Avvertenza: la ficcyna che segue
è piuttosto lunga (per i
miei standard) e pertanto, pur avendola ricontrollata, è
probabile che mi siano
sfuggiti parecchi errori di battitura. Nell’attesa di
recuperare i neuroni
persi durante la stesura, vi prego di essere clementi o
-alternativamente- di
segnalarmi le sviste.
Grazie in anticipo e buona lettura (si spera)!
Prologo
Dal sito internet del quotidiano Il Gazzettino dei Colli, 15/08/2017.
Tragedia in
Veneto: misterioso assassinio, caccia al colpevole.
___________________________________________________
Arrivato il
via libera
dal GIP per l’inizio delle indagini. Ad occuparsene, due
degli ospiti che al
momento del delitto si trovavano nella villa dove Kai, celebre
ballerino e
idolo dei giovanissimi, ha perso la vita la notte scorsa.
PROVINCIA DI
PADOVA –
Potrebbe essere l’incipit di un vecchio giallo alla
Agatha Christie, se la
storia fosse frutto di una fantasia letteraria. Tuttavia la
realtà supera
spesso la fantasia: la vittima è niente meno che Kai,
orgoglio nazionale della
danza e dello spettacolo. Il giovane ballerino, ventuno anni ancora da
compiere, si trovava ospite nella villa di Yifenzio Wu, noto
multimilionario e
filantropo residente nella nostra bella terra. Fonti attendibili
rivelano che
il corpo è stato ritrovato quest’oggi
all’alba. Il poveretto sarebbe stato ucciso da un colpo
fatale alla
testa. L’arma del delitto parrebbe un oggetto contundente
come un trofeo o un
soprammobile massiccio.
Per una tragica o -a seconda dei punti di vista- consona
fatalità, tra gli
ospiti del signor Wu erano presenti anche un vice questore aggiunto, la
dottoressa Vincisguerra, e un medico legale, tale dottor Pacco.
Ritenuti da
subito testimoni oculari di inestimabile valore, hanno ricevuto dal PM
Stella
l’incarico di condurre le indagini preliminari. Nel numero di
domani forniremo
tutti gli aggiornamenti del caso.
I
Quarantotto ore prima.
Marta Vincisguerra, funzionaria di
polizia di neanche
trent’anni, si sventolò il volto congestionato con
un ventaglio sivigliano nel
vano tentativo di ottenere un poco di refrigerio. Il clima afoso della
pianura
padana, che lei conosceva bene essendoci nata e cresciuta, la
opprimeva.
Nonostante indossasse un vestitino estivo e la spessa chioma ramata
fosse
raccolta in un raffazzonato chignon, la giovane sbuffava come un
mantice e
prometteva il suo metaforico regno in cambio una doccia ghiacciata
nella neve
finlandese. Tra una lamentela e l’altra fissava in cagnesco
l’uomo alto, bruno e
dal fascino elfico che le camminava accanto.
“Dai Martina, ancora cento
metri e siamo arrivati” provò a
rincuorarla egli con occhi ridenti. “La villa è
sulla destra. Ti piacerà,
vedrai”.
“Come minimo
dovrà lasciarmi a bocca aperta, dopo tutto il
fastidio per arrivarci” borbottò lei in risposta,
trascinandosi dietro un
pesante trolley. Il sentiero che stavano percorrendo, visibilmente in
salita,
era pittoresco e circondato da alberi frondosi che però, a
causa della mancanza
d’aria, restavano immobili. Marta amava la natura tanto
quanto odiava sudare.
Va da sé che non era una patita dello sport,
benché avesse la tempra di un mulo da soma.
“Proprio furbo, il tuo amico, a scegliere di comprare una
villa a cui non si
può arrivare nemmeno in bicicletta! Tanto valeva abitare sul
cucuzzolo di una
montagna”.
Yeollo Pacco si lasciò
scappare una risatina al commento
della ragazza. In effetti tutto si poteva dire di Yifenzio, meno che
fosse un
animale da festa. Non lo sorprendeva che avesse eletto una casa in
collina e
mezza nascosta dalla boscaglia a sua abitazione prediletta, data
l’indole un
po’ ombrosa e solitaria che lo aveva sempre caratterizzato. A
lasciarlo
segretamente perplesso, in verità, era stato
l’invito -rivolto a lui e alla sua
“incantevole amica”- di trascorrere il weekend a
Villa Wu. Yifenzio al telefono
era stato alquanto vago sul motivo che lo aveva spinto a formulare tale
offerta,
ma Yeollo era riuscito a carpirgli qualche altra informazione. Non
sarebbero
stati gli unici ospiti, a quanto pareva. Si trattava di gente ricca e
importante: imprenditori, vip, addirittura un modello. Cosa avessero a
che
spartire con loro due, un anatomopatologo e una dirigente statale,
davvero non
se lo sapeva spiegare.
“E poi scusami, ancora non
ho capito perché abbia incluso me
nell’invito” tornò alla carica Marta.
“Sei tu il suo ex. Io nemmeno lo conoscevo
di nome prima che me ne parlassi”.
“Yifenzio è un
uomo riservato. Non ama sbandierare ai
quattro venti i suoi milioni” disse, arrestandosi di fronte
ad una cancellata
in pietra da cui si snodava un muro protettivo che racchiudeva diversi
ettari
di terreno. “Poiché in passato gli ho parlato
spesso di te, deve essersi
incuriosito. Forse pensa che stiamo insieme” suonò
il citofono.
“Ma come, non lo sa che sei
devoto esclusivamente al
cetriolo?” scherzò lei, il ventaglio di nuovo in
funzione.
“Non credere. Qualche
patata l’ho assaggiata, da pischello”
le strizzò l’occhio, divertito.
“Nooo! E lo vengo a sapere
solo adesso?” esclamò lei,
deliziata dalla succulenta notizia. Tuttavia la sua ilarità
scemò quando,
appena il cancello si aprì con uno scatto automatizzato,
vide comparire di
fronte a sé uno scenario quasi da fiaba. Una palazzina in
stile Liberty a tre
piani, più una torretta abitabile che poteva fungere da
osservatorio o da
serra, si stagliava elegante e misteriosa circondata da alberi
altissimi, che
garantivano una frescura perenne. Un fregio dipinto con motivi di fiori
correva
lungo il cornicione sotto il tetto, contrastando in modo squisito con
il rosso
dei mattoncini che rivestivano le pareti esterne. Le finestre erano
lunghe e
strette; un meraviglioso bovindo interamente in vetro, sui toni del
verde
affumicato e riccamente decorato alle estremità, occupava un
lato di quello che
(lo si intuiva anche al di fuori) era il salotto principale. Un
giardino
all’inglese dotato di vasca per i pesci in ciottoli, fontane
consumate dal
muschio con le sembianze di putti vezzosi, un tempietto di ispirazione
greca,
cespugli di rose selvatiche, vecchie panchine in ferro battuto e un
gazebo di
gusto giapponese costruito su uno stagno ricolmo di orchidee completava
l’idillio.
“Oh
Gesù” sospirò Marta, in deliquio.
“Mi rimangio tutto
quello che ho detto sulla scomodità di accesso a questo
paradiso, e sul suo
fortunato padrone. Che invidia!” guardò di qua e
di là, attenta a non perdersi
nemmeno il più piccolo particolare.
“Sapevo che
l’avesti amata” Yeollo prese sotto braccio
l’amica e si incamminarono insieme verso la scalinata di
accesso. “Sono sicuro
che anche Yifenzio ti farà una buona impressione. Pensa
che”, aggiunse
invitante, “nella parte posteriore del parco
c’è persino un labirinto di
bosso”.
“No! Originale del
Seicento?” Marta era dimentica del caldo,
ormai. Sprizzava un puro stupore infantile da tutti i pori. Dimostrava
molto meno
dei suoi ventisei anni.
“Originale del
Seicento” rise sotto i baffi il dottore.
“Sai, Yeollo? Il tuo amico
mi sta già immensamente
simpatico” decretò. “Spero
però che nella mia stanza ci sia un ventilatore.
Sarebbe un peccato schiattare di caldo in una casa tanto
bella” ponderò
corrucciata.
“Potresti sempre accamparti
in giardino”.
“Ehi, non è
affatto una cattiva idea”.
Il portone d’ingresso si
spalancò senza che nessuno dei due
avesse bussato. Ad attenderli sull’uscio, in posa quasi
militaresca, stava un
giovane di notevole prestanza. Aveva capelli scuri, un naso tanto fine
che
pareva disegnato, occhi a mandorla del colore dei semi di lino.
Indossava una
livrea impeccabile che lo qualificava senza dubbio come il maggiordomo.
“Buongiorno dottoressa
Vincisguerra, buongiorno dottor
Pacco” li salutò abbozzando un inchino regale.
“Benvenuti a Villa Wu. Entrate,
prego. Il padrone di casa non vede l’ora di
ricevervi”.
Il ragazzo, “chiamatemi
pure Luano”, li invitò ad affidargli
i loro bagagli, che avrebbe provveduto a sistemare nelle rispettive
camere.
Chiese poi se desiderassero darsi una rinfrescata. Marta recuperò il proprio beauty case e si infilò in bagno per truccare
leggermente quel viso pallido come un cencio lavato che si ritrovava,
sentendosi quasi presentabile. Luano infine li scortò nello
studio del suo
datore di lavoro e, prima che fossero entrati nella stanza, si
congedò con il
passo felpato di un gatto.
Seduto dietro ad una scrivania in
legno di ciliegio, un pc
di ultima generazione e una lampada verde modello Churchill che Marta
scommise
fosse originale, ecco finalmente materializzarsi il tanto decantato
Yifenzio
Wu. Yeollo non aveva esagerato descrivendone la bellezza. I suoi
lineamenti,
che rivelavano una chiara origine orientale, si adattavano senza sforzo
ad una
capigliatura biondo miele e a occhi di un blu talmente profondo da
sembrare
neri. Si alzò in piedi non appena vide gli ospiti entrare,
cosicché Marta poté stimarne la statura considerevole e
il
fisico naturalmente armonico, non forgiato da sport eccessivi
né da diete
iperproteiche. Se la villa l’aveva lasciata di stucco, il
proprietario le fece
cadere la mascella a terra –seguita dalle ovaie. Santa
miseria, pensò frastornata
mentre lo osservava salutare e abbracciare Yeollo, è
possibile essere ricchi
sfondati e sfacciatamente fighi senza pagare un dazio al Caso?
“Dottoressa Vincisguerra,
che piacere conoscerla” si sentì
rivolgere la parola da Yifenzio in persona. Si schiarì la
voce per darsi un
contegno.
“Il piacere è
mio, signor Wu” strinse la mano che l’altro le
porgeva. “Yeollo mi ha parlato molto bene di lei e della sua
villa, anche se
devo ammettere che non mi aspettavo fosse così
spettacolare”.
“Diamoci del tu, ti prego. Gli amici di Yeollo sono amici miei”
sorrise affascinante. “Ne devo dedurre che la casa
è di tuo gradimento?”
“E’ un eufemismo.
La adoro” ricambiò il sorriso. “Deve
essere un incanto viverci”.
“Ammetto di sì,
benché ritenga che con un tocco femminile
acquisirebbe un calore che tuttora manca… Ma perdonatemi,
sono un pessimo
ospite. Accomodatevi” indicò loro due poltrone in
stile Regimental posizionate
davanti alla scrivania. “Gradite qualcosa da bere?”
Marta e Yeollo si scambiarono
un’occhiata. “Un tè freddo, se
c’è” disse lei. “Per me
dell’acqua frizzante” fu la richiesta di lui. Le
bevande arrivarono poco dopo, servite da Luano su un vassoio di vero
argento,
accompagnate da qualche stuzzichino e un bicchiere di succo di mela per
Yifenzio.
I tre iniziarono a conversare del
più e del meno. Marta
venne a sapere che Yeollo e il padrone di casa si conoscevano dai tempi
dell’università. Yifenzio aveva studiato Chimica,
e poco prima della laurea era
stato assunto come ricercatore in una grossa azienda farmaceutica.
