In
precario equilibrio
“Tutto
il Mondo Magico poggia su fondamenta fatte di
cristallo, belle
a vedersi ma altresì fragili.”
Questa
era stata l’inconfutabile verità a cui era venuto
a capo Harry
Potter in una mattinata gelida mentre era intento a guardare il cielo
grigio, attraverso la condensa del proprio fiato mozzato, disteso sul
marciapiede umido di pioggia, dopo una rovinosa caduta.
Qualche
attimo prima, stava discutendo animatamente, mentre passeggiava
affiancato a Ginevra Weasley, quando, tutto ciò che lo
circondava,
aveva cominciato a vorticare. Era stato strano. Da vari giorni gli
pareva di avvertire – come in un ripetuto tocco –
un leggero
sfrigolio alla periferia delle orbite che costringeva
l’occhio a
ripiegare su di esso, nel vano tentativo di focalizzarlo,
destabilizzandolo: non se ne era curato. Ma quel giorno, in quel
preciso istante, i giochi di luce erano scoppiati
all’improvviso,
in un turbinio incessante, quasi fossero stati il guizzo saettante di
numerosi birilli investiti da dei bolidi scagliati a folle
velocità.
—
Harry!
Harry! — La voce preoccupata e al tempo stesso infastidita di
Ginny
l’aveva raggiunto negli intervalli concessi dai lampi di
luce, così
intensi da offuscare i sensi. Quella che, a primo acchito, gli era
sembrata una gelida pioggia, l’aveva investo penetrando la
carne
come fosse fatta di burro, allarmando contemporaneamente tutti i
recettori del dolore. “Una Cruciatus
avrebbe fatto meno danni.” era arrivato a pensare,
in un breve
momento di lucidità. Forse stava anche urlando, non ne era
del tutto
consapevole, ma aveva avvertivo chiaramente un sapore aspro
ristagnare sul fondo della gola. Ombre scure si stavano contorcendo
tutt’intorno dandogli un senso di soffocamento: gli mancava
così
tanto l’aria che aveva avvertito distintamente i propri
polmoni
collassare e l’inconscio sprofondare nella melassa.
Aveva
ripreso coscienza pian piano. Come prima cosa aveva avvertito il
lieve tremolio di un piede, poi il ginocchio sinistro aveva iniziato
fastidiosamente a pulsare, intervallato alla tortura di non poter
grattare un punto della scapola, per colpa delle dita ancora
intorpidite; nemmeno il lento sfregamento della pelle, a contatto con
le lenzuola fresche, aveva portato giovamento. In quei lontani
giorni, era stata una lunga agonia riprendere possesso del proprio
corpo, mentre se ne stava tutto solo in una stanza isolata a
rimuginare sul “perché sempre a me”:
senza cibo, senza
acqua e, soprattutto, lontano dalla Magia.
Harry
si destò di soprassalto, con la stessa sensazione di quando,
durante
le noiose lezioni di Storia della Magia,
Hermione era solita pizzicargli il sedere con un incantesimo per
tenerlo sveglio. Spalancò gli occhi verdi e, disorientato,
fissò il
soffitto candido finché la sensazione familiare di un
liquido gelido
che scorreva sulla pelle lo riscosse facendogli voltare il capo di
lato, in direzione dell’amica di sempre intenta a evocare il
proprio Patronus.
—
Herm,
per favore, finiscila. — la pregò; la sua voce
stanca raggiunse la
ragazza al centro della stanza che, per un istante, smise di muovere
pigramente il polso per prestare attenzione all’amico disteso
sul
letto d’ospedale. — Hai mandato almeno tre
messaggi, non verrà,
lo sai tu, come lo so io e ora l’ha compreso anche quel
passerotto
che continui a spaventare. — Il moro sospirò
affaticato, non si
era ancora ripreso del tutto dall’ultima crisi,
guardò la riccia
lasciarsi sfuggire una risata nervosa mentre alzava le spalle
distrattamente, quasi non le importasse della sua opinione.
—
Non
sono d’accordo, vedrai che appena ti riappisolerai lui
farà
maldestramente irruzione da quella porta e, come suo solito,
avrà da
ridire sulla tua poca sensibilità nel dimostrare amicizia.
—
Hermione lo rimbeccò prontamente, mentre osservava
affascinata con
quanta lentezza l’amico, adagiato sotto pile di coltri
candide,
sollevava la mano per andare a grattarsi un punto preciso del
sopracciglio di sinistra. — È solo che non
è un periodo facile, —
ricordò al moro.
— Non
credi che anche io stia male ad ogni anniversario della morte di
Fred? — scattò ferito, interrompendola deciso,
— nonostante Ron
insista sul piccolo particolare che “quella notte”
non ho
perso nessuno della mia famiglia, — continuò
rabbioso
sottolineando, con uno sguardo di fuoco, quelle poche parole,
—
molte persone a me care sono venute a mancare, io stesso sono morto,
— ringhiò, facendo sussultare spaventata la
ragazza, — ma per
lui, evidentemente, non è abbastanza.
