Rotten
"Guardo il
vento che soffia
la luce
che cade
l'uomo che
ride
il sole
sparire
l'odio
venire sull'erba bagnata
sull'erba
fumata la ruota che gira..."
Quella
sera, sulla finestra di casa mia, un ragno pendeva da un filo sottile
della sua ragnatela. Osservavo quella minuta creatura destreggiarsi
abilmente da un punto all’altro espandendo quella che per lui
sarebbe stata la sua nuova tana, nonché una buona risorsa
per
procacciarsi del cibo.
Sapeva già cosa
doveva fare nella sua
vita per sfruttarla a pieno, mentre io ero in totale subbuglio su
cosa dovessi farne della mia.
Perché
io essere umano, definito per natura come la più alta forma
di
intelligenza, mi sento così stupida a tuo confronto?
Mi
diressi verso il tavolo del salotto, che allo stesso tempo era anche
la cucina, frugai nello zaino, posizionato sopra a una sedia e ne
tirai fuori quello che da lì a poco mi avrebbe portato ad
evadere
per qualche minuto da questo pianeta.
Liberai dalla pellicola
alimentare una cima d’erba, che avevo comprato il giorno
stesso,
presi in mano anche cartine, tabacco e un pezzo di carta abbastanza
rigido per farne un filtro.
Routine oramai era per me,
niente
di tutto questo mi suscitava un senso di colpa o un minimo sconforto,
sarebbe stato anche stupido ora come ora.
Una volta chiusa, con quel poco
di saliva che bastava, la
portai alla bocca, la accesi e aspirai profondamente buttando fuori
una nube di fumo. E mentre la osservai dissolversi in quella stanza
non potei far a meno di chiedermi se prima o poi avrei avuto
abbastanza palle per spegnerla e lanciarla al di là del
recito di
casa senza alcuna tentazione di andarla a recuperare.
Mi buttai
sul divano con la testa chinata verso l’alto fissando il
bianco
soffitto.
Niente
amore, niente ambizioni e probabilmente niente futuro. Niente di
niente.
Aspirai avidamente, questa volta
pensando all'indomani.
E
mentre il piccolo ragno tesseva la sua ragnatela io tessevo la mia
rete di sbagli,
che
mi
avrebbe imprigionato in un futuro di angosce.
***
Ore
14:32.
L’auto sarebbe
partito tra un paio di minuti.
Avevo
davanti l’immagine di una ragazza dalla pelle scolorita,
sciatta, i
capelli quasi completamente rasati lasciavano spazio a una misera
cresta mora, gli occhi cerulei che mi fissavano sembravano vuoti per
la scarsa saturazione di quel colore, ed evidenziava ancora di
più i
segni della stanchezza. Mi disgustai. Lo specchio mostrava solo la
spiacevole verità del mio regresso.
Nessuno
dovrebbe ridursi in questo stato pietoso.
Il
telefono iniziò a squillare distogliendomi da quei
pensieri. Notai
che il numero non era registrato in rubrica, ma avevo la sensazione
di sapere chi fosse.
-Pronto?-
Il tono piuttosto irritato dall’altra parte del cellulare non
esitò
a farsi sentire -Leslie,
ma si può sapere che razza di fine hai fatto? Rispondi ai
messaggi
una volta tanto!-
Aveva i suoi buoni motivi per essere nervosa, compreso i fatto che
non era la prima volta che non fossi rintracciabile. -Ci
sono tranquilla, tra un po’ ti raggiungo-
la sentii mormorare qualcosa a cui non diedi peso. -So
che non hai credito e che l’unico modo di chiamarmi
è con
l’addebito, per tanto...-
mi interruppe, a quanto pare per lei anche una parola di troppo in
quel momento era tempo sprecato inutilmente.
-Lo
scoprirai, fatti trovare a Walton Avenue il prima possibile.
Sbrigati!- Mi
riattaccò il telefono in faccia dandomi neanche il tempo di
rispondere e la conferma a ciò che avevo constatato poco
prima.
Infilai
cappello
di lana, sciarpa e un
cappotto con quella svogliatezza che mi caratterizzava.
L’avrei
raggiunta tra qualche minuto.
E
dopo un breve scambio di saluti con mia madre -nel quale mi
ricordò
di prendere il telefono, che tempo di prepararmi era finito non si sa
come sopra il ferro da stiro- mi chiusi finalmente la porta dietro le
spalle.
Davanti
a me una
recinzione prima delle rotaie e qualche fiore di lavanda che sputava
fuori dal verde. Tra tutte le case che potevamo affittare a Morecambe
-o meglio, di tutto il Lancaster- noi per puro spirito masochistico
abbiamo scelto la peggiore. O forse non trovandoci con una cospicua
situazione economia, sarà stato per il basso affitto con cui
l’hanno
messa in piazza che ci ritrovammo li. Guardando tutto da una
prospettiva ottimista, almeno avevamo una casa.
Camminai
sul marciapiede buttando un occhio sul display del telefono, cinque
nuovi messaggi inviati tutti alle 14:10 e una chiamata persa -dovrei
togliere questo maledetto silenzioso- alle 14:43. Attualmente sono le
14:51. Sgranai gli occhi.
Quattordici
e cinquantuno ?!
