Buongiorno
a tutti voi, oh avventori di questo fandom meraviglioso.
In punta di
piedi giungo anch'io a dar fastidio... Anche se, forse, sarebbe stato
meglio di no XD
Ho voluto
cimentarmi con qualcosa di estremamente semplice e, probabilmente,
obsoleto, ma questo giro è andata così e
così la prendiamo ;)
Premesse:
- Trattasi di
una fanfiction bookverse, dunque certi particolari divergeranno dal film
- Facciamo
finta (per favore, venitemi incontro almeno su questo punto T.T) che le
due famiglie di Howl (quella gallese e quella di Ingary) riescano a
capirsi dal punto di vista linguistico.
- Sophie aveva
il cantuccio sotto le scale anche nel libro? Non lo ricordo, ma sono
pigra per andare a cercare chiarimenti nel libro. Ahimè!
In cui Howl appalta un
compito ed un bambino trova il proprio nome
Capitavano
momenti di pace in quel
castello errante, di tanto in tanto, e Sophie li assaporava
lentamente, come faceva con quelle caramelle allo zucchero e sciroppo
di amarene che suo padre faceva scivolare di nascosto nelle sue mani
paffute di bambina qualcosa che le pareva essere una vita fa.
Le succhiava
piano, assoggettandole ai
suoi piccoli denti, e le faceva girare da una parte all'altra della
bocca mentre il liquido scuro e denso colava da qualche breccia che
si era aperta nel guscio duro e dolce. Allora non resisteva
più:
schiacciava con forza e masticava quanto più velocemente,
prima che
il nettare custodito in quello scrigno scivolasse lungo la sua gola
lento ed inesorabile.
Quei momenti
di tranquillità erano,
per Sophie, occasioni buone per darsi al suo inconsueto passatempo:
le pulizie.
In quelle
occasioni non c'era Michael a
cospargere il tavolo di polveri di dubbia entità e pergamene
ingiallite dal tempo, così come lo stesso Howl non
rispondeva
all'appello in quanto impegnato in altre occupazioni al di
là di
quella bizzarra porta dalla destinazione mutevole. L'unico muto
spettatore della sua messa in atto era il demone Calcifer che,
errante viaggiatore di focolai, cambiava giaciglio e nulla
più,
limitandosi a quantificare l'energia e l'impegno che la strega dai
capelli fulvi poneva in essere in cotali quisquilie come le faccende
domestiche.
Purtroppo per
Sophie, però, quelle
occasioni recentemente erano alla stregua di bestie rare e
leggendarie: le pareva di scorgere qua e là qualche momento
di
autonomia, ma durava talmente poco che non aveva nemmeno il tempo di
stringere il bastone nodoso della scopa di saggina tra le mani: o si
trattava di Michael, che, stropicciandosi la zazzera scura con una
maschera sgomenta, le strappava l'agognato utensile dai suoi arti
inermi; o si trattava di Howl, che, scuotendo la testa con quei
capelli scuri che sferzavano l'aria, con uno schiocco di dita faceva
sparire il suo strofinaccio (chissà dove lo nascondeva mai,
poi?) e
la adagiava con delicatezza sulla prima superficie utile per
accoglierla seduta.
Seduta e senza
nulla da fare, per
giunta.
Come poteva
Sophie starsene con le mani
in mano come una madamigella qualsiasi?
Qualche volta
le capitava di alzare una
flebile supplica nei confronti del marito, fosse questa di lasciarle
almeno spazzare il pavimento o pulire il bagno, ma Howl le sventolava
puntualmente un dito sotto al naso in segno di diniego col solito
sorriso sornione che pavoneggiava da un orecchio all'altro.
<<
Sophie, Sophie. Pensa al
bambino. >> rispondeva sempre lui con quel pizzico di
rimprovero che la faceva diventare rossa di rabbia.
<<
Il bambino sta bene. E
starebbe altrettanto bene se mi lasciassi pulire questo tugurio!