—
Non
è per questo che ce l’ha con te, o meglio, non
solo per questo, —
dopo un pesante silenzio, Hermione riprese a parlare titubante, quasi
cercasse le parole giuste per non offendere Harry, — Ron non
ti ha
ancora perdonato l’aver lasciato Ginny per…
— tentennò, senza
trovare il coraggio di pronunciare quel nome che rimase dolorosamente
incastrato tra le sue labbra serrate. Mortificata la ragazza
voltò
le spalle perdendosi l’espressione triste e al contempo
furiosa di
Harry che chiuse di scatto gli occhi arrossati. Il volto pallido
sembrava invecchiato sotto la luce impietosa del sole che entrava con
prepotenza dalle tendine scostate riempiendo la stanza, dipinta di un
colore neutro, assieme ai profumi della primavera accompagnati dai
trilli gioiosi degli uccellini.
—
Senti,
— disse Harry con voce delusa, — Ginny e io ci
siamo lasciati
molto tempo prima, — freddamente strascicò le
parole, come se quel
discorso l’avesse affrontato migliaia di volte, —
abbiamo provato
a stare insieme e semplicemente non ha funzionato.
—
Non
ci hai nemmeno provato, — lo accusò la ragazza,
giratasi di scatto
e puntando il dito in direzione dell’amico; tremava un
po’ ma
sembrava che a nessuno dei due importasse, visto
l’intensità con
cui si squadravano in cagnesco. — Lo sai quanti discorsi
abbiamo
intavolato sul nostro futuro, Ginny e io, sul futuro dei nostri figli
che immaginavamo intenti a giocare tutti insieme nel cortile della
Tana. — Lacrime amare
presero a scorrere sulle guance
accaldate di Hermione. — Parlavamo per ore, Ron e io,
convinti che
questo fosse anche ciò che desideravi tu. È stato
un brutto
risveglio. Molly, quando pensa di non essere vista, piange
sull’abito
che avrebbe voluto indossare al matrimonio dell’unica figlia.
—
Lo guardò seria, certa di colpire nel punto giusto, tanto
per farlo
sentire un po’ più in colpa. Harry scosse la testa
amareggiato,
sebbene provasse pena per la donna, egoisticamente non gli importava.
Aveva speso molte energie per portare avanti una relazione che si
trascinava stanca attraverso i molteplici impegni di entrambi. E
quando improvvisamente tutto il suo mondo era crollato, a causa di
alcuni strascichi della distruzione dell’Horcrux
da
parte di Voldemort, Harry si era accorto che Ginny era andata avanti,
lasciandolo da solo ad affrontare le conseguenze.
—
Come
vuoi tu, — la liquidò Harry, — ma sappi
che non aspetterò Ron,
non più. Non ne vale la pena perché ogni volta
che ci troviamo
insieme si finisce a rinvangare un passato che dovrebbe essere morto
e sepolto sotto metri di terra assieme a Voldemort. E io sono stanco
di dover giustificare ogni mia scelta, di guardarlo in faccia e dover
fingere di provare vergogna perché amo un uomo. —
Sbuffò sfinito
passando la mano tra i capelli scuri senza più forze per
strattonarli, gli occhi verdi, asciutti e fermi, fissi in quelli
umidi di lei.
In
quel mentre, entrò una donna rotondetta fasciata
nell’aderente
divisa azzurra delle infermiere, il sorriso gioviale si spense sul
viso paffuto quando notò che la ragazza teneva in mano la
bacchetta.
—
L’ora
delle visite è finita, — disse dura scrutando
impaziente la
ragazza, — la pregherei di mettere via la sua bacchetta o mi
sentirò costretta a riferire al mio superiore. —
Hermione sbuffò
ma acconsentì alla richiesta. — Bene, —
riprese, mentre il volto
tornava sereno. — ho qui l’iniezione…
— la frase le morì in
gola quando posò gli occhi scuri sul collo appena scoperto
del
proprio paziente; cacciando un verso acuto allungò il passo
per
schiacciare un pulsante giallo posto sopra la tastiera in ferro del
letto, appoggiando distrattamente la siringa sul primo ripiano
disponibile. — Come ha potuto, — sibilò
furiosa all’indirizzo
della riccia, — le è stato ripetuto più
volte di non usare la
magia in presenza del signor Potter, — sbottò
mentre febbrilmente
estraeva dal cassetto del comodino una mascherina bianca e
l’attaccava, per mezzo di un tubo trasparente,
all’imboccatura
dell’erogatore d’ossigeno conficcato nel muro.
— Mi sembrava di
aver capito che era sua amica, — borbottò
all’indirizzo di
Harry; senza attendere risposta, con efficienza, gli sistemò
la
mascherina sul viso e osservò preoccupata il respiro farsi
sempre
più affaticato, la pelle del corpo ormai diventata bluastra.