Grazie a
quel lavoro era riuscito a scoprire una molecola sconosciuta,
ribattezzata EXO,
che poteva essere impiegata con successo e senza bisogno di
sperimentazione
animale in alcuni farmaci salvavita. L’aveva brevettata, e da
quel momento in
poi non aveva più avuto bisogno di lavorare. Incassato il
denaro, però, lo
aveva subito reinvestito fino a decuplicarne il valore. Grato alla
sorte,
successivamente aveva avuto cura di istituire borse di studio,
finanziare
progetti di ricerca, devolvere grosse cifre a cause umanitarie e
ambientali.
Un playboy ricco da far schifo e benefattore, rifletté
causticamente Marta.
Dov’era l’imbroglio? Rispose con garbo alle domande
che Yifenzio le rivolse
riguardo al suo lavoro, ma si dimostrò circospetta e
distaccata. C’era qualcosa
in quell’uomo che non le ispirava fiducia, si rese conto.
Quella parvenza di
perfezione doveva pure presentare una crepa da qualche parte. Yeollo,
forse
accortosi del suo repentino mutamento d’umore, decise di cambiare
argomento.
“Allora, amico mio, a me
puoi dirlo: qual buon vento ci
porta qui? Mi hai detto che non siamo gli unici ospiti per il weekend.
Hai
intenzione di dare una festa?”
Yifenzio, un istante prima garrulo e
pieno di charme,
ammutolì. Sul suo volto si disegnò una smorfia
contrariata, quasi ostile.
Sospirò.
“Perdonami, ho per caso
detto qualcosa di indelicato?” si
affrettò a chiedere l’altro. Marta, intanto,
studiava le reazioni di entrambi
gli uomini.
“No, anzi, scusatemi voi
per non essere stato chiaro
riguardo alle mie motivazioni” Yifenzio assunse
un’espressione meditabonda. “Ho
invitato altre nove persone a raggiungermi per i prossimi due giorni.
Sono
tutti miei conoscenti e amici. Potrei raccontarvi che l’ho
fatto perché mi
sento solo o per festeggiare il Ferragosto insieme a gente di mio
gradimento,
ma la verità è un’altra. Voi due, in
particolare, siete qui per un una ragione
ben precisa; una sorta di esperimento. Tra queste altre nove persone
-uno è un
bambino, quindi diciamo otto- c’è qualcuno di cui
non mi fido granché. Temo
che, riunendole nella mia casa, possa succedere qualcosa di
spiacevole” sollevò
lo sguardo, fissando alternativamente Marta e Yeollo. “Il mio
timore è che si
stia per verificare un omicidio. E solo voi potete
scongiurarlo”.
II
“Mi sembra di essere finita
in una puntata di Jessica Fletcher”
mugugnò Marta,
armeggiando con la chiusura lampo del tubino che avrebbe
indossato per il
cocktail serale. Gli ospiti misteriosi sarebbero arrivati a momenti.
“La
prospettiva di passare un tranquillo weekend in una villa di campagna
guastata
dalla presenza della iellatissima Jessica che, manco a dirlo, assiste
ad un
omicidio e deve risolverlo, magari rischiando pure la vita. Ci manca
solo che
ci sediamo a tavola in tredici, così il primo che si
alzerà sarà la vittima
designata”.
Yeollo ridacchiò e corse
in aiuto dell’amica. “Là, cerniera
domata” si compiacque del proprio lavoro. “Non me
la sento di darti torto,
comunque. Sembra la trama di un romanzo giallo di serie B”.
“E il tuo amichetto, scusa?
Oltre ad essere lo stereotipo incarnato del Ken di Barbie, che razza di idea gli è venuta in mente?
Che cazzo, se sai
che tra le tue conoscenze c’è un tipo poco
raccomandabile non lo attiri in casa
tua” si girò e squadrò con attenzione
il look dell’amico. “Bella camicia. Il
bianco ti dona” decretò infine.
“Grazie, tesoro. Anche tu
non stai affatto male” le aggiustò
un ricciolo ribelle dietro l’orecchio. “Il verde
è il tuo colore”.
“Al momento questo
è l’ultimo dei miei pensieri” si
accigliò
lei. “Tu lo conosci da molto tempo: onestamente, credi che
Yifenzio sia stato
sincero con noi? O potrebbe esserci dell’altro sotto, come
uno scherzo di
cattivo gusto?”
“Così, a
istinto, mi viene da risponderti che Yifenzio non è
uno che si diverte a giocare tiri mancini agli altri. Escluderei lo
scherzo,
non è nelle sue corde. Inoltre mi è parso
mortalmente serio… preoccupato, ecco.
Può darsi che le sue siano solo paranoie” si
strinse nelle spalle. “Però boh.
Se quanto ci ha raccontato è vero, è
comprensibile che si sia rivolto a noi;
abbiamo una certa dimestichezza con il crimine”.
Marta concluse la propria mise
agguantando una pochette
abbinata al vestito, in cui infilò il cellulare e un
burrocacao stick. “Mi
auguro che tu abbia ragione, vecchio mio. C’è
qualcosa che non mi convince in
lui”.
Yeollo la occhieggiò
malizioso. “Martina cara, tu non ti
fidi mai degli uomini che ti piacciono”.
“Bugia! Di te mi fido
ciecamente” protestò.
“Ma non ti piaccio in quel
senso”.
Ponderò
l’affermazione inclinando lievemente la testa. “In
effetti no, anche se sei un bel tronco di pino”.
“Come volevasi
dimostrare” le rivolse un sorrisetto
sbarazzino. Poi, porgendole il braccio, “Vogliamo recarci nel
salone,
mademoiselle?”
Marta lo mandò a quel
paese senza acrimonia.
Diverse ore più tardi,
Marta e Yeollo si accasciarono privi
di grazia su uno dei numerosi punti d’appoggio che
costellavano il salone. Tra
chaise longue in cuoio morbidissimo, ottomane in velluto dai riflessi
cangianti, divani ricoperti di chintz e poltroncine in stile Luigi XV,
c’era
l’imbarazzo della scelta. La vista del parco che si godeva
dal bovindo era,
come prevedibile, romantica e suggestiva. La luce morente del sole
filtrava
dalle vetrate colorate donando al pavimento marmoreo una sfumatura
torbida, da
fondale marino. I lampadari erano originali del primo Novecento,
così come il
mobile su cui troneggiava un moderno televisore a ottantaquattro
pollici ed il
lungo tavolo in legno su cui faceva bella mostra di sé un
buffet degno della
corte papale. Appunto quel cibo, abbondante e sopraffino, era stato il
punto
cardine della serata. Con grande sollievo di Marta e Yeollo non erano
stati
costretti a partecipare ad una cena a lume di candela, tovaglie di
finissimo
batista e uno spocchioso cameriere che ti guardava male se non sapevi
quali
posate usare per i frutti di mare. Luano incuteva lo stesso un
po’ di
soggezione con le sue formalità e il contegno di un
maggiordomo di gran classe,
ma chiunque avrebbe ammesso che era una gioia per gli occhi osservarlo
muoversi
fluido e pieno di premure per i commensali.
Non che fosse l’unico, tra
i presenti, ad essere guardabile.
Come se il padrone di casa non fosse stato abbastanza avvenente, in
poco tempo
la sala si era riempita di persone mediamente favolose. Yifenzio aveva
presentato Marta e Yeollo ai nuovi arrivati, che li avevano accolti
affabili e
curiosi. Una donna sulla trentina con il volto di una Madonna, di nome
Suha,
era risultata essere sposata con Do Chionsù,
l’industriale siciliano noto in
tutta Italia per le sue conserve di pomodoro e che si sospettava fosse
colluso
con Cosa Nostra. Li accompagnava il figlioletto decenne, Yiscing, un
bambino
molto dolce che entrò subito in confidenza con Yeollo e
domandò a Marta,
candido e spavaldo insieme, di diventare sua moglie. Un’altra
coppia era
formata da Bechiòn e Minsocca, rispettivamente impresario di
pompe funebri (“La
nostra è un’attività di famiglia che va
avanti dal 1818, ci conoscono anche
all’estero” si era vantato l’uomo) e
amabile maestra elementare, di proporzioni
minute ma perfette. Dopo di loro era toccato ad un intrigante esemplare
di sesso
maschile -“Zio Tao, piacere” aveva sussurrato
timidamente- alto e fisicato, che
di mestiere faceva, non a caso, il modello di biancheria intima;
femminile,
però. Era un Angelo di Victoria’s Secret. Il suo
accompagnatore, che lo
tallonava a mo’ di mastino, si chiamava Giongdè.
Un tipo alquanto spiritoso,
dotato di una voce carezzevole e occhi dal taglio felino che causarono
un
sussulto al cuore di Yeollo. Infine loro, le star della combriccola.
Persino
Marta ne conosceva i nomi.
Erano due ballerini, che i fan avevano ribattezzato SeKai unendone in
crasi i
nomi: Sehunno e Kai. Il primo era un poco più alto
dell’altro, e innegabilmente
aveva un corpo degno di essere chiamato tale. A Marta la sua faccia non
ispirava alcunché, ma c’era gente che lo trovava
carino da morire. Era invece
Kai, a parer suo, il vero spettacolo. Tutto in lui era flessuoso e
sensuale,
eppure fresco e innocente. Camminava con la disinvoltura di chi
è cosciente del
proprio potere sugli altri, ma gli occhi esprimevano una
sensibilità speciale,
una fragilità in grado di stupire l’interlocutore
sufficientemente attento da
coglierla. Marta si era sentita un po’ pedofila ad apprezzare
la bellezza di un
ragazzo più giovane, ma che poteva farci? Anche
Yeollo, del resto,
aveva faticato a staccargli gli occhi di dosso.
La serata, fino ad ora, era andata
bene. Erano state
scambiate chiacchiere futili su vari argomenti: il sistema scolastico
italiano,
la difficoltà di assumere una brava tata, le prodezze dei
politici, la polemica
sui vaccini, la canzone di Rovazzi e Gianni Morandi, gli inciuci di
Donald
Trump con la Russia, gli animali domestici di ciascuna coppia. Yifenzio
aveva
dato prova di essere un ottimo ospite, offrendo calici di champagne
alle
signore e sigari ai gentiluomini. Al piccolo Yiscing aveva regalato un
blocco
di carta e un lussuoso kit di pennarelli. Il bambino lo aveva fissato a
lungo
come se fosse Babbo Natale arrivato in anticipo, e con molta meno
pancia. Luano
si era occupato di gestire il sottofondo musicale -jazz fusion, musica
classica, pop accattivante- e di sparecchiare la tavola via via che il
cibo sui
vassoi veniva consumato. Giunti al momento del dessert, Marta e Yeollo
si
ritirarono in disparte per tentare di digerire la cena e scambiarsi le
loro
impressioni.
“Non so te, ma io con tutti
questi figoni mi sento un wc a
pedali” esordì lei. “E inoltre mi sono
gonfiata come un palloncino, guarda che
roba” si indicò il ventre.
“Che
assurdità” la rimproverò Yeollo.
“Sei tutto eccetto che
gonfia e brutta, e lo sai. Yifenzio ha sbirciato nella tua direzione
tutto il
tempo. Piuttosto, cosa dovrei dire io? Non esiste competizione con un
modello
di Victoria’s Secret, figurarsi con Kai!”
“Oh certo, povero te: sei
solo alto quanto una pertica, hai le
spalle larghe, un sorriso da sballo e gli occhioni da Bambi. Chi mai ti
si
piglierà, triste e patetico come sei?”
sghignazzò Marta.
Si scambiarono un sorriso che era la
sintesi della loro
amicizia, complice e cameratesca. “Veniamo alle cose
importanti” Yeollo tornò
serio. “Hai notato qualcosa di strano, che possa dare adito a
sospetti?”
Lei ci pensò su.
