Trying To Find The Light

di Ode To Joy
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Note introduttive:

Benvenuti a quella che ho deciso di considerare la mia one-shot di debutto in questo fandom. Sì, è il secondo pezzo che scrivo in questa sezione ma fa parte di un progetto a cui sto lavorando da fine maggio (fresca fresca di trauma da finale della S2) e, per questo, lo metto online con un po’ di tremarella. Non mi capitava da un po’, siate gentili.
Il pezzo non ha bisogno di grandi presentazioni da parte mia. Vorrei che lo facesse da solo.
Solo qualche linee guida per chiarire alcuni punti: la storia inizia immediatamente dopo la fine della S2 e non prende assolutamente in considerazione gli spoilers per la S3 usciti durante l’estate!
Qui molto è Sheith ed è pensato per fare male ma Lance (meraviglioso ed unico Lance) ci mette molto del suo.
Questo carattere viene usato per i sogni e i dialoghi ricordati.  
Grazie dell’attenzione! Buona lettura!

 


Questa One-shot è dedicata ad Eneri_Mess perchè,
semplicemente, se non fosse per lei, io non starei scrivendo qui



Trying To Find The Light



C’erano delle volte in cui gli bastava chiudere gli occhi e si ritrovava di nuovo alla Galaxy Garrison. Aveva di nuovo i capelli corti ma, per assurdo, era più grande.

Di poco, però. Non poteva nemmeno spiegare come faceva a saperlo ma era così.

La ridicola divisa bianca ed arancione da cadetto era stata sostituita da quella verde militare da pilota ufficiale, anche se non vi erano molti gradi sul petto ad abbellirla.

Era di nuovo scappato nel deserto a bordo di una hoverbike che non era neanche sua ma di cui doveva prendersi cura in assenza del suo legittimo proprietario.

Quello in missione ai confini del Sistema Solare con cinque mesi di ritardo sulla tabella di marcia e di cui i suoi superiori non dicevano una parola.

Eppure, era certo di averlo già vissuto quell’inferno fatto di non consapevolezza ed anche di esserne uscito.

Se solo avesse potuto spaccare la faccia ad Iverson una volta per tutte...

La luce di due fari lo investì e sollevò un braccio per coprirsi gli occhi e cercare di capire chi fosse venuto a recuperarlo. Perchè era ovvio che qualcuno della sua squadra fosse venuto a cercarlo. Chiedere loro di lasciarlo da solo era ancor più utopico che sperare che Shiro tornasse a casa l’indomani come se non fosse successo niente.

Le luci si abbassarono e la portiera del vecchio pick-up dell’Accademia si aprì.

Era Lance. Chi altro poteva essere, dopotutto?

“Keith…” Lo chiamò richiudendo la portiera con un po’ troppa forza. “Ti dispiacerebbe scappare un po’ più vicino all’Accademia la prossima volta? Mi sono quasi perso in questo deserto!”

Suo malgrado, gli angoli della bocca di Keith si sollevarono in un ghignetto sarcastico. “Sei un astronauta, Lance,” gli ricordò. “Sei addestrato per esplorare spazi molto più grandi di questo deserto.”

Lance scrollò le spalle. “Giusto, sono un astronauta,” confermò con un sorrisetto insopportabile. “Sono abituato a guardare il mondo dall’alto!”

Keith gli rivolse una smorfia annoiata, poi tornò a rivolgere la sua attenzione alla volta celeste e a quelle stelle così insopportabilmente lontane.

“Stai guardando verso Venere,” disse Lance avvicinandosi. “Plutone è nella direzione opposta.” Si appoggiò alla hoverbike senza chiedere il permesso e Keith comprese che non sarebbe servito minacciarlo di morte per liberarsi di lui. “Un’altra discussione con Iverson, eh?”

“Ti ha mandato lui?”

“Keith, non mi manda nessuno a recuperarti quando scappi,” disse Lance con finta espressione offesa. “Sono il tuo vice, praticamente è il mio lavoro.”

“Non sei il mio vice, Lance.”

“Sono il tuo co-pilota che è più o meno la stessa cosa.”

Keith annuì distrattamente. Gli era bastato sostituire quella divisa da cadetto con una da ufficiale per avere un vice – come piaceva definirsi Lance –, un’esperta dei sistemi informatici e delle comunicazioni ed un ingegnere spaziale.

Sì, diciotto anni appena compiuti e Keith Kogane era il primo pilota di un equipaggio tutto suo che aspettava solo che gli venisse affidata la sua prima missione ufficiale.

Anche se non ce ne sarebbero state fino a che il governo non avesse ritenuto conclusa quella su Kerberos… Indipendentemente dal genere di conclusione.

“Cinque mesi non sono molti,” disse Lance.

Keith si sentì costretto a guardarlo.

“Voglio dire,” aggiunse il suo co-pilota passandosi nervosamente una mano tra i capelli castani, “sono molti quando esci con qualcuno e non siete ancora riusciti a scambiarvi un primo bacio ma all’interno di una pericolosa missione spaziale ai confini del Sistema Solare…”

“Questo è quello che si ripete Katie, Lance,” lo interruppe Keith.

“Deve pur ripetersi qualcosa per non impazzire,” replicò Lance, “se ci fosse la mia famiglia lassù, io sarei già andato fuori di testa.”

A quel punto, Keith lo fissò apertamente storto e l’altro lo guardò con espressione sinceramente costernata. “Okay!” Esclamò alzando le mani in segno di resa. “Va tutto male e tu vorresti uccidere Iverson ma non puoi farci niente, perciò…” Passò il peso del corpo da un piede all’altro per temporeggiare. “Cerca di non farti buttare fuori?” Propose. “Non farlo per noi, se non è sufficiente a motivarti ma immagino che lui sarebbe più felice di saperti un giovanissimo pilota con un equipaggio suo, piuttosto che un esiliato per problemi disciplinari.”

La linea della bocca di Keith si addolcì un poco e Lance seppe che lo stava ascoltando. “Resisti ancora un po’,” aggiunse. “Non hanno ancora dichiarato la missione fallita e questo è positivo: probabilmente, hanno per le mani qualcosa che non possono rivelarci.”

Keith si umettò le labbra. Annuì appena, poi tornò a guardare le stelle. “Ho capito…” Disse. “Resto ancora un po’... Puoi anche andare ora.”

Lance, però, non si mosse.

“Keith…”

Si sentì chiamare.

Si voltò ma Lance non sembrava aver parlato, gli occhi blu rivolti al cielo.

“Keith…”




“Keith…”

Aprì gli occhi lentamente ma sobbalzò non appena si rese conto che non era dove credeva. Respirava a fatica, gli mancava l’aria. Prese ad agitarsi: stava soffocando.

“Ehi! Ehi! Calmo!” Esclamò qualcuno spaventato. Si sentì costretto contro il posto di pilotaggio. Fece per combattere contro le mani che lo trattenevano quando il casco gli venne tolto dalla testa e l’aria fresca lo investì.

“Piano… Piano…” Disse un’altra voce gentilmente. Avvertì una mano premuta contro il suo petto e, d’istinto, l’afferrò per liberarsene. “Respira, Keith. Dentro e fuori… Dentro e fuori… Lentamente…”

Suo malgrado, non ebbe altra scelta che ascoltare il consiglio di quella voce. Ingoiò aria come un naufrago concentrandosi sul lieve peso sul suo petto mentre si alzava e si abbassava.

Man mano che quel terribile senso di soffocamente passava, Keith prese coscienza di dove si trovava e di chi era con lui.

Il viso di Lance fu il primo che riuscì a distinguere. Era a lui che apparteneva la mano contro il suo petto, mentre Pidge era alle sue spalle con il suo casco contro il petto e Hunk era al suo fianco con le dita strette intorno alla sua spalla per tenerlo fermo.

Sul viso di tutti e tre vi era la medesima espressione preoccupata.

Erano nella cabina di pilotaggio di Red e Keith ricordava di essere uscito dal Castello nel cuore della notte per un giro di ricognizione – un altro tentativo di trovare Shiro – ma non rammentava di essere rientrato.

“Che…” Strinse gli occhi avvertendo una fitta improvvisa attraversargli il capo da parte a parte. “Che cosa è successo?”

Guardò Lance e lo vide scambiarsi un’occhiata veloce sia con Pidge che con Hunk, poi sollevò tre dita di fronte agli occhi violetti del Paladino Rosso. “Quante ne vedi?”

Keith s’imbronciò immediatamente e scostò malamente quella mano. “Piantala…”

Il viso di Lance si rilassò immediatamente. “Ah!” Esclamò drizzando la schiena e portandosi le mani sui fianchi. “Sta benissimo!”

Pareva offeso ma Keith non aveva tempo per preoccuparsi di simili faccende. Lance era infantile e gli sarebbe passata velocemente come era cominciata.

“Keith…” Pidge si portò davanti al Paladino Rosso e lo guardò dritto negli occhi, il casco della sua divisa ancora stretto contro il petto. “Quale è l’ultima cosa che ricordi?”

Keith inarcò le sopracciglia. “Sono uscito con Red in ricognizione,” a cercare Shiro, “sono rientrato e devo essermi addormentato qui, nell’hangar.”

Hunk si chinò e comparve nel suo campo visivo. “Ti sei addormentato?” Domandò. “Voglio dire...Ricordi di esserti sentito assonnato? Ti sei messo a pilotare il tuo leone là fuori pur avendo sonno?”

Keith corrugò la fronte e scosse la testa. “No, non ero assonnato. Sono andato solo…” S’interruppe e scosse la testa: non era una questione importante, non in quel momento. Stava bene, era ancora padrone di se stesso e non aveva tempo da perdere.

Doveva trovare Shiro.

Allungò una mano verso Pidge. “Il casco…”

Lei non fece in tempo a replicare che Lance s’intromise. “No, un attimo… Che cosa pensi di fare?” Domandò guardandolo dall’alto in basso.

Keith lo fissò gelido. “Non t’intromettere.”

“In cosa?” Chiese Lance allargando le braccia con fare esasperato. “Nel tuo nuovo piano suicida da cui hai un gran bisogno di essere trascinato lontano, prima che a Hunk venga un infarto, a me una crisi isterica e Pidge si veda portare via il suo titolo ufficiale di nerd insonne!”

“Il mio cosa?” Domandò Pidge.

“Il casco, Pidge!” Insistette Keith quasi urlando.

Ancora una volta, il Paladino Verde non riuscì a dire una parola: Lance si mise fisicamente tra lei e quello che, secondo le volontà dello scomparso pilota di Black, sarebbe dovuto essere il loro nuovo leader. “Fuori da questa cabina di pilotaggio,” ordinò con tono fermo ed espressione tanto seria che Pidge e Hunk si guardarono l’un l’altra inquietati. “Subito,” aggiunse come se non fosse abbastanza ovvio.

Evidentemente, però, il messaggio non era così chiaro: Keith non si mosse di un millimetro, gli occhi viola ricoperti di brina. “Fatti da parte,” disse con lo stesso tono perentorio usato dal Paladino Blu.

Lance, però, non gliel’avrebbe mai data vinta tanto facilmente.

“Ti sei addormentato nello spazio aperto,” disse senza girarci troppo intorno.

Keith inarcò le sopracciglia confuso. “Che cosa significa?”

“Che se continui a comportarti come un idiota, finirai per farti ammazzare!” Esclamò Lance con rabbia.

Keith fece per rispondere a tono ma fu il turno di Pidge d’intromettersi tra i due. “È arrivato un messaggio d’allarme dal tuo leone mentre eri fuori per… In ricognizione.”

Per cercare Shiro! Urlò Keith nella sua testa. Perchè nessuno lo dice? Dobbiamo trovare Shiro!

“Io non ho mandato nessun messaggio di allarme,” disse, invece. “Non c’era niente là fuori.”

Pidge non parve sorpresa ma si morse il labbro inferiore come se trovasse difficoltà a dire quello che doveva. Guardò gli altri due in cerca di aiuto e Keith notò che Hunk si stava grattando la nuca nervosamente, mentre Lance continuava a fissarlo con rabbia.

“È successo qualcosa?”

“È successo che hai perso conoscenza mentre pilotavi Red là fuori, da solo!” Esclamò Lance indicando l’uscita dell’hangar ancora aperta. “Sei fortunato che il tuo legame con questa bellezza funzioni meravigliosamente bene… Mi chiedo perchè!”

Keith scattò in piedi e Pidge e Hunk si fecero indietro istintivamente ma Lance no… Lance sarebbe stato pronto a stendere Keith e trascinarlo fuori di lì di peso se sarebbe stato necessario.

“Quale è il tuo problema?” Sbottò Keith rabbioso, i pugni chiusi.

“Il mio?” Ribatté Lance con altrettanta forza. “Non sono io che non chiudo occhio da giorni, che non ha memoria dell’ultima volta che ha mandato giù un boccone e che continua a comportarsi come se non ci fossero altre persone intorno a lui!”

“Non ho chiesto il vostro aiuto!”

Hunk simulò un paio di colpi di tosse e sia gli occhi del Paladino Rosso che di quello Blu si spostarono su di lui. “Tecnicamente, Keith, Lance ti sta chiedendo… In modo assolutamente poco gentile, proprio di chiedercelo.”

Keith riportò l’attenzione su Lance. L’espressione del Paladino Blu non si addolcì nemmeno di poco ed incrociò le braccia contro il petto come a sottolineare che se ne sarebbe restato lì fino a che non avrebbe ottenuto ciò che voleva.

Keith serrò i denti sul labbro inferiore, poi tornò a rivolgersi a Pidge. “Posso avere il mio casco?” Domandò più gentilmente.

Lei esitò ma, alla fine, decise di accontentarlo.

Keith si voltò non appena le sue dita si richiusero sul bordo del casco bianco e rosso. I suoi occhi incontrarono per un istante quelli di Lance: erano ancora entrambi arrabbiati.

Uscì dalla cabina di pilotaggio di Red senza dire una parola.

Non si era arreso. Non si sarebbe mai arreso.

Sarebbe tornato là fuori a cercare Shiro il giorno seguente.
 
***


Allura era rimasta nella sala di comando del Castello, le braccia incrociate contro il petto ed il bel viso serio, pensieroso. Coran la guardava preoccupato ma non diceva una parola.

Non aveva lasciato ai Paladini il compito di occuparsi di Keith di buon grado ma aveva comunque deciso di farsi da parte, di lasciare ai quattro lo spazio necessario per cercare di ristabilire un equilibrio che era andato distrutto con la scomparsa di Shiro.

Una questione in cui, volente o nolente, la Principessa si sentiva particolarmente impotente.

Quando la porta d’ingresso si aprì, solo Hunk e Pidge varcarono la soglia.

“Tornate vittoriosi?” Domandò Coran allontanandosi dalla sua postazione.

“Più o meno… Credo…” Fu la risposta poco convincente di Pidge.

“Keith vi ha dato qualche spiegazione in merito a quanto è successo?” Domandò Allura.

“Non è stato lui a mandare il messaggio di allarme,” spiegò il Paladino Verde. “Pensiamo che abbia perso i sensi mentre pilotava.”

“Uhm…” Coran si massaggiò il mento pensieroso. “Non mi sorprende. Non lo vedo nella da pranzo da… Da…” Rivolse lo sguardo alla sua Principesse e lei annuì.

“Sì, da quel giorno,” confermò Allura con aria grave. “E lo stato d’animo di Keith è completamente comprensibile.” Una pausa. “Tuttavia…” Sapeva cosa doveva dire. Sì, era perfettamente consapevole che la guerra non si poteva fermare per la dipartita di un singolo guerriero, fosse anche il Paladino Nero ma, al contempo, non aveva la minima idea di quale fosse la strada giusta per andare avanti.