Uno
scalpiccio frenetico e dal corridoio si riversarono dentro la stanza
un paio di medici e vari infermieri che si affrettarono intorno al
corpo tremante adagiato sul letto; seppur ingabbiato, le urla di
dolore di Harry strisciarono fuori lungo i muri facendo accapponare
la pelle a tutti i presenti.
—
Granger,
potrei ucciderti per questo, — sibilò una voce
fredda alle spalle
della ragazza che sussultò, colta alla sprovvista.
— Fuori tutti,
— tuonò la voce — e portatevi dietro
questa sudicia
Sanguesporco. — Sputò velenoso
indicando Hermione che
protestò inutilmente mentre veniva cordialmente messa alla
porta. —
Potter, quando imparerai a capire che devi circondarti di amici
migliori? — Sussurrò preoccupato alla figura
pallida che giaceva
sul letto, mentre gli scostava gentilmente una ciocca di capelli
scuri dalla fronte imperlata di sudore; il ronzio dei macchinari si
mischiò ai lamenti del ragazzo saturando l’aria
della piccola
camera, ora in penombra. Draco chiuse gli occhi stanco, le lunghe
dita diafane intente a martoriare un lembo del lenzuolo candido.
Gli
sembrò che fosse passato un secolo da quando, distratto per
l’imminente esame di ammissione al secondo anno per
l’Accademia
di Medimagia di Derby nel Derbyshire, sperduta nei boschi
delle
Midlands Orientali, era letteralmente inciampato nel corpo di Potter.
Lo Sfregiato si stava contorcendo
sull’acciottolato di un
caratteristico borgo magico scozzese, situato in una ridente vallata,
in preda a quella che, a primo acchito, gli era sembrata una crisi
epilettica; immediatamente si era prodigato a prestare i primi
soccorsi. Memore del corso estivo fatto l’anno precedente,
aveva
allontanato da Potter la piccola folla di curiosi che si stava
accalcando tutt’intorno. Aveva spinto bruscamente di lato
lapiccolafiammiferaria e,
una volta inginocchiato, aveva evocato un morbido cuscino che aveva
posto sotto la nuca dalla zazzera scura per attutire i movimenti
bruschi della testa. Aveva osservato preoccupato gli occhi dello
Sfregiato perdere vitalità: era rimasto
immobile, a debita
distanza, incurante dei passanti che lo stavano urtando in
continuazione, la bacchetta ben salda nella mano sinistra, in attesa
che la crisi passasse.
—
Malferret,
allontanati da lui, — gli aveva ringhiato contro ladonnolafemmina,
pronta a maledirlo con la propria bacchetta.
—
Senti,
non che ti debba dare spiegazioni, ma studio Medimagia
e so
come affrontare questo tipo di crisi, — le aveva risposto
prontamente, senza neanche guardarla in faccia. — Assicurati
che
nessuno si avvicini troppo, ha bisogno di aria. —
L’aveva
liquidata con un gesto brusco della mano; le ginocchia stavano
affondando in una pozzanghera scura e i pantaloni, di altissima
fattura, erano ormai irrimediabilmente rovinati. Al momento, era
sinceramente preoccupato. “Non avverto
traccie
magiche, eppure questi sintomi
sono compatibili con una
Cruciatus”,
aveva pensato distrattamente
mentre apriva a forza la bocca di SanPotter e
afferrava
saldamente la lingua che si andava attorcigliando sul fondo della
gola. — Manda un messaggio al più vicino ospedale,
c’è qualcosa
di anomalo e ho idea che, se non si calma al più presto,
rischia di
morire soffocato, — aveva suggerito con urgenza alla ragazza
dai
capelli rossi; un attimo dopo un Patronus corporeo
aveva preso
vita dalla bacchetta della Weasley. In quel preciso istante, sulla
porzione di pelle dell’addome di Potter, che si era scoperta
durante la crisi, era apparsa una macchia bluastra, il corpo si era
contorto e l’exGrifone aveva emesso un
forte guaito;
contemporaneamente il cavallo di Ginny si era dissolto in uno sbuffo
di fumo. — Sei proprio inutile, — l’aveva
sbeffeggiata Draco;
nel frattempo era salito a cavalcioni del corpo di Potter nel
disperato tentativo di tenerlo fermo. — Ritenta, —
l’aveva
incitata sempre più spaventato.
—
Ci
sto provando, — Ginny aveva risposto stizzita al ragazzo
biondo, —
ma sembra che Lizzy non voglia collaborare.
— La rossa aveva
sbirciato oltre le ampie spalle di Malfoy e, allarmata
dall’aspetto
dimesso di Harry, si era prodigata in un ulteriore tentativo.
