolo foglietto spiegazzato che Annie teneva sempre con
sé, facendo attenzione a non perderlo, nonostante li
ricordasse ovviamente a memoria.
Fece
scivolare la mano sporca di sabbia fra le pieghe del vestito, fino a
raggiungere il pezzetto di carta nella tasca destra. Sentì
qualcosa premerle con forza sui polpastrelli: il bambino stava
cominciando a scalciare. Annie tirò fuori il foglietto,
spiegandolo con cura e avvicinando gli occhi per poter leggere meglio
alla tenue luce della luna.
Edward
Oliver
Adrian
Quell'ultimo,
proprio quello che aveva suggerito Eren, era l'unico di quelli con
la A che piacesse ai futuri genitori, e l'unico per
cui, forse, erano
disposti a fare un'eccezione. Ai loro amici però non avevano
rivelato nulla a riguardo, preferendo mantenere il silenzio
stampa.
"Ouch."
Annie si lamentò, dopo un colpo particolarmente forte.
Abbassò lo sguardo, appena in tempo per vedere il bozzo di
una manina sparire e ricomparire subito dopo, attraverso la sottile
stoffa del prendisole. Poi sentì non un pugno, non un
calcio, bensì una testata, anche questa
insolitamente forte.
"Che
c'è?" sussurrò, pur sapendo che non poteva
ottenere risposta. Poggiò una mano dove aveva sentito
l'ultimo movimento, aspettandone – senza essere delusa
– un altro. Era veramente inusuale che si mettesse a fare
così il matto, specie di notte. Cosa
succede al solito bimbo pacioso che conosco?
Il
falò lasciò andare una scintilla particolarmente
rumorosa e lei tornò alla sua lista. Ormai era diventata
un'abitudine provare, quasi
fossero dei vestiti, i nomi addosso al bambino. Arrivata a Oliver, d'istinto
si girò a guardare Armin, alla sua destra. Le aveva
raccontato lui di Olivier, il
compagno e amico fedele di Orlando nella Chanson de Roland, quando
lei aveva proposto, per caso, quel nome. Ora, più ci
pensava, più la figura del cavaliere andava a sovrapporsi a
quella del bambino intelligente e sveglio – come
suo padre, pensò, un lieve
sorriso ad accennarsi sulle labbra – che sapeva sarebbe stato
il suo e che, nonostante le piccole follie di quella sera, si era
già dimostrato un piccoletto pacifico quanto una colomba con
in becco un ramoscello d'ulivo. Sarebbe diventato saggio, da
adulto, Oliver, ma
forse, almeno finché non fosse cresciuto abbastanza, sarebbe
stato più giusto dire Olly.
"Armin!"
Annie si mosse in uno scatto, come fulminata, chinandosi –
per quanto le fosse possibile – a svegliarlo. "Armin,
svegliati." Prese a scuotergli piano un braccio, ottenendo come
risultato che lui si girasse dandole le spalle. Quindi
abbandonò la sdraio, andando a sedersi sulla sabbia vicino a
lui. "Un minuto soltanto." Ripeté due volte, prima di
vederlo sbattere gli occhi.
"Annie?"
biascicò, guardandola in viso, confuso e assonnato.
"Shh,
scusami." parlava a bassa voce, allarmata dai movimenti delle due pesti
pochi metri più avanti. Si guardò intorno e si
chinò, cercando di farsi sentire soltanto da lui. "Forse ho
deciso."
"Hm?"
"Oliver.
Per il bambino. Olly. Come il cavaliere della Chanson, ricordi?"
Impaziente, aspettava una risposta e, quasi come un tic, si sfregava la
mano insabbiata sulla coscia per pulirla.
Armin
sorrise, senza dire nulla, ma senza smettere di guardarla negli occhi.
Poi si tirò su, trascinandosi con le braccia fino
alle sue gambe e poggiandoci la testa. Chiuse gli occhi, ma il sorriso
rimase fermo sulle sue labbra.
"Quindi
rompiamo la tradizione della A?"
"Certo
che rompiamo la tradizione della A." assicurò
Annie, mentre con le dita andava ad accarezzargli i capelli e
a scostarglieli dal viso. Dopo qualche minuto Armin pareva
già essersi riaddormentato, lei invece non sembrava essere
stanca mentre alzava il naso sul cielo fulgido di stelle sopra la loro
casetta sul mare. Erano rimasti solo loro lì fuori, gli
altri erano tutti andati dentro.
Sentì
qualcosa muoversi dietro la sua schiena, qualcosa stringerla
più forte attorno al ventre.
"Ti
amo." le sembrò di averlo sentito mormorare,
sovrastato da un'onda che sbatteva sulla battigia.
Bastò
poco, un nonnulla, perché la loro ben pianificata Rivoluzione
Francese si trasformasse in una mite Insurrezione
Repubblicana del 1832, circa un anno e mezzo dopo.
Il loro secondo felice
incidente, seppur chiamata da tutti Nina, infatti,
sull'anagrafe e sui documenti si firmava con un dolcissimo Annie
Arlet su cui il suo papà aveva tanto
insistito.
Erano
passati invece decenni quando, grazie ad Oliver, entrò in
famiglia Astrid. Sì, quella
Astrid, che tanto odiava i bambini da decidere di
non consigliare alcun nome per il suo futuro marito.
Ma
il colmo arrivò ancora più tardi quando, stanca e
felice, la cara Ninetta presentò ai nonni la
neonata Armonia.
Una
botta in fronte.
* "Dottoressa"
in tedesco
**
"Topolino", sempre in tedesco, ma penso che questo si fosse dedotto :3
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