E bastava guardare negli occhi Pidge e Hunk per sapere che erano smarriti quanto lei.

No, forse lo erano anche di più.

“Dove è Lance?” Domandò Coran inarcando le sopracciglia confuso.

“Sta facendo da scorta a Keith,” rispose Hunk. “O da secondino… Dipende dai punti di vista, immagino. Vuole assicurarsi che vada in camera sua e non alla sala d’addestramento.”

Pidge sospirò stancamente. “Keith ne sarebbe capace.”

“E voi?” Domandò Allura senza pensarci troppo. “Voi come state?”

Aveva il dovere di chiederlo. La guerra doveva andare avanti, sì ma il dolore non prendeva ordini da nessuno ed erano quei giovani ad essere in prima linea in ogni battaglia.

Hunk e Pidge si guardarono. Non era una domanda facile a cui rispondere.

“Sarebbe più facile saperlo se capissimo cosa è davvero successo a Shiro,” disse il Paladino Giallo.

“Non è mai accaduto niente del genere prima, vero?” Domandò Pidge.

Allura scosse la testa. “Mi piacerebbe poter dare una spiegazione a quello che è successo a Shiro,” ammise. “Mi piacerebbe davvero…”

“Penso che a Keith piacerebbe più di ogni altro,” sottolineò Hunk. “Per noi è dura sia a livello tecnico che personale ma per lui… Anche prima con Lance, non si sarebbero azzannati così se Shiro fosse stato nei paraggi.”

Coran si allarmò immediatamente. “Sono passati alle mani?”

“C’è mancato poco,” ammise Pidge. “Ma poi Keith ha deciso di essere ragionevole e Lance è riuscito a rimanere in silenzio e a non sfidarlo ulteriormente.”
Allura li guardò dubbiosa. “E ora sono da soli?” Domandò.

“Forse, è meglio lasciarli da soli,” propose Hunk. “Non saremmo comunque in grado di dividerli se decidessero di saltarsi alla gola a vicenda. Shiro era bravo con queste cose, noi… Immagino che dovremo cominciare ad abituarci ad affrontare questo genere di complicazioni quotidiane senza di lui,” concluse abbassando lo sguardo.

Pidge serrò le dita sull’orlo della sua maglietta. “Fino a che non lo troviamo,” aggiunse a voce bassa ma ferma.

Hunk la guardò e, sebbene con meno convinzione, concordò. “Sì, fino a che non torna a casa…”

Allura strinse le labbra e decise di non dire niente: la guerra non si sarebbe fermata per nessunp, no, ma avevano battuto Zarkon in persona e questo permetteva loro di recuperare le forze almeno un poco, prima di approfittare del vantaggio che questo comportava.

Sì, poteva dare ai Paladini di Voltron che rimanevano ancora un po’ di tempo ed una parte di lei, la più codarda forse, sperava che tutti e quattro arrivassero all’inevitabile conclusione a cui era giunta lei prima che scadesse.

Perchè c’era solo una soluzione, a quel punto, per risollevarsi da quella situazione ed Allura era la prima a cui doleva dirla ad alta voce.

Ma, sì, c’era tempo.

Poteva solo sperare che, quando sarebbe venuto il momento, i Paladini avrebbero saputo accettare la sua decisione.

In particolare, Keith.
 
***


“E se lassù ti dimenticassi della Terra?”

“Non è possibile, Keith. Non posso dimenticarmi della Terra…”

“Credi che tutto questo potrà avere un qualche valore per te dopo che sarai stato lassù?”

“Tutto questo è una delle ragioni per cui non posso dimenticarmi della Terra, Keith.”


Keith trasalì per nessuna particolare ragione e si massaggiò la fronte nel vano tentativo di combattere quel mal di testa che non voleva proprio lasciarlo andare. Era nell’ascensore principale ed aveva chiuso gli occhi solo un istante. Uno solo.

Aveva perso i sensi e non se ne era reso conto?

“Perchè mi è tornato in mente proprio adesso?” Domandò a se stesso con voce quasi dolorante. La ricordava bene la notte in cui aveva posto a Shiro quella domanda stupida. A dire il vero, ricordava nitidamente ogni notte passata con lui e non necessariamente solo le più belle.

Ogni ricordo. Ogni istante. Ogni dettaglio. Tutto sembrava ritornargli alla mente con particolare lucidità ma, per assurdo, non era certo di sapere nemmeno quanti giorni erano passati dalla loro ultima battaglia contro Zarkon.

Dalla scomparsa di Shiro.

Se fosse stato onesto con se stesso, Keith avrebbe dovuto ammettere che aveva preso l’ascensore perchè non era certo che le sue gambe lo avrebbero retto fino al piano delle camere e, in particolare, la sua, la penultima del corridoio, accanto a quella di Shiro.

Non appena le porte scorrevoli si aprirono, prese a camminare velocemente: non voleva incontrare nessuno.

Se lo volevano lontano da Red, allora sarebbero dovuti stare anche loro lontani da lui.

Non aveva voglia di parlare, in particolare con Allura: non credeva di essere in grado di sopportare un discorso su quanto tutto quello fosse doloroso ma che la guerra non era ancora finita.

Perchè era quella la parte peggiore: avevano vinto su Zarkon ed avevano pagato il prezzo di una tale impresa perdendo Shiro e non era servito a niente.

L’Impero era ancora in piedi e l’Universo aveva ancora bisogno di Voltron.

E Keith non avrebbe voluto altro che dimenticarsi di tutto quello.

Arrivato di fronte alla sua camera, però, la sua attenzione si spostò altrove, verso la porta chiusa alla sua destra. L’ultima camera del corridoio dei Paladini.

”Ti sto ancora aspettando”

“Sono qui…”


“Keith!”

Il Paladino Rosso sobbalzò e si ritrovò con delle mani estranee addosso prima che riuscisse a guardarne il proprietario negli occhi. Quando lo fece, però, Lance ignorò deliberatamente il suo sguardo in favore di qualcos’altro.

“Hai perso ogni sensibilità al dolore, per caso?” Domandò il Paladino Blu con espressione sinceramente smarrita e, forse, anche un po’ spaventata.

Keith sbatté le palpebre un paio di volte. “Cosa?”

Lance sbuffò, gli afferrò il polso e lo costrinse a guardarsi la mano destra. “Almeno, ti sei reso conto di aver fatto questo?”

Keith fissò le proprie dita come se non gli appartenessero. I polpastrelli erano sporchi di sangue ed il palmo era segnato lì, dove le unghie erano affondate fino a lacerare la carne. Sentiva dolore, sì ma era come un’eco lontano nella sua mente stanca. A quel punto, era arrivato il suo turno di spaventarsi.

Aprì e chiuse la bocca un paio di volte: se per giustificarsi o per dire qualcosa che convincesse Lance a togliersi dai piedi, non ne era completamente certo nemmeno lui.

Alla fine, sfoderò l’unica arma che aveva sempre posseduto: la rabbia. “Che diavolo ci fai qui?” Domandò liberando il polso dalla stretta del Paladino Blu. “Mi stavi seguendo, per caso? Da dove sei spuntato fuori?”

Lance, però, rimase calmo. Sul suo viso si leggevano a chiare lettere la sua irritazione ed il suo grande desiderio di prenderlo a schiaffi, sì ma non fece niente per peggiorare la situazione.

“Va bene!” Esclamò afferrandolo nuovamente, con più forza “Basta così!”

Fu lui ad aprire la porta della camera di Keith e fu lui a trascinarcelo dentro. “E perchè non indossi i guanti?” Aggiunse spingedolo sul letto. “Stai buono lì, immagino che il necessario per le medicazioni dentro il tuo bagno sia ancora del tutto integro!”

“Vai al diavolo!” Sbottò Keith. Avrebbe voluto alzarsi in piedi e sbatterlo fuori a calci ma la testa gli girava troppo e Lance era già sparito oltre la porta del bagno come se qualcuno gli avesse dato il permesso.

Quando tornò indietro, aveva tra le mani tutto il necessario per medicargli la ferita.

“Lance, vuoi andartene?” Sibilò Keith rabbioso.

“No, prima dovrai stendermi,” replicò Lance gonfiando il petto in modo ridicolo e lasciando cadere le bende ed il disinfettante sul letto del Paladino Rosso. “Tu sei forte ma io sono più alto! Ce la posso fare!”

“A finire sul pavimento con tutte le ossa rotte, sicuramente!” Keith si alzò in piedi di scatto e fu un errore. Non riuscì a sfiorare il Paladino Blu neanche con un dito. Il giramento di testa ebbe la meglio e Keith si ritrovò seduto sul letto con gli occhi sgranati fissi sul pavimento e la spiacevole sensazione che la stanza stesse rotando intorno a lui.

Lance lo guardò e sospirò. “Hai finito?” Chiese arrogante ma, comunque, con tono più gentile.

Keith artigliò la coperta sotto di lui e non rispose.

Il Paladino Blu annuì. “Bene…” Concluse sedendosi sul bordo del letto ed aprendo la bottiglietta di disinfettante. “Dai, avanti…”

A quel punto, ogni resistenza sarebbe stata del tutto inutile, oltre che ridicola. Keith incrociò le gambe sul letto in modo da guardare in faccia il suo imperterrito scocciatore e gli porse la mano lesa.

Un sorrisetto vittorioso comparve sul viso di Lance e Keith si obbligò ad ingoiare la voglia che aveva di cancellarglielo dalla faccia con un pugno.

“Allora… “ Cominciò Lance con cautela, come se non avesse già tastato il terreno su cui stava camminando a sufficienza. “Vuoi parlarne?”

Keith storse la bocca in una smorfia e decise che la coperta del suo letto era particolarmente interessante da fissare. “Non puoi semplicemente fare quello che devi fare ed andartene?”

Lance sbuffò. “Keith…” Gemette stancamente strappando un lembo di benda ed inumidendolo col disinfettante. “Perchè dobbiamo sempre finire col litigare, io e te?”

A quella domanda, Keith lo fissò oltraggiato. “Me lo hai veramente chiesto?”

Il Paladino Blu inarcò le sopracciglia. “Sto cercando di creare l’atmosfera per un momento amichevole, tutto qui!” Prese a pulire il palmo leso del compagno e lo sentì irrigidirsi sotto il suo tocco. “Brucia?”

“No,” mentì Keith ma non lasciò che l’altro cambiasse l’argomento della conversazione. “Atmosfera amichevole?” Domandò. “Ma se vieni colpito da amnesia fulminante ogni volta che lo abbiamo un momento amichevole!”

Lance gli rivolse un sorrisetto tra il sarcastico e l’astioso. “Disse quello che non si ricordava nemmeno chi fossi dopo due anni e mezzo passati nella stessa classe!”

Gli occhi viola di Keith si fecero gelidi. “Lo vedi?”

“Cosa?” Domandò Lance afferrando delle bende pulite.

“Tu ce l’hai con me dai tempi della Garrison,” concluse Keith. “Qual è il problema? Non ti va giù che non mi ricordi di te?”

Lance si rifiutò di rispondere e prese ad avvolgere le bende intorno al palmo del Paladino Rosso come se quegli occhi viola non lo stessero fissando insistentemente in attesa di una risposta. “Dove sono i tuoi guanti?” Domandò nuovamente, come se negli ultimi dieci minuti non si fossero rivolti parola.

Keith, però, non era mai stato bravo a lasciar cadere un argomento nel dimenticatoio. Intavolare una conversazione con lui, significava doverla concludere. “Lance…”

“Ma dove sono?” Domandò Lance sollevando il suo cuscino, forse credendo che li nascondesse lì sotto. “Infila il guanto. Terrà ferma la medicazione e modererà gli urti.”

Spazientito, Keith sottrasse la mano appena medicata dalla stretta dell’altro.

Gli occhi blu di Lance furono immediatamente sui suoi.

“Hai davvero voglia di parlare dei tempi della Garrison, ora?” Domandò il Paladino Blu.

No. La verità era che Keith non ne aveva la ben che minima intenzione. Non voleva ricordare i giorni con Shiro all’Accademia. Non voleva ripensare al se stesso appena sedicenne che salutava il ragazzo d’oro della Galaxy Garrison di nascosto, un istante prima che partisse per la missione che avrebbe dovuto cambiare entrambe le loro vite.

E lo aveva fatto.

Non come avevano immaginato ma lo aveva fatto eccome ed anche quello aveva avuto il suo prezzo.

Alla fine, fu lui a cambiare argomento.

“Come stanno gli altri?” Domandò. Probabilmente, la sua condotta dava ad intendere che non gli importava ma non era vero. Non era affatto vero.

Lance rilassò le spalle. “Hunk ha infilato nel forno tutto ciò di anche lontanamente cucinabile che avevamo a bordo di questo Castello,” raccontò, “e non accenna a fermarsi. Almeno, saremo depressi ma ben nutriti, immagino.”

“Pidge?”

“Si tiene occupata,” Lance sorrise amaramente. “Penso abbia pianto… Di nascosto, ovvio. Credo sia stanca di aggiungere gente scomparsa da ritrovare alla sua lista di cose da fare.”

Keith si umettò le labbra. “Me lo dimentico troppo spesso…”

“Che cosa?”

“Per lei, questa storia è cominciata nello stesso modo in cui è cominciata per me. Con Kerberos.”

Lance parve sorpreso, come se non ci avesse mai pensato prima di allora.

“Un anno d’inferno ad aspettare un segno ed ora siamo di nuovo punto a capo,” aggiunse il Paladino Rosso.

“Beh…” Lance prese a torcersi le mani. “Quando si trattava di Kerberos, nessuno credeva davvero che Shiro, o il fratello ed il padre di Pidge fossero ancora vivi.”

“Io sì,” ribattè Keith. “Sono rimasto un anno nella mia vecchia casa ad inseguire segnali e sensazioni che non sapevo spiegarmi ma…” Una pausa. “Non ho mai dubitato che Shiro sarebbe tornato. Continuavano a ripetermi di lasciar perdere, di farmene una ragione ed io avrei voluto prenderli a pugni tutti, dal primo all’ultimo.”

“Parli di Iverson?” Domandò Lance. “Dei professori alla Garrison?”

Gli occhi di Keith, però, non lo guardavano più, persi nel vuoto, in un ricordo oscuro di cui il Paladino Blu non faceva parte. “Non aveva importanza quanto provassi a capire quello che era successo,” raccontò. “Continuavano sempre a darmi la stessa spiegazione: errore del pilota.”

Lance annuì sommessamente: ricordava anche lui quel periodo, sebbene non potesse dire di averlo sofferto sulla sua pelle come Pidge e Keith. I telegiornali non avevano parlato d’altro per settimane e, alla fine, ricordava di essere salito su una delle sedie della caffetteria per spegnere il grande schermo su cui continuavano a trasmettere decine di servizi tutti uguali. Era come una tortura, un monito oscuro a tutti i giovani di quell’Accademia che non erano ancora astronauti ma che sognavano di diventarlo e si riassumeva in una serie di titoli a fondo schermo che contenevano sempre la stessa, tragica verità: Missione Kerberos fallita: errore del pilota.

Lance non aveva idea di che cosa avessero realmente trovato Iverson e gli altri ufficiali negli ultimi dati che erano arrivati dalla navicella pilotata da Shiro. Con le informazioni di cui disponeva ora, però, ipotizzò che dovevano aver dato una spiegazione semplice a qualcosa che per loro proprio non la possedeva.

E Shiro era stato il capro espiatorio.

“Sei stato espulso perchè non sopportavi più di sentirti ripetere che la missione era fallita per colpa di Shiro?” Chiese Lance senza pensarci. Un errore che commetteva spesso.

