Salve gente!
L'ultimo
capitolo
della saga, benché a posteriori mi abbia lasciato
più di qualche
perplessità, è stato anche capace di infondermi
nuova linfa
ispiratrice, invogliandomi a tornare a scrivere del tanto amato
personaggio di Capitan Jack Sparrow.
Perciò
eccomi con una nuova
one-shot senza tante pretese dai toni comici e introspettivi, in cui ho
immaginato cosa sia potuto succedere poco dopo la fine degli eventi
narrati nel film.
Spero
che vi divertiate :)
Grazie
in anticipo a chi vorrà dedicare un po' del suo tempo per la
lettura.
Commenti,
critiche e pareri sono sempre graditi.
Al prossimo approdo!)
Monkey business
Lo scafo rotondeggiante dell’indomito galeone dalle vele
cinerine fendeva con superbia le acque azzurre e placide del Mar dei
Caraibi, favorito da una brezza estiva moderata e costante che sferzava
nodi e gomene, animando il ghigno del teschio che sprezzante
campeggiava sulla consunta bandiera nera.
Gli sparuti marinai rimasti sul ponte si affaccendavano pigramente su
alberi e pennoni, intonando canzoni scurrili e scambiandosi colorite
storielle di taverna, per alleviare la noia del lavoro e ingannare
l’attesa di qualche avvistamento propizio che appagasse la
loro insaziabile fame di divertimenti e bottini.
Il sole volgeva a completare metà del suo arco celeste,
irradiando nell’aria una densa calura che infiacchiva i
muscoli e rendeva più lievi e sonnolenti i riflessi.
Capitan Jack Sparrow respirò a pieni polmoni, beandosi della
purezza e intensità di quella mite e profumata aria
salmastra che gli stuzzicava la pelle infiltrandosi piacevolmente in
ogni poro, insieme ad un’incomparabile e inebriante
sensazione: libertà.
Fece scorrere le ruvide mani sulla ruota del timone, accarezzandone con
voluttà le mille tramature che scalfivano la robusta
superficie d’ebano, testimone di mille battaglie e artefice
di altrettante vittorie, la cui memoria si perdeva nei cuori e nelle
menti di uomini che avevano avuto l’ardire di affrontarla o
l’avevano solo sentita menzionare con timore riverenziale da
chi era sopravvissuto all’assalto.
L’ultima vera
minaccia pirata dei Caraibi.
E ora era irrimediabilmente sua.
Aveva riconquistato la sua amata Perla Nera e aveva con sé
di nuovo la sua preziosa bussola: non l’avrebbe tradita mai
più, neanche per tutto il rum del mondo ...
Sì, era intenzionato a fare funzionare le cose stavolta,
più a lungo possibile preferibilmente, navigando, razziando,
predando e saccheggiando, almeno finché le sue
più che subdole e temprate membra avrebbero retto a quel
nobile onere.
In verità, dopo aver concesso al giovane Turner e alla sua
amica orologiaia il favore di essere scaricati su
quell’isoletta remota per tornare agli agi e alle noie della
civiltà, loro nelle successive due settimane avevano girato
a zonzo, perché sapeva che la Perla aveva ancora bisogno di
riprendere confidenza col soffio impetuoso delle correnti e con la
vastità del mare aperto, da cui era stata ingiustamente
separata per troppo tempo.
Ed era inutile aggiungere che le occorreva anche acquisire
familiarità con quella nuova pidocchiosa marmaglia che
scorrazzava in lungo e in largo tra le sue accoglienti anche,
calpestando impunemente le sue solide assi, violando spazi reconditi
rimasti a lungo intatti, senza curarsi di mostrare
l’opportuna decenza che sarebbe spettata ad una gran dama
come lei o ad un gran capitano come lui.
I suoi occhi scuri e orgogliosi vagarono sull’ampia tolda che
aveva preteso venisse lustrata alla perfezione dai suoi insulsi
compagni di viaggio, tuttora increduli di aver avuto una fortuna simile
nel ritrovarsi ingaggiati a bordo di quel portentoso assemblaggio di
vele e cannoni, capace di incutere in ogni dove terrore e meraviglia.
Bisognava ancora provare se quell’ignorante branco di ratti
sudici e malfidati fosse degno di servire su di una nave di cotale fama.
Ad ogni modo, erano di nuovo insieme, finalmente, e lui era determinato
a riportarla ai suoi antichi fasti, le avrebbe restituito tutta la
gloria che si meritava. Avrebbero dominato insieme su tutti gli oceani.
Non c’erano più terrificanti mostri, né
orrende maledizioni, né nemici mortali di qualunque sorta a
poterglielo impedire.
Sebbene, ad ogni porto in cui avevano fatto scalo per qualche
provvista, non era raro che nel giro di qualche ora si facesse vivo
qualche losco e rancoroso personaggio a reclamare debiti da saldare e
offese da riparare ...