“Per esserne sicura dovrei conoscere questa
gente, mentre di loro purtroppo non so nulla. Di primo acchito direi
che non me
la contano giusta i SeKai. Mi sembra che le mani di Sehunno stiano
vicine al
culo di Kai in modo un po’ sospetto. Secondo me gatta ci
cova”.
“Concordo, si lanciano di
quegli sguardi da mandare a fuoco
l’intero edificio. C’è parecchia intesa
tra loro” annuì.
“Anche l’allegra
famigliola mi ha lasciata un po’ perplessa.
Non Yiscing, che è adorabile, quanto i genitori. Ci hai
fatto caso? Sia Chionsù
che la moglie guardavano in continuazione Kai. Forse sono suoi fan,
benché mi
sembrino alquanto cresciutelli per apprezzare quel genere di ballo,
però non mi
hanno convinta. Mi vieto di pensare che potessero guardarlo con
desiderio”
scosse la testa. “Non entrambi, almeno, sarebbe improbabile.
Invece, se così
fosse, orrore! Io mi farei mille pare mentali se coltivassi pensieri
impuri su
uno sbarbatello, per quanto carino; ma loro sono più vicini ai quaranta che ai trent'anni, sarebbe inquietante” rabbrividì.
“Che bacchettona”
la prese affettuosamente in giro Yeollo.
“Mai sentito parlare dei toy boy?”
“Bacchettona o meno, starei
male se un adolescente mi
venisse dietro” fu la categorica risposta. “E tu,
rilevato niente di anomalo?”
“E’ difficile
stabilirlo, e inoltre non sono uno sbirro come
te. Mi viene in mente solo una cosuccia, un particolare da nulla che
però mi ha
colpito” Marta lo esortò ad andare avanti.
“Prima, quando stavamo parlando del
Russia Gate che sta investendo Trump, Minsocca mi è parsa
insolitamente
interessata all’argomento. E’ sicuramente una donna
informata, che legge e
ascolta i tg, tuttavia mi è sembrato incongruente con il suo
lavoro, non so spiegartelo.
Partecipava alla discussione con animazione, come se le stesse
particolarmente
a cuore”.
“Magari è
appassionata di politica estera”
ipotizzò Marta.
“Credo tu abbia ragione. Lo
ripeto, non sono uno sbirro, non
ho acume investigativo”.
“E lo dici a me, che sono
entrata in polizia perché ho vinto
il concorso da dirigente? Ho meno esperienza sul campo di un semplice
agente”.
Dovettero rimandare la discussione
perché, in quell’istante,
arrivò Luano in sala reggendo un sontuoso cabaret di
pasticcini e delizie
iperglicemiche.
“Pancia mia fatti
capanna!” Yeollo si avviò a passo di
trotto verso il buffet. Marta, che vantava l’appetito robusto
di un
carrettiere, dimenticò il suo presunto gonfiore e
imitò l’amico.
Era ormai tardi quando il padrone di
casa dichiarò di essere
stanco morto e i suoi ospiti, vuoi per cortesia e vuoi
perché sinceri,
manifestarono la volontà di ritirarsi nelle rispettive
stanze. Nel giro di
un’ora tutte le luci della casa vennero spente. Tuttavia,
nell’oscurità della
notte, ombre fugaci prendevano vita e si muovevano furtive negli angoli
più bui
e remoti.
“Ehi”.
“Non riesci a
dormire?”
“Mi ci vorrebbe una botta
in testa”.
“Idem. Che si fa?”
“Tu cosa proponi?”
“Un torneo di strip
poker?”
Risata. “Vada per il poker,
ma senza lo strip”.
“Come la
prenderà?”
“Nessuno può
prevederlo, amore mio”.
“Non sei di alcun aiuto.
Perché non sei in ansia quanto me?
Perché non sei preoccupato? Sembra quasi che non te ne
freghi nulla”.
“Abbassa la voce o
sveglierai tutti! Sbagli a giudicarmi,
amore: la tua ansia è la mia. Credi davvero che non mi
importi? E’ del nostro
passato, del nostro futuro che si tratta. Abbiamo atteso questo momento
così a
lungo… guarda, mi tremano le mani
dall’agitazione”.
“Scusami, tesoro. Vorrei
tanto che fosse già domani, non ce
la faccio più a mantenere il segreto”.
“Domani arriverà
presto. Adesso dormi”.
“Bravo, scappa! Solo questo
sei buono a fare, scappare e
portarmi a letto. Una conversazione tra adulti proprio non riesci a
sostenerla,
eh?”
“Ah, quindi adesso sarei io
il vigliacco? Non prendermi per
il culo. Sappiamo bene entrambi che non è così.
Se solo ammettessi le tue
mancanze, una volta tanto-”
“Le mie mancanze? Ma ti
senti quando parli? Sei tu, sì tu,
che travisi tutto quello che faccio e dico. Quando ti metterai in testa
che non
ti tradisco, cazzo? Non ti ho mai tradito, né ci ho mai
pensato. Ti amo. E’
così difficile da capire?”
“E chi mi assicura che
sarà sempre così? Hai tutto quello
che serve perché le persone ti muoiano dietro, hai talento,
bellezza, fama. Ti
stancherai di me. Non vado bene per te, non sono abbastanza-”
“Basta, ti prego. Basta.
Non posso stare a sentirti
sragionare in tal modo. Non sei lucido. Ne parleremo domani, va bene?
Cerca di
dormire”.
“Dove vai?”
“In biblioteca, ho bisogno
di un leggere qualcosa. Prenditi
un sonnifero e riposa, per l’amor del cielo”.
Una figura si aggirava circospetta
per i corridoi. Non aveva
bisogno di una fonte di luce per orientarsi, giacché
l’oscurità era il suo
habitat naturale. Nell’oscurità avrebbe agito e ne
sarebbe uscita vincitrice.
Le tenebre l’avrebbero protetta, riparata. E lei avrebbe
trionfato.
Vide la sua preda lasciare la propria stanza e la seguì al
piano inferiore.
Piano, senza fretta. Ne spiò i movimenti, la
studiò mentre accendeva la luce e
si guardava attorno, indecisa sul da farsi. Infine, quando le diede le
spalle,
l’ombra recepì il segnale. Ora
o mai più.
In un attimo le fu dietro. Scagliò il trofeo che aveva in
precedenza sottratto
dallo studio del padrone di casa, e con un colpo spietato lo
calò sulla nuca
della preda. Muori,
pensò l’ombra. Muori,
infame. Udì le ossa del cranio
spezzarsi sotto il peso dell’arma e il sangue gorgogliare
fuori dalla ferita.
Lasciò cadere a terra il trofeo; non era un problema, aveva
indossato i guanti.
Vide stramazzare al suolo la sua preda, la vittima. Giustizia era fatta.
Con lo stesso silenzio con cui era arrivata, l’ombra
scappò via.
III
A rinvenire il cadavere, il mattino
seguente, fu Luano. Le
sue grida svegliarono chiunque nel raggio di un chilometro. Erano solo
le sei,
ma gli ospiti di villa Wu scattarono tutti sull’attenti e,
sebbene non
conoscessero il motivo di quel trambusto, si precipitarono nella
direzione da
cui provenivano le urla, ovvero in biblioteca. Trovarono il maggiordomo
in
preda all’isteria che fissava atterrito un corpo maschile in boxer e canottiera riverso a terra. Del
sangue rappreso aveva macchiato, forse irreversibilmente, lo splendido
tappeto
persiano che tappezzava il pavimento. Il volto non si vedeva,
giacché lo
sventurato era caduto prono. La ferita, che Yeollo individuò
sulla parte più
alta dell’osso occipitale, era uno squarcio osceno. Il suo
istinto di medico lo
spinse ad avvicinarsi per primo. Si chinò sul malcapitato e
ne tastò il polso
per assicurarne il decesso. Dopodiché, con struggente
delicatezza, lo voltò. Fu
allora che l’identità della vittima divenne certa:
era Kai, splendido anche
nella morte.
Marta ne rimase fortemente scossa. Era ingiusto andarsene
così giovani, e in
maniera tanto cruenta. Nondimeno si calò nei suoi panni di
vice questore aggiunto
e studiò le reazioni dei presenti. Sulle facce di ognuno si
era dipinta
un’espressione disorientata talmente genuina che, per un solo
folle istante, la
donna ipotizzò un suicidio o un tragico incidente. Ma non vi
erano spigoli, in
biblioteca, macchiati di sangue che giustificassero
quell’idea. Gli scaffali
delle librerie erano troppo alti, il ripiano del camino troppo basso.
Il suo
sguardo si posò infine su un trofeo, rotolato in un angolo.
Raffigurava un
omino stilizzato che brandiva una mazza da golf, la targa illeggibile
perché
lorda di sangue. Si trattava di un omicidio, dunque. Proprio
ciò che Yifenzio
Wu temeva. Avanzò di un passo.
“Portate via il
bambino” ordinò atona. “Allontanatevi
tutti,
per cortesia. Questa è la scena di un delitto”.
Un fremito di paura
serpeggiò nella stanza. Yiscing scoppiò
a piangere. Suha, ripresasi dallo shock, prese per mano il figlioletto
e lo
condusse via. Venne imitata dai più; solo il padrone di casa
rimase dov’era.
“Signor Wu, la prego di
andarsene”.
Lui batté le palpebre, gli
occhi colmi di orrore. “Non
riesco a crederci. Sospettavo che qualcosa di terribile sarebbe
successo, ma
speravo di sbagliarmi. E’ terribile, io non-” la
voce si spezzò.
“Yifenzio, raggiungi gli
altri” disse Chanyeol, reggendo tra
le braccia il corpo senza vita di Kai. Raramente Marta lo aveva visto
così
provato prima di un’autopsia.
“Signor Wu, mi permetta di
accompagnarla fuori” lo afferrò
per un gomito e lo spinse in corridoio senza un briciolo di gentilezza.
“Chiami
la polizia e si assicuri che nessuno esca di casa. Nessuno, ha
capito?”
L’uomo parve toccato dal
comportamento ostile di lei.
“Marta, credevo che tra noi si stesse instaurando una bella
amicizia-”
“Non
c’è nessun noi,
Wu. Lei mi ha convocata qui come vice questore aggiunto, ed
è questo ciò che sono.
Da adesso in poi si rivolga a me con il titolo di dottoressa
Vincisguerra, grazie.
Si assicuri che nessuno si allontani dalla villa. Siete tutti
sospettati di
omicidio, lei compreso” gli chiuse la porta in faccia a
brutto muso.
Yeollo, che non aveva perso tempo, le
fece cenno di
avvicinarsi. “Ferita alla testa provocata da un oggetto
contundente: il trofeo
laggiù è un ottimo candidato. Ora stimata del
decesso, tra l’una e le due del
mattino. Il corpo non è ancora del tutto rigido, senti,
è tiepido”. Marta
sfiorò la pelle del ragazzo e dovette convenire con il
collega. Fu grata alla
sorte beffarda di averle affiancato una persona in gamba e affidabile
come il
dottor Pacco. “C’è
dell’altro?” domandò.
Gli fu mostrato il polso sinistro del
ballerino, dove
campeggiava un ghirigoro sinuoso racchiuso da un cuore. Si
chinò per scrutare
il tatuaggio. “Sembra una biscia”.
“Quella, oppure una
lettera. Potrebbe trattarsi di una S”.
Si guardarono in silenzio. “E poi ho notato un altro
dettaglio rilevante. E’
meglio che te lo mostri prima che arrivino i rinforzi”.
Marta ascoltò
attentamente.
La notizia si sparse a macchia
d’olio tra i piani alti. Il
questore di Padova telefonò mentre il cadavere veniva
trasportato, avvolto in
un sacco nero, dai portantini verso l’ambulanza parcheggiata
a valle. Poi fu il
turno del PM Stella, un giudice con la fama di essere un uomo
coscienzioso e
retto. Marta riassunse rapidamente i fatti per come, presumibilmente,
si erano
svolti. Aggiunse che con lei c’era un bravissimo medico
legale, grazie al quale
si era riusciti a stabilire la causa del decesso, e che nessuno degli
ospiti
aveva osato trasgredire all’ordine di confinarsi in casa.