Keith tornò a guardarlo dritto negli occhi ma non rispose mai a quella domanda.

“Sono stanco,” disse, invece. “Vorrei riposare un po’...”

“Certo!” Lance annuì velocemente recuperando dal letto tutto ciò che aveva usato per la medicazione. “Ti lascio riposare.”

Keith si lasciò cadere contro il cuscino non appena l’altro si alzò: se fosse riuscito a perdere i sensi per qualche ora, forse, quel mal di testa lo avrebbe lasciato in pace e, dopo, sarebbe potuto tornare a cercare Shiro al massimo delle sue capacità.

Lance arrivò alla porta, l’aprì e poi si fermò. “Keith…” Richiamò voltandosi.

Il Paladino Rosso gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla.

“Io non ce l’ho con te per…” Lance interruppe la frase a metà e scosse la testa. “Non hai voglia di parlarne,” ricordò.

“No, non ho voglia di parlarne,” confermò Keith con voce neutra.

Il Paladino Blu annuì. “Allora, a più tardi…”

Keith, però, si era già addormentato.
 
***


“Pensi che Lance sia ancora vivo?” Domandò Hunk ricontrollando per l’ennesima volta che il suo ultimo esperimento nel forno stesse prendendo la forma che doveva.

“Uhm…” Fu l’unica risposta che gli concesse Pidge senza smettere di digitare velocemente sulla tastiera.

“È sparito da mezz’ora,” continuò Hunk reclinando la testa da un lato, come se il contenuto del forno potesse cambiare completamente aspetto da una diversa angolazione. “Saranno passati veramente alle mani questa volta?” Domandò preoccupato.

“Chi?” Chiese Pidge senza staccare gli occhi dallo schermo del pc.

“Keith e Lance,” rispose Hunk guardandola dubbioso. “Mi stai ascoltando?”

“Ah-ah…”

Il Paladino Giallo sospirò per nulla sorpreso dal risultato ottenuto, poi si avvicinò al tavolo sopra cui Pidge si era accomodata come se non ci fossero delle sedie all’interno della stanza. “Va bene,” prese posto su una di queste e fissò la compagna di squadra che, da parte sua, nemmeno si accorse che le si era avvicinato. “Dato che Lance sta provando a parlare con Keith, forse potremmo fare un tentativo anche noi?” Propose.

Le dita di Pidge smisero immediatamente di fare quello che stavano facendo e i grandi occhi castani lo fissarono da dietro le lenti rotonde. “Vuoi parlare?”

Hunk scrollò le spalle. “Potrebbe aiutarci,” rispose. “Io ho finito gli ingredienti per cucinare e, a meno che non cominci ad impastare qualcuna delle tue invenzioni con i prodotti di bellezza di Lance, non credo di conoscere un altro modo efficace per tener testa alla tensione, quindi…”

“Ti senti teso?” Domandò Pidge come se non comprendesse la situazione.

“È un modo poco allarmante per dire che viaggio sulla soglia di una crisi di panico da quando siamo usciti miracolosamente vivi dall’ultima battaglia,” ammise Hunk.

A quel punto, Pidge smise di fingere che tutto fosse sotto controllo. Lasciò andare un sospiro stanco e le piccole spalle si curvarono un poco, mentre sfiorava lo schermo del computer con la punta delle dita. “Avevo fatto una modifica al braccio artificiale di Shiro,” disse. “Era una cosa che aveva proposto lui poco dopo tutta la storia di Keith e della Lama di Marmora.”

“E sarebbe?” S’interessò Hunk incrociando le braccia sul bordo del tavolo.

“Un rilevatore,” spiegò Pidge. “Qualcosa che potesse permetterci di sapere dov’era anche a grandi distanze.”

Il Paladino Giallo la guardò confuso. “Come quello che abbiamo nelle tute?”

“È quello che gli ho fatto notare anche io,” rispose Pidge. “E, allora, Shiro ha ribattuto che non portiamo sempre le tute da combattimento addosso e che Keith sarebbe stato più tranquillo sapendo che…”

“Keith?” Domandò Hunk completamente confuso. “Che centrava Keith?”

Pidge scosse la testa. “Non lo so. Gliel’ho chiesto e ha cambiato argomento, così… L’ho fatto e basta.” Riprese a digitare sulla tastiera. “Il rilevatore della sua tuta non…” Sospirò di nuovo. “Speravo che avremmo avuto più fortuna con l’altro.”

“E… Niente?” Domandò Hunk un poco speranzoso. “Niente di niente?”

Pidge si portò l’indice destro alle labbra torturandone nervosamente l’unghia con i denti. “Entrambi i rilevatori non captano alcun segno vitale,” disse con la voce più ferma che riuscì ad usare. “Tuttavia, non ho nemmeno delle coordinate e questo è positivo.”

“In che modo?”

“Beh… Se avessimo delle coordinate e nessuno segno vitale,” una pausa, “significherebbe che abbiamo un corpo.”

Hunk sentì il respiro venire meno per un istante, poi guardò lo schermo del computer di Pidge con espressione atterrita. “Va bene,” annuì velocemente. “Nessuna coordinata! Non vogliamo coordinate!”

“Perchè stai urlando?” Domandò Lance entrando nella cucina senza annunciarsi in alcun modo.

Hunk sobbalzò. “Sei vivo!” Esclamò.

Lance inarcò le sopracciglia. “Ero al piano di sotto. Adesso evitiamo di dare per perduto chiunque di noi non abbiamo sotto gli occhi, per favore. Non abbiamo bisogno di ulteriori isterismi!”

Suo malgrado, quella scenetta riuscì a strappare a Pidge un lieve sorriso: almeno, c’era qualcuno che riusciva a rimanere fedele a se stesso anche nei momenti di crisi peggiore. Questo la rassicurava.

Sì, sebbene fosse una pensiero poco razionale, fin tanto che Lance e Hunk continuavano… beh, ad essere Lance e Hunk, Pidge poteva ancora sentirsi rassicurata.

Forse, un giorno, lo avrebbe detto ad entrambi e li avrebbe ringraziati per questo.

“Keith?” Domandò.

“Dorme…” Rispose Lance sedendosi sul tavolo a gambe incrociate, mentre Hunk lo guardava scandalizzato. “O, almeno, spero. Anche se passasse le prossime otto ore a fissare il soffitto della sua stanza senza riuscire a prendere sonno, sarebbe sempre meglio di saperlo là fuori con il rischio che perda i sensi nel bel mezzo del nulla.”
Da parte sua, Hunk sospirò esasperato. “Ma perchè dovete sempre sedervi con le scarpe sui tavoli?” Gemette. “Io lavoro su questo tavolo!”

Gli altri due lo ignorarono.

“Ha detto qualcosa?” Domandò Pidge richiudendo il suo portatile e mettendolo da parte.

Lance la fissò. “Avresti voluto chiedergli qualcosa?”

“Non proprio,” ammise lei. “Non sarei voluta rimanere in silenzio, però.”

“Nemmeno io sono riuscito a dirgli niente, Pidge,” intervenne Hunk. “Keith è… Complicato.”

Lance aggrottò la fronte. “Vi eravate legati parecchio dopo quella vostra missione insieme,” ricordò. “Hai anche preso le sue difese con Allura.”

“Sì!” Confermò Hunk. “In realtà… È Keith ad essere cambiato. Rispetto ai primi tempi, intendo, quando sembrava riuscire solo a litigare con Lance e parlare con Shiro. O, meglio, Lance litigava con lui.”

Il Paladino Blu allargò le braccia esasperato. “Vi siete messi tutti d’accordo per farmi passare come il cattivo?” Si guardò intorno. “E dove sono i Marmoriti?”

“Allura ha detto che Kolivan ed i suoi uomini sono partiti per prendere contatto con altre unità ribelli,” disse Pidge. “Slav è strisciato da qualche parte per sfuggire a tutte le possibili tragiche dipartite di questa realtà ed Allura e Coran si sono fatti da parte per darci del tempo.”

“Tempo?” Domandò Lance passando gli occhi dal Paladino Verde a quello Giallo. “Tempo per cosa?”

Pidge inspirò profondamente dal naso. “Perchè troviamo il coraggio di dire ad alta quello che non vogliamo ancora accettare?” Ipotizzò. “Tempo, Lance. Solo tempo.”

Il Paladino Blu fece per chiedere di più: era troppo stanco per giocare agli indovinelli o per affrontare discorsi complicati. Quello a cui Pidge si riferiva, però, divenne dolorosamente chiaro un istante più tardi.

Lance cercò lo sguardo di Hunk e non gli fece piacere trovare sul viso dell’amico di sempre le sfumature della più amara rassegnazione.

“Non ci credo…” Mormorò sbigottito e deluso al contempo. “Stiamo già prendendo in considerazione la peggiore delle ipotesi? Stiamo davvero parlando di quello che credo?”

“In quattro non siamo niente, Lance,” gli fece notare Hunk tristemente.

“No!” Ribatté il Paladino Blu. “Noi quattro siamo tutto ciò che rimane a Shiro, è diverso!”

Pidge si sporse verso di lui. “Nessuno qui si sta arrendendo, Lance,” gli fece notare un po’ duramente. “Pensi che io lo farei? Davvero?”

Lance ricambiò il suo sguardo con aria colpevole. No, non era giusto nei suoi confronti, non quando avevano continuato a cercare la sua famiglia arrivando a sfidare l’intera comunità degli ufficiali astronauti alla Garrison. “Io so che Shiro aveva preso in considerazione la possibilità che lui…” Decise di non dirlo. “So anche che Keith era coinvolto nel suo piano e… Ma perchè proprio Keith? Cioè, lo conosciamo Keith! Lui prende Red, va alla ricerca di Shiro, si perde nel processo e si addormenta prima di rendersene conto!”

“Lance…” Cercò di fermarlo Hunk prima che la discussione degenerasse. In cuor suo, però, non gli sarebbe dispiaciuto: aveva un gran bisogno di rivivere una scena dei vecchi tempi della Garrison, quando ancora il suo più grande problema era evitare che il suo compagno di stanza evitasse di metterli entrambi nei guai per provare al mondo che era bravo quanto, se non di più, il nuovo pilota prodigio dell’Accademia.

Alle volte, Hunk si chiedeva se Keith fosse consapevole di tutti i drammi che aveva involontariamente causato. Pensò che sarebbe stata una cosa carina di cui informarlo quando sarebbe tornato a parlare con loro come una persona normale. Magari, sarebbe anche riuscito a strappargli un sorriso.

Lance, di sicuro, non gli avrebbe parlato per giorni ma, forse, anche un po’ di quel loro ordinario comportamento infantile avrebbe giocato a loro favore in quel momento di tensione.

Tutto pur di avere l’illusione che poteva ancora andare tutto bene.

Come se Shiro potesse risalire dall’hangar di Black da un momento all’altro e rientrare nelle loro vite come se nulla fosse successo.

“A Keith il piano di Shiro non piaceva,” disse Pidge, come se non fosse già abbastanza ovvio quale fosse il punto più duro da affrontare in quella loro strategia per reagire alla perdita del loro leader.

Lance annuì con espressione scura. “E se non è riuscito a farglielo piacere Shiro…” La conclusione di quella frase si perse nel pesante silenzio che cadde sui tre Paladini.

“Lasciamolo dormire,” disse Hunk dopo un po’. “Quando si sveglierà, staremo a vedere cosa farà.”


Sarebbe stata una lunga notte.
 
***


Il simulatore di Anti-gravità era un po’ il giocattolo preferito di tutti i cadetti della Galaxy Garrison. Per Keith, aveva un significato un po’ diverso.

“Pronto per la baldoria?” Domandò Lance lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla. Lo aveva preceduto per modificare le impostazioni del simulatore e rendere la lezione qualcosa di assolutamente poco serio.

Keith lo osservava dalla porta, le braccia incrociate contro il petto e l’espressione irritata. “Perchè dobbiamo farla noi questa lezione?” Domandò. “Non ricordo di aver fatto domanda per far del corpo insegnanti.”

Lance scrollò le spalle. “Deve essere il prezzo della notorietà.”

“Noi non abbiamo notorietà.”

“Parla per te!” Esclamò Lance offeso appoggiando la schiena al pannello di controllo. “Io sono molto popolare! Specialmente tra la popolazione femminile…”

Keith alzò gli occhi al cielo. “Non c’è una regola contro le relazioni tra cadetti ed ufficiali?”

“Scritta ve ne è solo una che vieta le relazioni tra studenti ed insegnanti e noi non siamo nessuna delle due cose!” Rispose Lance con un sorriso vittorioso. “Siamo più dei… Tutor. Sì, dei Tutor speciali. Assistiamo i cadetti nelle prove pratiche ma, di fatto, non siamo poi così diversi dagli assistenti fighi dei professori che si divertono selvaggiamente perchè le studentesse più intraprendenti sperano di corromperli!”

Il viso di Keith assunse una smorfia esilarante. “Non credo di aver capito bene quello di cui stai parlando…” Ammise, anche se non era del tutto vero.

Lance lo fissò sinceramente smarrito. “Io davvero non lo so come hai fatto ad avere una storia con Takashi Shirogane e riuscire a tenerla segreta.”

“Lance!” Gli occhi di Keith divennero enormi. Prese a guardarsi intorno nervosamente.

“Non c’è nessuno qui!” Esclamò Lance. “Solo io... E tu che non riesci a fare un passo oltre la porta.”

Keith lo fissò, poi abbassò lo sguardo sui suoi piedi come se fossero una parte del corpo completamente indipendente da lui. “Non è vero,” negò senza guardare il suo co-pilota negli occhi. Lance, Pidge e Hunk potevano conoscere più cose di lui di quanto ne sapessero la maggior parte delle persone. Tuttavia, indipendentemente dal legame che li univa, c’erano cose che erano solo sue e di Shiro e Keith desiderava che rimanessero tali.

Anche se Lance sembrava aver intuito qualcosa senza particolare sforzo.

“Va bene,” disse il suo co-pilota con un’alzata di spalle. “Allora finisci d’inserire tu le impostazioni giuste. Io raggiungo Pidge e Hunk in caffetteria e poi vado a recuperare i bambini euforici.”

Keith accennò un sorriso. “Avranno al massimo quattro anni meno di noi.”

“All’anagrafe, forse,” disse Lance attraverso la stanza. “Ma l’esperienza è un’altra cosa.”

Perchè doveva dirgli una cosa del genere? Non avevano ancora fatto niente della loro vita, dopotutto. Sì, erano divenuti astronauti e, sì, tutto intorno a loro lasciava ad intendere che sarebbero andati incontro ad un futuro molto soddisfacente ma...

“Ci vediamo più tardi,” lo salutò Lance allegramente stringendogli una spalla amichevolmente.

“A più tardi…” Rispose Keith distrattamente, gli occhi viola fissi ancora sui suoi piedi. Aspettò che il rumore dei passi di Lance sparisse in fondo al corridoio, poi si decise ad oltrepassare la soglia e finire il lavoro che il suo co-pilota aveva lasciato a metà per il puro gusto di provocarlo.

Stava armeggiando con i comandi da qualche minuto quando la spia arancione sul quadrante destro cominciò ad accendersi e spegnersi per avvertirlo di qualcosa. Keith sgranò gli occhi: qualcuno aveva attivato il simulatore dal pannello di controllo esterno.

“Lance!” Urlò irato.

Ci era caduto senza battere ciglio, come se non sapesse dolorosamente bene che Lance non era capace di far passare una giornata senza combinare qualche idiozia.

Prese ad armeggiare nervosamente con i tasti del pannello di controllo principale ma il sistema non rispondeva. Ci si era messa anche Katie!