—
Expecto Patronum. — Finalmente il cavallo
si era palesato in
tutto il suo lattiginoso splendore ed era rimasto corporeo quel tanto
che era bastato a far intuire all’exSerpeverde
la reale
situazione.
—
Porco
Godric! — aveva esclamato il biondo, gli occhi fissi sul
livido che
si andava espandendo sulla guancia di Potty. — Porco Godric!
—
aveva ripetuto incredulo, mentre si era issato sulla spalla il corpo
ormai privo di conoscenza. — Porco Godric! — si era
ritrovato a
maledire di nuovo. Poi, senza indugiare oltre, aveva iniziato a
correre verso la statua che rappresentava Beda il Bardo,
posta
a confine tra i due Mondi, incurante della Weasley che gli stava
urlando dietro di fermarsi. Era stata una corsa contro il tempo e,
negli anni a venire, in cuor suo, non era stato in grado di stabilire
da dove avesse attinto la forza per reggere il peso di Potty
fino al bar Babbano,
al centro di una minuscola piazza, dove era miseramente crollato a
terra, ansante. Un istante dopo, era sopraggiunta furiosa la Weasley
pronta a maledirlo. A fermarla era stata la presenza degli avventori
del bar che, preoccupati dall’aspetto del ragazzo moro,
avevano
chiamato i soccorsi senza smettere un attimo di fare domande.
—
Cosa
ti è saltato in mente, — aveva sibilato la rossa
all’indirizzo
del biondo, — correre via così. Se succede
qualcosa a Harry non
esisterà posto abbastanza sicuro in cui nascondere la tua
stupida
faccia, — gli aveva ringhiato contro.
—
Stai
calma, — Draco aveva risposto con voce controllata,
— non ho
tempo per spiegarti, — aveva conciliato, mentre guardava lo
strano
veicolo urlante che si stava avvicinando dal fondo della via
acciotolata, — il tuo ragazzo, — aveva storto il
naso, — è in
piena crisi a causa di una reazione allergica molto grave, credo
abbia a che fare con la magia.
—
Tu
sei pazzo! — si era limitata a dire Ginny scuotendo incredula
la
chioma rossa, gli occhi marroni erano spalancati e tremuli. —
Non
dire “trollate”, stupido furetto
platinato, ma come ti
viene…
Draco
non la stava più ascoltando, era intendo a seguire
scrupolosamente
gli uomini, sopraggiunti con il loro squillante mezzo giallo, mentre
stavano assicurando Harry a un piccolo letto dotato di ruote.
—
Vado con loro, tu fa quello che credi. — l’aveva
liquidata. Poi,
dopo aver aspramente litigato con uno dei Babbani
fasciato
nella tipica
divisa blu, era riuscito a spuntarla ed era saltato sul
traballante veicolo verso destinazione ignota; la Weasley
già
dimenticata. Man mano si stavano allontanando dal borgo magico, il
colorito di Potter era migliorato: la respirazione era tornata
regolare e i tremiti erano scemati fino a diventare dei lievi
sussulti. “Appena ci fermiamo troverò
il modo di mandare
un messaggio al mio mentore,”
aveva pensato Draco mentre
si stava mordendo nervoso la guancia interna. “lui
saprà di
certo cosa fare.”
Ed
era stato così.
Il
suo mentore, Asa no Kaori no Hana,
e lui si erano conosciuti in Nepal dove si era trasferito – o
meglio – dove era scappato dopo il processo che, grazie
all’intervento di Potter, lo aveva visto prosciolto da ogni
accusa.
Era successo tutto per caso: Draco, sepolto sotto una pesante cappa
di visone bianco, era bloccato sul ciglio di una mulattiera intento a
osservare l’alba. In quegli istanti, si era sentito leggero e
affascinato dinnanzi alla sconvolgente bellezza della natura che si
andava pian piano risvegliando, svuotato da ogni pensiero; eppure una
parte di sé, seppur irrisoria, si era sentita persa, un
puntino
oscuro in un mare di pece. Nonostante ciò, l’uomo
che gli si era
accostato, forse intuendo il suo disagio, gli aveva detto che la sua
anima era pura e limpida come il primo raggio di sole che aveva
accarezzato quelle alte cime. Erano stati fermi, loro due, a
discorrere per ore, come se il tempo che fuggiva via, insieme alle
nuvole bianche, non avesse avuto nessuna rilevanza. Si era confidato,
Draco, estrapolando da se stesso tutto quello che la propria anima
aveva custodito gelosamente. Alla fine, quando ormai il sole era
calato a baciare le fronde sull’altro versante del canalone,
la
gola arida che raspava ad ogni parola, l’uomo si era
congedato.