“Mi congratulo, dottoressa.
Come ben sa, da domani i
giornali ne parleranno: è un delitto inspiegabile e crudele,
verificatosi nella
villa di uno degli uomini più facoltosi del nord Italia. La
vittima era un
idolo delle masse e tra i presunti sospetti vi figurano altri
personaggi di
spicco. Il Ministro sta facendo pressioni a me e al questore Alemagna
affinché
le indagini procedano nel modo più celere e discreto
possibile”.
A Marta non piacque
granché quel discorso. “Dove vuole
andare a parare?”
“Data la vostra presenza
sul luogo del delitto e alle
competenze professionali di cui disponete, lei e il suo collega siete
indubbiamente i più adatti a condurre le indagini
preliminari. Inoltre siete i
soli al di sopra di ogni sospetto”.
“Crede davvero che sia la
scelta più appropriata?” ribatté
scettica.
“Di sicuro è la
più comoda. Mi dispiace passarle questa
patata bollente, dottoressa Vincisguerra. Ciò che il
Ministro chiede, il
Ministro ottiene. Ho piena fiducia in lei e nel dottor Pacco. Si
rivolga a me
per qualsiasi cosa, sarò lieto di esservi utile. Buona
giornata” e pose fine
alla telefonata.
“Buona giornata un
cazzo” sbottò lei. Raggiunse Yeollo,
impegnato in uno scambio di opinioni con il fotografo della
Scientifica, e lo
prese sottobraccio. “Rogne in vista, caro collega. Il GIP ci
ha assegnato il
caso. E lascia che ti informi: anche solo un minimo errore potrebbe
costarci la
carriera. Al Ministero scalpitano, vogliono risultati entro breve.
Stella è
stato molto eloquente al riguardo”.
“Sarà un weekend
indimenticabile” fu la risposta, corredata
da una smorfietta cinica, del medico legale.
Giacché trasferire tutti
gli ospiti nella stazione di
polizia più vicina avrebbe richiesto troppo tempo e arrecato
loro ulteriori
disagi, gli improvvisati detective dovettero arrangiarsi con quanto
avevano a
disposizione. Fatta sigillare la biblioteca, decisero di convertire lo
studio
di Yifenzio in sala degli interrogatori.
“I suoi affari possono
aspettare” Marta freddò le proteste
dell’uomo. “Forse non ha ancora metabolizzato
quanto è accaduto, ma nella sua
bella casa si è appena verificato un omicidio. Evento che
lei aveva in qualche
modo previsto, tra l’altro” lo squadrò
sospettosa.
“E che magari, se lei
avesse svolto il suo lavoro di
investigatrice, si sarebbe potuto evitare” ribatté
a tono lui. “Non mi deluda,
dottoressa: sono certo che lei non sia il tipo da ricorrere a volgari
insinuazioni senza alcuna prova. Se deve rivolgermi delle domande,
è pregata di
convocarmi formalmente. Conosco i miei diritti” aggiunse
prima di andarsene con
passo battagliero.
“Che stronzo”
sibilò la Vincisguerra.
“Però ha
ragione, Marta. C’è scappato il morto, come lui
temeva, e noi non siamo riusciti ad evitarlo”
cercò di farla ragionare Yeollo.
“E in che modo avremmo
potuto? Avesse fornito delle
informazioni rilevanti sugli ospiti, ci avesse confidato su chi di loro
nutriva
dei sospetti! Ci ha lasciati brancolare nel buio, Yeol. Pensava che
fossimo
dotati di palla di vetro e specializzazione in telepatia? Che io sappia
non
hanno ancora aperto una scuola per X-Men. Inoltre, converrai con me che
nessuna
delle anomalie rilevate ieri sera faceva presagire una simile
tragedia”
concluse tamburellando una penna sul ripiano liscio e lucido della
scrivania.
“Mi dispiace per quel
povero ragazzo” Yeollo chinò la testa,
come se la compassione per una vita interrotta anzitempo gli pesasse
sulle
spalle. “Dovrei esserci abituato, disseziono cadaveri da anni
ormai, eppure ci
soffro sempre” ammise, gli occhi lucidi.
“Questo dimostra che sei
una persona empatica, tesoro. E’
una qualità preziosa” gli posò una mano
sulle sue in segno di conforto.
“Detesto dovertelo chiedere, ma… faresti entrare
il primo indiziato?”
Il quesito chiave degli
interrogatori fu uno: “Dove si
trovava ieri, tra l’una e le due di notte?”
Minsocca dichiarò, supportata dalla testimonianza di
Bechiòn, di trovarsi nella
piscina coperta insieme al fidanzato. “Nessuno dei due aveva
sonno e ci era
venuta una gran voglia di fare un bagno” cinguettò
la maestrina. Né lei né
Bechiòn avevano sentito o visto alcunché che
potesse contribuire alle indagini,
purtroppo. Conoscevano Kai solo di fama. I coniugi Do affermarono di
aver
trascorso la notte nella loro stanza, a dormire. Il figlio aveva
confermato la
loro versione: mamma e papà lo avevano messo a letto verso
la mezzanotte e non
si erano mossi di lì. Luano, con indosso un paio di occhiali
che incuriosirono Marta,
disse di avere il sonno pesante e di non avere udito rumori strani o di
una
colluttazione. Yifenzio, recuperati i modi squisiti, rispose che aveva
trascorso la notte nell’osservatorio astronomico situato
nella torretta.
“Fin
lassù?” Marta inarcò un sopracciglio.
Yeollo, sedutole
accanto, si schiarì la voce.
“Fin lassù,
esatto. Mi capita talvolta di soffrire di
insonnia. In quelle occasioni, invece di girarmi e rigirarmi nel letto,
preferisco trascorrere la nottata ammirando le stelle. Da qui si vedono
bene,
la villa è circondata dalla natura e non ci sono lampioni
che producono
inquinamento luminoso. In caso sopraggiunga il sonno, mi accampo su un
comodo
divano letto che ho fatto sistemare lì apposta”.
“Verificheremo. E mi dica,
signor Wu: perché ha riunito
queste persone in casa sua? Cosa temeva che accadesse, in
realtà?”
Yifenzio sospirò.
“Sarò sincero con lei, dottoressa. Mai
avrei immaginato che ad andarci di mezzo fosse il povero
Gionghin-”
“Gionghin?”
“Era il vero nome di Kai.
Le dicevo, mai avrei immaginato
che la sorte potesse accanirsi con tale brutalità sul
poveretto. Abbandonato
alla nascita dai genitori, allevato in un orfanotrofio dove ne ha
passate di
tutti i colori, la danza come sua unica via di fuga da una vita triste
e senza
possibilità” si incupì. “No
davvero, quel ragazzo aveva già pagato un conto
salatissimo. Lo stimavo molto; è uno dei tanti giovani
bisognosi e pieni di
talento che ho aiutato grazie alle mie fondazioni” lo disse
senza vanagloria.
“Temevo di essere io l’obiettivo
dell’assassino”.
“Un’idea del
perché? Ex mogli vendicative, figli mai
riconosciuti, soci rancorosi, dipendenti licenziati senza giusta
causa…” elencò
Marta.
“Niente di tutto
ciò. Vede, mia madre aveva origini russe”
spiegò
passandosi una mano tra i capelli. “Papà la
conobbe durante un viaggio a San
Pietroburgo. Lei faceva la hostess, ma i suoi genitori erano ex spie
del KGB,
morti in circostanze misteriose. Mio padre la portò a vivere
a Taiwan, dove
sono nato io. La nostra felicità non durò a
lungo: il giorno del mio
diciottesimo compleanno, mamma fu investita da un’auto
pirata. La polizia
indagò a fondo sulla questione ma non rintracciò
mai il guidatore. La targa
della macchina era falsa, l’auto stessa risultava rubata ad
un cittadino
estraneo ai fatti. Come i nonni prima di lei, lo spettro della Grande
Madre
Russia mi aveva sottratto una persona cara” il dolore gli
calò sul volto simile
ad un velo. “Decisi che ne volevo sapere di più.
Ingaggiai un investigatore
privato, distribuii svariate migliaia di dollari in mazzette a
funzionari
corruttibili affinché ficcassero il naso in vecchi archivi.
La risposta alle
mie domande arrivò sotto forma di un fascicolo riguardante
mia nonna, Irina
Lizanjka Sokolova. Sembra che, quando era in missione sotto copertura
come
infiltrata nella CIA, riuscì a rubare una formula chimica di
inestimabile
importanza. I problemi sopraggiunsero quando lei, invece di
trasmetterla ai
suoi datori di lavoro, la tenne per sé. Probabilmente
intendeva rivenderla alla
concorrenza e ricavarci un mucchio di soldi. Non ne ebbe il tempo,
però. Poco
dopo, lei e il marito si ritrovarono coinvolti in una
rapina”.
“Bevi dell’acqua,
Yifenzio” Yeollo gli allungò una bottiglia
e un bicchiere. L’altro accolse con piacere
quell’occasione per interrompere il
discorso e riprendere fiato.
“Grazie. Sembrava una
rapina come le altre. I nonni erano in
coda allo sportello, dovevano fare un versamento. I rapinatori
entrarono con le
armi puntate e presero in ostaggio tutti, clienti e lavoratori.
Incassarono i
soldi. La polizia tardava ad arrivare; avrebbero potuto tagliare la
corda e
scappare con la refurtiva. Invece, prima di fuggire, senza alcun motivo
spararono a due persone”.
“I suoi nonni”
concluse per lui Marta. “Mi sta dicendo che
la sua vita è in pericolo a causa di quella
formula?”
“Sì e no,
dottoressa. Nell’ambiente criminale si sparse la
voce che la formula fosse ancora in possesso della mia famiglia. Onde
evitare
altre morti precoci, mio padre ed io abbandonammo il Paese e venimmo a
vivere
qui, sotto falso nome, nella villa che lui stesso aveva ereditato da un
cugino
di secondo grado. Da allora non abbiamo avuto più problemi.
Papà è morto tre anni fa
di un comunissimo infarto. Pensavo ormai di essere al sicuro dai
fantasmi del
mio passato, eppure… Vede, degli informatori mi hanno
rivelato che a quanto
pare quella formula è ancora di notevole interesse, sia per
il KGB che per la
CIA”.
“Peccato che lei non ce
l’abbia” lo incalzò.
“Se così non
fosse, non avrei remore a restituirla ai
legittimi proprietari. Quella è gente pericolosa. Non ho
voluto sposarmi né
avere figli proprio per la paura che qualcuno li usasse contro di
me”.
“Capisco. Però,
mi permetta di insistere sulla questione. Perché
temeva che uno degli ospiti fosse interessato ad eliminarla? I suoi
informatori
le hanno fatto dei nomi? Sa chi potrebbe attentare alla sua
vita?”
“Nessuno di loro mi ha
saputo fornire informazioni precise.
Si parla di questa persona con un nome in codice, Led, che in cirillico
significa ghiaccio. Non si è sicuri nemmeno del sesso. Si sa
solo che è un
mercenario privo di scrupoli e moralità. Tuttavia, circola
voce che Led sia
sulle mie tracce, che mi abbia individuato e che si sia insinuato nella
mia
cerchia di amicizie. Ecco perché pensavo di essere io
l’oggetto di un possibile
attacco. Volevo spingere Led a gettare la maschera”.
“E rischiare di rimetterci
la pelle? Ottima mossa, signor Wu.
Simili stratagemmi funzionano nei film e nei libri, non nella vita
reale”.
“Me ne rammarico molto, Ma-
dottoressa. Un’altra persona ci
è andata di mezzo, e non riesco ad impedirmi di credere che
al suo posto avrei
dovuto esserci io” dichiarò, contrito e
addolorato.