“Lance!” Non fece in tempo a voltarsi che sentì la porta del simulatore chiudersi automaticamente. Spalancò occhi e bocca, poi fissò in cagnesco la telecamera interna posta sopra il pannello di controllo. “Lance! Fai sbloccare immediatamente a Katie il pannello di controllo o giuro che… Anzi! Vediamo se hai le palle di scendere e tirarmi fuori di qui personalmente!”

- Il programma di Anti-gravità partirà tra tre minuti -

Keith fissò l’autoparlante come se quella voce robotica fosse la responsabile di tutto quanto. Peccato che non avesse un collo da tirare: avrebbe fatto un gran bene ai suoi nervi.

- Il programma di Anti-gravità partirà tra…-

“Lance! Tirami fuori di qui immediatamente, prima che prenda seriamente in considerazione di…”

Una mano comparve accanto alla sua premendo un pulsante rosso che era stato sotto i suoi occhi per tutto il tempo ma che non era riuscito in alcun modo ad attirare la sua attenzione.

“Non ti è mai piaciuta la gravità zero.”

Keith sentì il respiro venire meno.

“Ho passato metà della mia vita in questa Accademia ma tu sei l’unico cadetto che ho conosciuto ad aver odiato ogni singolo minuto passato in questo simulatore.”

Il giovane ufficiale non replicò. Quella mano era ancora accanto alla sua e gli sarebbe bastato toccarla per convincersi che era tutto vero e non un altro dei suoi sogni.

Fissarla, però, era l’unica cosa che riusciva a fare.

Fu l’altro a prendere l’iniziativa, a far scivolare le proprie dita tra le sue e Keith lasciò andare un respiro che non si era reso conto di star trattenendo.

“Ehi…” Avvertì una nota d’incertezza in quella voce. “Non mi guardi neppure?”

“Sarai ancora qui quando mi volterò?” Domandò Keith.

“Dove vuoi che vada, Keith?” Chiese il giovane pilota alle sue spalle. “Nessuno è in grado di sparire tanto velocemente.”

Keith era certo del contrario ma non ricordava il perchè. “Non lo so. Ogni volta che ti ritrovo sembra sia solo per perderti di nuovo.”

“Che stai dicendo, Keith?” Ancora un’esitazione. “Sono tornato per restare.”

Non fu Keith a voltarsi – non ne aveva il coraggio – ma furono quelle mani calde a stringersi sui suoi fianchi e a guidarlo. Nulla di nuovo, lo avevano sempre fatto. Era stata una prassi fin dalla prima volta che le loro mani si erano sfiorate per sbaglio a quando avevano trovato il coraggio per toccarsi davvero. Le stesse mani che prima gli avevano insegnato ad andare in bicicletta e poi a volare.

Quando Keith sollevò lo sguardo e permise a se stesso di perdersi negli occhi grigi di Shiro, fu come tornare a casa dopo tanto tempo.

E Shiro dovette pensare lo stesso, perchè la mano che aveva interrotto il programma di simulazione si sollevò dal pannello di comando per toccargli il viso. Il pollice gli accarezzò lo zigomo. “Sono a casa…” Dichiarò, come se essere con i piedi a terra non fosse già una prova sufficiente a confermare quella semplice realtà.

E Keith sorrise.

Fino ad un istante prima, avrebbe giurato di non esserne più capace ed ora gli veniva così naturale, come se non avesse mai smesso.

Come se Shiro non se ne fosse mai andato.

Lo baciò. Keith non si fermò a riflettere se fosse la cosa giusta da fare o meno. Era passato più di un anno dall’ultima volta che lo aveva fatto e ne aveva bisogno più dell’aria che respirava.

Il calore delle labbra di Shiro contro le sue era reale.

Erano lì. Erano insieme.

La missione su Kerberos era finita come doveva.

Alla fine, tutto era andato come sarebbe dovuto andare.

Shiro gli avvolse la vita con un braccio e lo strinse a sè.

Keith sorrise mentre appoggiava la fronte alla sua, le punte dei loro nasi che si sfioravano.

“Sì, Shiro, sei a casa…”



Shiro non era mai tornato a casa.

Keith se ne ricordò non appena il sogno lo lasciò andare e si ritrovò a fissare la parete di una camera che era la sua ma non era alla Garrison e, se si fosse voltato, non avrebbe trovato Shiro steso nel suo letto, dall’altro lato della stanza.

“Sarà come quando eravamo bambini, solo che invece di sognare di raggiungere le stelle, proveremo davvero a farlo.”

Keith artigliò le lenzuola con la mano ferita ma ignorò deliberatamente il dolore che gli attraversò il palmo.

“Tu ci sei già riuscito, Shiro…”

“Sono solo un paio di passi avanti a te. Puoi raggiungermi, Keith, sai che puoi. Devi solo volerlo.”


“Bugiardo…” Sibilò alla parete.

Questa non gli rispose.

“Bugiardo!” Tirò un pugno contro il muro. Si stese sulla schiena affondando le dita tra i capelli neri tirandoli dolorosamente. “Non fai altro che lasciarmi indietro…”

Forse, si sarebbe sentito meglio se fosse riuscito a piangere. Gli era venuto naturale quando suo padre era morto ma aveva smesso non appena aveva veramente capito che non sarebbe tornato mai più a prenderlo per portarlo a casa.

Aveva pianto anche quando era venuto a sapere che la missione su Kerberos era stata data per fallita a causa di un errore del pilota. Non aveva pianto per Shiro come aveva fatto per suo padre, però. Era stato molto diverso: le lacrime ci avevano messo un po’ ad uscire, prima aveva dovuto vomitare. Dopo, era toccato al senso di soffocamento, ai singhiozzi racchiusi in gola che era riuscito a tirare fuori solo dopo essersi trascinato in camera.

Le lacrime erano arrivate solo alla fine.

E poi c’era stata la rabbia… Tanta, tantissima rabbia.

La stessa che gli spezzava il respiro in quel preciso momento.

Keith si mise a sedere sul bordo del suo letto prendendo dei respiri profondi per placare un poco il suo cuore impazzito. Non sapeva quanto aveva dormito ma a giudicare dal livello delle luci, dovevano essersi ritirati tutti nelle proprie stanze.

Nessuno lo avrebbe fermato se fosse sceso fino all’hangar.

Non restò fermo a riflettere oltre. Recuperò i vestiti di cui si era liberato per riposare ed uscì nel corridoio. Come aveva sospettato, erano tutti a letto e nessuno gli proibì di entrare nell’ascensore per scendere al piano più basso del Castello.

Avrebbe preso Red, sarebbe andato a cercare Shiro e avrebbe rimesso tutto al suo posto prima che chiunque si svegliasse e notasse la sua assenza.

“Puoi raggiungermi, Keith, sai che puoi.”

Non sapeva nemmeno da dove cominciare a cercarlo.

“Devi solo volerlo.”

“Volerlo non è bastato, Shiro,” mormorò in risposta all’eco nella sua testa. Un respiro più tardi, non appena le porte dell’ascensore si aprirono sull’hangar principale, Keith trovò in quel ricordo quell’indizio che era andato a cercare disperatamente tra le stelle.

Lo aveva sempre avuto davanti agli occhi, fin dal primo momento senza Shiro ma non aveva saputo dargli la dovuta importanza.

Non scese nell’hangar di Red. Non era lì che avrebbe trovato le risposte.

Il Black Lion giaceva scompostamente al suo posto. Dopo la battaglia, avevano dovuto trascinarlo nel Castello di peso e, d’allora, non lo avevano più toccato. Era il leone di Shiro, dopotutto. Nessuno di loro lo avrebbe mai toccato.

Keith, però, una volta lo aveva fatto.

Per salvare Shiro, certo ma, in fin dei conti, la situazione non era poi così diversa d’allora.

Se Black aveva avuto fiducia in lui una volta, forse…

Il portellone principale era aperto e dovette usare i comandi manuali per accedere alla cabina di pilotaggio ma non lo stava rifiutando ed era già qualcosa. Lì dentro, era come se il tempo si fosse fermato. Sì, era ridicolo pensare così dopo appena pochi giorni dalla loro ultima battaglia ma il tempo aveva sempre avuto la pessima abitudine di prendersi gioco di lui in assenza di Shiro.

I cinque mesi successivi alla sua partenza erano stati una tortura e l’anno che aveva passato da solo, nel deserto, a guardare le stelle e a cercare di dare un senso alle sensazioni che lo avevano quasi fatto impazzire era stato un vero e proprio inferno in terra.

Quei pochi giorni, invece, sembravano aver segnato la fine di un’era.

Keith si sedette al posto del pilota con un sospiro che non servì a farlo rilassare. Il bayard nero era ancora al suo posto, come se la mano di Shiro fosse ancora lì a stringerlo. Non provò nemmeno a toccarlo ma, al contrario, appoggiò le mani sulle gambe artigliando la stoffa dei pantaloni.

“Tu sai che cosa gli è successo…”

Non era una domanda.

“Io ho bisogno che tu mi faccia capire che cosa gli è successo,” disse con voce più ferma. “Mi hai aiutato a salvarlo una volta e ho bisogno che ora tu lo faccia ancora.”

Black non rispose alla sua presenza in alcun modo. Era come una macchina spenta e nulla di più.

Keith si umettò le labbra. “Shiro era ancora con noi quando abbiamo dato il colpo di grazia a Zarkon,” era certo di quello, erano ancora tutti e cinque dentro Voltron in quel momento. “Deve essere successo qualcosa dopo. C’è stata l’esplosione, abbiamo tutti perso i sensi per un istante e… Deve essere successo qualcosa in quel momento... Sì, nel momento in cui abbiamo perso il legame l’uno con l’altro.”

A che cosa gli serviva calcolare l’istante preciso in cui Shiro era scomparso? A niente ma parlare era l’unica cosa che gli era rimasta da fare e sperare che Black gli rispondesse.

“Tu hai un legame con lui,” insistette. “Gli hai mostrato i tuoi ricordi. Io… Puoi mostrare a me quello che è accaduto?”

Ancora nessun segnale.

Keith strinse i pugni. “Shiro mi ha detto…” Non ci aveva più pensato dopo che glielo aveva raccontato e, forse, non lo aveva capito fino in fondo ma doveva provare. “Shiro mi ha detto di aver combattuto contro Zarkon in un mondo che può influenzare questo ma non è davvero questo.”

Ci mancava solo che cominciasse a delirare su realtà alternative anche lui ma non sapeva come spiegarlo altrimenti.

“Lui si trova lì?”

Ne dubitava. Shiro gli aveva raccontato di non aver mai lasciato fisicamente la cabina di pilotaggio di Black ma di essere comunque arrivato in un altro luogo, un’altra dimensione. Una in cui, se avesse perso contro Zarkon, sarebbe morto come se fosse reale.

L’unica risposta che ricevette fu il più completo silenzio.

Keith strinse gli occhi e tentò di ricacciare indietro la disperazione che stava lentamente avendo la meglio. Non poteva arrendersi. No, non ancora! Aveva resistito un anno attaccato ad una speranza basata sul niente e non poteva cedere proprio ora che…

”Anche a te piacciono le stelle?”

Keith trasalì. Aprì gli occhi ma nella cabina di pilotaggio c’era solo lui.

Eppure, era certo di aver sentito parlare un bambino.

Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa tra le mani: stava cominciando a far male di nuovo.

”E se stanotte scappassimo per un po’? Se uscissimo a guardare le stelle come facevamo una volta, Keith?”

Keith si alzò in piedi di scatto andando a sbattere contro il pannello di controllo.

Non era un ricordo. Non si trattava di un’eco lontano che gli tornava alla memoria per torturarlo. Aveva udito quella voce chiaramente, come se qualcuno fosse lì.

Come se Shiro fosse lì.

Si calmò, il suo respiro riprese un ritmo regolare. “E se stanotte scappassimo per un po’?” Ripeté ad alta voce.

La ricordava la notte in cui gli aveva fatto quella proposta. Quella precedente al suo quindicesimo compleanno. La prima volta che era montato sulla hoverbike che, nel giro di un anno, sarebbe diventata sua.

Gli angoli della sua bocca si sollevarono in un sorriso nostalgico senza che se ne rendesse conto. Tornò a sedersi al posto di pilotaggio, il cuore pericolosamente più leggero.

“Puoi mostrarmi altro?”
 
***


Lance non aveva mai avuto problemi a condividere una stanza.

Era il figlio più piccolo di una famiglia numerosa, dopotutto.

Condividere un letto, tuttavia, era una faccenda completamente diversa. Se, poi, il letto in questione era ad una sola piazza e di un dormitorio per studenti, la situazione non si poteva nemmeno definire scomoda. Infernale, forse.

Lance, però, non ci avrebbe rinunciato per nessuna ragione al mondo.

Si sollevò sui gomiti con un sorriso radioso stampato in faccia, completamente fuori luogo considerando che uno dei due cellulari appoggiato sul comodino segnava le sei e mezzo della mattina e, fuori, il sole aveva appena tagliato la linea dell’orizzonte.

Per poi tacere sul groviglio di lenzuola e coperte dentro cui si era risvegliato.

Tutto questo, però, non bastava a far sentire Lance meno fortunato.

Si mise a sedere e sollevò le braccia sopra la testa per stiracchiarsi, poi si lasciò cadere sul cuscino a peso morto. La sua mano urtò la giovane incarnazione del caos con cui aveva passato la notte. Il suo letto era a poco più di un metro di distanza, sul lato opposto della camera.

Keith, però, gli era rimasto accanto comunque, cullato dal calore dei loro corpi costretti l’uno addosso all’altro dal piccolo spazio che condividevano. Lance lo guardò con aria sognante: gli dava le spalle, i corti capelli neri in disordine sulla sua metà del cuscino.

Vi affondò le dita della mano con cui l’aveva toccato per sbaglio ma senza svegliarlo. Erano morbidi ma c’era qualcosa di strano. “Me li ricordavo più lunghi…” Mormorò tra sè e sè.

Keith si destò lanciandogli un’occhiata scocciata ed assonnata da sopra la spalla. “Che cosa hai detto?”

Lance sorrise circondandogli la vita con un braccio e tirandolo più verso di sè, al sicuro dal bordo di quel letto troppo piccolo per tutti e due. “Niente, ti ricordavo coi capelli più lunghi.”

Keith strofinò la guancia contro il cuscino come un pigro gatto per nulla intenzionato a svegliarsi. “L’ultima volta che mi hai guardato è stato poche ore fa.”

Lance affondò il naso tra i capelli corvini. “Evidentemente, devo guardarti meglio.”

“Uhm… Uhm…”

“Non riaddormentarti, sta per suonare la sveglia.”

“Non vengo rimproverato per qualche minuto di ritardo,” bofonchiò Keith con voce ancora impastata dal sonno.

“Oh, certo!” Esclamò Lance a voce troppo alta. “Ma tu hai Shiro! Io ho Iverson! Viviamo in due mondi ben diversi, io e te!”

Keith si nascose sotto il cuscino. “Lance, stai un po’ zitto…”

Le labbra di Lance si piegarono in un sorriso malizioso che l’altro non poté vedere. “Facciamo che io sto zitto se tu cominci a fare un po’ di rumore?” Propose facendolo stendere sulla schiena e spostandosi sopra di lui. “Quei rumori felini che fai tu e che piacciono tanto a me…”

Il cuscino scivolò giù, sul pavimento e le ciglia scure si sollevarono su due iridi dalle meravigliose sfumature violette.

Il sorriso di Lance sparì lentamente sostituito da un’espressione di un altro tipo.

Keith inarcò le sopracciglia. “Che cosa c’è?” Domandò.