>>
Lo rimbeccava lei offesa, ma nessuna argomentazione poteva sferrare
un colpo che avrebbe fatto cadere la breccia del mago.
Fischiettando
le adagiava in grembo una
coperta leggera, un libro, due ferri e tanta, tantissima lana.
<<
Sferruzza un corredino, bimba.
>> le sussurrava e, depostole un bacio fra quei ciuffi
ribelli
all'altezza della fronte, la lasciava di fronte a quel focolare da
dove Calcifer avrebbe sicuramente fatto la guardia.
Il demone, ben
nascosto fra i ceppi,
sapeva bene di doverla guardare a debita distanza per la sua
incolumitá. E così faceva.
In quelle
occasioni, mentre Sophie
lavorava a maglia come una furia indemoniata, pregava in silenzio che
non stesse lavorando ad una sciarpa o un berretto per qualcuno di
loro: chissà, con quell'umore più nero di un
temporale estivo,
quale maledizione avrebbe imposto a quell'oggetto?
Fu in un
soleggiato pomeriggio di marzo
che Sophie vide uno spiraglio di luce, una sorta di via libera per la
ripresa delle sue attivitá.
Michael,
più profumato e ben vestito
del solito, era corso a far visita a Martha (non senza averle
lanciato un paio di occhiate apprensive), mentre Howl si era recato
in quell'altro mondo di cui Sophie sapeva poco e nulla, il Galles.
Solitamente,
quando il mago si
tratteneva nella sua terra natia, passavano diverse ore prima che
ripercorresse i propri passi verso casa; soprattutto, nella maggior
parte dei casi, si trattava di passi barcollanti ed incerti degni del
peggior avventore della peggior osteria considerato il fatto che
rientrava alticcio da quelli che lui definiva goliardici inconti
sportivi.
Ma quella
volta Sophie ebbe appena il
tempo di rimuovere le chincaglierie dalle mensole senza neanche poter
passare l'ombra di uno straccio: Howl sbatté l'uscio senza
preavviso, le scoccò un'occhiata torva e con il fluido
movimento di
una mano ripose gli oggetti là dove trovavano la loro
collocazione
abituale. Si diresse poi ad ampie falcate al cospetto della ragazza,
le strappò da sotto il naso l'agognata scopa e la ripose nel
ripostiglio dove riposavano un altro paio di ramazze ed altre
cianfrusaglie di vario genere. Non del tutto contento, poi, chiuse la
porticina con un colpo secco e puntò un dito al suo
indirizzo
farfugliando qualcosa a denti stretti; nel lampo di un battito di
ciglia la serratura scattò ed a Sophie fu subito chiaro che
il
riaprire nuovamente un uscio incantato le avrebbe dato del filo da
torcere.
Stava per
storcere il naso quando la
sua attenzione fu attirata da altro: davanti alla porta del castello,
raccolti accanto alle scale come se non osassero mettere il naso
più
in là di così, due ragazzini lanciavano occhiate
curiose attraverso
la penombra della stanza.
La ragazza
riconobbe immediatamente i
figli di Megan: Neil e Mari.
Scoccò
un'occhiata curiosa in
direzione del mago che, roteando gli occhi verdi con fare seccato, le
fece cenno di instaurare una conversazione al riguardo un paio di
stanze più in là. Prima, però, si
premurò di far accomodare i due
bambini sul divano davanti al focolare dove Calcifer sonnecchiava
ignaro di tutto.
<<
Perchè i figli di Megan sono
qui?
Nel castello? >>
Howl
abbracciò le
piccole spalle della ragazza abbandonando un lamento all'altezza del
suo collo.
<<
Sophieee... >> borbottò con fare lagnoso, ma
la ragazza non
aveva assolutamente tempo per le sue messinscene da prima donna.
<<
Howl! Qui? Nel
castello?
>> squittì appena gesticolando in modo
apprensivo << Tua
sorella deve essere impazzita. Ha idea di quali pericoli possano
nascondersi in ogni angolo qui nel regno di Ingary? >>
Il mago la
allontanò da sé; i suoi abitudinari sorrisi
sghembi avevano
lasciato posto ad una maschera pallida di puro terrore.