“Ha mire suicide, per
caso?” non risparmiò il sarcasmo nella
sua voce.
“Non intendevo in quel
senso” la guardò allibito. “Ma
avrebbe una sua logica, no? L’assassino potrebbe aver
commesso un errore,
uccidendo Gionghin al mio posto”.
Marta e Yeollo si scambiarono
un’occhiata. Era un’ipotesi,
in effetti.
IV
Interrogati in rapida sequenza,
Giongdè e Zio Tao
comunicarono con la massima tranquillità al vice questore
aggiunto che la notte
precedente avevano approfittato del silenzio in cui era avvolta la casa
per
sgattaiolare in salone e razziare la riserva di liquori del signor Wu.
“Ricordo di aver guardato
l’orologio, ad un certo punto. Era
l’una e quaranta. Non saprei dirle da quanto ci trovavamo
lì a gozzovigliare,
ma le assicuro che Zio Tao non si è allontanato da me per
tutto il tempo”
ammiccò il fotografo.
“Conoscevo Kai, ci era
capitato di partecipare a qualche
campagna pubblicitaria insieme” ammise Zio Tao.
“Era un tipo a posto. Mi sfugge
perché qualcuno gli volesse fare del male. Io e
Giongdè abbiamo bevuto un po’ e
forse, ma dico forse, potremmo esserci lasciati andare a un certo tipo
di
effusioni” arrossì. “Non ho avvertito
nulla di strano in casa, c’era un tale
silenzio. Però, a pensarci bene, credo ci fosse qualcuno in
giardino. Chi fosse
non lo so, ma ho visto passare un’ombra. Ne sono certo.
Potevano essere le due,
minuto più minuto meno”.
Infine toccò a Sehunno,
visibilmente provato dal dolore.
Marta ci andò giù piano con lui
perché, se le sue supposizioni avevano un
fondamento, quel poveraccio stava vivendo un lutto vero e proprio.
Tuttavia,
stravolti com’erano lei e Yeollo dopo una giornata trascorsa
a raccogliere testimonianze,
decise di non perdere tempo in convenevoli.
“Gionghin aveva tatuata sul
polso una lettera. L’iniziale
del suo nome, signor Oh?”
“Lei- lei conosce il vero
nome di Kai?”
“L’ho scoperto di
recente. Risponda alla mia domanda,
grazie”.
Sehunno restò in silenzio
alcuni istanti. Poi, con le
lacrime che sgorgavano copiose dagli occhi, si slacciò un
polsino della camicia
e mostrò la G, racchiusa da un cuore, disegnata sul proprio
polso. Yeollo
distolse lo sguardo, pudico di fronte a uno strazio così
intenso.
“Mi dispiace per la sua
perdita. Beva un sorso d’acqua, se
le serve” Marta spinse un bicchiere di plastica verso il
ragazzo.
“Nulla servirà a
riportarlo indietro” singhiozzò lui.
“Era
l’amore della mia vita. Gli avrei chiesto di sposarmi a
Natale, avevo- avevo
già comprato l’anello” e diede libero
sfogo al pianto.
“Non oso immaginare come si
senta in questo momento” disse
lei, avvertendo un groppo in gola. “Però sono
costretta a chiederglielo. Dove
si trovava ieri, tra l’una e le due di notte?”
“Mi scusi, dottoressa. Mi
scusi” articolò tra le lacrime.
Yeollo gli offrì un pacchetto di fazzolettini, che
accettò grato. Si soffiò il
naso. “Tra l’una e le due, vediamo- dovevo essere
in giardino. Gionghin è sceso
in biblioteca che era l’una meno un quarto circa. Sapevo che
sarebbe stato via
un po’, avevamo battibeccato e avevamo entrambi bisogno di
sbollire la rabbia.
Ho provato ad addormentarmi ma non mi riusciva, perciò ho
deciso di fare due
passi nel parco. Non è stata una grande idea. Tra la
vegetazione così fitta e
il cielo senza luna, ho vagato alla cieca per un bel po’. Ho
creduto persino di
essermi perso. Fortuna che avevo lo smartphone con me”.
Yeollo prendeva appunti
freneticamente. Marta aggrottò la
fronte. “Lei potrebbe essere l’ultima persona che
ha visto Gionghin vivo,
Sehunno. Che ore erano quando è tornato nella sua stanza? Ha
controllato se il
suo fidanzato fosse andato a letto nel frattempo?”
“Credo le due e qualche
minuto, non ricordo con precisione”
emise un singulto. “Era più o meno
quell’ora quando sono passato davanti al
bovindo del salone, scorgendo due sagome attraverso la vetrata. Mi
è parso che
si stessero baciando. E una volta tornato in stanza non ho pensato di
cercare
Gionghin. Sapevo per esperienza che era meglio tentare la
riconciliazione il
mattino seguente. Solo che non ne ho avuto
l’occasione” si sciolse nuovamente
in lacrime.
“Perché avevate
litigato?”
“Nulla di grave. Le solite
incomprensioni tra innamorati,
sa” si adombrò. “Gionghin era molto
bello, come sicuramente avrà potuto notare.
Io ero pazzo di lui, però non ero sicuro dei suoi sentimenti
per me. Avevo il
timore che potesse tradirmi da un momento all’altro; non
perché fosse nella sua
natura essere infedele, ma perché non mi ritenevo degno di
lui. Mi rimproverava
spesso per questa mia insicurezza, diceva che non avevo nulla di cui
preoccuparmi” cedette di schianto. “Avrei preferito
di gran lunga un paio di
corna, se avessi potuto salvargli la vita. Qualsiasi cosa sarebbe stata
accettabile, dottoressa. Era l’amore della mia
vita” le rivolse uno sguardo
vitreo e disperato. “Scopra chi è stato, la prego.
Scopra chi mi ha portato via
Gionghin e lo lasci marcire in galera”.
Frastornati, Marta e Yeollo
decretarono che si erano
meritati una doppia dose del whisky color ambra che Yifenzio conservava
in un
uno stipetto. Lo centellinarono nei tumbler e lo mandarono
giù a piccoli sorsi,
gioendo del potere rinvigorente dei superalcolici.
“Giornatina
tosta” commentò Yeollo.
“Devastante. Mi
è passato l’appetito, ti dirò. Stasera
salto
la cena e mi fiondo in camera a dormire”.
“Niente strip poker,
allora”.
A Marta scappò una risatina.
“Non le concederò mai lo
strip, dottor Pacco”.
“Alzo le mani, allora. Che
non mi si dica che non ci ho
provato fino alla fine” sorrise scherzoso.
“Mangiare un po’ ti farebbe bene. Mi
sembri sciupata…”
“Sarebbe il colmo! Mesi e
mesi che inizio una dieta senza
portarla a termine, ed ecco che in un weekend perdo tutti i chili di troppo”.
Sentirono bussare alla porta.
“Avanti” disse Yeollo. Con
sorpresa di entrambi gli inquirenti, Suha si infilò svelta
nello studio e si
richiuse la porta alle spalle.
“Perdonate
l’intrusione” si scusò.
“Durante la convocazione
di stamattina né io né mio marito abbiamo trovato
il coraggio di rivelarvi un
particolare, invero molto delicato, che potrebbe aiutarvi a far luce
sul motivo
della nostra presenza a Villa Wu. Non è nostra intenzione
ostacolare la
giustizia, perciò se avete qualche minuto da dedicarmi,
ecco, vorrei-”
“Si figuri, nessun
disturbo. Si accomodi” Marta si lisciò il
davanti della blusa e in un attimo rientrò nei panni di vice
questore aggiunto.
“Gradisce qualcosa da bere, signora Do?”
Suha declinò
l’offerta con un grazioso cenno della testa.
“La ringrazio, ma è meglio che mi tolga questo
peso dal cuore il prima possibile.
Quello che sto per rivelarvi è un segreto che
Chionsù ed io abbiamo serbato per
oltre vent’anni e a cui, ahimè invano, confidavamo
di porre fine proprio oggi.
Il diretto interessato è venuto a mancare,
sicché…” puntò i suoi incantevoli
occhi
scuri in quelli di Marta. “La verità, dottoressa,
è che Gionghin era mio
figlio”.
Sull’orlo delle lacrime e
tuttavia molto composta, la donna
procedette con il suo racconto sotto gli sguardi attoniti di Marta e
Yeollo.
Lei e Chionsù si amavano da ragazzini contro il volere delle
rispettive
famiglie. Mal tollerando che la loro storia fosse così
osteggiata, i novelli
Romeo e Giulietta avevano provato a fuggire insieme. L’esito
di un tale sprezzo
del buonsenso era stata una gravidanza inattesa, seguita dalla
separazione
coatta dei due giovani. A Suha non era stato concesso di abortire,
giacché
discendeva da una stirpe di bigotti di raro fanatismo; aveva partorito
a soli
sedici anni. Dopodiché i genitori le avevano sottratto il
nascituro senza che
lei, stordita dall’anestesia, potesse ribellarsi. Dapprima le
avevano detto che
il bimbo era nato morto, ma lei non aveva mai accettato di crederci.
Così,
divenuta maggiorenne, aveva ripreso i contatti con Chionsù e
la fuga, quella
volta, era andata a buon fine. Si erano trasferiti a centinaia di
chilometri
dalla Sicilia, si erano sposati e insieme avevano creato la ditta
Do&Co.
Qualche tempo più tardi, in occasione della nascita di
Yiscing, la vecchia
ferita si era riaperta e i coniugi si erano promessi di fare luce sulla
vicenda. Le ricerche si erano protratte più del dovuto,
costando loro non pochi
soldi. Ma alla fine, circa un mese prima della tragedia, avevano
ricevuto la
conferma definitiva. Kai, il ballerino più in voga del
momento, era il
figlioletto perduto tanti anni prima.
“Presumo non sia per una
pura casualità che il signor Wu
abbia invitato qui voi e Gionghin questo weekend”
l’anticipò Marta.
“In effetti no. Yifenzio
è un caro amico di mio marito.
Appena è venuto a sapere quale fosse il legame che ci univa
si è subito offerto
di combinare l’incontro. Conosceva Gionghin, sa?”
“Lo so, lo so. Me ne ha
accennato” Marta imprecò dentro di
sé. Il Tony Stark da strapazzo non si era scomodato a
renderla partecipe di
quel piccolo particolare.
“Scusatemi ancora se vi ho
arrecato disturbo” Suha si alzò e
chinò il capo in segno di contrizione. Le mani le tremavano.
Il contegno
mantenuto fino ad allora minacciava di incrinarsi pericolosamente.
Yeollo, da perfetto galantuomo, si
precipitò ad aprirle la
porta. “Non lo dica neppure per scherzo”
sussurrò con il suo vocione da gigante
buono.
“Le porgo le mie
più sincere condoglianze, signora Do”.
Marta provò una pena sconfinata per quella donna bella, ben
vestita in seta blu oltremare e con il
cuore irrimediabilmente spezzato. Perdere un figlio doveva essere una
delle
peggiori atrocità che un essere umano potesse sopportare. Ma
perderlo una
seconda volta… Rabbrividì. Senza nemmeno
guardarlo, sapeva che Yeollo era
desolato quanto lei.
V
L’indomani
arrivò in un battito di ciglia. Quando i primi
raggi rosati dell’alba si affacciarono timidamente
dall’orizzonte, però,
constatarono delusi che qualcuno era stato più mattiniero di
loro. Alzatisi da
un’oretta almeno, infatti, il dottor Pacco e la collega
Vincisguerra si
trovavano nella stanza di lei, spaparanzati sul letto
matrimoniale
invaso di carte, post-it e pennarelli. Yeollo sembrava avesse infilato
le dita
nella corrente, Marta pareva reduce da un letargo di mesi. Nonostante
il loro
aspetto poco promettente, però, erano sveglissimi e con i
neuroni che lavoravano
a mille.