Lance gli passò una mano sul viso scostando alcune ciocche di capelli corvini per poterlo guardare meglio. “Sono questi che mi hanno condannato, lo sai?”

“Che cosa?”

“I tuoi occhi,” confessò Lance. “Non te l’ho mai detto ma non sono riuscito a smettere di pensarci dalla prima volta che li ho visti.” Rise. “Non capivo di che colore fossero… Non hai idea di quanto questo mi facesse arrabbiare.”

Keith storse la bella bocca in una smorfia. “Che stai dicendo?”

Lance reclinò la testa con fare confuso. “Che vuoi dire?”

“Mi racconti questa storia tutte le volte che ci svegliamo insieme.”

Lance sbatté le palpebre un paio di volte. “Non lo ricordo, Keith…”

Fu il turno di Keith di guardarlo confuso. “Non ti ricordi quanto sono lunghi i miei capelli,” disse. “Non ti ricordi che ritornello mi ripeti tutte le mattine.”

Lance dischiuse le labbra, provò a dire qualcosa ma due labbra calde contro le sue lo zittirono nel modo più dolce. Si sentì preso di sorpresa, come se quello fosse il primo bacio che si erano scambiati. Eppure, avevano fatto l’amore appena qualche ora prima, no?

Avrebbe dovuto conoscere tutto di Keith: il sapore dei suoi baci, quello della sua pelle, il calore del suo corpo mentre provava piacere grazie alle sue mani.

“Questo, invece, te lo ricordi?” Domandò Keith spingendolo a stendersi sotto di lui, la pelle morbida delle cosce contro i fianchi.

Lance lo guardò come ipnotizzato. Erano ancora entrambi alla Garrison l’ultima volta che aveva avuto una simile fantasia.

Quel momento, però, era reale, no?

Bussarono alla porta e Lance voltò lo sguardo.

“Lance, ti sei di nuovo chiuso dentro?” Domandò la voce di Hunk con una certa urgenza.

Fece per rispondere ma una mano sul viso lo invitò a riportare l’attenzione sullo splendido giovane sopra di lui.

“Lascia stare,” mormorò Keith a pochi millimetri dalle sue labbra. “Guarda me. Solo me. Il resto del mondo può aspettare.”

“Anche Shiro può aspettare, Keith?”

“Perchè parli di Shiro, adesso?” Domandò Keith con una nota annoiata nella voce vezzeggiando la pelle del suo collo con tanti piccolo baci.

Hunk continuava a bussare alla loro porta. “Lance! Aprimi! È un’emergenza!”

“Forse, dovremmo…”

“Shhh…” Keith lo baciò di nuovo. “Parli sempre troppo, Lance.”

Lance chiuse gli occhi e si lasciò andare.

Non era nella sua natura ignorare un amico e Hunk sembrava essere in difficoltà ma erano ipnotici i baci di Keith e averlo in quel modo significava vivere una tentazione che lo aveva fatto impazzire per tanto tempo.

Era sempre stato innamorato dell’amore, Lance ma Keith era stato il primo ragazzo per cui aveva provato desiderio.

“Lance, ti devi svegliare! Si tratta di Keith!” Urlò Hunk da dietro la porta chiusa.

Keith, però, era proprio lì, tra le sue braccia e non c’era altro che avesse importanza.

Preso dalla passione, afferrò i fianchi di Keith e si sollevò per invertire le loro posizioni.

Si era completamente dimenticato del letto troppo piccolo.



L’impatto contro il pavimento non fu dei migliori.

Lance non fu nemmeno in grado di emettere un fiato. Si ritrovò a stringere gli occhi sibilando una lunga serie d’imprecazioni tra i denti, mentre cercava di districarsi dall’intreccio di coperte e lenzuola di cui era rimasto prigioniero e distendersi sulla schiena.

“Lance!” Urlava Hunk fuori dalla porta. “Lance, sei sveglio? Lance!”

Un rumore continuo ed insistente gli stava facendo scoppiare la testa. Ci mise un po’ a scoprire che si trattava dell’allarme principale.

Keith!

Pur essendo ancora mezzo addormentato, Lance spalancò gli occhi.

“Lance!” Era la voce di Pidge quella volta. “Si tratta di Keith, lui…”

Fu in piedi ed aprì la porta prima che lei avesse il tempo di finire di parlare.

Lance passò gli occhi da uno all’altro, ancora intontito. “Dove sono Allura e Coran?”

“Una riunione di forze alleate… O qualcosa del genere,” disse Hunk nervosamente.

“Sto cercando di contattarli,” aggiunse Pidge, il portatile alla mano.

“E Keith?” Domandò Lance uscendo in corridoio e guardandosi intorno. “Dove è Keith?”
 
***


“Come sarebbe a dire il Black Lion?” Domandò Lance irato uscendo dall’ascensore appena sceso al livello dell’hangar. “Riusciamo a farlo uscire da un leone e lui si barrica dentro un altro! Lo ritroveremo dentro Blue domani mattina?” S’infilò la felpa. “E Allura e Coran? A cosa pensavano quando hanno deciso di lasciarci da soli?”

Si sentì afferrare un braccio e si voltò. Era Pidge. “Lance…” Disse con la voce più tranquilla che riuscì ad usare. “Lance, devi calmarti.”

Il Paladino Blu inarcò le sopracciglia, poi guardò Hunk. “Ha ragione, amico,” concordò lui. “Qualunque cosa stia facendo Keith, non è così che lo convinceremo a smettere di farla.”

“Mi pare che abbiamo usato la strada della ragione ieri,” replicò Lance. “E non è servito a niente!”

Si liberò dalla stretta di Pidge e riprese a camminare come se fosse sul piede di guerra. E lo era. Avrebbe preso a pugni Keith se questo fosse servito a fargli capire che c’erano anche loro intorno a lui.

“Keith!” Urlò buttandosi contro la porta della cabina di pilotaggio del Black Lion senza il men che minimo rispetto. “Keith! Apri!”

“Lance!” Lo rimproverò Pidge. “Non funziona così. Lo sai che non funziona così.”

Per tutta risposta, il Paladino Blu diede un calcio alla porta chiusa.

“Lance!” Hunk gli strinse un braccio e lo tirò indietro. “Pidge ha ragione, devi stare calmo!”

Lance si liberò dalla stretta dell’amico. “Starò calmo quando Keith si sarà deciso a parlare con noi. Siamo un team, no? Non sarà l’assenza di Shiro a cambiare questo!” Un altro pugno contro il portellone chiuso. “Keith! Apri, Keith!”

Contro ogni aspettativa, l’ingresso della cabina di pilotaggio si aprì.

La sorpresa fu tale che tutti e tre trattennero il fiato per un istante.

Lance, però, non aveva tempo da perdere. Scrollò le spalle con una smorfietta arrogante. “Beh… È stato facile!” Commentò facendosi avanti.

Alle sue spalle, Pidge e Hunk si scambiarono un’occhiata. Lei lasciò andare un sospiro e l’altro scrollò le spalle e la precedette.

La porta della cabina di pilotaggio si chiuse appena in tempo perchè il Paladino Giallo vi sbattesse contro il naso.
 
***


Keith avrebbe potuto dividere la sua vita in tre grandi capitoli.

Il primo, quello dei ricordi sbiaditi della sua infanzia, della casetta in mezzo al deserto in cui aveva vissuto con suo padre. Il secondo, gli anni all’orfanotrofio in cui aveva imparato il vero significato delle parole perdita ed abbandono. Il terzo, il suo periodo all’Accademia Garrison Galaxy.

Tutti e tre, ovviamente, erano indissolubilmente legati l’uno all’altro ma Keith, pur essendo giovanissimo, sapeva che quell’ultimo avrebbe per sempre rappresentato il periodo più bello della sua vita.

In particolare, però, vi era una parte di quel capitolo che non avrebbe mai potuto dimenticare, nemmeno se fosse vissuto abbastanza per vedere tutte le stelle dell’universo spegnersi: i sei mesi che avevano preceduto la partenza di Shiro per Kerberos.

I sei mesi in cui avevano smesso di fingere che non bastasse un semplice sfiorarsi in corridoio per spezzare il respiro ad entrambi.

Raccontare gli eventi di quelle settimane non sarebbe stato sufficiente per descrivere quello che erano ma sarebbe stato sufficiente a dare un’idea di quello che avevano perso.

Era andato tutto come sarebbe dovuto andare, però.

La missione su Kerberos era andata a buon fine e Shiro era tornato a casa.

A Keith non sarebbe dovuto servire altro, eppure non riusciva a quietare il suo cuore inquieto. Shiro era lì, addormentato nel suo letto e Keith non aveva il coraggio di chiudere gli occhi per paura che, al mattino, tutto quello potesse rivelarsi un sogno.

Sollevò una mano tremante. Non c’era nessun segno sul bel viso del giovane uomo accanto a lui. Eppure, quando passò le dita tra i capelli corvini per guardarlo meglio, non poté evitare di sentirsi come se qualcosa fosse fuori posto.

Shiro era esattamente come lo ricordava, come se la missione su Kerberos non fosse avvenuta affatto e Keith non riusciva a dare a quella benedizione il giusto valore. Le ciglia scure di Shiro fluttuarono nella semi-oscurità della stanza prima e, un istante dopo, Keith si ritrovò ad esaminare in silenzio tutte le sfumature che quegli occhi grigi assumevano alla luce delle stelle.

“Ehi…” Mormorò Shiro afferrando la mano con cui lo stava toccando.

“Ehi…” Rispose Keith con un filo di voce, le labbra piegate in un sorriso malinconico.

“Non riesci a dormire?” Domandò Shiro mettendosi a sedere a sua volta.

Keith scrollò le spalle. “Non è importante,” rispose. “Sei tu che dovresti riposare.”

“Avrò molto tempo per riposare. Sono appena tornato. Per mesi ci saranno solo rapporti e conferenze e metà di questo lavoro spetterà a Matt e suo padre. Io non sono un ricercatore, dopotutto.”

Keith storse un poco la bocca e si chiese quando il ragazzo d’oro della Galaxy Garrison si sarebbe deciso a riconoscere a se stesso il valore che meritava. “No, sei solo il pilota che ha permesso all’umanità di conquistare un altro pezzo di universo.”

Shiro, però, non si liberò della sua modestia nemmeno allora. “Abbiamo solo tracciato un confine.”

“Ovvio,” concordò Keith. “Non ti avrei mai perdonato se fossi divenuto il protagonista di una grande scoperta senza di me.”

Shiro rise portandosi la mano che stringeva tra le dita alle labbra, poi le guardò con tenerezza. “Ci sono due misteri di te che non sono mai riuscito a risolvere,” commentò.

Keith reclinò la testa da un lato. “Sarebbero?”

“Come fai ad essere così forte pur non avendo una spiccata massa muscolare,” rispose Shiro. “E come fai ad avere ancora le mani così morbide dopo l’addestramento.”

“Forse, non sono di questo pianeta,” disse Keith. Non seppe perchè. Poteva essere un modo come un altro per scherzare, eppure quelle parole gli lasciarono l’amaro in bocca, come se avesse appena confessato qualcosa di scomodo ma necessario.

Shiro, però, non smise di sorridere. Gli occhi grigi brillavano e non c’era alcuna ombra a farli apparire distanti, spenti. Le stelle non gli avevano fatto alcun male.

“Ehi,” Shiro gli accarezzò il viso. “A che cosa stai pensando?”

Keith guardò quegli occhi grigi come se contenessero l’intero universo. Sorrise. “Niente…”

I suoi pensieri inquieti sarebbero svaniti prima o poi. Nel frattempo, poteva cercare di non ascoltarli.

Shiro era tornato a casa, il resto non aveva importanza.

Keith abbassò gli occhi sulle sue labbra e si sporse in avanti in un chiaro desiderio.



Si svegliò prima di riuscire a baciarlo.


“Keith! Keith!” Due mani lo scuotevano con forza e Keith cercò di rispondere a quel richiamo, anche se sapeva che Shiro non lo avrebbe mai toccato così.

“Shiro…”

“Keith, sono io! Keith!”

Quando, finalmente, riuscì a sollevare le palpebre non venne accolto di nuovo nel mondo reale dalle gentili iridi grigie che aveva sperato di vedere. No, gli occhi che lo guardavano erano blu ed il ragazzo a cui appartenevano era tutto men che gentile in quel momento.

Lasciò andare un lamento muovendo il collo indolenzito. “Lance…”

“No!” Sbottò il Paladino Blu. “Niente Lance con quel fare lagnoso! Puoi anche sputare sangue sul pavimento in questo preciso momento, nulla m’impedirà di prenderti a calci!”

Keith cercò di liberarsi dalla stretta delle sue mani. “Lasciami…” Si lamentò.

Lance lo fece ma non aveva alcuna intenzione di andarsene. “Hunk?” Chiamò. “Pidge? Venite a darmi una mano! Il grande eroe tragico non si regge in piedi!” Si sporse oltre il sedile del pilota ed inarcò le sopracciglia nel vedere il portellone di nuovo chiuso.

Guardò Keith con espressione accusatoria. “Perchè li hai lasciati fuori?”

Il Paladino Rosso lo guardò intontito. “Io non ho fatto niente.”

Lance si voltò verso il pannello di controllo: era spento. “Non sei stato tu a farmi entrare?”

Keith scosse la testa debolmente: persino parlare gli era difficile.

“Ehi!” Lance si chinò nuovamente su di lui prendendogli il viso madido di sudore tra le mani. “Keith, resta sveglio! Dobbiamo uscire fuori di qui ma questo leone non ubbidirà mai a me.”

Il Paladino Rosso ingoiò a vuoto e si obbligò a guardare il compagno negli occhi. “Non voglio uscire,” disse con la voce più ferma che riuscì ad usare.

Lance, però, non aveva alcuna intenzione di starlo ad ascoltare. “Come no!” Esclamò arrabbiato tirandogli i capelli indietro per liberare il viso. “Non solo uscirai di qui ma ti sei anche guadagnato un biglietto omaggio per una bella sessione di sonno in una delle capsule di sopra!”

Keith lo spinse via di nuovo. “Voglio restare qui!” Urlò.

Lance lo guardò basito. “Keith, scotti! A stento riesci a rimanere cosciente e vuoi che ti lasci fare!”

“Sì!” Urlò Keith disperatamente. “È l’unica cosa che posso fare…”

“Ti sbagli!” Replicò Lance. “Puoi cominciare a non farci prendere un colpo a tutti, per fare qualcosa di nuovo!”

Keith a stento lo udì, la testa gli cadde in avanti ma riuscì a rimanere cosciente. “Shiro è qui…” Mormorò con un filo di voce. “Shiro è qui, Lance…”

L’altro non replicò immediatamente e Keith seppe di aver sferrato il colpo giusto.

Il suo errore fu credere che Lance si sarebbe arreso così facilmente.

“Keith…” Il Paladino Blu s’inginocchiò a terra afferrando un ginocchio del compagno in un gesto amichevole. “Keith, io non so dove sia Shiro,” ammise. “E non so se riusciremo mai a ritrovarlo ma… So per certo che non farebbe mai nulla per…”

“E tu che ne sai?!” Tuonò Keith sollevando lo sguardo di colpo.

Lance smise di toccarlo. Si mise in piedi, l’espressione dura. “Sto solo cercando di aiutar…”

“Non mi serve il tuo aiuto!” Il Paladino Rosso si alzò a sua volta.

“Ehi,” Lance strinse i pugni. “Sto cercando di essere gentile con te ma…”

“Non mi serve la tua gentilezza!” Insistette Keith. “Non voglio niente da te! Non voglio niente dagli altri! So cosa devo fare e voi non fate altro che starmi tra i piedi!”