Iniziai
a
correre, non riuscivo a credere di averci impiegato quei diciotto
minuti per uscire di casa.
Vidi
l’auto appostato davanti la fermata e il mezzo busto della
mia
amica che ne fuoriusciva dagli sportelli che mi faceva cenno di
entrare.
-Leslie
ma ti
vuoi dare
una mossa?!-
forse non lo aveva notato, ma stavo correndo e anche abbastanza
veloce. Salii sull’autobus dov’era lei ad
aspettarmi.
-Scusami
il
ritardo Angel-
dissi riprendendo fiato -non
mi sono res...-
mi zittì con un “non fa niente”, quando
un momento prima mi
stava inveendo contro. Non che mi dispiacesse quel cambio
d’umore.
Mi
accompagnò ai posti e avviò le
presentazioni -Leslie
lui è Denny, ora sai di chi era quel numero, registralo
d’ora in
poi starà con noi.-
La
mia mente lo ricollegò subito a qualcuno già
visto all’interno
del liceo artistico. Prima che potessi chiedergli affermò
lui stesso
di conoscermi di vista, insieme a una stretta di mano.
-Ragazzi,
ho una
scimmia¹ che neanche
potete immaginare
-Non
me ne
parlare per favore, questi venti minuti di attesa saranno
lunghissimi.
Ed
era vero,
ogni
volta sembravano tramutarsi in ore. L’attesa aumenta il
desiderio e
siamo tutti d’accordo, peccato che questo desiderio logorasse
l’anima.
-Denny-
richiamai il ragazzo alla mia attenzione, c’era altra gente e
coscienziosamente decisi di abbassare la voce -da
quanto tempo fai parte del giro?
-Un
paio di settimane circa, tu?
-Un
mese- una
domanda mi sorse spontanea -com’è
stato?-
-Non
ho provato quasi nulla, ho vomitato e mi sentivo molto rilassato poi,
ma non è stato come doveva essere.-
guardò nervosamente fuori dal finestrino, poi
spostò di nuovo
l’attenzione su di me -è
per questo che sono qui, una volta che provi tanto vale farlo come si
deve. Per te invece com’è stato?-
Mi
partirono immagini di quella sera, a casa di lei, mai provata una
sensazione del genere.
Eravamo
sopra il letto a gambe incrociate, l’una che guardava
l’altra.
-Non
immaginavo saresti venuta, non ti
facevo così coraggiosa.
Un
sorrisetto scaltro comparve sul mio viso a quelle farneticazioni -sai
bene che se avessi potuto, avrei provato anche il trip. Ho
un’ossessione per quella roba, non sai quanto cazzo mi attira.-
-Aahahaaha
lo so invece, volevo
soltanto provocarti.-
mi invitò a infilarmi in bocca
l’estremità di un tubicino fatto
con la carta stagnola, che una volta messo, portò
all’altezza di
quest’ultimo un foglio del medesimo materiale, dove
c’era quello
che apparentemente poteva essere caramello e che, al contatto con la
fiamma dell’accendino colava. Seguivo la scia aspirando la
sostanza, dapprima aveva preso soltanto il mio stomaco grazie a
quell’odore pungente che emetteva, poi si
impadronì anche del mio
cervello portandomi in uno stato di piacevole incoscienza.
***
Alla
fine eravamo arrivati a King Street, una via come tante altre, solo
in uno di questi appartamenti risiedeva lo spacciatore che ci
serviva. Non lo avevo mai visto, Angel era solita andarci da sola e a
me stava bene così. O quasi. Numero 75
una struttura grezza con i mattoni in marmo, entrammo
impazientemente.
-Quanto
avete a
testa?-
-Io
venti, Leslie tu?
-Dieci.-
Gli
porgemmo il nostro denaro ed iniziò a salire le scale
avvertendoci
di rimanere lì e che sarebbe tornata a breve.
-È
lei che ti
ha fatto iniziare
giusto?-
-Avevi
dubbi per caso?
-Non
molti.
-Niente
da incolparle, l’ho voluto io.-
Aveva
un’espressione amareggiata dipinta sul volto -neanche
ti ha fermato però.-
In
quell'istante sentimmo una porta chiudersi e poco dopo una
persona
scendere le scale. In men che non si dica era lì davanti a
noi. Ci
diede la nostra parte avvolta in dei brandelli di una busta di
plastica.
-Andiamo.-
-E
dove?-
azzardai la domanda.
-Hai
presente
il ristorante White Cross?
-Sì
più
o meno.
-Bene,
noi
andremo sotto il
pontile lì vicino.
Camminammo
per
un po’, parlando più che altro di quando saremmo
arrivati, ed una
volta davanti il ponte ci sedemmo formando una sorta di triangolo in
modo tale da coprire ognuno le spalle dellaltro.
Era
arrivato il momento di farsi.
“Guardo
dentro me dentro me…
Gli
occhi da iena che guardano e piangono
il
bene che va il male che viene
Il
tempo che ride una mela marcire
chi
ha molto e chi non ha niente di niente”²
¹)
Un modo di dire, sta a indicare
lo
stato d’animo di
chi
ha una
grave
astinenza.
²)
“Quando mi guardo” dei Prozac+
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