—
Dopo
tanto dolore non rimane che ricucire. La tua anima non aspetta altro,
— gli aveva detto con quella sua voce un po’ ruvida
e concisa, —
In fondo alla vallata Maho no otoko
ha bisogno di te. — Gli aveva sorriso enigmatico; gli occhi
socchiusi, in una linea retta che luccicava, facevano un curioso
contrasto con l’espressione seria del volto. Draco era
rimasto a
guardarlo finché non si era inoltrato in un fresco
boschetto,
perdendolo subito di vista; aveva deglutito saliva pesante come
sabbia e aveva immerso le dita gelate nei capelli chiari. Poi,
all’improvviso, come se un nugolo di Doxy
avesse deciso che
le sue mutande erano un buon nascondiglio, si era riscosso e si era
precipitato dietro l’uomo. Da allora, aveva accuratamente
seguito
ogni suo consiglio diventando il più giovane Medimago
in cure
non tradizionali a capo di uno staff in una clinica appena fuori
Londra, che lui stesso aveva fondato.
Draco
strinse forte gli occhi nel tentativo maldestro di trattenere le
lacrime. Con stizza si passò il dorso della mano sulle
guance umide
mentre con l’altra accarezzava piano i capelli indomiti del
suo
uomo. “Per Morgana,”
pensò, “il solo
saperti mio ripaga di tutti gli anni in cui non ci
sei mai
stato, per me.” Sospirò, tirando su con
il naso in una posa
tutt’altro che signorile. — Non ce la faccio
più a vederti
ridotto a uno straccio in tutte le occasioni in cui vi incontrate, te
e i tuoi cosiddetti amici, a correre sempre in tuo soccorso,
rischiando di perderti ogni dannatissima volta, perché loro
non
vogliono comprendere e accettare il tuo nuovo “Io”.
— Lo
guardò triste e un po’ arrabbiato, trattenendo la
voglia di
depositare un bacio a fior di labbra sulla fronte aggrottata.
— Hai
affrontato e ospitato dentro di te Coluichenondeveesserenominato
senza cedere mai, assecondando il desiderio di tutti di salvare il
nostro Mondo, a discapito della tua stessa vita. Ed ora che ti si
sono aperti nuovi orizzonti si rifiutano di accogliere la tua
“Verità”! Stupidi
ipocriti. — Digrignò i denti
frustato mentre, con sollievo, osservava Harry riprendere colore sul
viso e il suo respiro farsi più regolare; gli tolse la
mascherina
dell’ossigeno. — Gli hai fatto “vedere”
che la Magia è
fragile come il gambo di un calice di cristallo e hanno avuto paura,
questo lo comprendo, ma ora hanno passato il limite. —
Parlava a
voce alta, come se volesse farsi sentire dal ragazzo svenuto disteso
in quel letto che, ultimamente, lo vedeva ospite troppo spesso.
—
Anch’io temo per questa tua precaria condizione: sei
così fragile,
Harry! La tua esistenza si barcamena tra “la spada
di Damocle”
e “l’incudine e il martello”
che lottano ogni giorno per
sopraffarti. Non c’è via di scampo, né
per te né per nessuno di
noi: basterebbe un tuo gesto avventato e tutto ciò che ci
circonda
crollerebbe. — Lo baciò sullo zigomo accaldato.
— Sono così
idioti, vorrei tanto prenderli a pedate, se solo tu ti degnassi di
guardare altrove, — Draco si martoriò il labbro,
— se solo me lo
permettessi, — aggiunse a denti stretti, poi prese a girare
per la
piccola stanza a passi nervosi, sbatté il pugno contro
l’anta
metallica di un armadietto, che produsse un rumore sordo. —
Da
domani si fa a modo mio! — ringhiò
all’indirizzo del ragazzo
pallido disteso tra colti candide come un manto nevoso. — Ti
porterò lontano, vivremo come eremiti sulla vetta
più alta del
mondo facendoci beffe dell’umanità. Ti
bacerò fino a sfiancarti e
faremo l’amore sotto le stelle; ti legherò, se lo
riterrò
necessario! Andremo via da qui, tu e io, solo noi.
Intanto
fuori.
—
Finiscila
immediatamente! Expelliarmus!
—
Gridò una voce femminile ansante. La bacchetta
sfuggì alla presa
salda di Hermione e finì schiantata contro un quadro
raffigurante un
paesaggio marino; l’eco dell’ira della nuova
arrivata rimbombò
per tutto il lindo corridoio, pietrificando sul posto i pochi
presenti. — Sei impazzita, come hai potuto essere
così
superficiale! — le vomitò addosso con gli occhi
dardeggianti di
furia omicida; in un attimo, Ginny raggiunse Hermione e le
assestò
un poderoso schiaffo sulla guancia. — Non lo meritate,
né te né
quel deficiente di mio fratello. — La ragazza, famosa per la
sua
combattività, era in piedi al centro del corridoio con i
pugni
chiusi appoggiati ai lati della vita snella, i capelli rossi raccolti
in una treccia morbida e gli occhi marroni fissi in quelli sbigottiti
dell’amica. — Forza vieni, —
l’agguantò per il polso, con
cui si accarezzava inconsciamente la guancia arrossata, costringendo
a seguirla. — Usciamo da qui prima che uno stuolo di Auror
ti arresti per aver quasi ucciso, di nuovo, Harry Potter.