Lance lo afferrò per il colletto della maglietta. “Ho una notizia per te, Keith,” disse con voce controllata a stento. “Questa storia non è solo tua e di Shiro!”

Keith gli strinse il polso. “Lasciami andare.”

“No, prima ho bisogno che tu ti renda conto che eravamo in cinque ed ora siamo in quattro! Voltron non era uno! Non eravate tu e lui! Eravamo tutti insieme!”

“Lo so benissimo questo!”

“Allora perchè ti comporti come se esistesse solo Shiro nell’intero universo?” Urlò Lance esasperato. “Ti comporti come se fossi l’unico ad aver perso qualcuno, come se noi nemmeno fossimo qui!”

“Tu non sai di che cosa stai parlando!” Replicò Keith con forza. “Nessuno di voi lo sa e non ho alcuna intenzione di giustificarmi con qualcuno che ce l’ha con me per delle ragioni che nemmeno conosco!”

“Parli di me?” Domandò Lance indicandosi. “Tu pensi che io ce l’abbia con te?”

“Vuoi forse negarlo?” Keith tremava, a stento si reggeva in piedi ma era troppo arrabbiato con tutto e con tutti e Lance era lì, pronto ad essere investito da tutto il suo odio per l’universo intero. “Hai parlato di rivalità tra me e te alla Garrison ed io nemmeno ricordo di averti mai rivolto la parola! Non mi ricordo nemmeno di Hunk! Non ho mai conosciuto Pidge! È per puro caso che siamo tutti e quattro qui! Voi non siete niente per me!” Si zittì non appena quelle ultime parole lasciarono la sua bocca. L’espressione sul suo viso cambiò di colpo, come se a parlare non fosse stato lui ma qualcun altro.

Gli occhi viola del Paladino Rosso divennero grandi, le labbra dischiuse in un tentativo di scusarsi che non trovò mai voce. Keith era sempre stato terrorizzato dai sentimenti. Era una paura che si era portato dentro fin dalla morte di suo padre ma non era mai riuscito a divenire una di quelle persone capaci di non provare niente.

Era stato Shiro ad impedirglielo.

“Sei troppo passionale per costringerti a non provare niente. Sei emozione pura, Keith ed è la parte migliore e più pericolosa di te.”

Non aveva mai imparato a controllare i tumulti del suo cuore, però ed ogni volta che si ritrovava a sentire... A sentire troppo, qualunque emozione provasse finiva sempre per controllarlo.

“Lance…” Riuscì a dire quando quando riprese il controllo di sè.

“Come vuoi,” disse Lance prima che avesse il tempo di aggiungere qualcos’altro.

Keith cercò i suoi occhi ma il Paladino Blu aveva abbassato lo sguardo, le labbra strette in una linea sottile.

“Lance,” fu il turno di Keith si afferrarlo e Lance smise di evitare di guardarlo. C’era qualcosa in quegli occhi blu. Qualcosa che il Paladino Rosso detestò perchè era terribilmente simile a quello che vi aveva scorto di sfuggita quando Lance aveva realizzato che non sarebbero tornati a casa per tanto, tantissimo tempo.

Lo aveva ferito e lo aveva fatto nel peggiore dei modi.

“Hai qualcos’altro d’aggiungere, Keith?” Domandò Lance, il rancore rendeva i suoi occhi blu più scuri.

Keith avrebbe tanto voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa ma gli mancava la voce, la testa gli girava ed il senso di nausea che gli chiudeva la gola peggiorava istante dopo istante. Chiuse gli occhi. “Lance…”

“Sai perchè ce l’ho con te, Keith?” Era il turno di Lance di buttare fuori tutto. “Sono entrato nei Garrison per inseguire un sogno e ce l’ho fatta con le mie sole forze. Volevo le stelle, Keith! Volevo diventare un pilota!” Parlava con voce strozzata, come se stesse per mettersi a piangere. “Sai cosa è successo, invece? Ho passato due anni delle mia vita a guardarti mentre, senza neanche sforzarti, divenivi tutto ciò che avevo desiderato diventare. Tu avevi i risultati migliori, tutti avevano grandi aspettative su di te e Shiro… Shiro non aveva occhi che per te. Tutti avremmo fatto qualsiasi cosa per ricevere un complimento da lui ma eravamo confinati nella tua ombra!”

“Lance…”

“Quando sono usciti i risultati per entrare nel corso dei Fighters, il tuo nome era il primo in classifica ed il mio l’undicesimo. Forse per te non era importante, ma ne avrebbero presi solo dieci al primo anno!”

“Lance, ascoltami…” Keith si premette una mano contro lo stomaco.

“Ed io cosa faccio? Mi prometto di migliore! Di superarti! Di meritarmi il grado da pilota che volevo e tu? Tu sparisci ed il mio nome, improvvisamente, diviene il decimo sulla lista solo per sentirmi ripetere continuamente che l’unico motivo per cui mi è stata concessa un’occasione è perchè tu hai deciso di buttare via la tua!” Una pausa, il labbro inferiore di Lance tremava pericolosamente. “Non sono riuscito a meritarmi nemmeno quello. Con le mie sole forze non ho mai conquistato niente…”

“Lance!” Ripeté Keith con più forza e, questa volta, riuscì ad ottenere di nuovo l’attenzione di quegli occhi blu.

“Lo vedi?” Domandò il Paladino Blu fuori di sè. “Tu non mi ascolti neanche! Io non sono Shiro e, di conseguenza, qualunque cosa dica è priva d’importanza e…” Smise di parlare non appena si ritrovò a sorreggere il peso di Keith contro di lui.

Lance dimenticò la rabbia prima di subito e la paura ebbe il sopravvento. “Keith!” Esclamò afferrandolo per le braccia e cercando di tenerlo in piedi. “Keith! Keith, niente scherzi! Guardami!”

Il Paladino Rosso non riusciva a tenere la testa sollevata. Lance portò una mano sulla sua nuca per aiutarlo. Gli occhi viola era socchiusi e, sebbene fossero fissi nei suoi, non lo stavano guardando.

“Perchè continui a lasciarmi indietro?” Domandò Keith con un filo di voce.

Lance scosse la testa. “Che cosa stai dicendo, Keith?”

Qualcuno batté il pugno contro il portellone rimasto chiuso. “Lance?” Era Hunk. “Lance, tutto bene?”

Il Paladino Blu non ebbe il tempo di rispondere: Keith gli collassò addosso e non ebbe la forza di sorreggerlo. Caddero entrambi sul pavimento e Lance sbatté la schiena contro il pannello di controllo del Black Lion.

“Hunk!” Chiamò. “Pidge! C’è qualcosa che non va con Keith!”

“In che senso qualcosa che non va?” Domandò Pidge dall’esterno.

“Non lo so… Keith!” Lance ce lo aveva addosso. “Keith, amico, dammi un segno!” Cercò di schiaffeggiarlo ma non ottenne alcuna reazione. Il suo viso era pallido e madido di sudore. “Keith, avanti!” Gli avvolse le braccia intorno al busto ma non riuscì comunque a rimettersi in piedi. “Keith, non ce la faccio da solo!”

“Avevi promesso che saresti tornato…” Mormorò Keith come se fosse prigioniero di un sogno.

“Sono già qui, Keith! Smettila di delirare, sei inquietante!” Lance si fece leva sul pannello di controllo ma riuscì solo ad assumere una posizione seduta.

Keith mosse la testa, gli occhi viola appena visibili sotto le ciglia scure. “Quando la smetterai, eh?” Domandò con rabbia ma le sue labbra tremavano.

Lance sbuffò esasperato. “La prossima volta ti lascerò morire da solo, tranquillo!”

“Continui a parlare come se fossi sostituibile,” Keith lasciò andare un singhiozzo. “Non sei sostituibile per me, Shiro...”

Lance trattenne il fiato per un istante. Fuori dal portellone, Hunk e Pidge continuavano ad urlare il suo nome ma, di colpo, era divenuto un rumore in sottofondo. “Keith…” Lo accomodò contro il suo petto: sarebbe stato inutile ragionarci nello stato in cui era.

Gli occhi viola, però, erano ancora fissi sui suoi.

“Devi smetterla di punirti,” disse il Paladino Rosso. “Non puoi vivere come se quell’anno di prigionia non sia mai avvenuto, lo so ma non puoi lasciare che ti distrugga.”

Lance cercò di rimettere insieme i pezzi. “Ti ha parlato di quello che ha fatto nell’arena, vero?” Domandò, sebbene non si aspettasse alcuna risposta. “Ti ha detto di come è divenuto il Campione…” Strinse le labbra. “Lo ha detto solo a te. Si è fidato unicamente di te.”

“È colpa mia…” Mormorò Keith con voce ancora più bassa.

Lance inarcò le sopracciglia. “Che cosa?”

“Se non fosse stato su Kerberos… Se non fosse stato allora, sarebbe successo comunque,” continuò il Paladino Rosso. “Io ero destinato a questo. Ce l’ho nel sangue. Nel momento in cui hai scelto me, hai condannato te stesso.”

Lance fece una smorfia. “Non dire assurdità, Keith!” Esclamò. “Shiro è stato rapito per puro caso, non perchè sei un Galra. Merda… Non sapevi nemmeno di essere un Galra fino a poche settimane fa! Shiro ha scelto di andare su Kerberos e tu non avresti mai potuto fermarlo!”

“Mi avevi chiesto se avevo bisogno di te,” mormorò Keith. “Mi avevi detto che saresti rimasto se te l’avessi chiesto.”
Lance spalancò gli occhi. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte ma non riuscì a dire niente.

Le labbra tremanti di Keith si curvarono in un sorriso tristissimo. “Mi arrabbiai,” un singhiozzo. “Non credo di essermi mai arrabbiato così tanto con te. Ti dissi che se eri tanto pazzo da rinunciare a Kerberos per me non ti avrei mai perdonato…”

Cadde il silenzio. Hunk e Pidge continuavano a chiamare i loro nomi fuori dalla cabina di pilotaggio. Lance fissava il vuoto davanti a sè aggrappandosi a Keith più di quanto lo stesse facendo lui.  “Ti sei tenuto tutto questo dentro fino ad ora?”

“Uhm…”

Il Paladino Blu abbassò lo sguardo: Keith aveva chiuso gli occhi, del sangue gli colava dal naso.

“Maledizione!” Esclamò Lance tentando nuovamente di sollevarsi in piedi, sebbene con Keith addosso fosse tutt’altro che facile.

Il Black Lion sembrò captare la sua disperazione perchè, per un attimo, il pannello di controllo di attivò e il portellone si aprì da solo.

“Hunk!” Chiamò Lance ma il Paladino Giallo era già corso al suo fianco aiutandolo a sorreggere il peso di Keith.

“Ma che è successo?” Domandò Pidge allarmata.

“Pidge, sai far funzionare le capsule per la guarigione?” Domandò Lance avvolgendosi un braccio di Keith intorno alle spalle.

“Non l’ho mai fatto da sola ma…”

“Sì o no, Pidge?”

“Sì! Sì! Posso riuscirci!”

“Portiamolo di sopra!” Ordinò Lance uscendo finalmente da quella cabina di pilotaggio. “Muoversi! Avanti, muoversi!”
 
***


“Vuoi sapere perchè non sopporto Keith? Prima di tutto, vuole entrare nella sezione Fighter, come me ed almeno metà dei quarantatre ragazzi del corso di pilotaggio ma solo dieci possono accedervi. Questo e perchè che non riesco a capire di che colore siano i suoi occhi!”

Lance non aveva ripensato a quel momento per molto tempo.

“Sono viola.”

La prima volta che Takashi Shirogane gli aveva rivolto la parola.

“Scusatemi, non volevo origliare ma hai ragione: non è facile capirne il colore. Alle volte sembrano bluastri, altre si notano delle sfumature grigiastre. A me hanno sempre ricordato alcune foto della nebulosa di Orione.”

Probabilmente, Shiro nemmeno si ricordava di quel dialogo. Sempre ammesso che potesse definirsi un dialogo. Di fatto, non si era trattato di altro che di un’intromissione involontaria nell’ennesimo sfogo nervoso che Lance aveva scaricato addosso al povero Hunk nel bel mezzo di un corridoio. Ricordava di non essere riuscito a dire una parola, di aver guardato Shiro come se non potesse credere ai suoi occhi mentre il ragazzo d’oro della Galaxy Garrison gli consegnava la risposta al quesito che aveva posto a se stesso dal giorno in cui aveva conosciuto Keith… Ed aveva continuato a farlo anche dopo che lo avevano espulso.

“A che cosa stai pensando?”

Lance sollevò lo sguardo. Pidge era di fronte a lui, il viso stanco. Non poteva biasimarla: avrebbe dato qualsiasi cosa per dormire otto ore di seguito. Niente pensieri. Niente preoccupazioni. Nessun timore che Keith potesse ammazzarsi non appena si fossero voltati.

“Perchè ti sei rintanato qui?” Domandò Pidge accomodandosi sul letto accanto a lui.

Allura e Coran erano tornati appena in tempo per aiutarli a mettere Keith al sicuro in una delle capsule ma Lance non era riuscito a restare ed aspettare che il processo di guarigione facesse il suo corso: erano accadute troppe cose in troppo poco tempo ed aveva bisogno di starsene un po’ da solo. Non appena Coran gli aveva assicurato che Keith ce l’avrebbe fatta, era fuggito prima che Allura cominciasse a fare domande.

Come era arrivato alla camera di Shiro, però, non avrebbe saputo spiegarlo nemmeno lui.

Lance rivolse alla compagna di squadra un sorriso stanco. “Sei entrata nella stanza di un ragazzo senza bussare, Gremlin.”

“Prima di tutto, questa non è la tua stanza.” Pidge ricambiò l’espressione. “Secondo, ho un fratello maggiore.”

“Anche io ho una sorella che da bambino m’insaponava da capo a piedi ma non si è mai fatta scrupoli a lanciarmi la scatola degli assorbenti quando entravo in bagno senza bussare.”

Pidge ridacchiò con una smorfia. “La scatola degli assorbenti?”

“Quando non arrivava alla bottiglia di bagnoschiuma,” aggiunse Lance. “Di quelle enormi, formato economico.”

“Ahi…”

“Già… Ahi…

Pidge appoggiò la schiena alla parete e studiò il profilo di lui. “Lance…” Chiamò.

Gli occhi blu la guardarono.

“Che cosa è successo lì dentro?”

Lance storse la bocca in una smorfia. “Una domanda semplice, Pidge…” Disse sarcastico.

“Ti abbiamo ritrovato a terra con Keith privo di sensi addosso,” gli fece notare lei. “Ultimamente succedono un po’ troppe cose strane in quella cabina di pilotaggio.”

Lance si passò una mano tra i capelli. “Pidge, tu conoscevi Shiro?”

Pidge inarcò le sopracciglia. “Tutti conoscevano Shiro…”

“No, tutti conoscevano Takashi Shirogane,” ribatté il Paladino Blu. “Io ti sto chiedendo se lo conoscevi davvero.”

“Matt lo conosceva,” rispose Pidge. “Credo che, qualche volta, abbia anche parlato con Keith…”

“Non mi sorprende.” Commentò Lance. “Era impossibile vedere Keith senza Shiro in quei corridoi. Mi sono sempre chiesto dove si siano conosciuti…”

“Che vuoi dire?” Domandò Pidge. “Eravate alla Garrison tutti insieme…”

Lance scosse la testa. “No, Pidge… Shiro e Keith erano legati dapprima dell’Accademia,” Appoggiò la testa al pugno chiuso. “Come abbiamo fatto a non notarlo prima?” Aggiunse a voce più bassa.

Pidge lo fissò sospettosa. “Che cosa vuoi dire?”