<<
NO! >>
tuonò << E non deve saperlo. Megan e Neil le
verranno
restituiti integri così come ci sono stati consegnati!
>>
<<
Ci?
Parli al plurale
adesso? >>
<<
Sophieee... Non farmi questo. Devi aiutarmi. Si tratta solo di
stanotte, poi li rispediremo al mittente. >>
La ragazza
abbassò
il capo massaggiandosi stancamente gli occhi. Come in una bilancia
immaginaria, pose i due capi principali della questione su due
differenti piatti: mettere in difficoltà Howl, dopo tutti i
rospi
che aveva ingoiato a causa della sua ingiustificabile apprensione nei
confronti della sua gravidanza, era un'ipotesi particolarmente
allettante; d'altro canto, non aveva la benchè minima
intenzione di
inasprire ulteriormente il già incrinato rapporto che
intercorreva
fra lei e la cognata: se avesse lasciato i bambini nelle mani di suo
marito, chissà in quanti e quali guai sarebbero incappati?
<<
Va bene...
>> accondiscese dunque.
Il mago per
poco
non si prostrò ai suoi piedi: le afferrò il viso
in un sano slancio
di euforia e depose un numero inquantificabile di baci là
dove essi
cadevano: sulle gote rosse, sulla fronte stretta, sulle morbide
labbra color pesca. << Mi farò perdonare,
Signora Ficcanaso.
>>
Con un
teatrale
inchino, voltò i tacchi e sparì oltre la soglia.
O, almeno,
questo
era quello che pensava Sophie, perchè appurò
presto che aveva non
solo girato l'angolo: si era premurato di sparire completamente anche
dal castello lasciandola sola in balia dei due piccoli Parry.
<<
Quel
maledetto stregone da due soldi... >> mormorò,
lanciandosi
lungo la scoscesa via degli improperi a piè pari.
<< Questa me
la paghi! >>
Con un pizzico
di
fortuna, i figli di Megan erano più malleabili ed
accondiscendenti
della madre. Solo Neil, vagamente, gliela ricordava con il suo
carattere appena più spigoloso rispetto a quello della
piccola Mari;
ma, al di là di una lamentela di cui Sophie aveva capito
poco e
nulla – riguardo al fatto che non possedessero né
videogiochi, né
un televisore (cose a cui la ragazza non riusciva ad associare nulla
di conosciuto, tra l'altro) -, il pomeriggio era trascorso
relativamente tranquillo: il ragazzino si era fatto trascinare dai
piccoli trucchi, alla stregua di un gioco di prestigio, che un
confuso Michael, di ritorno da Market Chipping, gli aveva volentieri
mostrato, mentre la bambina si era intrattenuta piacevolmente con
pastelli e carta colorata.
Sophie aveva
poi
posto sul tavolo un pasto luculliano preparato con l'aiuto di un
silenzioso Calcifer che, da bravo demone, se n'era rimasto zitto ed
in incognito per tutto il pomeriggio, come se le sue lingue di fuoco
fossero unicamente frutto della combustione dei ceppi che riposavano
nel focolare.
Quando,
infine,
giunse per tutti l'ora di un meritato riposo, la giovane strega
decise che avrebbe spedito Neil nella camera dell'apprendista, mentre
Mari avrebbe trovato posto con lei nel suo ex cantuccio sotto le
scale; di Howl, ovviamente, non aveva avuto più notizie dopo
quel
pomeriggio, ma sapeva per certo che non avrebbe lasciato i bambini da
soli nella sua stanza: chissà quali eventi sciagurati
avrebbero
potuto porsi in essere se solo avessero toccato qualcosa che non
avrebbero dovuto.
Rabbrividii
all'idea mentre la bambina, infagottata in un pigiama forse troppo
grande, le scivolò accanto nel morbido abbraccio delle
lenzuola. Fra
le braccia teneva qualcosa, ma sembrava restia a lasciarle vedere di
cosa si trattasse.