“Ce l’hai ancora
il numero di telefono di quel tizio che ti
sei scopato a Capodanno, il giornalista?” chiese lei tentando
di decifrare un
foglio scarabocchiato con geroglifici illeggibili.
“Ma chi, Asdrubale
Cicciarella?” mugugnò lui stropicciandosi
gli occhi.
“Esatto, il Ciccia. Si
occupa di gossip, moda e stronzate
simili, se non erro. Telefonagli più tardi, ok? Mi serve che
verifichi questa
informazione” gli passò un post-it rosa.
“A cosa stai pensando?
Credi che potrebbe costituire una
pista?” chiese leggendo il biglietto.
“Qualsiasi minchiata
potrebbe costituirne una, messi male come
siamo. Non abbiamo indizi in nostro possesso, non uno straccio di
movente
valido” sbadigliò, imitata dall’amico.
“Insomma, è domenica e domani il
Ministro esigerà la nostra testa se non troveremo il
colpevole. Tanto vale
formulare le ipotesi più assurde, purché ci
forniscano uno straccio di idea”.
“Ci sarebbe il movente
passionale. La gelosia ne ha mandati
tanti al Creatore”.
“Sì, ma non mi
convince. Il dolore del ragazzo mi è sembrato
autentico” storse il naso Marta.
“Anche a me.
Però non si sa mai” sfogliò le carte.
“E se
Yifenzio avesse ragione? Se l’assassino volesse uccidere lui
e non Gionghin?”
“Non possiamo escludere
questa possibilità a priori” alzò
gli occhi al cielo. “Organizziamoci così: tu
cerchi di capire se Gionghin
potesse aver pestato i piedi a qualcuno dei sospettati, io batto la
pista della
spia venuta dal freddo. Chiamo una collega della DIGOS, mi deve un
favore”.
“Ricevuto, capo. Faccio una
doccia e mi metto al lavoro. Ci
riaggiorniamo dopo colazione?” domandò Yeollo, una
mano già sulla porta.
“Adoro quando mi leggi nel
pensiero” gli mandò un bacio in
punta di dita e tornò a studiare le sudate carte. Avevano
meno di ventiquattro ore
a disposizione. Sospirò e digitò un numero sul
cellulare; ogni secondo era
prezioso.
Installatisi di nuovo nello studio,
due ore e tre quarti
dopo, il dinamico duo era impegnato a confrontare i frutti delle
ricerche
effettuate.
“Quindi la storia della
spia non era una balla melodrammatica”
sottolineò enfaticamente
Yeollo.
“Yifenzio non ci ha mentito”.
“Buon per lui. La mia
collega dovrebbe richiamarmi tra
mezzora per confermare il nome. Diversi Paesi sono sulle tracce di Led,
confrontando i dati e gli identikit con quello che sappiamo dei
deliziosi
ospiti del tuo amichetto Yifenzio dovrebbe saltar fuori
qualcosa” si strinse
nelle spalle. “Quanto alla tua indagine parallela, hai
scoperto qualcosa?”
“Eccome! Ti
interesserà sapere che-” il resto della frase
vene interrotto da un vivace toc-toc alla porta. “Chi
è?” abbaiò.
Un visetto angelico appartenente ad
un bambino altrettanto
angelico fece capolino. “E’ permesso?”
“Yiscing? Tesoro, va tutto
bene?” la Vincisguerra gli andò
incontro. “Ti sei perso?”
“Ho un segreto
importantissimissimo da svelarvi” sussurrò.
“Addirittura” gli
diede corda la ragazza.
“Sì, top secret.
Posso entrare?”
“Magari più
tardi, cucciolo” cercò di liquidarlo Yeollo.
“I
grandi hanno bisogno di un po’ di tempo per discutere,
è urgente e-”
“Riguarda
l’omicidio” annunciò con aria solenne,
lasciando i
due con un palmo di naso. “Allora entro, eh” disse
approfittando del loro
sbalordimento per sgusciare dentro allo studio. “Wow, che
bella stanza” Marta
si accorse che la piccola peste reggeva sottobraccio la scatola di un
vecchio
tavolo da gioco, Cluedo.
“Yiscing, adesso non
abbiamo tempo per giocare con te.
Possiamo rimandare tutto a stasera?”
“E chi ha parlato di
giocare? Vi ho portato questo”, batté
la mano sulla scatola, “per aiutarvi con
l’indagine. E poi so qualcosa che
dovete assolutamente sapere anche voi, altrimenti non catturerete mai
il
cattivo”.
Marta mandò a quel paese
la propria razionalità. “Come vuoi
tu, scricciolo. Però possiamo concederti”, diede
un’occhiata veloce
all’orologio da polso, “solo dieci minuti. Se
quanto stai per dirci ci
interesserà, avrai altri dieci minuti per spiegarti meglio. In caso contrario,
tornerai dai tuoi genitori senza fare capricci. Ci stai?” e
gli tese una mano.
Yeollo, stimolato da una gomitata nelle costole della collega, la
imitò.
“Ci sto” Yiscing
sancì l’accordo ricambiando le loro
strette di mano con un palmo fresco e leggermente sudato. Senza
ulteriori
indugi, aprì Cluedo e dispose sul pavimento la cartina
planimetrica di Tudor
Hall, la villa che era l’ambientazione del gioco.
Lo svolgimento era macchinoso ma
semplice, Marta lo
ricordava perché da ragazzina ci aveva giocato svariate
volte con le amiche di
scuola. La trama prevedeva che il giovane dottor Black, dopo aver
festeggiato
il compleanno in compagnia di figuri dal passato più o meno
ambiguo, venisse
assassinato misteriosamente da uno degli invitati. Stava quindi ai
giocatori,
che impersonavano ognuno un personaggio della storia (escluso, va da
sé, il
caro estinto), indagare e scoprire chi, in quale stanza del maniero e
con quale
arma avesse commesso il delitto. Il primo che formulava
l’accusa esatta vinceva
la partita.
“Cluedo è il mio
gioco preferito” esordì Yiscing. “Me lo
porto sempre dietro, anche in vacanza. Trovo sempre qualcuno che ci
vuole
giocare. Ebbene, proprio ieri sera stavo osservando la cartina. Mamma e
papà
erano tanto tristi che non me la sono sentita di chiedergli di unirsi a
me,
perciò mi sono detto: e se scoprissi il colpevole come in
Cluedo, così saranno super
fieri di me e potremo tornare a casa nostra? Così ho
analizzato la scena del
crimine” indicò il tabellone. “Alcune
stanze non servivano, perciò le ho
sostituite”.
Marta e Yeollo si inginocchiarono per
studiare meglio
l’opera del bambino. L’osservatorio, la piscina e
il soggiorno erano occupati
da pedine di colori diversi. Un’altra stava fuori dal
perimetro della casa.
Sopra alla sala home-theatre, alla Spa, alla terrazza e
all’ingresso erano
appiccicate delle etichette: ‘camera mia, di mami e
papi’, ‘biblioteca’,
‘camera dottoressa carina’, ‘camera
dottore alto’. Anche su queste erano
posizionate altrettante pedine. Marta iniziò a mostrarsi
interessata.
“Hai la nostra attenzione,
credo” mugugno di assenso da
parte del collega. “Continua”.
“Okkei. Per primi ho
escluso voi due perché siete una specie
di poliziotti, no?, e i poliziotti stanno sempre dalla parte del
bene” sorrise
orgoglioso Yiscing. “Ed eccovi qua, ognuno nella sua
stanza” disse riferendosi
alle pedine. “Poi ho escluso mamma e papà,
perché ci ho dormito assieme e non
sono mai usciti. Lo so perché mi sveglio di continuo e me ne
sarei accorto.
Ovviamente anche io sono innocente” precisò, con
una tale serietà che agli
adulti scappò da ridere. “Kai, poverino, era in
biblioteca” disse abbattuto.
“Questo lo sappiamo anche
noi, piccolo” Yeollo gli diede un
buffetto sulla guancia. “Spiegaci secondo quale criterio hai
disposto le altre
pedine”.
“Si tratta di un segreto
top secret. Se i miei lo sapessero
si arrabbierebbero un sacco. Promettete di non dirglielo?”
“Promesso”. Marta
annuì. “Giurin giurello”.
“D’accordo.
Dunque, vi ho già detto che ho il sonno leggero?
Bene. Quella notte -la notte dell’omicidio- non stavo
dormendo. Mamma e papà mi
avevano tenuto sveglio con le loro chiacchiere fino a tardissimo, e se
io non
mi addormento entro una certa ora poi non ci riesco più. Mi
annoiavo a stare a
letto senza fare niente, per cui ho pensato: e se esplorassi la villa
al buio?
A me piacciono un sacco i thriller e i film horror, e inoltre questa
casa sembra
proprio Tudor Hall. Così sono scivolato pian piano fuori
dalla camera e, in
punta i piedi per non farmi scoprire, ho iniziato dall’ultimo
piano”.
“Sei salito fin su nella
torretta?”
“Oh sì!
E’ bellissima. Per poco però non mi sono fregato
da
solo, perché pensavo che a quell’ora non ci fosse
nessuno e invece c’era il
signor Yifenzio che russava su un divano”.
“Molto
interessante” lo incoraggiò Marta.
“Prendi appunti,
Yeollo”.
“Ai suoi ordini, mia
signora”.
“Simpaticone. Prosegui
pure, Yiscing. Dopo sei sceso al
pianoterra, immagino”.
“Esatto. In biblioteca
c’era una luce accesa, ma non mi ci
sono avvicinato perché non volevo essere sgridato.
E’ per colpa mia che Kai è
morto? Avrei potuto salvarlo?” chiese lui, ad un tratto
allarmato.
“No, cucciolo. Anzi,
avresti rischiato brutto anche tu se ti
fossi intromesso” lo rassicurò Yeollo.
“Chi altro hai visto?”
“Beh, nel salotto grande
dove avevamo cenato c’erano due
ragazzi che si baciavano e sembravano un po’ brilli. Uno dei
due era quello che
sfila in passerella, l’altro quello che lo fotografa. Infine
sono andato in
piscina, quella coperta. Volevo farmi un tuffo senza dirlo a nessuno,
ma ho
rinunciato perché c’era già
qualcuno”.
“Ah sì, e
chi?”
“La maestrina e il suo
fidanzato. Credo stessero facendo
sesso” bisbigliò con l’aria di un
cospiratore.
“Ehm”,
avvampò Yeollo, “perché?
Cioè, non sei troppo piccolo
per conoscere certe cose?” Marta ridacchiò.
“Piccolo sì, ma
non scemo. Lei diceva le stesse frasi che la
mamma grida quando fa sesso con papà: ‘Ancora, di
più, più forte!’ E poi erano
nudi. Di certo non stavano giocando a briscola”
puntualizzò Yiscing, mentre
Yeollo rischiava il collasso e Marta reprimeva un attacco acuto di
ridarella.
“Comunque, dato che mi stava venendo sonno e non
c’era altro che mi
incuriosisse, sono risalito in camera. Prima però sono
andato in bagno perché
mi scappava, e dalla finestra ho visto l’amico di Kai,
Sehunno, che passeggiava
in giardino”.
“E bravo Yiscing”
la Vincisguerra lo scrutò benevola e
orgogliosa. “Le tue informazioni si sono rivelate utilissime.
Ti prometto che
ne faremo un buon uso. Resta però un’ultima
domanda, forse la più importante.
Ti ricordi che ore erano quando sei sgattaiolato via e quando sei
tornato in
camera?”
Il bambino ricambiò lo
sguardo, fermo e sicuro. “Ma certo,
signorina. In totale, sono stato a zonzo dall’una alle due di
notte”.
VI
Quella sera stessa gli inquirenti
convocarono una riunione
straordinaria in biblioteca. L’annuncio causò un
certo sconcerto nei presenti:
come, proprio sulla scena del crimine? E perché? Comunque,
volenti o nolenti,
alle nove in punto si trovavano tutti lì, chi in piedi e chi
seduto sulle poche
poltrone da lettura. La dottoressa Vincisguerra e il dottor Pacco
furono gli
ultimi ad arrivare. L’uomo, senza dare nell’occhio,
si premunì di chiudere la
porta a chiave.