D’altronde era quello l’infimo scotto da pagare per
essere uno dei più famigerati pirati in circolazione. E gli
stava bene. Forse era rimasto davvero l’ultimo di
quell’immonda specie. Forse era già entrato nella
leggenda.
Diede un’ultima sbirciata all’ago magnetico,
rettificando la rotta di cui sconosceva tuttavia l’esatta
destinazione.
«Serrate i gerli e tesate di tre punti!»,
ordinò con impellenza agli uomini, riscuotendoli dal loro
inopportuno torpore. Quelli discretamente più agili e
scattanti si inerpicarono sulle gabbie, manovrando le cime
così da eseguire l’assetto da lui richiesto,
suscitandogli uno sghembo sogghigno di soddisfazione.
Una tra le cose che preferiva di più nell’essere
un Capitano, era sicuramente la possibilità di lasciare agli
altri il peso della fatica connaturata alle mansioni marinaresche.
«Mastro Gibbs!», richiamò allora con
fare burbero il suo fido secondo, che aveva il naso immerso in alcuni
spiegazzati portolani, «Prendete il comando per un
po’, io sarò di ritorno tra un’oretta o
due», si congedò spicciamente, defilandosi con
passo ondeggiante verso la sua cabina, non prima di essersi accertato
che ogni sottoposto fosse impegnato in qualche mansione.
Il suo attempato primo ufficiale lo sostituì solerte,
imbracciando le maniglie del timone: «Andate pure a
riposarvi, signore. Affogheremo nell’alcol e nelle buone
compagnie di Tortuga in men che non si dica», gli
scoccò un gran sorriso.
Jack Sparrow agghiacciò, come se avesse udito il sibilo di
un proiettile a pochi centimetri dal proprio orecchio.
Percepì chiaramente uno scricchiolio ammonitore sotto i
propri piedi. Le sue dita corsero a impugnare la bussola, alla quale
rivolse un’occhiataccia iniettata di bile:
quell’infida carabattola aveva sicuramente mal interpretato i
suoi veri desideri e stava tentando di trarlo in inganno,
riconducendolo su un cammino deleterio, proprio quando i suoi intenti
erano di tutt’altro tenore.
La pancia della Perla era tristemente vuota e lui non poteva ricadere
di già nell’indolenza o l’avrebbe
perduta un’altra volta, e non se lo sarebbe perdonato.
«No! Tortuga può attendere!»,
obiettò risoluto, risalendo sul cassero e seminando
espressioni attonite e inebetite tra gli uomini della ciurma,
«Giacché il suo delizioso e prolifico nettare ci
apparirà infinitamente più dolce, dopo aver
tastato l’acre sapore della polvere e del sangue con cui
otterremo la nostra prima brillante vittoria»,
argomentò con un tono così enfatico e grave che
fece dubitare ancora di più gli ascoltatori sulla sua
effettiva affidabilità e lucidità mentale.
I pirati si guardarono, impreparati e perplessi per
quell’audace proposta, esitando nel continuare a svolgere i
loro doveri, indecisi tra il gioire per la prospettiva di una prossima occasione di
guadagno e il temere una disastrosa disfatta che li avrebbe portati
dritti dritti su un patibolo, senza potersi godere la ritrovata
tranquillità.
«Abbiamo già vinto, signore, contro quel
Salamander!», si alzò la voce ingenua di Mullroy,
uno dei nuovi acquisti.
Murtogg, il compare di lunga data, gli rifilò una gomitata:
«Salazar!», lo corresse saccente, mentre alcuni
colleghi gli davano ragione.
«Ma non abbiamo ottenuto un fico secco!», si
interpose allora Marty, ergendosi su un barile con un piglio
battagliero, «Il Tridente è andato
perduto!», ricordò deluso, riscuotendo una certa
approvazione tra gli altri furfanti.
«E abbiamo fame!», protestò un altro
briccone piuttosto grassoccio, scatenando ulteriori lamentele.
Jack smise di mangiucchiarsi l’unghia del mignolo,
riprendendo ad arringare la ciurma che adesso pareva
dell’umore ideale per ascoltarlo: «Signori, siamo o
non siamo degli impavidi e feroci bucanieri?»,
domandò accattivante, benché passando in rassegna
le espressioni ottuse e per lo più inoffensive di
quell’accozzaglia di disgraziati e fannulloni, quegli
aggettivi gli suonarono alquanto inappropriati.
A conti fatti, non gliene stava simpatico nessuno, ma quelli aveva
trovato, e, in mancanza di scelte migliori, per il momento doveva
farseli piacere.
«Siamo o no, filibustieri della peggior risma?»,
allargò le braccia con un puntiglio sagace, ricevendo un
maggiore consenso sottoforma di sorrisi e ammiccamenti che lo
incoraggiarono a proseguire su quel registro. «È
nostro preciso, per quanto ingrato, dovere lanciarci in qualche onesta
impresa ladresca, ovverosia metterci sulle tracce di qualche favoloso
tesoro da trafugare!»