Al
suono del nome, la riccia si ridestò dallo stato catatonico
in cui
era sprofondata e strattonò il braccio, liberandosi
immediatamente.
—
Non
posso, — cominciò a blaterare cercando con gli
occhi la propria
bacchetta, — ha bisogno di me: lo stanno torturando, devo
salvarlo.
— Ginny sbuffò spazientita, un ciuffo ribelle si
sollevò dalla
fronte. — Fino a un secondo fa sentivo i suoi lamenti,
— continuò
avvicinandosi alla porta verde pastello per percuoterla con furia.
—
Fatemi entrare! — urlò, picchiando sempre
più forte i palmi
aperti sul legno lucido.
—
Ora
basta, Hermione! Ti stai rendendo ridicola. — Ginny
allargò le
braccia in un gesto che comprendeva parecchie persone, dai visi
perplessi, affacciate sugli usci del corridoio. — Harry
è in
ottime mani e tu, stai sicura, da adesso in poi, sarai soggetta a una
restrizione. — sibilò con rabbia. —
Eppure, tra tutti noi, eri
quella che vantava di essere la strega più brillante del
secolo. —
Si avvicinò all’amica scuotendo la testa avvilita,
poi l’arpionò
nuovamente per il braccio trascinandola lungo il corridoio fin
davanti alle scale in marmo bianco, voltò in un altra corsia
e
oltrepassò l’unico uscio presente lungo le pareti.
Una volta
entrate, sbatté la porta e, chiedendo scusa a Harry,
silenziò e
sigillò lo stanzino. Hermione sgranò gli occhi.
L’aria puzzava di
medicinale e disinfettante, alti scaffali in ferro contenevano ogni
sorta di attrezzatura e recipienti, nelle madie chiuse a chiave.
Dietro i vetri che luccicavano colpiti dalla fredda luce delle
lampade, erano gelosamente custoditi vasetti di varie forme e colori.
In un angolo, a lato della minuscola finestra squadrata, vi era una
piccola scrivania ingombra di cartelle.
—
Cosa
ti è saltato in mente, Herm, avresti potuto ucciderlo! Non
ti senti
nemmeno un po’ in colpa? — Chiese scrutando torva
dentro gli
occhi della riccia; dal canto suo, la ragazza si girò, in
due
falcate raggiunse la finestra e rimase lì con lo sguardo
fisso oltre
il vetro lievemente opacizzato. Per l’ennesima volta, Ginny
sospirò
frustata. — Perché ti ostini a far finta di non
capire? Perché
non accetti ciò che è, anche se ti sembra
così irrazionale e poco
logico? Cosa c’è di così
spaventosamente sbagliato nei metodi di
Malfoy da renderti così irragionevole nei confronti di
Harry?
Spiegami, perché non riesco a dare una risposta sensata.
— La
rossa rimase interminabili minuti in attesa di un cenno da parte
dell’altra ragazza, visibilmente scossa. Poi, oltremodo stufa
e
avvilita mise la mano sulla maniglia della porta, sussurrò
gli
incantesimi per sbloccarla e poi aggiunse con malcelato dolore:
—
Non farti più vedere, troverò una valida
giustificazione da dare a
Harry. — Ginny uscì lentamente, le spalle
incassate e il passo
pesante come se avesse appena disputano l’ultimo round della
vita e
ne fosse uscita miseramente sconfitta. Non fece in tempo a fare due
passi che la voce di Hermione la raggiunse, sebbene le parole fossero
bisbigliate, esplosero in un boato lungo tutto il corridoio
disadorno.
—
Mi
sento così impotente, — le disse disperata e
amareggiata, — ho
passato giorni e giorni leggendo libri su libri e non ho trovato
nulla, niente che possa aiutare Harry.
—
Forse
perché è l’unico caso esistente nel
Mondo Magico? — domandò
ironica la rossa arricciando il naso. — Quanti esseri umani
conosci
che hanno ospitato un Horcrux?
Non rispondere è solo
retorica, — gesticolò nervosa, interrompendo
l’amica sul
nascere. Sbuffando rientrò nello stanzino, stavolta senza
richiudere
la porta. — Converrai con me nell’affermare che
Harry è una
accozzaglia di sfortunati eventi, giusto? — Parlò
lentamente come
se davanti a lei ci fosse un bimbo piccolo e non una persona
estremamente intelligente; birichina le fece l’occhiolino.