<<
Mari, è
un libro quello? >> azzardò la rossa
riconoscendone la forma
sotto le ampie maniche della maglia.
La bambina
fece un
leggero segno di assenso mentre, con sguardo basso, glielo porgeva
insicura. << Mamma mi legge sempre qualcosa. Mi aiuta ad
addormentarmi. >>
Sophie fu
subito
attratta dalla copertina rigida di quel volume: rappresentava
un'enorme tavolata rotonda con tredici ospiti in piedi l'uno accanto
all'altro. Ognuno di loro poggiava la propria spada sul tavolo,
dritta verso il centro, di modo che le punte acuminate delle
vicendevoli armi quasi parevano toccarsi, ma non in modo minaccioso.
Le
sue
dita, inconsciamente, andarono a carezzare le lettere in rilievo che
componevano il titolo del libro: Re Artù
– Fra mito e
leggenda.
Un re? Quindi
anche
nel mondo da dove proveniva Howl esistevano i re? E principesse come
la piccola Valeria?
Sorrise
di quel parallelismo che si era improvvisamente venuto a creare fra
il suo,
di mondo, e
quello che aveva dato i natali a suo marito, e si stupì di
ciò.
Dopo la buffa
gita
in quella rumorosa carrozza spericolata senza cavalli, quel modo di
vestire sopra le righe e la visione di quelle strane case che avevano
ingrigito il suo umore, non pensava che potesse esistere qualcosa che
accomunava due mondi tanto diversi quanto parevano i loro.
<<
Sophie? >>
La piccola
Mari,
carente di attenzioni, aveva preso a strattonarle senza foga la
manica della vestaglia nel tentativo di riguadagnare il suo campo
visivo.
<<
Sophie, ti
va di leggerlo? >>
Abbozzando un
sorriso sincero, la ragazza aprì quella copertina che
l'aveva così
piacevolmente stregata ed iniziò a favellare di dodici
cavalieri,
maghi, re e fattucchiere seguendo a piè pari quello scritto
mentre
si stupiva piacevolmente per ogni nuova similitudine in cui incappava
durante la lettura.
Mari alternava
i
momenti di veglia a quelli in cui le palpebre, fattesi pesanti oltre
ogni dire, calavano sulle umide iridi chiare minacciando di
trascinarla in quel leggero oblio che precede il sonno, ma Sophie,
presa dalle immagini vivide che quei racconti davano vita davanti ai
suoi occhi, se ne accorse a malapena.
Solo
quando la testa della bambina ciondolò proprio sopra il suo
petto si
accorse che, probabilmente, era giunto il momento di interrompere la
piacevole lettura. La piccola sbadigliò sonoramente, ma
aveva ancora
qualcosa da condividere con lei prima che la notte stendesse su di
loro il dolce velo del sonno.
<<
Zia
Sophie? >> azzardò la piccina, ormai sulla
soglia
dell'obnubilamento.
La ragazza
arricciò
le labbra sotto il peso di quell'appellativo a far da companatico al
suono del suo nome; non che disdegnasse la flemma dolce con cui Mari
lo pronunciava, ma le pareva di fare suo un ruolo che non le spettava
dati i gelidi rapporti con Megan.
<<
Dimmi,
tesoro >> riuscì solo a dirle mentre, con un
fluido movimento
del polso, chiudeva distrattamente la copertina del libro.
La bambina
sbadigliò, ma riteneva importante comunicarle quel suo
pensiero
prima di scivolare fra le braccia di Morfeo. << Hai
già scelto
un nome per il tuo bambino? >>
Sophie, in un
gesto
automatico, lambì appena il ventre prominente con una mano
pallida,
là dove un cuore sfarfallante ed un corpicino ancora
abbozzato
stavano andando a definirsi dentro lei giorno dopo giorno.