A quel punto Gibbs prese inaspettatamente la parola, rubandogli la
scena: «Ed è per questo che andremo a Tortuga, ad
attingere informazioni sui tesori più redditizi che
attendono ancora di essere trafugati!», esclamò
convinto della sua pratica logica.
Lo sguardo indulgente ma sprizzante sdegno del Capitano,
sgonfiò subito il suo genuino entusiasmo: «Mastro
Gibbs, vi conosco. So bene cosa vorreste attingere, o per meglio dire intingere in quel
di Tortuga … non mascherate la vostra indecente brama di
giovani donzelle da disinteressato buonsenso nei riguardi dei vostri
compagni», lo tacciò caustico, avvertendo una
familiare e fastidiosa sensazione di colpevolezza, quasi che con quello
sfogo stesse biasimando se stesso. Durò solo per un attimo e
la respinse senza tante remore, giacché il permaloso
Joshamee avrebbe potuto approfittare del suo riflessivo silenzio per
tentare di ribattere a quell’accusa, come infatti gli parve
che stesse per fare, a giudicare dallo spasmo che gli
corrugò la fronte rugosa e contorse le sue guanciotte
barbute.
«Non vi ho forse io dato prova, in innumerevoli circostanze,
di possedere intuito, arguzia e un’inestimabile dose di
sapere nautico?», riattaccò a usare la sua sciolta
parlantina per prevenire il rischio di insubordinazioni, scendendo a
passeggiare tra i suoi sottoposti, così da scrutarli meglio
uno per uno e sondarne da vicino gli umori.
«Oltre a questa irrilevante scatoletta magica rivelatrice dei
desideri?» si affrettò ad aggiungere un
po’ stizzito, facendo ruotare l’oggetto in
questione per la sua cordicella, speranzoso di giocarsi un argomento
ancora più convincente.
Gibbs, Scrum e Marty però rimasticarono qualcosa di
offensivo tra i denti, rammentando i suoi recenti e ripetuti fallimenti.
Jack decise di ignorare la loro insolenza, finché parevano
costituire una poco preoccupante minoranza, cercando di non perdere la
spavalda destrezza con cui teneva in pugno l’attenzione del
resto della ciurma.
«Orbene, siate pronti, perché il vostro egregio
Capitano vi condurrà all’arrembaggio di un bel
mercantile! Spagnolo magari!», promise beffardo, scostando
una lunga ciocca intrecciata cadutagli davanti al viso e riaprendo con
assoluta sicurezza lo sportellino della bussola.
Tutti ammutolirono nella febbrile speranza di un riscontro ben
più concreto dell’ultimo infruttuoso girovagare,
cercando di sbirciare quali giri avrebbe compiuto la lancetta.
Jack Sparrow chiuse gli occhi e si sforzò di sgombrare la
mente dalla miriade di pensieri più o meno futili e sconci
che la affollavano, ostacolando i suoi più ambiziosi
propositi, figurandosi una stiva ricolma di oro, argento, tabacco,
spezie, sete, porcellane o avori da poter lucrosamente contrabbandare.
Riaprì piano le palpebre e, con sua stessa sorpresa,
attestò una decisa variazione di rotta.
«Eccolo lì! A poppavia! Virare, lesti, o ci
scappa!», annunciò festante indicandolo col dito,
nonostante ci fosse un insignificante dettaglio ...
«Ma dov’è, capitano?»,
cominciarono a domandarsi gli uomini, eccitati e impauriti come bambini
dalla possibilità concreta di poter depredare qualcosa,
fissando con smania l’orizzonte desolatamente vuoto.
Benché la bussola gli avesse suggerito una nuova direzione,
non aveva alcuna idea di quanto quell’obiettivo distasse da
loro e all’improvviso non era del tutto certo di volerlo
sapere.
Uno strano brivido gli attraversò le viscere, forse il
ricordo sfocato dell’ebbrezza dissennata e irruente di una
battaglia, mescolato all’incertezza e all’ansia
della riuscita.
La dama nera aveva bisogno di sentirsi lusingata dalle premurose
attenzioni di un prode Capitano, ergo aveva bisogno di braccare una
preda e di combattere per catturarla, con ardimento e furore, se
necessario. Il problema era che lui non sapeva più se
possedeva ancora tutto quell’ardore e
quell’incoscienza con cui tante volte si era spericolatamente
gettato all’arrembaggio in passato.
Ed eccolo lì, di nuovo vergognosamente paralizzato dallo
spettro della paura. Possibile che fosse davvero diventato un
pisciasotto?
«Dov’è, dove non è
… Se vi date una mossa, lo scopriremo! Forza, dateci dentro
con quelle scotte, brutti scansafatiche!», Gibbs intanto
sbraitava per sovrastare gli strepiti scomposti dei compagni che
correvano ancora di qua e di là, come biglie impazzite.