—
Però, ciò che lo rende veramente unico
è l’essere sopravvissuto
all’anatema che uccide per antonomasia. —
Aspettò un piccolo
cenno da parte della riccia e riprese: — bene, è
tutto qui il
nocciolo della discussione: la fortuna e la sfortuna di Harry ruotano
intorno a questo inimitabile particolare. — Si
grattò il naso
pensierosa, perdendosi nell’osservare un ragno tessere la
propria
ragnatela, guardando l’ombra muoversi indaffarata sul vetro
della
finestra. — Non riuscirei mai a riportare tutti i termini
tecnici
usati da Malfoy, per descrivere il caso clinico di Harry,
però so
con certezza che il suo corpo reagisce male ad ogni stimolo magico: è
come se fosse saturo, pronto a scoppiare da un momento
all’altro.
Potremmo paragonarlo a una gigantesca spugna che ormai, troppo
logora, non è più in grado di trattenere a
sé i liquidi; un po’
come quando da bambini non si riesce a trattenere la magia. —
Si
bloccò un attimo ricordando in quel momento un particolare
importante, — Il luminare giapponese, amico del furetto,
è
convinto che gli sfoghi di Magia involontaria siano
uno
spiffero attraverso cui la magia “elude” il
controllo del mago,
per farti capire meglio mi viene in mente lo sbuffo di quella strana
pentola arrugginita che tua madre regalò anni fa alla mia.
— Rise
all’espressione scandalizzata dell’amica.
— Senti, lo so che è
difficile da concepire, io stessa ho impiegato molto tempo per
convincermi che fosse tutto reale. Sai, ero presente al primo
manifestarsi dei sintomi ed è stato atroce guardarlo
contorcersi nel
fango mentre mi sentivo così inutile e impotente.
— Sospirò
abbattuta. — A malincuore, devo ammettere che, se non ci
fosse
stato il furetto, di Harry non sarebbe rimasto che un mucchietto di
polvere: letteralmente. — Lentamente alzò il
braccio e fece una
carezza nel punto in cui la guancia dell’altra era ancora
lievemente rosata. — Scusa, — le disse, —
ma ne avevi bisogno.
— Poi l’abbracciò stretta. Chiuse gli
occhi e lasciò che i
capelli crespi di Hermione le pizzicassero le guance mentre la
serrava in una morsa dolce, accarezzandole la schiena scossa dai
singhiozzi; la rossa attese pazientemente che il pianto scemasse
lasciando che l’amica soffocasse incomprensibili parole sulla
sua
spalla. — Non c’è rimedio al
“male” di Harry, — riprese
con voce cruda e lapidaria, — nessuno può fare
nulla! Dobbiamo
lasciarlo andare, Herm, deve vivere la sua vita lontano dalla Magia,
— continuò severa ma con una sfumatura malinconica
nella voce. —
È
una bomba a
orologeria pronta ad esplodere, — disse con fare
melodrammatico,
per stemperare la situazione, invero, critica. — sorrise
sardonica
all’insistenza della riccia nel voler, a tutti i costi,
“trovare
una soluzione”. Di nuovo indispettita sciolse
l’abbraccio e si
appoggiò svogliata contro l’uscio, dietro di lei
il candore delle
pareti faceva risaltare la chioma ramata.
—
Non
mi arrendo! — dichiarò Hermione con impeto, le
labbra serrate in
una piega amara, — l’ho tenuto vivo fino allo
scontro con
Voldemort, — tentennò appena, mentre pronunciava
il nome, così
lievemente da passare inosservato, — e non
permetterò a qualcun
altro di prendere il mio posto, — concluse con arroganza;
Ginny
rise fino alle lacrime, trattenendo l’addome con le braccia
snelle
fasciate in un golfino leggero color ciliegia.
—
Ha
ragione Malfoy: sei patetica, — le disse, non curandosi
affatto di
averla offesa, — Basta giocare, Hermione, — riprese
tornando
subito seria, — qui non si tratta di
“ruoli” ma di evitare che
Harry perda definitivamente il controllo; è così
stanco di lottare,
di imporsi una disciplina ferrea di autocontrollo, sta perdendo colpi
e, se non lo sapessi già, te lo dico io, —
gesticolò nervosa
indicando un punto oltre le spalle della ragazza che la guardava con
odio. — Il disastro dell’altra settimana al lago
Windermere è
stato causato da Harry perché non è stato in
grado di contenere la
magia dopo il suo ultimo “sfogo allergico”: nessuno
si è fatto
male solo per puro caso. Quel giorno, sei riuscita a convincerlo a
manifestare “Ramoso” e lui, per non deludere i
ragazzini che
presenziavano al tuo convegno “I mille e uno modi
per essere un
mago consapevole”, l’ha fatto e, Santa
Pluffa, so che vi ha
lasciato tutti esterrefatti, anche se stesso, — aggiunse,
facendo
l’occhiolino all’indirizzo dell’amica.
— Che invidia, avrei
tanto voluto esserci anch’io per assistere a quei giochi di
luce,
alla danza sensuale con cui i colori si mischiavano tra loro, al
ritmo vibrante dei tentacoli della Medusa, questo l’aspetto
del suo
nuovo protettore, che giocavano coi capelli di Harry: magia pura mi
hanno detto. — Sospirò con aria sognante.