“Buonasera, gentili ospiti.
Grazie per esservi mostrati
tanto collaborativi” Marta avanzò ad ampie falcate
fino al centro della sala. “Siete
stati riuniti in tutta fretta, e me ne scuso, perché il mio
collega ed io
abbiamo una notizia da darvi che, lo speriamo, vi arrecherà
grande diletto”
sfoggiò uno scintillante sorriso a trentadue denti, affatto
rassicurante. “Il
colpevole dell’orrendo gesto che ha messo fine alla vita di
una delle più
luminose promesse della danza contemporanea ha finalmente un
nome”.
La sua affermazione venne accolta con
mormorii di stupore e
sollievo. Suha e Chionsù si cambiarono uno sguardo
speranzoso. Sehunno, i cui
occhi e il naso arrossati segnalavano una discreta quantità
di tempo spesa a
piangere l’amante, si mise sull’attenti. Luano,
impettito in un angolo, si pulì
le lenti degli occhiali. Minsocca sbadigliò, Zio Tao
accavallò le gambe
esibendo un glorioso stacco di coscia rivestito di jeans che Yeollo non mancò
di apprezzare.
Yiscing, pieno di trepidazione, drizzò le antenne.
Bechiòn studiò lo stato
delle proprie unghie, mentre Giongdè si
stiracchiò come un gatto. Fu Yifenzio,
particolarmente appetibile in pantaloni coloniali di lino e camicia, a
porre la
domanda da un milione di euro.
“Chi è
stato?”
Il sorriso della Vincisguerra si
allargò. “E’ curioso che
sia lei a chiederlo, e non i legittimi genitori di Gionghin”
il silenzio calò
gelido. “Signori Do, non siate timidi. Non desiderate che il
vostro figlio
perduto abbia la giustizia che merita?”
“Mamma, non
capisco” proruppe Yiscing, agitato. “Ho un
fratello? Perché lo scopro soltanto adesso? Era
Kai?”
“Sta’ buono,
piccolo” Chionsù cercò di calmarlo.
“Non
possiamo rischiare che ti venga un attacco d’asma”.
“Ma vostro figlio deve pur
venire a conoscenza della verità.
Kai, ovvero Gionghin, era tuo fratello maggiore” disse Marta
rivolta al
bambino. “Abbiamo effettuato delle analisi comparative con un
campione di
saliva della mamma, e c’è una corrispondenza.
Tuttavia, mi domando…” si finse
pensierosa. “E se Gionghin non fosse il figlio biologico di
suo marito, signora
Do?”
“Cosa- come osa insinuare
una simile menzogna?” balbettò
Suha, spettralmente pallida.
“La vostra è
davvero una bella storia d’amore, sa. Le
famiglie che vi contrastavano, la fuga mancata, la gravidanza,
l’ingiustizia
subita. State ancora insieme, più uniti che mai, nonostante
quello che avete
passato. Siete una coppia invidiabile. E tuttavia, vedete, Gionghin da
qualcuno
è stato pur ammazzato. Ma chi poteva volere morto un giovane
tanto dolce e
mite, talentuoso, che apparentemente non aveva nemici?” si
concesse una pausa drammatica,
d’effetto. “E se il suo nemico peggiore si fosse
celato proprio nello stesso
nucleo famigliare che sembrava impaziente di accoglierlo? Ad esempio
lei,
signora. Ipotizziamo che, all’epoca dell’amore con
Chionsù, la sua fedeltà
fosse stata messa a dura prova da un altro uomo; un flirt, magari,
oppure
qualcosa di più grave come una violenza da parte di un
parente. Gionghin le
assomigliava moltissimo, ma del presunto padre non aveva ereditato
alcunché”.
“Non ha senso! Non
è vero, non ho mai tradito Chionsù,
queste sono solo accuse infamanti” strepitò la
donna prima di scoppiare in
lacrime. Yiscing sembrava sul punto di imitarla. Chionsù era
schiumante di
rabbia.
Marta non se ne curò.
“E mettiamo anche che lei, gentile
signora, avesse paura che la verità sulla
paternità di Gionghin venisse a
galla: che il figlio rintracciato con grande premura e un notevole
dispendio di
denaro venisse diseredato da suo marito, che le fosse vietato
frequentarlo in
futuro. Avrebbe significato privare il secondogenito di un fratello
amorevole,
e lei avrebbe nuovamente perduto Gionghin. Era una prospettiva troppo
dura da
accettare, non è così? Non poteva permettere a
nessuno di portarle via sua
figlio. Piuttosto lo avrebbe fatto lei, con le sue stesse
mani” concluse in tono
compassionevole.
“Può dire addio
alla sua brillante carriera, dottoressa
Vincisguerra” ringhiò Chionsù, tenendo
tra le braccia moglie e figlio, entrambi
sconvolti. “Fosse l’ultima cosa che faccio, lei non
eserciterà mai più, mi
sente, mai più!”
“La mia collega non
è un avvocato, signor Do. Sui funzionari
statali, assunti a tempo indeterminato con regolare concorso e
giuramento verso
la patria, lei non ha alcun potere” si intromise Yeollo scuro
in volto. “Benché
sia innegabile che lei vanti amicizie molto in alto e molto influenti.
Suppongo
non sia difficile per lei assumere un sicario che si sporchi le mani al
posto
suo, o sbaglio? Chi ci assicura che non sia stato lei, piuttosto, ad
eliminare
Gionghin? Aveva scoperto l’infedeltà di sua
moglie, vero? Voleva fargliela
pagare?” lo accusò duramente.
“La scomoda
realtà è che non siete i soli, tra i presenti,
ad avere un movente” intervenne a sorpresa Marta.
Sbigottimento generale. “Ad
esempio lei, Sehunno. Non ha fatto mistero della gelosia che nutriva
nei
confronti del suo amante. Temeva che potesse lasciarlo da un momento
all’altro,
ma dubito che lei avrebbe tollerato una tale opzione”
fissò dritto negli occhi
il ballerino. “Lei soffre moltissimo, è evidente a
chiunque. Eppure mi domando
se non ci sia una dose di senso di colpa dietro alle sue lacrime, e
rimpianto
per aver tolto la vita alla persona che amava con tutto il
cuore”.
Sehunno scosse la testa, disperato,
annichilito. “No, no,
no, no, no. Mai l’avrei fatto, mai”
mormorò debolmente.
“E se la gelosia
è sempre un buon movente per un omicidio,
lo stesso vale per l’invidia” Yeollo
spostò la propria attenzione su Zio Tao.
“Un uccellino mi ha riferito che lei e Gionghin eravate in
lizza per il ruolo
di testimonial ufficiale di una prestigiosa griffe e che lei, dato per
favorito, è stato scartato senza una spiegazione proprio in
favore di Gionghin.
Immagino che non abbia esultato all’idea di trascorrere un
intero weekend in
compagnia del rivale che le aveva soffiato il contratto del secolo da
sotto il
naso. Tuttavia ha fatto buon viso a cattivo gioco. Perché,
Zio Tao? Aveva forse
in mente di vendicarsi? Magari con l’aiuto del suo
compagno?” puntò il dito
contro Giongdè.
“Ma che
assurdità!” protestò fieramente il
modello. “Non ce
l’avevo con Gionghin, bensì con
quell’incompetente del mio manager che fino
all’ultimo mi ha illuso che avessi una
possibilità. Non avrei dovuto
presentarmi alle selezioni e basta, sin dal principio. E poi, non avevo
motivo
di lamentarmi perché prima di arrivare qui ho firmato per un
ingaggio
strepitoso. Il mondo della moda è spietato e variabile: un
giorno ti prendono,
quello dopo ti scartano per una sciocchezza” strinse a
sé il fidanzato.
“Insinuare che Giongdè possa macchiarsi di un
simile delitto è semplicemente
inconcepibile. Non ammazzerebbe una mosca, figurarsi un essere
umano”.
“Oh, amore” fu la
replica zuccherosa.
Marta si fermò davanti a
Yifenzio. “Nemmeno il padrone di
casa è immune al sospetto. La memorabile storia che ha
raccontato a me e al
dottor Pacco, appassionante come un’avventura di James Bond,
sebbene documentata
e attendibile potrebbe essere stata sfruttata come specchietto per le
allodole.
Una spia sovietica infiltratasi in casa sua allo scopo di ucciderlo e
impossessarsi di una formula di cui si ignora l’attuale
proprietario?
Intrigante, ma poco probabile. Se avesse usato questa ipotetica
minaccia per
distrarci da ciò che invece intendeva nascondere, ovvero la
sua attrazione per
il bellissimo Gionghin, di cui era stato il benefattore in
gioventù?”
Yifenzio la guardò come se
l’avesse schiaffeggiato. “La sua
turbolenta vita amorosa è nota a tutti i tabloid, signor
Wu” proseguì lei. “Non
gode della reputazione di un santarellino. In passato ha dimostrato
buon
gusto”, sbirciò di sottecchi Yeollo, “e
il suo protégée era un capolavoro di
estetica. Nulla mi vieta di pensare che lei abbia tentato un approccio,
che
qualcosa sia andato storto e lei, in preda all’ira, lo abbia
punito per averlo
respinto”.
“Marta, sul serio pensi
questo di me?” la pregò con voce
supplice.
“Non conta ciò
che penso io, ma ciò che è vero”
replicò
seccamente.
“Qualcosa di vero nella
storia del mio vecchio amico c’è,
però” prese parola Yeollo. “Tra di voi
si nasconde una spia che gli addetti ai
lavori conoscono come Led. Non è stato facile incrociare i
dati, le
testimonianze e le intercettazioni raccolte dai servizi segreti di
mezzo mondo
occidentale, ma finalmente abbiamo un volto ad assegnare allo
pseudonimo. E’ il
momento di calare la maschera. Sei in trappola…
Minsocca”.
L’interpellata
trasalì e divenne di tutti i colori. Lanciò
uno sguardo alla porta, pronta a scattare verso la libertà.
“Inutile provarci,
mia cara” la canzonò Yeollo. “La porta
è stata chiusa a chiave, che ho messo al
sicuro. Gli agenti della DIGOS sono stati allertati, tra qualche minuto
arriveranno qui”.
“Non potete accusarmi, non-
non ho ucciso io quel maledetto
ballerino!” strepitò la donna mentre Marta
provvedeva a legarle i polsi con un
cordone sottratto alle tende in velluto del salone.
“Lo sappiamo”
annuì il vice questore aggiunto. “Tuttavia, mi
duole ricordarti che sul tuo capo pende una sostanziosa taglia e che
contro di
te sono stati emessi tanti di quei mandati di cattura da parte di
altrettanti
Stati, europei e non, che non ci serve un omicidio per spedirti in
galera a
vita. Le tue mani sono già sporche del sangue di troppi
innocenti. Quanto al
tuo promesso sposo, beh, neppure lui ci ha raccontato tutta la
verità” tornò a
sorridere. “Bechiòn, lei mentiva sapendo di
mentire quando, giusto due sere fa,
ha millantato di fronte alla sottoscritta di possedere un impero delle
pompe
funebri. Risulta che lei ha contratto grossi debiti con diversi
istituti di
credito, nonché dei loschi figuri che lascerò a
lei gestire. Tira aria di maretta
nel campo delle sepolture! Cosa c’è di meglio, per
risollevare le sorti, di una
straordinaria pubblicità gratuita? Un defunto illustre, ad
esempio? Una
celebrità morta in circostanze poco chiare, degna di un
rompicapo alla Hercule
Poirot, cui offrire -molto appropriatamente- un funerale da sceicco?
Tutti i
vip avrebbero fatto a gara per richiedere i servigi della sua impresa,
dopo.
Era un’occasione ghiotta, da cogliere al volo”.