Jack non seppe se sentirsi insultato o confortato dalla sua ostinata
invadenza, che spesso aveva la spiccata capacità di
disciplinare quel canagliume qualora lui fallisse
nell’intento.
«Giusto! Braccia in trinchetto, uomini! Spiegate per bene
maestra e mezzana e andiamo a prenderli! Per la Perla!», li
sollecitò con fierezza anche lui, mentre le grandi vele
scure schioccavano contro il vento divenuto più intenso,
costringendo il nostromo a contrastare con più forza la
rotazione del timone.
«Per la Perla!», passò di bocca in bocca con euforia e trepidazione.
Il Capitano attese che la manovra fosse compiuta a dovere,
verificò per l’ennesima volta
l’oscillazione dell’ago magnetico e quindi, senza
spendere altro fiato né rivolgersi a nessun altro, si
avviò con malcelata impazienza verso i suoi alloggi,
indirizzando un reticente cenno d’intesa al suo primo
ufficiale.
Si domandò se si rendeva conto che gli stava raccomandando
molto più di una rotta da seguire. Gibbs pareva essere
tornato sui suoi passi, aveva riconosciuto la sua autorità e
accettato la sua posizione di subordinato, più che altro
perché alla sua veneranda età non poteva sperare
che qualcun altro lo assoldasse. Era l’unico dopo tutti
quegli anni di connivenza a sostenerlo e sopportarlo. Ma
l’inaspettato voltafaccia con cui l’aveva mollato
un paio di settimane prima gli rodeva ancora, non era più
tanto sicuro di potersi fidare completamente di lui. O forse quel
persistente prurito che gli tormentava le carni era solo dovuto alla
scabbia?
Ancora immerso in quelle spinose divagazioni, entrando in cabina si
spogliò di tabarro, tracolla e tricorno, riponendoli
distrattamente sullo schienale di una poltrona dalla tappezzeria bucata
e impolverata, da cui si sollevò un velo di pulviscolo che
andò a depositarsi su un tappeto altrettanto lacero e
polveroso.
Quando vi era rientrato da solo per la prima volta, dopo ben quindici
anni di lontananza, era rimasto piacevolmente sorpreso dallo scoprire
che il precedente inquilino non avesse apportato significative
modifiche al semplice ma elegante arredamento di
quell’ambiente, intimo e allo stesso tempo di rappresentanza.
Anzi, in alcuni casi aveva provveduto perfino a delle migliorie,
facendo riparare sculture e vetrate rimaste danneggiate da tempeste e
cannonate affrontate in quel maelstrom infernale. Tra gli scaffali e
dentro i bauli aveva anche rinvenuto carte nautiche più
aggiornate e strumenti di navigazione più moderni. In
verità aveva trovato pure qualche nuova suppellettile di
dubbio gusto, ma l’aveva fatta sparire subito, barattandola
per qualcosa di maggiore utilità, come viveri, armi e
munizioni.
Sfiorò con dita compiaciute il pregevole armamentario
dispiegato sul lungo e robusto tavolo di noce che occupava buona parte
dello spazio interno, ciondolando verso la zona più
appartata in cui era sistemata la modesta branda. Non sopportandone il
lezzo di vecchiume e sporcizia non sua, ne aveva rimosso il
pagliericcio maleodorante e deformato, rimpiazzandolo con uno
discretamente meno usato, comprato a pochi scellini in un porto di
passaggio. Una volta sdraiatosi, avvolto dall’odore del legno
vissuto e di quelle pareti impregnate di salsedine, piombo, sego e
catrame, un odore che non somigliava a quello di nessun’altra
nave, si era sentito di nuovo a casa. E quella prima notte trascorsa
sulla Perla aveva dormito profondamente, cullato da sogni
così palpabili e piacevoli come non rammentava di averne mai
avuti in tutta la sua vita, o per lo meno, da moltissime lune.
Al risveglio, i raggi caldi sulla faccia, il moto discreto delle onde,
il sapore dolce del rum sulle labbra, l’obbedienza fiduciosa
della ciurma, gli era apparso tutto talmente perfetto, da sembrare il
risultato di una colossale sbronza. E, di fatto, in fondo di quello si
era trattato. Dovevano pur festeggiare la definitiva dipartita di quel
vendicativo corsaro non morto spagnolo!
I giorni successivi però, l’atmosfera a bordo era
cambiata, gli sguardi dapprima raggianti e ammirati degli uomini si
erano fatti insofferenti e sospettosi, e la sua scarsa risolutezza
nello stabilire una rotta o almeno tracciare un approssimativo piano
d’azione, aveva contribuito ad alimentare borbottii e
malumori.