Lance non ebbe il tempo di dirle niente. Hunk entrò nella camera senza chiedere il permesso, l’espressione stravolta. “Sto morendo di fame!” Si lamentò sedendosi sul letto tra i due compagni di squadra.

“Questa non è la cucina,” gli fece notare Pidge.

“Ma nessuno qui sa più bussare?” Si lamentò Lance.

Hunk reclinò la testa per guardarlo. “Non è nemmeno la tua stanza,” poi si guardò intorno come se se ne fosse reso conto solo in quel momento. “Perchè siamo nella stanza di Shiro?”

“Aspettiamo un segno,” rispose Lance senza pensarci.

“Un segno da chi?” Domandò Pidge.

“Da Shiro?” Propose Lance. “Dall’universo? Non lo so! Keith cercava risposte nel Black Lion ed io le cerco qui!”

Sia Pidge che Hunk lo fissarono.

“Perchè sei arrabbiato adesso?” Domandò lei.

“Non lo so!” Esclamò Lance. “Perchè dovremmo essere una cosa sola ed ancora ci sono segreti che non abbiamo il coraggio di confidare l’uno all’altro?”

Hunk sbatté le palpebre un paio di volte. “Ma di che cosa stai parlando?”

“Di Shiro!” Sbottò Lance alzandosi in piedi. “Di Keith! Qualcuno sa qualcosa di loro che non sapessero tutti alla Galaxy Garrison?”

I due compagni lo fissarono più confusi di prima.

“Qualcuno almeno sa quando è il compleanno di Keith?” Domandò Lance.

“Quando è divenuta una questione di vitale importanza questa?” Domandò Pidge.

“Shiro,” rispose Hunk come se fosse una cosa ovvia. “Shiro sicuramento lo sa… Oh…”

“Ecco!” Lance batté le mani ed indicò l’amico. “È esattamente questo di cui sto parlando!”

“Lance…” Pidge si spostò sul bordo del letto. “Shiro e Keith avevano un forte legame prima di tutta questa storia, prima di Kerberos e, forse, anche prima della Garrison ma questo non spiega perchè sei tanto arrabbiato!”

Perchè penso che Keith e Shiro non avessero semplicemente un legame, pensò ma non lo disse. Avrebbe voluto urlarlo ma rimase in silenzio, i denti serrati sul labbro inferiore.

Non aveva il diritto di dire qualcosa che Keith gli aveva rivelato a metà in pieno delirio.

“Paladini, buone notizie!”

Tutti e tre sobbalzarono mentre Coran entrava nella camera da letto del Paladino Nero con passo spedito.

“Keith si è svegliato ma è ancora debole e ho bisogno di collaborazione per portarlo in camera sua!”

“Bene, al lavoro!” Disse Hunk alzandosi in piedi. “Lance, vieni anche tu?”

Il Paladino Blu annuì. Come se fosse potuto scappare da qualche altra parte… Quando Pidge si alzò, però, le afferrò una spalla con gentilezza per attirare la sua attenzione. “Posso chiederti un favore?” Domandò.

Lei scrollò le spalle. “Se può aiutarti a tornare in te…”

Lance forzò un sorriso. “Potresti trovare delle immagini della Nebulosa di Orione?”
 
***


Coran schiaffò un panno umido sulla fronte del Paladino Rosso con poca grazia. “È assolutamente vietato alzarsi dal letto fino a che la febbre non sarà scomparsa!” Esclamò squadrando il ragazzo coricato sotto le coperte.

Keith ricambiò l’occhiataccia e voltò il viso di lato.

Lance osservava la scena appoggiato all’architrave della porta lasciata aperta, le braccia incrociate contro il petto e l’espressione seria. Allura era vicino a lui, silenziosa e guardava Keith con espressione che il Paladino Blu avrebbe potuto giudicare colpevole.

Lance avrebbe voluto chiederle se si sentiva così per quello che era successo a Shiro, per averli lasciati da soli quando era chiaro che la situazione era instabile o per il discorso che, molto presto, avrebbero dovuto affrontare. Quando parlò, però, fu per tutt’altro motivo. “Ci parlo io,” disse a bassa voce, in modo che solo lei potesse udirlo.

Allura lo guardò confusa ma impiegò un solo istante a capire di cosa stava parlando. “Mi dispiace sia capitato a voi…” Era sincera.

“A me dispiace che sia capitato a Keith,” replicò Lance. “È quello che vorrebbe Shiro, però…”

Allura annuì, abbassò lo sguardo per un istante, poi si mosse in mezzo alla stanza. “Coran”, chiamò.

L’Altean baffuto gli concesse immediatamente tutta la sua attenzione. “Principessa?”

“Una parola…”

Lance aspettò che lo superassero ed uscissero dalla camera.

“Più tardi ti porterò qualcosa da mangiare,” stava dicendo Hunk, sebbene Keith non lo stesse nemmeno guardando. “Qualcosa di cucinato da me, non quella poltiglia verde!”

Il Paladino Blu sorrise: almeno lui ci provava.

“Lance…” Pidge comparve al suo fianco, il portatile tra le braccia. “Ho trovato quello che mi hai chiesto.”

Lance prese il portatile tra le mani osservando l’immagine sullo schermo. Annuì soddisfatto. “Grazie, Pidge.”

“Come sta?” Domandò lei osservando il ragazzo disteso sul letto.

“Starà bene,” la rassicurò Lance. “Ho solo bisogno di un minuto con lui. Non allontanatevi troppo.”

Pidge gli rivolse un sorrisetto divertito. “Volete arrivare alle mani, questa volta?”

Il Paladino Blu, però, era terribilmente serio e a Pidge non fece affatto piacere ma non aveva altra scelta se non fidarsi di lui. Era la storia della loro vita da quando avevano lasciato la Terra, dopotutto: fidarsi l’uno dell’altro e sperare.

“Hunk,” lo richiamò Lance.

Il Paladino Giallo smise di elencare a Keith le varie possibilità per il menù del giorno e guardò il vecchio amico. Bastò un cenno del capo da parte di Lance perchè l’altro capisse che voleva restare solo col Paladino Rosso.

Hunk passò lo sguardo dubbioso dal ragazzo nel letto a quello sull’ingresso della camera. Alla fine, scrollò le spalle. “Fate i bravi, voi due,” li avvertì stringendo per un istante la spalla del Paladino Blu, prima di seguire Pidge in corridoio.

Lance sorresse il portatile con un braccio ed allungò la mano destra per arrivare al piccolo pannello di controllo e chiudere la porta.

Keith si sollevò sui gomiti mettendosi subito sulla difensiva. “Che cosa vuoi?”

“Voglio farti vedere una cosa,” rispose Lance gentilmente.

Sì, gli piaceva provocare il Paladino Rosso e, sì, probabilmente era un’eco non poi così lontano dell’invidia che aveva cominciato a covare per lui alla Garrison, sommata a quell’attrazione scomoda che gli era rimasta sotto la pelle fin dal giorno del test d’ingresso, quando aveva incrociato gli occhi di Keith per la prima volta e non era riuscito a capire di che colore fossero.

Appoggiò il portatile sul letto lasciando che l’altro vedesse da solo quello che voleva mostrargli. “La riconosci?” Domandò.

Per un istante il viso di Keith rimase immobile e Lance si morse il labbro inferiore pensando di aver usato la strategia sbagliata per avvicinarlo.

“La Nebulosa di Orione…” Fu la risposta appena mormorata. Il viso di Keith si addolcì e Lance decise di tentare la fortuna sedendosi sul letto di fronte a lui.

“Ha un significato per te?” Domandò.

Keith annuì distrattamente incrociando le gambe sotto le coperte e spostandovi sopra il portatile. “Era una cosa nostra,” disse. “Mia e di Shiro.”

“Era importante?”

“No, era una cosa stupida.” Ammise Keith sorridendo con aria nostalgica. “In realtà, era più una cosa sua.” Gli occhi viola si sollevarono su quelli blu. “Come facevi a saperlo?”

Lance si sporse in avanti e reclinò la testa per dare un’occhiata all’immagine trovata da Pidge. “C’era una cosa di te che mi ossessionava.”

Keith strinse le labbra per un istante. “Sì, me lo hai detto…”

“No, era un’altra cosa,” lo interruppe il Paladino Blu. “Tu non ricordi niente? Voglio dire…”

“Ricordo che sei caduto di faccia per tutte le lezioni nel simulatore di anti-gravità del primo semestre,” rispose Keith senza guardarlo. “Ricordo che te la prendevi continuamente con me e non capivo perchè, dato che non facevo mai nulla per attirare la tua attenzione… E ricordo che mi hai offerto un caffè dopo che avevano data per fallita la missione su Kerberos. Facevamo co-pilotaggio insieme quando non c’era Shiro, giusto?”

Lance non reagì immediatamente a quella confessione. Gli occhi blu divennero grandi ma ci mise un po’ prima di parlare di nuovo. “Hai mentito per tutto questo tempo?”

“No,” Keith tornò a guardarlo in faccia. “Ci ho messo un po’ a rimettere insieme i ricordi. Sono successi un po’ di… Casini nella mia testa dopo che Shiro è stato dato per morto.”

“Avevo ragione, allora,” disse Lance. “Ti sei fatto espellere per lui…”

Keith abbassò di nuovo gli occhi sullo schermo del computer. “Continuavano a ripetere che era stata colpa sua,” raccontò. “Non riuscivo a sopportarlo…”

Lance prese a mordicchiarsi il labbro inferiore cercando il coraggio di affrontare la questione per cui era voluto stare da solo con l’altro. “Hai detto delle cose questa notte…” Disse. “Nel Black Lion…”

Keith non ci mise molto ad evitare l’argomento. “hai detto che c’era una cosa di me che ti ossessionava ma non mi hai detto cosa.”

Lance alzò gli occhi al cielo e sospirò: lo sapeva che non sarebbe stato semplice. “Se ti dico il mio segreto, tu mi dici il tuo?”

“Come due ragazzini?”

“Siamo due ragazzini, Keith,” ribatté Lance. “In guerra, nello spazio ma siamo due ragazzini.”

Keith sbuffò. “Rispondi e basta.”

Lance borbottò qualcosa a voce troppo bassa e troppo velocemente. Il Paladino Rosso inarcò le sopracciglia. “Cosa?”

“Il colore dei tuoi occhi!” Sbottò Lance nervosamente posando lo sguardo su qualunque cosa che non fosse il viso dell’altro. “Forse, tu non te lo ricordi ma sei stato il primo che ho conosciuto!”

“Tu eri seduto accanto a me al test d’ingresso…” Ricordò Keith.

“Oh, improvvisamente sono ovunque nei tuoi ricordi!”

“Sei tu che stai cercando di cambiare argomento ora!”

Lance smise di agitarsi e fissò un punto qualunque del pavimento mentre le sue dita stringevano le coperte come se stesse per cadere nel vuoto. “Non riuscivo a capire di che colore fossero i tuoi occhi,” disse chiaramente. “Ero ossessionato dal loro colore.”

Keith aggrottò la fronte, poi passò lo sguardo dallo schermo del computer al profilo del compagno di squadra. “Lo hai chiesto a Shiro?” Domandò allibito. “Sei andato da Shiro a chiedergli il colore dei miei occhi?”

“Sei impazzito?” Domandò Lance con voce stridula. “A quei tempi, non riuscivo nemmeno a respirare in presenza di Shiro! No, Keith, semplicemente, ho la brutta abitudine di parlare a voce troppo alta in ambienti non adatti…”

“Ne sono dolorosamente consapevole.”

“...E mentre mi lamentavo di te e dei tuoi occhi con Hunk lungo un corridoio, Shiro mi ha sentito e mi ha dato un suggerimento.”

“La Nebulosa di Orione.”

“Esatto!”

L’angolo della bocca di Keith si sollevò in un ghignetto. “Esistono tante immagine di quella Nebulosa e non tutte hanno gli stessi colori.”

Lance sorrise a sua volta. “Ora lo conosco il colore dei tuoi occhi, Keith, so che sfumature cercare.”

“Perchè ti piacevano i miei occhi?”

Il Paladino Blu storse il naso. “Non ho mai detto che mi piacevano i tuoi occhi!”

Keith sbuffò richiudendo il portatile. “Fai come vuoi!” Esclamò. “Non è che m’interessi comunque.”

Lance si sarebbe strappato i capelli per la frustrazione. “Keith!” Gemette.

“Perchè lo stai facendo?” Domandò il Paladino Rosso allargando le braccia.

“Ehi,” Lance gli puntò l’indice contro. “Non fare l’esasperato perchè non sei veramente nella posizione per farlo! Non hai ancora cominciato ad essere il leader di Voltron e già soffro di emicrania! Chissà come finiremo?”

“Voltron lo ha già un leader e…”

“E, non so per quale nefasto caso del destino, ha deciso che, in sua assenza, tu devi farne le veci!” Lo interruppe Lance. “Penso che sia la scelta più stupida che Shiro abbia mai fatto in vita ma se così deve essere…”

“Se così deve essere?” Domandò Keith. “Shiro era capace di tenerci insieme tutti e cinque. Io e te non riusciamo a stare nella stessa stanza per pochi minuti che si scatena il caos! Guardaci, stiamo già litigando!”

“Sì, siamo fatti così!” Esclamò Lance. “Noi litighiamo! Io dico a te che sei uno stronzo e tu dici a me che sono un rompicoglioni!”

Keith spalancò la bocca indignato.

“E non mi faccio problemi ad offenderti!” Aggiunse il Paladino Blu. “Tanto ti basta girare i tacchi per passare alla stronzata successiva!” Recuperò il portatile e si alzò in piedi.

“E allora?” Domandò Keith. “Senza Shiro, Voltron non esiste più! Senza Shiro, noi siamo niente...”

“No, Keith, no…” Lance scosse la testa. “ Siamo ciò che è rimasto di lui e ci dovremo lavorare ogni giorno! Sarà più difficile di prima ma la faremo funzionare questa cosa e ci riusciremo perchè Shiro credeva in noi!”

Un pausa.

Keith non disse niente, gli occhi viola fissi in quelli blu del ragazzo in piedi di fronte a lui.

“E perchè,” aggiunse Lance, “in questo vasto universo in guerra, siamo gli uni per gli altri l’unica cosa che ci è rimasta.”
 
***


Lance e Keith non si parlarono per tre giorni e questo non contribuì in nessun modo a migliorare l’aria tesa che si respirava all’interno del Castello.

Continuarono ad isolarsi a non voler interagire con i propri compagni ed Allura e Coran più del necessario. Non era una gran novità per quanto riguardava Keith ma Lance era un’altra faccenda.

Aveva trovato rifugio nell’osservatorio: un angolino buio in cui non entrava nessuno e da cui si potevano vedere le stelle in tutta tranquillità.

Hunk e Pidge erano saliti a disturbarlo più di una volta, ovviamente ma non li aveva mai cacciati. Non lo disturbava la loro compagnia, solo quel pensante senso d’impotenza.

Aveva detto a Keith tutto quello che era giusto dire ma non quello che lui avrebbe voluto.

Di contro, però, il Paladino Rosso non era riuscito a dire a confessare ad alta voce quello che Lance aveva intuito dopo il loro delirante dialogo all’interno del Black Lion.

O, forse, era tutta scena.

Forse, a Lance di Voltron non importava niente e nemmeno della salvezza dell’universo.

Forse, era solo arrabbiato perchè il primo ragazzo per cui aveva provato qualcosa era da sempre stato legato a doppio filo al giovane pilota che considerava il suo eroe.

Ancora una volta, Lance McClain era stato sconfitto in partenza e senza nemmeno saperlo.