“Falsità e
bugie!” berciò l’uomo. “Vengo
a sapere che la mia
fidanzata è una spia russa incaricata di compiere
chissà quali misfatti, e lei
rincara la dose suggerendo un mio coinvolgimento con il sordido
omicidio di un
frocetto qualunque? Si vergogni, dottoressa. Non ha la minima creanza,
quant’è
vero Iddio”.
“Ripeti il
‘frocetto’ se hai coraggio!” Sehunno
avrebbe
senza dubbio afferrato Bechiòn per il collo se non fosse
intervenuto Yeollo a
fermarlo. Il nervosismo era palpabile in sala: chi singhiozzava, chi
fulminava
con lo sguardo gli inquirenti, chi si struggeva in silenzio. Nondimeno,
un’accusa formale vera e propria non era ancora stata
formulata. Era ora di
concludere la partita.
“Vi chiedo scusa, signore e
signori, per il brutto quarto
d’ora che il mio collega ed io vi abbiamo fatto passare.
Perdonaci, Yiscing”
annunciò Marta, improvvisamente mansueta.
“Comprendo e condivido il vostro
sdegno, mi rammarico delle lacrime versate a causa delle nostre basse
insinuazioni.
I vostri alibi sono stati verificati grazie all’aiuto di un
piccolo e intrepido
aspirante detective. Siete tutti innocenti” accarezzò il volto di Yifenzio, che
quasi svenne dall’emozione.
Un boato di sdegno misto a sconcerto,
sollievo e incredulità
si levò nella biblioteca. Il padrone di casa
placò gli animi con un cenno
autorevole della mano. “Lasciate terminare la dottoressa, per
cortesia”.
Lei lo ringraziò
sorridendogli. Un sorriso autentico,
stavolta. “Dovete scusarci, ma questa farsa era
l’unico modo per far uscire
allo scoperto il colpevole. Il dottor Pacco ed io non avevamo altri
assi nella
manica, se non quello di fingere di sospettare di ciascuno di
voi”.
“Ma se ha appena detto che
siamo innocenti” frignò Suha.
“Lo siete, infatti. Tranne
uno” Yeollo si esibì in una
risatina inquietante. “Pardon, è che ho sempre
sognato di dirlo e-” si
interruppe esibendo i suoi migliori occhioni da cucciolo indifeso alla
collega.
“A te l’onore,
allora” acconsentì Marta.
Il medico legale si
schiarì la voce e assunse un’aria
teatrale. “Ebbene, dunque: l’assassino è
il maggiordomo!”
VII
Nel tafferuglio che seguì,
aggravato dall’irruzione della
polizia, la confusione regnò sovrana. Yiscing si mise a
strillare che voleva
tornare a casa sua, possibilmente con il fratellone; Suha e
Chionsù tentarono
di calmarlo senza successo. Sehunno, recidivo, cercò di
scagliarsi addosso a
Luano e gonfiarlo di botte. Ci vollero due agenti per tenerlo fermo.
Minsocca,
dal canto suo, giurò che avrebbe fatto vedere i sorci verdi
agli sbirri e che
mai avrebbe confessato. Ciò, comunque, non le
impedì di essere trascinata via
in manette. Chi non reagì in alcun modo, né per
difendersi né per azzardare la
fuga, fu proprio il maggiordomo reo colpevole. Il quale, anzi,
confessò seduta
stante sotto gli sguardi attoniti dei presenti.
“Sono stato io,
è vero. Ma credetemi, Gionghin non era il
mio obiettivo. Si è trattato di un fatale errore”.
Proseguì descrivendo come
fosse stata la forte miopia che lo
affliggeva da anni a tradirlo. Si dava il caso, infatti, che Luano
portasse le
lenti a contatto per sopperire alle diottrie mancanti. Ma la notte
dell’omicidio, giacché al momento di indossarle
gli erano cadute di mano
rompendosi ed essendo sprovvisto di un nuovo paio, pure con la vista
sensibilmente peggiorata aveva deciso di portare a termine il compito
che si
era prefissato. Era un piano complesso, il suo. Rivelò di
essersi fatto
assumere dal signor Wu con il preciso scopo di avvicinarsi alla sua
cerchia di
amici intimi e conoscenti. L’uomo che desiderava uccidere
rientrava in quel
ristretto gruppo di persone; alla prima occasione utile avrebbe agito.
Appostatosi in corridoio, nei pressi della stanza della vittima, ne
aveva visto
uscire un ragazzo alto e longilineo, dotato di una folta chioma scura
che
-complice il buio assoluto- gli era parso corrispondere. Lo aveva
seguito fino
in biblioteca, lo aveva sorpreso di spalle e colpito con un pesante
trofeo.
Solamente il giorno dopo, recuperato un paio di occhiali che per
vanità non
utilizzava mai, si era accorto del tragico errore. Era Gionghin il tipo
cui
aveva fracassato le cervella, e non Sehunno!
“Io?”
urlò il diretto interessato. “Ma se nemmeno ti
conosco, bastardo! Perché cazzo mi volevi
uccidere?”
“Non conosci Luano, il
virilissimo maggiordomo di Villa Wu. Ma
un tempo conoscevi Luigino. Ricordi? Eravamo vicini di appartamento, in
studentato. Tu eri una matricola, io stavo per laurearmi. Avevo una
ragazza di cui ero
innamoratissimo, che studiava per diventare maestra
elementare-”
“Oh mio Dio”
Sehunno realizzò all’improvviso.
“Minsocca.
Come ho fatto a non riconoscerla? Era una stronza già
all’epoca. Tu però sei
diverso, hai-?” indicò la faccia dell’ex
Luigino.
“Mi sono sottoposto ad una
plastica facciale, sì. Volevo
essere sicuro che né quella vipera traditrice, né
l’infame” il suo sguardo
saettò su Bechiòn, “che me
l’ha portata via e nemmeno tu, disgraziato il giorno
in cui presentasti la mia ragazza a
quel becchino, foste in condizione di riconoscermi. La mia vendetta
doveva
essere perfetta” bisbigliò esaltato. “Ma
la sfiga si è messa in mezzo e a
pagarne le conseguenze è stato un povero estraneo. Quale
destino avverso!”
Yeollo e Marta soffocarono una
risata. “Ha ragione a tirare
in ballo la sfiga, in effetti. Ma il giudice si mostrerà clemente nei confronti del
suo disturbo
mentale, non si preoccupi” disse lui.
“Clemente? Con
l’assassino di mio figlio?” si inalberò
Chionsù.
“Ehm, ecco, siamo costretti
a rinnovarvi le nostre scuse”
tossicchiò Marta. “Perché vedete, la
realtà oggettiva differisce molto da
quella fenomenica. Il che, tradotto in parole povere, significa
che-”
“Lasci che siano i fatti a
parlare, dottoressa Vincisguerra”
la interruppe una voce proveniente dalla soglia. Dodici teste si
girarono di
scatto in quella direzione, e ciò che videro
sbigottì tutti eccetto gli
inquirenti.
Gionghin, niente meno che Gionghin in carne ed ossa avanzava verso di
loro. A
parte la testa fasciata e delle piccole ecchimosi sul viso, aveva
un’ottima
cera.
“Dio santissimo, tu- TU ERI
MORTO” tremò Sehunno.
“Non proprio, amore mio. Ci
sono andato vicino, però. Non
fosse stato per il fulmineo intervento del dottor Pacco, non sarei qui
a
raccontarvelo” spalancò le braccia, in modo che il
fidanzato potesse gettarvisi
dentro. Infine si rivolse al terzetto più felice,
terrorizzato e perplesso del
mondo. “La dottoressa Vincisguerra mi ha tenuto informato
degli sviluppi dell’indagine”
guardò con amore prima Sehunno che gli piangeva avvinghiato
al collo, poi la
famiglia Do. “So chi siete. E se per voi non è
eccessivo, vorrei tanto che mi
deste un abbraccio”.
Chionsù, Suha e Yiscing
non aspettavano altro. Gli corsero
incontro travolgendo chiunque intralciasse loro il cammino, e fu
così che un
puzzle incompleto ritrovò il pezzo mancante.
“Mi congratulo con
entrambi. Avete svolto un eccellente lavoro
di squadra. Una bella promozione non ve la toglie nessuno” li
elogiò il PM al
telefono; Yeollo aveva impostato il vivavoce. “Il Ministro
vorrà contattarvi
per complimentarsi di persona. Non capita tutti i giorni che un vice
questore e
un medico legale risolvano, in un colpo solo, un caso di tentato
omicidio e una
sordida storia di spionaggio”.
“Troppo gentile”
tubò Marta. “La maggior parte del merito va
al dottor Pacco. Solo lui poteva constatare che il presunto morto era
in realtà
entrato in coma e che c’erano speranze di salvarlo”.
“Ma è stata tua,
mia cara collega, l’idea di assecondare i
piani dell’assassino e venire così a capo del
mistero, nonché scongiurare un
secondo attentato alla vita di una star internazionale”
ribatté lui.
Però il PM Stella aveva
ragione: erano stati maledettamente
bravi.
Lunedì pomeriggio. Gli
altri ospiti erano già partiti in
mattinata, non prima di aver salutato Marta e Yeollo con la promessa di
rivedersi presto per un brunch o un aperitivo. Yiscing, semplicemente,
aveva
abbracciato stretti stretti entrambi. Sehunno, Gionghin e i suoi
genitori avevano
espresso la loro immensa gratitudine con ogni vocabolo, figura retorica
e verbo
contenuti nel vocabolario.
Le valigie erano pronte, il taxi li aspettava ai piedi della collina,
il posto
di lavoro era salvo e per un paio di giorni tg e quotidiani avrebbero
tessuto
le lodi dei due improvvisati detective. Cos’altro volere di
più?, pensò Marta
ilare mentre si apprestava a raggiungere Yeollo in giardino.
“Dottoressa?” la
voce di Yifenzio alle sue spalle la colse
in contropiede. Si voltò di scatto. “Oddio mi
scusi, non volevo spaventarla”
l’uomo parve mortificato.
“Colpa mia, ero
sovrappensiero” gli sorrise. “Yeollo ed io
la stavamo cercando, ci tenevamo a salutarla prima di togliere il
disturbo”.
“No, ma quale disturbo?
Sarete sempre i benvenuti a Villa
Wu” Yifenzio si mangiò le parole. Sembrava
impacciato, ansioso. Marta ebbe
un’epifania: al di là della fama di playboy e il
fisico scultoreo, il
milionario filantropo bello come il sole che non sapeva come congedarsi
era un
enorme, persino tenero, concentrato di timidezza.
“A presto,
allora” si sporse a baciargli una guancia, poi
l’altra. “Dovesse servirle il mio numero di
telefono può chiedere a Yeollo”.
“A proposito, io
non-” si passò una mano tra i capelli,
scompigliandoli in modo molto sexy e inconsapevole. Sbuffò
per darsi coraggio.
“Fanculo, io mi butto. Dottoressa, uscirebbe con me una di
queste sere?”
Marta non ebbe esitazioni.
“Solo se mi dai del tu” disse
sorridendogli.
13000 parole. Ripeto, TREDICIMILA
parole. E’ il record di
una vita, per quanto mi riguarda. Mai scritto roba tanto corposa!
Trattandosi
però della mia ficcy numero 100 con gli EXO come
protagonisti, direi che ne è
valsa la pena. Mi sono divertita un mondo a idearla. Io per prima sono
perfettamente consapevole che vi siano buchi di trama, un finale un
po’ troppo
frettoloso e poche descrizioni. E sì, mi sono persino data
il ruolo della
coprotagonista: non lo negherò. Yifenzio ed io siamo
sposati, anche se lui non
lo sa ancora.
Deliri MarySueschi a parte, questo è il mio incerto -ma
pieno di entusiasmo- omaggio
alle centinaia di romanzi gialli che hanno fatto la storia del
thriller. Agatha
Christie occuperà sempre un posticino speciale nel mio
cuore. E anche Clò, che
mi deve aver contagiata con la sua logorrea <3.
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