Quello sgradevole tanfo di insoddisfazione non gli era affatto
sconosciuto, era una situazione in cui sfortunatamente si era
già ritrovato e non aveva alcun desiderio di riviverla. Non
tanto perché lo spaventasse la prospettiva di essere
lasciato indietro da tutti quanti. La solitudine era una fedele
compagna che aveva imparato ad apprezzare molto presto, insieme alla
bottiglia.
Il rum non l’aveva mai tradito. O quasi.
Malgrado ne fosse più che dipendente, era ben consapevole
del suo meschino potere. Da quanto aveva sentito dire, aveva trascinato
famigerati capitani come John Rackham alla rovina, e consegnato interi
equipaggi nelle grinfie delle spietate giubbe rosse.
Così, con immenso sforzo di volontà, si era
imposto di ridurre il consumo smisurato di quella bevanda prelibata,
per essere sufficientemente vigile nella malaugurata evenienza di un
principio di ammutinamento, che l’avrebbe privato di nave e
ciurma.
No, questa volta lo avrebbe evitato. Doveva evitarlo. Aveva scoperto
con orrore di avere già qualche filo argentato tra i
capelli, e anche altrove, perciò doveva adoperarsi a
recuperare quanto prima il suo buon nome e far lievitare di conseguenza
il compenso per la sua taglia, che era crollato troppo in basso per un
ignobile furfante di tutto rispetto come lui.
Certo che quel clima rovente non lo aiutava. Aveva la gola riarsa. Gli
ci sarebbe voluto qualche goccino per sciacquarsi la bocca impastata di
sale. Avrebbe bevuto solo un pochetto, senza esagerare. Poteva
riuscirci.
Anche perché doveva centellinare quel poco che gli era
rimasto e che, per precauzione contro la sua stessa incontenibile
voglia, teneva sotto chiave. O lo avrebbe fatto, se lo stipetto
prescelto avesse posseduto una serratura. Mancanza cui avrebbe
rimediato quanto prima.
Si risollevò dall’informe giaciglio in cui si era
adagiato a riflettere e con andatura circospetta raggiunse
l’armadietto in questione, tendendo le orecchie a possibili
intrusioni, ma non appena lo aprì qualcosa di piccolo,
peloso e urlante lo assalì, attaccandoglisi al collo e
strappandogli uno strillo violento e acuto.
«Scimmia?! Che cosa diavolo ci fai tu qui?»,
lottò qualche istante per togliersela di dosso e cercare di
scagliarla il più lontano possibile dalla sua persona,
sentendo accrescersi quell’insopportabile formicolio su tutto
il corpo al solo pensiero dei parassiti che quella bestiola doveva
avere annidati nella pelliccia.
L’animale, impaurito quanto lui da quello spiacevole incontro
ravvicinato, berciò tirandogli una zampata e andando a
nascondersi prontamente in un angolino.
L’urlo del Capitano assunse un’intonazione
isterica: «Scrum!» richiamò con quanto
più fiato gli riuscisse di espellere, tra i singulti
inorriditi con cui si apriva la camicia e tastava la pelle lacerata
dall’unghia del primate, frugando vari cassettoni in cerca di
uno specchio che gli permettesse di valutare il danno.
Il marinaio canterino, udendo infine il suo nome gridato a squarciagola
in mezzo a quel tramestio, accorse più in fretta che
poté: «Vossignoria!» eseguì
una mezza riverenza, sgranando poi gli occhi chiari alla vista del
lungo graffio arrossato che sfregiava il torace del Capitano,
«Che succede?»
Jack sbuffò, digrignando la mascella, ben oltre
l’indignazione: «Non ti avevo affidato il preciso
compito di sbarazzarti di quell’irritante inutile sacco di
pulci?»
Scrum si tolse il cappello, tenendolo nervosamente tra le mani
sudaticce: «Ed è quello che ho fatto signore.
Rivenduta a un mercato di Saint Vincent per venti penny», gli
confermò, leggermente offeso per l’insinuazione
sulla sua onestà.
Un sopracciglio di Capitan Sparrow s’inarcò,
svanendo sotto la bandana: «Mi avevi detto che
l’avevi venduta per dieci penny …»,
mugugnò fissandolo con un cipiglio dubbioso e severo.
«È vero! Che smemorato!», si
giustificò maldestramente il biondino, abbonando un
innocente sorrisetto.
Jack non si arrabbiò più di tanto. Dopotutto
erano ladri incalliti, cos’altro poteva aspettarsi?
Agitò una mano, come a scacciar via propositi di ripicca:
«Sia come sia, la bestiaccia rognosa si aggira ancora
qui», asseverò risentito, tamponandosi
l’unghiata con un sudicio fazzoletto e guardandosi intorno
con aria infastidita, temendo un altro attacco a sorpresa.