<<
Non
ancora, no... >> buttò lì come
risposta corrugando la fronte
<< Il fatto è che non riusciamo a metterci
d'accordo. >>
Un ciuffo
fulvo e
ribelle, indomabile, corse a calare un sipario sui suoi occhi chiari
che vagavano lontano, in ricordi che assillavano il loro quotidiano
famigliare. Il nome da dare al bambino che di lì a poco
sarebbe
arrivato ad arricchire le loro vite era oggetto di discussioni e
battibecchi fra lei ed Howl. Il mago verteva su nomi, a suo dire,
improponibili, mentre Sophie optava per qualcosa di più
classico e,
a detta del marito, scontato ed obsoleto.
<<
Credo che lo chiameremo Senzanome!
>> dichiarò dunque serafica abbozzando una
risata leggera, ma
il respiro regolare della piccola Mari la avvertiva che qualche sogno
stava già cullando il riposo della bambina.
La strega
depose
una leggera carezza sulla sua morbida fronte e lasciò a Mari
l'intero lettino, alzandosi per dare conforto a quella sua povera
schiena che gridava e lamentava dolori da qualsiasi anfratto
nell'ultimo periodo. Massaggiandosi distrattamente i reni, sede che
richiamava più attenzione ed urgenza di qualsiasi altro
punto,
afferrò nuovamente il libro e si sedette davanti al focolare
dove
Calcifer sonnecchiava tossicchiando lapilli incandescenti di tanto in
tanto.
Aveva appena
ripreso la lettura del tomo là dove l'aveva interrotta
quando suo
marito, in punta di piedi ed in perfetto silenzio come il
più
meschino dei ladri, guadagnava la penombra di quel soggiorno con
ampie falcate.
Muto, come il
più
reo fra i colpevoli, si lasciò scivolare accanto alla moglie
con un
unico, languido movimento.
<<
Qualsiasi
cosa tu stia per recriminare, hai ragione. >>
iniziò lui con
tono fin troppo mellifluo e ruffiano, ma gli parve che Sophie non si
fosse neanche accorta della sua presenza.
<<
Ti domando
scusa, Sophie, ma quei due ragazzini mi fanno impazzire.
>>
continuò meno convinto; sporse di poco il busto magro verso
di lei
ed inarcò un sopracciglio non capendo dove sua moglie, con
quell'insistente tentativo di ignorarlo, volesse andare a parare.
La goccia che
gli
pendeva da un orecchio sfarfallò mille riflessi sulle pagine
porose
del libro e solo allora Sophie si degnò di riconoscere la
sua
presenza.
<<
Ti devi far perdonare molto questa volta Howell Jenkins.
>>
Gli
puntò un dito
sul petto in un moto accusatorio, nei suoi occhi verdi fiammeggiava
l'ardore di una rabbia mal sopita, ma le sue labbra si incurvarono in
un sorriso poco prima di cozzare teneramente contro quelle di Howl in
un bacio lento e profondo, tanto inatteso che lo stesso mago, confuso
dai messaggi diametralmente opposti che il corpo della moglie gli
stava lanciando, rispose con vaga circospezione, come se sopra la sua
testa stesse pendendo la vendetta che Sophie di lì a poco
gli
avrebbe fatto caracollare addosso.
La ragazza,
dal
canto suo, si allontanò di poco e pose in grembo al marito
quel
libro che aveva rapito tutta la sua attenzione sino a poco prima.
<<
Ho trovato
il nome! >> asserì infine con occhi sognanti.
Il mago si
rigirò
il tomo voluminoso fra le mani ancor più confuso.
<< Il nome?
>>
<<
Il nome,
sì. Per il bambino! >>
<<
Ah, quel
nome. >>
Il mago la
osservò,
in attesa: era così emozionata che pareva aver ricevuto
quella
risposta tramite una divinazione.
<<
Morgan >>
asserì la giovane, assaporando lentamente la dolcezza che
quel nome
le lasciava in bocca.
Howl si
accarezzò
il mento con fare pensoso. << Perchè proprio
Morgan? >>
Sophie
raccolse il
libro; le sue piccole mani tremavano sotto il peso dell'epifania che
l'aveva scossa.