Alla fine del suo terzo giorno d’isolamento, fu l’ultima persona che si era aspettato a venirlo a cercare.

“Lance?”

Il Paladino Blu si voltò. Non c’erano sedie su cui accomodarsi in quella stanza, così si era seduto a gambe incrociate sul pavimento ma scattò in piedi immediatamente non appena riconobbe la giovane donna che era entrata nella stanza dell’osservatorio.

“Principessa!” Esclamò arrossendo un poco per la sorpresa.

Allura gli sorrise con gentilezza. “Non sono qui per rimproverarti.”

“Ah…” Il solo fatto che volesse parlargli era una novità. “È successo qualcosa? Keith ha…”

“Keith sta bene,” lo rassicurò. “La febbre è passata.”

“Oh,” fu l’unico commento del Paladino a proposito. “Mi fa piacere…” Se fosse stato per lui, il dialogo sarebbe potuto anche finire lì ma Allura non si mosse. Un sorrisetto comparve sulla sua bocca. “Se non dici niente, potrei cominciare a pensare che tu sia salita fin quassù per stare da sola con me, Principessa.”

Allura non reagì come si era aspettato. Non lo guardò annoiata, nè alzò gli occhi al cielo. Al contrario, sorrise ancor di più e lasciò andare un sospiro. “Adesso mi sento sollevata…”

“Perchè?” Domandò Lance inarcando le sopracciglia.

“Perchè questa è la prima volta che dici una delle sue solite sciocchezze in mia presenza da quando è scomparso Shiro,” gli fece notare Allura con gentilezza.

Lance aprì e chiuse la bocca come un pesce fuor d’acqua un paio di volte. “Io… Io…”

“Hai avuto molto a cui pensare,” concluse Allura facendosi più vicina. “Sentivo che era giusto lasciarvi del tempo… Per voi, per decidere da soli.”

“Ma il tempo sta scadendo, giusto?”

Allura annuì. “Voltron non può smettere di esistere. Non ha importanza quanto faccia male.”

“Lo so.”

“Ci serve un Paladino Nero o…”

“Ce lo abbiamo già un Paladino Nero,” la rassicurò Lance. “Lo ha scelto Shiro e rispetteremo quella decisione.” Si umettò le labbra. “Per il resto… Ci arrangeremo.”

“D’accordo,” rispose Allura. “Avrei un piano e vorrei parlarvene prima che Kolivan torni.”

Lance la guardò negli occhi. “Domani?” Domandò e la Principessa non si fece sfuggire la preghiera nascosta in quella domanda.

Ancora un giorno… Uno ancora…

Allura annuì. “Domani…” Lo rassicurò con un sorriso e si voltò. “Ah…” Aggiunse poi. “Keith ti stava cercando. Posso dirgli di venire qui?”

Lance scrollò le spalle con una smorfia. “Verrebbe qui comunque.”

 
***


Keith aspettò che tutte le luci si fossero spente prima di salire fino alla stanza dell’osservatorio.

Lance se ne stava seduto a gambe incrociate al buio, gli occhi blu rivolti alle stelle.

“Ciao…”

Il Paladino Blu si voltò per nulla sorpreso di vederlo. “Ciao…” Accennò un sorriso.

Keith si sedette accanto lui senza chiedere il permesso. Non ce ne era alcun bisogno. “Che stai facendo?” Domandò. Era inaspettatamente gentile.

“Guardo le stelle…” Rispose Lance come se non fosse ovvio. Forse, in una cosa quell’antipatico del suo compagno di squadra aveva ragione: non era poi così spigoloso se non lo si punzecchiava. “Lo hai mai fatto?” Chiese poi.

Gli angoli della bocca di Keith si sollevarono un poco. “Mi prendi in giro?”

“Essere alla Garrison non significa per forza amare le stelle. Guarda Pidge! Conoscerà anche tutte le costellazioni come il palmo della sua mano ma mi prendesse un colpo se si è mai stesa su di una spiaggia a guardare il cielo!”

“Tu le guardavi così?” Domandò Keith.

“Così o rubavo la tavola da surf di mio fratello e le guardavo dal mare.”

“Già, il mare… Tu sei cresciuto a Cuba, no?”

“Vicino Varadero,” confermò Lance con un sorriso orgoglioso. “Un paradiso in terra. Puoi girare l’intero universo ed un posto così non lo troverai mai!”

“Sono stato a Varadero,” disse Keith con tono casuale.

Lance lo fissò con gli occhi sgranati, come se avesse appena visto un fantasma. “Sei stato a Cuba?”

Keith lo fissò come se non capisse cosa ci fosse di strano. “Sì, con Shiro…”

“Ah!” Urlò Lance con voce stridula. “Tu sei stato a Varadero con Shiro ed io non l’ho mai saputo?”

Fu il turno di Keith di sgranare gli occhi confuso. “Non lo hai mai chiesto…”

“Non l’ho mai chiesto? Come se mi venisse naturale pensare a te e Shiro su di una spiaggia a Cuba! La prima volta che sei uscito sull’assolata pista di decollo della Garrison ho seriamente pensato che ti saresti polverizzato al sole come un vampiro! Che ci facevate a Varadero, comunque?”

“Vacanza,” rispose Keith come se fosse ovvio. “Non avevo mai visto il mare e così…”

“Era la pausa estiva del secondo anno!” Lo interruppe Lance puntandogli l’indice contro. “Hunk diceva che sembravi abbronzato ed io pensavo fosse fuori di testa!” Sbattè le palpebre un paio di volte. “Cos’è questa storia che non avevi mai visto il mare?”

Keith sbuffò. “Lascia perdere…”

“Meglio! Ora tu e Shiro a Varadero! Prima, Shiro che sarebbe stato pronto a rinunciare a Kerberos per te! Ho paura di quello che potrei scoprire la prossima volta!”

Gli occhi viola si fecero grandi, terrorizzati. “Come lo sai?”

E Lance seppe di aver parlato troppo. “Ah… Ehm… Tu fino a che punto ricordi la nostra discussione nella cabina di pilotaggio del Black Lion?”

“Io…” Keith si sforzò di ricordare ma le immagini si facevano confuse ad un certo punto. “Ho delirato?”

Lance annuì lentamente, con cautela.

“Che cosa ho detto?” Domandò il Paladino Rosso fissando un punto a caso del pavimento.

“Mi parlavi come se stessi parlando con Shiro.” Confessò Lance. Sarebbe stato inutile negare e non sarebbe stato costruttivo dare a Keith un’altra opportunità per chiudersi e rimanere da solo con i suoi segreti. “Senti…” Aggiunse tornando a guardare le stelle. “Io potrei avrei intuito qualcosa…”

Keith prese a torcersi le dita. “Di che genere?”

Lance ingoiò a vuoto. “Nessuno rinuncerebbe ad una missione come Kerberos per un amico.”

Tutto sembrò farsi immobile intorno a loro ed il Paladino Blu fu certo di vedere l’altro trattenere il respiro per un istante. Non negò. Non fece niente. Gli occhi viola fissi nel vuoto ed il labbro inferiore stretto tra i denti. Le dita serrate sulla stoffa dei jeans neri.

Keith tremava e a Lance mancava l’aria.

“Oddio, è vero…” Concluse poggiando i palmi a terra per sorreggersi. “Merda, è vero…”

“Smettila di dirlo così,” sibilò Keith.

Lance prese un paio di respiri profondi. “Così come?”

“Come se fosse qualcosa di sbagliato…”

Il Paladino Blu sbatté le palpebre un paio di volte: non lo avrebbe mai ammesso ma quell’uscita stupida lo aiutò molto a recuperare il controllo di sè. “Eh?” Domandò fissando il profilo dell’altro.

Keith non esitò a ricambiare lo sguardo e, per la prima volta da quando Shiro era scomparso, Lance seppe il reale significato della disperazione nei suoi occhi. “E per Shiro…”

“Era lo stesso,” confermò il Paladino Rosso.

“Ma prima di Kerberos o…?”

“Mi ha baciato la prima volta due giorni dopo l’annuncio della data della partenza,” raccontò Keith. “O io ho baciato lui, non lo so…” Scosse la testa ed abbassò il viso ma, suo malgrado, un sorriso nostalgico comparve sulle sue labbra. “Avevamo litigato per quello, per Kerberos…”

“Non riesco ad immaginare te e Shiro che litigate,” ammise Lance.

“È stata l’unica volta,” ammise Keith. “Il resto puoi immaginarlo da solo…”

Lance non ne era così sicuro ma indagare sfrontatamente non lo avrebbe portato da nessuna parte. “Non lo… Non lo avevo capito.”

Il sorriso di Keith si fece amaro. “Non siamo tornati ad essere quelli che eravamo quando è tornato,” disse. “Ci è voluto tempo…”

“Tempo?”

“Dopo che ho scoperto di essere un Galra…”

Lance avrebbe voluto dire tante cose a quel punto. Quanto tempo era passato dalla loro alleanza con la Lama di Marmora e la battaglia in cui avevano perso il Paladino Nero? Quanto tempo avevano avuto Keith e Shiro per ritrovarsi davvero?

Poco. Pochissimo.

“Keith…”

“Non dire niente,” lo fermò il Paladino Rosso. “È solo che continuo a chiedermi quando smetterò di restarmene fermo ad aspettare senza riuscire a dire niente.”

“Lo riporteremo a casa, Keith,” lo rassicurò Lance, sebbene non avesse il potere di prometterglielo. “E allora… Non lo so! Ci sono delle prigioni in questo Castello?”

Fu il turno di Keith di guardarlo spaesato. “Eh?”

“Faremo a turni per entrare nel Black Lion con lui! Qualcosa c’inventeremo per non perderlo mai di vista!”

A quel punto, Keith fece qualcosa che Lance non aveva previsto: s’imbronciò.

Sì, s’imbronciò e lo guardò evidentemente deluso. “Tutto qui?”

Lance si guardò intorno. “Ti aspettavi un agguato?”

“Hai appena scoperto che io e Shiro eravamo… Legati.”

Lance ridacchiò. “Sei fissato con questa storia del legame, tu!”

“Parlo sul serio, Lance.”

“Ed io sul serio non capisco che cosa ti aspettavi, Keith!” Ribattè il Paladino Blu divertito. “Posso immaginare perchè non lo avete detto a nessuno. Shiro è tornato portandosi dietro un sacco di demoni e poi Voltron, il tuo passato… Siamo rimasti in equilibrio precario per così tanto tempo e Shiro è un leader nato, deve aver fatto di tutto per non far soffrire te e, al contempo, fare sempre la cosa giusta con noi.”

Keith annuì, “Sì, è così…”

Lance lasciò andare un sospiro. “Certo che non deve essere facile essere innamorati dell’eore della situazione…”

“Perchè dici questo?”

“Sempre in prima linea. Sempre pronto a mettere gli altri prima di se stesso.”

Keith annuì sommessamente, poi alzò gli occhi sulle stelle oltre l’enorme vetrata. “Già…”

“Ma immagino sia il motivo per cui lo ami,” aggiunse Lance. “Per cui lo amiamo tutti, a modo nostro.”

Il Paladino Rosso deviò il discorso. “Era lui a portarmi a guardare le stelle,” confessò. “La hoverbike era sua.”

Lance spalancò la bocca. “Shiro guidava quella cosa?”

“Sì,” un ghignetto comparse sulle labbra di Keith. “Quasi tutti i week end uscivamo di nascosto con quella e andavamo ovunque. In città o nel deserto, a guardare le stelle fino a che non albeggiava.”

Lance lo guardò scandalizzato. “Maledizione! Iverson mi faceva pulire i pavimenti di tutti i corridoi dell’Accademia ogni volta che alzavo troppo la musica nel dormitorio!” Si lamentò. “Io facevo lo sguattero e, nel frattempo, tu avevi il ragazzo d’oro della Garrison tutto per te! Pensavo che ognuno ricevesse una giusta dose d’ingiustizia nella vita ma dopo questa!”

“Ci sarebbero tante cose da raccontare,” disse Keith, lo sguardo incantato tra le stelle. “Siamo stati solo io e Shiro per tanto tempo…”

Lance gli rivolse un sorriso un po’ triste. “Deve essere stato bello.”

“Che intendi?” Domandò Keith.

“Innamorarsi, ad esempio. Scappare su di una hoverbike di nascosto per andare a guardare le stelle insieme.”

“Lo dici come se provassi invidia, Lance.”

“Perchè la provo, Keith,” confessò il Paladino Blu. “L’invidia è il mio peccato capitale…”

L’altro sbuffò ma sorrideva ancora. “Chiunque alla Garrison avrebbe voluto avere Shiro come l’ho avuto io.”

“Ma io non volevo avere Shiro.”

Il sorriso sul viso di Keith sparì lentamente ma l’altro fece di tutto per non guardarlo.

“Ecco fatto,” mormorò Lance. “Tu mi hai confessato il segreto tuo e di Shiro ed io ti ho detto perchè mi piacevano tanto i tuoi occhi. Perchè, sì, mi piacevano.” Scrollò le spalle. “Mi piacciono ancora, a dire il vero…”

Se li sentiva addosso ora, quegli occhi viola. Aveva sempre fatto tanto rumore per attirare l’attenzione di chiunque e per avere quella di Keith era bastato rivelare un segreto a bassa voce.

“Tu non mi sopporti…” Fu tutto quello che riuscì a dire il Paladino Rosso.

Lance ridacchiò senza allegria. “La mia tecnica di seduzione per i maschietti deve essere affinata un po’, sono rimasto al livello infantile: più lo punzecchi e più ti piace.”

“Non mi sono mai…”

“Non sei l’unico bravo a mantenere i segreti, Keith,” lo interruppe Lance trovando il coraggio di guardarlo di nuovo negli occhi. “Coraggio!” Esclamò alzandosi in piedi con un saltello. “Sarà meglio andare a dormire, sento che domani sarà un giorno di grandi cambiamenti!”

Keith, però, non si mosse. “Tu mi seguiresti?” Domandò.

Lance infilò le mani nelle tasche della felpa. “Che vuoi dire?”

“Shiro era quello che metteva tutti noi prima di si stesso. Non ti chiedo perchè lo seguivi, lo so,” il Paladino Rosso si alzò in piedi a sua volta, “ti sto chiedendo se quando guardi me vedi un leader che seguiresti.”

“No, assolutamente!” Affermò Lance con una smorfia senza girarci troppo intorno.

Keith, però, non ebbe il tempo di replicare.

“Posso seguire un amico, però,” aggiunse il Paladino Blu con un sorriso.

E, sebbene preso alla sprovvista, il nuovo Paladino Nero se lo fece bastare.

“Parlando di cose serie, se tu piloterai Black, dovremo un po’ rivedere la suddivisione dei posti…” Propose Lance con un sorriso speranzoso.

Keith lo fulminò con lo sguardo. “No.”

“Non ho ancora proposto niente!”

“No, comunque.”

“Non puoi pilotare Black e Red contemporaneamente! E senza Red non possiamo formare Voltron, quindi.”

“Hai già il tuo leone! Stai lontano dal mio!”

“Ma Blue non è gelosa! Lei capirà!”

“Se Red si fa pilotare da te, prima ti ammazzo e poi scarico il tuo cadavere nello spazio aperto.”

“Ah… Se preferisci, posso provare con Black.”

“Lance, ti avverto, se solo provi…”

“Ho capito! Ha capito! Dios mìo, Shiro aveva ragione! Qualcosa da leader ce l’hai: non si può proprio scherzare con te!”


 
“Like ships in the night
You keep passing me by
Just wasting time
Trying to prove who’s right
And if it all goes crashing into the sea
If its just you and me
Trying to find the light”

[Like ships in the night - Mat Kearney]




 




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