«Con tutta la stima, signore … siete proprio certo
di averla veduta?», tentennò ancora il manigoldo,
alternando lo sguardo imbarazzato da lui alla bottiglia che stringeva,
evidentemente sospettando fosse già ubriaco e avesse le
traveggole. «Non mi capacito di come possa essere tornata a
bordo senza essere notata da nessuno … »
«Sono disgraziatamente, innegabilmente sobrio, mastro Scrum!
Nelle ultime due ore non ho bevuto neppure un passito!», si
discolpò l'eccentrico Capitano, e, nonostante la sua ultima
affermazione avesse acceso nell'uomo un nuovo quesito, il cipiglio
alquanto burbero con cui lo fulminò, gli
sconsigliò di insistere.
Proprio in quel momento, anticipato da un leggero scalpiccio, il
soggetto della discussione fece di nuovo la sua comparsa, balzando sul
suo trespolo a dondolo e squittendo intimidatorio contro i due.
Scrum, riconosciuta l’evidenza dei fatti, fece scorrere le
dita sull’impugnatura della pistola: «Volete che la
accoppi, signore?», bisbigliò cauto, misurando i
movimenti per evitare di allertare i sensi della bestiola e
così farla scappare. Ma quella, quasi fosse in grado di
capire il linguaggio umano, soffiò arruffandosi tutta,
inducendolo ad arretrare per timore di essere aggredito.
«No. Ci penso io. Va’ pure», lo
licenziò seccamente Capitan Sparrow, temendo di veder
ridotte le pareti della sua cabina in un colabrodo. Il marinaio non si
fece ripetere l’invito, camminando radente ai muri.
«Ah … Scrum, stasera e fino ad ordine contrario
per te niente pasti, che tanto qualche riserva di grasso ce
l’hai per sopravvivere», gli schiaffò
dietro, stampandosi un sottile sogghigno quando vide le sue spalle
incurvarsi per l’umiliazione.
In qualche modo doveva pur punirlo per la sua inettitudine e le sue
fandonie, e quel castigo in fondo era davvero il minimo. Mannaggia! Si
stava proprio rammollendo.
La scimmietta sua omonima intanto non smetteva di zirlare e mostrare i
piccoli denti aguzzi, rivolgendogli chissà quali e quanti
insulti nel suo idioma animalesco.
Jack sfoderò la sua sciabola, impugnando con
l’altra mano l’ultima agognata bottiglia di rum:
«E ora a noi due», la sfidò drizzandogli
contro la lama appuntita, pregustando il liquore con cui stava per
bagnarsi le labbra prima di cominciare lo scontro. Tenendo la bottiglia
controluce, però, si accorse che di liquore ne era rimasto
molto meno di quanto non avesse desiderato: «Ti sei pure
ciucciata il mio rum? Ladra sfacciata!»
Quel furto lo istigò a scagliarsi contro il suo rivale con
maggiore irruenza. La rincorse per tutta la stanza, spandendo fendenti,
calci e sgambetti, sebbene la differenza di dimensioni e di
velocità giocasse a favore dell’animale, che
poteva facilmente sfuggire al suo goffo inseguitore rintanandosi sotto
i mobili o saltando tra le travi del tetto.
Non contenta del suo vantaggio, iniziò anche a lanciargli
piccoli oggetti raccolti qua e là, tappi di sughero,
bicchieri, penne, calamai, ninnoli vari.
«Piantala! O giuro che se ti prendo, ti faccio servire con lo
stufato!», la minacciò al culmine
dell’esasperazione, parando e respingendo come meglio poteva
quella pioggia di proiettili impropri ma dannatamente efficaci. La
bestiola aveva anche una buona mira e si divertiva un mondo a
provocarlo: «Adesso ti infilzerò,
maledetta!», grugnì più che
indispettito, gettandosi su una libreria che nell’impatto si
rovesciò, alleggerendosi di molti dei suoi tomi.
Si chiese come diamine avesse fatto il suo precedente possessore ad
addomesticarla. Lui non aveva dimestichezza né pazienza con
gli animali, non ne comprendeva l’utilità, salvo
che come cibo, e non gli piacevano. Non gli piaceva sentirsi spiato da
una piccola presenza nascosta in qualche angolo buio, qualcosa di
simile ad un assillo acquattato in un angolo remoto della sua testa,
tantomeno ritrovarsela tra gli stivali o addosso nei momenti meno
opportuni. Già era costretto a dividere il poco spazio di
cui disponeva con quel branco di caproni puzzolenti, avrebbe rinunciato
più che volentieri a ospitare pure una scimmia pulciosa.
E temeraria. Raccolse un coltello e con fare impertinente lo
affrontò in un vero duello, esibendo affondi degni di un
abile spadaccino. Incassate un paio di stoccate, Jack decise che era
una lotta persa in partenza. Sarebbe stato più facile
sconfiggere un fantasma. Si fermò a riprendere fiato, al che
anche la piccola canaglia smise di agitarsi, per poi rifugiarsi ai
piedi del suo letto, cominciando a battere i pugnetti sul pavimento e a
vociare.