—
Immagina
invece il nostro shock nello scoprire che il suo Patronus
era
cambiato, ci siamo sentiti traditi, Ron e io. — Ginny la
guardò
sconcertata con un gran punto di domanda che capeggiava squillante
sulla testa ramata. — Non credo che troveremo mai la forza
per
perdonarlo, — sentenziò lapidaria.
—
Ti
sei bevuta il cervello? — soffiò infuriata la
rossa, — che colpa
ne può avere Harry se il destino, per l’ennesima
volta, gli si è
ritorto contro? Lui non è più il bambino sparuto
che annegava nei
vestiti troppo larghi del cugino, e non è nemmeno il ragazzo
determinato che ha attraversato la Foresta Proibita
per andare
incontro alla morte. Come potete giudicarlo, lui che non ha mai
tentennato nel dimostrare la propria amicizia, che ha perdonato e
dimenticato molto più di quello che ha ricevuto. Come potete
essere
così spietati!? — Gesticolò arrabbiata,
gli occhi incendiati
dall’ira.
—
Sei
tu che non capisci, è stato “lui”,
è il furetto che l’ha
cambiato, — le urlò contro. — La medusa
rappresenta il male e
viene associata ai serpenti e alcune specie sono velenose,
esattamente come loro, — l’istruì con
fare saccente.
—
Non
fare la maestrina con me, — sibilò indignata,
— è vero quello
che dici ma trascuri un importante fattore: la medusa è
ambivalente!
È il giusto connubio tra Luce e Oscurità:
è eterea, sinuosa,
trasparente, regale e imperturbabile; si abbandona e con fiducia
lascia che la sua essenza venga trascinata dalla corrente, ovunque
questa la voglia portare. — Prese fiato. — Ho
parlato con Dean
proprio ieri e mi ha detto che anche tra i Babbani
c’è
questa credenza nella sua duplicità, un mito, come dicono
loro, che
vede questa creatura bellissima nascondere un atroce segreto in grado
di pietrificare chiunque la sfiori con lo sguardo. Si narra ancora
che quando morì dal suo sangue nacquero
l’unicorno, simbolo di
purezza, e il basilisco, simbolo di malvagità. —
Hermione distolse
lo sguardo. — Non puoi negare che è perfetta.
— Ginny sorrise
soddisfatta.
—
Ciò
non toglie che tutta la situazione non mi piace, — le disse
piccata.
—
Anche
a me non piace, soprattutto se si considera il potere che ha Harry di
“manovrare a suo piacimento” la Magia: è
il padrone della Morte,
è il signore della Vita, è Magia allo stato puro.
Lui la vede, la
sente, la respira, la manipola ed è in grado di
assoggettarla a sé.
—
Non
dire scempiaggini, sembra di leggere un articolo sul Cavillo!
— esclamò esasperata, le braccia tese lungo il
corpo e i pugni
serrati.
—
Dovresti
imparare da Luna come aprire la mente, Hermione, —
suggerì seria,
— ti aiuterebbe ad accettare Harry e il suo compagno senza
vedere
complotti e inganni dietro a ogni angolo.
—
Immagino
tu abbia ragione, — la riccia sospirò abbattuta,
piegando il capo
verso il petto, — la verità è che non
voglio che dimentichi ciò
che siamo stati, — confessò mogia, —
quello che abbiamo fatto
noi tre insieme è stato grandioso e ora, vederlo accanto
all’exMangiamorte, è
come se ne venga sminuita la memoria.
—
Non
è così, — l’assicurò
l’amica, —
niente
scalfirà le leggende del Triodeimiracoli,
—
sorrise
incoraggiante,
—
sono
incise in ogni cicatrice che portate addosso. Ora, Harry ha solo
bisogno che
tu comprenda che,
sebbene sia cambiato, ciò che lui sente per voi è
immutato. —
Tra loro
calò un silenzio
pacifico; si
guardarono di
sottecchi e poi scoppiarono a ridere. Ginny offrì il braccio
a
Hermione e
poi inforcarono
insieme il
corridoio; prima di scendere le scale l’exGrifona
lanciò una occhiata malinconica verso la porta dietro la
quale il
suo migliore amico lottava per ottenere un posto tutto
suo nel
mondo. “Sono
stata una vera sciocca”,
pensò, “spero un giorno tu
possa perdonarmi, Harry”.
—
Come
puoi, — Hermione, improvvisamente svuotata,
appoggiò la testa
sulla spalla dell’amica. — Come puoi sopportare
“lui”.
—
Io
non lo sopporto, l’ho accettato e basta. Ho imparato dai miei
errori e sono contenta per Harry, — rispose semplicemente,
mentre
uscivano insieme sotto il tiepido sole di maggio.