<<
Morgana
LeFay >> sussurrò ed Howl le sorrise come si
può sorridere ad
un bambino che ha appena scoperto quanto è morbido il pelo
di un
gatto. << Conosci la sua storia? >>
Il mago
intrecciò
le braccia magre, avvolte nelle abitudinarie maniche pompose, dietro
la schiena della moglie; la tirò a sè e la
guidò a sedere sulle
sue ginocchia come avrebbe potuto fare con una bambina.
<<
È un mito
molto conosciuto nel mio paese >> sussurrò
sfiorandole il
collo con la punta del naso << La sua è una
storia, per così
dire, difficile. >> aggiunse poi, una nota di
serietà ad
accompagnare le sue parole.
Sophie pose le
mani
sulle guance rasate del marito e lo fissò dritto in quegli
intensi
occhi verdi, così caldi e profondi da quando il suo cuore
aveva
ripreso a battere là dove doveva era nato per stare.
<<
Anche la
nostra lo è stata. >> sussurrò con
voce grave ad un passo dal
suo viso; così come le capitava spesso quando ripensava al
passato,
una morsa strinse il suo stomaco e lei ingoiò un singhiozzo.
Fu come
una lappata gelida alla base del cuore.
Se ripensava
alla
Strega delle Lande, alla signora Pentstemmon o al demone camuffato
sotto le sembianze della signorina Angorian, Sophie aveva bisogno di
qualche secondo per scrollarsi dalle spalle quel pesante mantello
grigio intessuto con ricordi amari ed avvenimenti spiacevoli. Era
come una cappa cinerea e fumosa che le avvolgeva la mente,
annichiliva la sua felicitá.
Howl era
ancora
intento ad osservare il suo viso, rincorrendo quegli smeraldi
fuggenti che amaramente stavano galoppando verso altre immagini,
memorie che fisicamente non potevano essere colte lì,
davanti al
focolare, stretta fra le sue braccia.
Le depose un
leggero bacio sullo zigomo rosato e lei si riscosse, come svegliata
da un brutto sogno.
<<
Ora è
tutto più semplice, Sophie. >>
asserì lui contro la sua
guancia << O, almeno, è alla portata di questo
mago di corte.
>>
Howl
scrollò il
capo e lei rise sommessamente nascondendo il volto arrossato fra quei
capelli color ali di corvo.
<<
Morgan,
Morgan... Potrebbe andar bene, sai? >>
La strega
sorrise.
<< Dici davvero? >>
<<
È un bel
nome. Ed è gallese. >>
<<
Ma pensa
>> esclamò in risposta lei, genuinamente
sorpresa. <<
Non lo avrei mai immaginato! >>
Howl si
strinse
nelle spalle. << Non avresti potuto. >>
Sophie si
levò ed
abbandonò a malincuore quel nido sicuro che si era costruita
fra le
braccia del marito: il suo corpo reclamava un sano riposo ristoratore
e doveva tornare a fare compagnia a Mari nel suo lettino sotto le
scale dove, certamente, non l'avrebbe lasciata sola a terminare la
nottata.
<<
Ah, c'è
anche un altro motivo >> bisbigliò mentre
scostava il pesante
drappeggio che garantiva al giaciglio un minimo di intimità.
Il mago, che
stava
a sua volta prendendo le scale per raggiungere la sua bizzarra camera
da letto, la osservò perplesso. << Sarebbe a
dire? >>
La fulva gli
sorrise sorniona. << Il cognome di Morgana sarebbe
Pendragon,
sai? >>
*rotola nel
suo angolino della vergogna*
Due cose
vorrei aggiungere: mi dispiace e grazie per essere arrivati sino a qui.
Non mi convince affatto, ma l'idea di lasciarla a marcire in una
cartella sul desktop mi dispiaceva parecchio... Vorrei scrivere
qualcosa di più fluff e romantico su questi due *^* li amo
alla follia. La prossima volta, magari... Chi lo sa?
Ancora grazie
mille per averle dato una letta.
Siete
meravigliosi ed io vi adoro.
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