Lui non poteva affermare di conoscere o comprendere i bizzarri
comportamenti animali, tuttavia quel suo strano insistere a percuotere
le zampe su di un punto preciso lo incuriosì, tanto da
portarlo ad ipotizzare che volesse suggerirgli qualcosa. Nei suoi
occhietti impertinenti e dispettosi tutto sommato pareva rilucere una
qualche forma di intelligenza, seppure primitiva.
Si inginocchiò accanto a lei, copiandola e dando anche lui
qualche colpetto sulle assi, avvertendo un suono diverso, di vuoto.
C’era un’intercapedine di cui ignorava
l’esistenza.
Grattandosi uno zigomo umido per il sudore, si rialzò
guardingo per andare ad inserire una mandata alla porta. Non sapeva
ancora cosa avrebbe rinvenuto, ma il suo sesto senso gli
consigliò che fosse prudente cautelarsi da sgradite
interferenze esterne.
Ritornato sul posto, estrasse un corto pugnale dalla cintura e
iniziò ad armeggiare per individuare una fessura con cui
fare leva per aprire lo scomparto segreto. La scimmietta lo osservava
da vicino ma quasi indifferente, fino a che con uno scatto la tavola si
sollevò, rivelando la presenza di uno scrigno di media
grandezza dall’aspetto anonimo e modesto, ma protetto da una
serratura assai complessa.
Sul volto di Jack si impresse una smorfia di disappunto. Avrebbe
richiesto un bel po’ di impegno e di rumore per essere
scassinato, non che in quel momento avesse chissà quale
altra occupazione a tenerlo occupato …
Si armò di calma e di un coltello dalla punta più
fine, augurandosi che valesse la pena investire tanto sapere e tanta
esperienza furfantesca per scoprirne il contenuto.
«Non è che ti ritroveresti la chiave, per
caso?», domandò con graffiante ironia alla
bestiola che se ne stava stranamente silenziosa e tranquilla ad
assistere ai suoi tentativi, abbarbicata su un pilastro.
Assicurandosi di produrre il minimo cigolio, in pochi minuti
riuscì a forzare il meccanismo di chiusura e a posare gli
occhi su ciò che quel cofanetto custodiva: monete di vario
valore e gioielli tempestati di pietre preziose. Rimase per qualche
manciata di secondi con la bocca semiaperta: le sue pupille non
godevano di uno spettacolo simile da tempo immemore.
«Hector! Brutto vecchio bastardo figlio di una buona
donna!», ridacchiò tra sé e
sé, «E tu che professavi di dividere tutto
equamente!», rammentò con spregio, immergendo le
mani in quel ricco bottino da cui era stato diviso solo poche spanne
senza neanche sospettarlo.
Frattanto la scimmietta si acquattò di fronte a lui,
afferrò una moneta dorata e se la strinse al grembo,
arricciando il muso e mormorando con vocetta flebile e spezzata.
Se non l’avesse creduta priva di anima, avrebbe pensato che
quella bestiolina stesse soffrendo per la mancanza del suo padrone.
Sembrava così tenera e inoffensiva che fu tentato di
sparargli. Sarebbe stato così comodo porre fine alla sua
agonia, ma qualcos'altro lo distolse da quel macabro proposito.
Notò un sacchettino di iuta chiuso da un laccetto incastrato
accanto al forziere.
«Toh guarda: noccioline!»,
esclamò contento e sorpreso, aprendolo e portandosene subito
una manciata alla bocca. Il loro sapore stantio lo costrinse a
risputarle con la stessa velocità e a regalarle alla
creaturina. Mentre quella le sgranocchiava di gusto per poi vomitare a
sua volta, lui si gingillò a provare qualcuno di quei
brillanti anelli, sostituendoli con alcuni dei suoi, oramai opachi e
scalfiti. Non aveva che l'imbarazzo della scelta: c'erano rubini,
topazi, ametiste, lapislazzuli, quarzi e perfino un diamante. Molto
probabilmente non provenivano da un unico bottino, ma dovevano essere
stati accuratamente selezionati nel corso di vari abbordaggi.
Curioso che quell’avido mascalzone di Barbossa non avesse
cercato di impossessarsene di nuovo, una volta che la Perla era tornata
alle sue dimensioni normali. D'altra parte il suo insondabile cuore
nero era stato soggiogato da una preoccupazione di ben altra natura.
Ancora stentava a credere che quella storia fosse vera. Quello
scorbutico farabutto senza un minimo di fascino aveva sedotto una donna
onesta e con lei procreato. Era stata una coincidenza veramente
imprevedibile che quella graziosa ragazza dalla lingua lunga si fosse
imbarcata nel loro stesso viaggio, in combutta con l'avventato figlio
dei Turner, per giunta ...
I versi striduli e petulanti di Jack la scimmia lo richiamarono
bruscamente da quella selva tortuosa di considerazioni, cavandogli un
grugnito contrariato. Di riflesso agguantò la pistola
puntandogliela contro, ma l’approssimarsi di passi gli fece
riconsiderare il gesto. Delle nocche bussarono incerte.
«Capitano? Va tutto bene? Vi serve qualcosa?»
Erano quegli ex soldati inglesi scialbi e incompetenti, mandati quasi
certamente da Gibbs a ficcanasare nei suoi affari, dopo che Scrum
doveva aver spettegolato della zuffa in corso tra lui e quella palla di
pelo. E la palla di pelo aveva cercato di avvertirlo.
Sollevò mezzo labbro verso di lei, rinfoderando
l’arma: «Stavo poltrendo che era una meraviglia,
finché voi due impiastri non siete venuti a turbare il mio
meritato riposo!»
Gli uomini accavallarono maldestre scuse, dileguandosi per sua fortuna
senza tanta insistenza.
Sarebbe stato meglio che di quell'incredibile tesoretto non fosse
venuto a conoscenza nessun altro o la voglia di pirateggiare sarebbe svanita a tutti. Si tolse a malincuore gli anelli più
vistosi, richiuse lo scrigno e riposizionò alla svelta la
tavoletta di legno che occultava quello scomparto, il tutto sotto
l’attenta supervisione del vivace mammifero arboricolo, che continuava a fissarlo scoprendo le gengive in una specie di sorrisetto, quasi volesse ricevere qualche cenno di approvazione.
Agli inizi, dopo che gli aveva restituito la bussola, l’aveva
creduta più mansueta, aveva osato pensare che potessero
andare d'accordo, o per lo meno raggiungere un compromesso. C'erano ore
in cui stava sulle sue ed era piuttosto discreta, e altre in cui si
dimostrava per la bestiaccia selvatica e dispettosa che era.
Rosicchiava le cime, rubacchiava il cibo, strillava, era fonte di
disturbo e distrazione per gli altri, che già dalla loro non
eccellevano per zelo e abilità.
E poi lui detestava gli animali. Erano incompatibili. Perciò
aveva voluto liberarsene, in maniera comunque pacifica. Pochi minuti
prima nondimeno si era comportata da cane da guardia, malgrado la sua
ridotta stazza. E gli aveva fatto trovare quel bel gruzzolo. Gliene
dava merito.
«Scimmia, ti sei guadagnata la mia clemenza. Per
adesso», specificò titubando nel porgerle un
leggero buffetto sulla testolina. Era più soffice e liscia
al tatto più di quanto non immaginasse. Risollevandosi dal
pavimento, raccattò la superstite bottiglia e si
buttò sulla branda.
Il graffio sul petto gli bruciava ancora un po’, avrebbe
dovuto disinfettarlo. L’alcol era il rimedio ideale, ma non
avrebbe sprecato quel poco di rum che gli era rimasto per
quell’inezia. Oramai era un’altra cicatrice, una
delle tante. Di ferite la sua lurida pelle ne aveva subite parecchie,
molte delle quali assai più profonde e immeritate.
Da che aveva memoria aveva sognato il mare, la fama e
l’avventura, ma prima che l’esperienza desse i suoi
frutti aveva patito la fame, la galera e un buon numero di costole
incrinate, rammentò svestendosi della madida e maleodorante
camicia, tracannando e restando a far errare e intrecciare ricordi e
pensieri di una vita vissuta sempre sull’orlo
dell’abisso, sempre solo contro tutto e contro tutti.
Un leggero peso fece sobbalzare il suo misero giaciglio. Ad occhi
socchiusi colse il muoversi sinuoso della sua lunga coda mentre si
accoccolava e percepì il suo tepore vicino ad una gamba,
ritraendosi spontaneamente da quel contatto indesiderato.
Per assurdo che fosse, quella creaturina aveva trascorso sulla Perla molto più tempo di lui. Era una tipetta vivace e furba. Chissà, avrebbe potuto rivelarsi una buona alleata.
«Credo che ti cambierò nome … Che te ne
pare di Hector?»
NDA: Per chi non lo sapesse, in
inglese l'espressione "Monkey business" ha diversi significati:
faccenda di poco conto, bugia, follia o anche cosa stupida.
Naturalmente ho scelto questo titolo anche in riferimento alla scimmia
vera e propria, di cui mi ha un po' spiazzato vedere l'improvvisa
apertura verso Jack, così ho voluto riscrivere l'inizio
della loro relazione (lo so, scelgo coppie assurde!)
Anche questa volta, come già nella precedente "Stuck", ho
scelto di usare il così detto grado 0 della narrazione, in
pratica scrivendo dal punto di vista interno di Jack, pur non usando la
prima persona, per cui il modo di giudicare gli altri personaggi e di
descriverli rientra quasi totalmente nel suo modo di pensare.
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