Vi ho fatto aspettare un po', ma ecco il secondo capitolo!
Secondo Capitolo
Ieri non avevo avuto il tempo di controllare se stava
bene; era stata, insieme all’auto di mamma, l’ultima nostra proprietà ad essere
rilasciata e avevo potuto solo superficialmente constatare se andava tutto
apposto. Non avevo nemmeno acceso il motore.
Dopo aver finito di fare colazione mi precipitai giù in
garage già con lo zaino in spalle per controllare con più attenzione il telaio.
Non appena avevo visto il garage mi erano cadute letteralmente le braccia;
enorme era troppo poco. Era una specie di distesa di cemento grande quasi tutta
la casa, illuminata da una ventina di lampade al neon. Decisamente troppo per
due auto e una moto.
Sospirai di sollievo; gli addetti al trasloco avevano
fatto attenzione e non era stata scalfita in nessun modo. Misi casco e guanti
prima di accendere il motore. Un piccolo attacco di adrenalina percorse tutta
la colonna vertebrale. Anche il motore era intatto. Premetti la frizione e poi
l’acceleratore. Via. Uscii dalle porte del garage che erano già state aperte
dai miei genitori ed attraversai il vialetto che conduceva alla strada
principale non più dei quaranta, per poi raggiungere i centoventi in dieci
secondi. Andavo matta per le moto da corsa; insieme alla break dance e alla
corsa.
C’era una pioggerellina leggera che bagnava l’asfalto e ed
il cielo non era cambiato molto rispetto a ieri; si poteva dire che quella era
una buona giornata.
Sapevo che non sarebbe stata una buona idea arrivare il
primo giorno di scuola con lei, avrebbe attirato troppo l'attenzione e avrebbe
corso il rischio di essere rovinata da qualche deficiente, ma fino a che non mi
procuravo un altro mezzo dovevo adattarmi. A Chicago non era un problema, a
scuola si trovavano moto e auto ben più vistose di una KTM, ma qui a Forks
invece era tutta un’altra cosa.
Il rumore doveva essere giunto prima del mio arrivo; non
appena apparve davanti a me la Forks High School tutti gli studenti che si
trovavano in giardino avevano gli occhi puntati su di lei ed alcuni si erano
anche sporti dalle finestre delle aule.
Mi fu difficile trovare un parcheggio, anche perché non
c’era. Ero stata abituata troppo bene a Chicago. Mi limitai quindi ad occupare
uno dei posti per le auto. Spensi il motore e scesi togliendomi il casco. Non
sarebbe stata però una cattiva idea tenerselo in testa; tutta la scuola stava
guardando chi me, chi la moto. Dovevo proprio sembrare un alieno a questi
campagnoli dalla vita monotona. Erano proprio messi male se se si comportavano
in questo modo esagerato per una moto. Non era piacevole, ma non ci potevo fare
niente. Pazienza. Mi diressi verso l’entrata della scuola con scioltezza. Non
mancarono i commenti idioti insieme ad un totale e sorpreso silenzio. Ma io
adoravo i commenti idioti, perché poi ero indiscutibilmente costretta a
ribattere. C’era però solo un mormorio indistinto e di pochi riuscii a sentire
il contenuto.
“ma da dov’è uscita questa!” disse troppo rumorosamente un
ragazzo dai voluminosi capelli ricci. Tirai avanti senza degnarlo di uno
sguardo; non sembrava antipatico, non mi andava di ribattergli.
Continuai a far finta di niente fino all’entrata della
scuola. Lì c’era un gruppetto di ragazze che avevano cominciato a squadrarmi da
capo a piedi con un’espressione che sembrava anticipare un connotato di vomito.
“ma non si è guardata allo specchio questa mattina?” disse
una brunetta del gruppetto all’amica bionda.
“secondo me nemmeno ce l’ha lo specchio, Rachel” Speravo
che non avessero notato che le avevo sentite.
“Ciao, Rachel! Tutto bene?” le chiesi con un sorriso a
trentadue denti e continuai a camminare dritto. Quando tornai a girare la testa
verso l’entrata riuscii a sentire parte della loro conversazione.
“La conosci?!” La bionda era la perplessità fatta a
persona.
“No…no…” E potevo immaginare il rossore sulle guance della
bruna per la vergogna. Sul viso mi si dipinse il mio tipico sorriso sghembo.
Oltre la porta d’entrata la scuola non era ancora piena di
studenti e riuscii a passare inosservata. Mi diressi verso la segreteria lì
vicino per farmi consegnare l'orario delle lezioni. Al bancone c’era la stessa
donna di mezza età che avevo visto spettegolare l’altro giorno sul marciapiedi.
Il mondo era piccolo. Dall’auto non mi ero accorta dei tinti capelli rossi e
degli occhiali spessi. Mi guardava interessata e sorpresa.
“Tu devi essere la nuova studentessa, Abigail Adams” La
sua voce aveva un non so che di viscido. Guardai la tessera di riconoscimento
che aveva attaccata al petto. Signorina Cope. Il signorina data l'età non era
molto adatto. Ecco la prima di una serie di simpatiche zitelle pettegole. Io
annuii con la testa. Mi porse un foglio.
“Questo è l’orario delle lezioni che hai richiesto” Me ne
porse subito un altro “E questo lo devi far compilare ai docenti di questa
giornata”
“Capito. È possibile avere anche una cartina della
scuola?” Mi guardò dolente.
“Mi dispiace, cara. Non credo che siano più disponibili”
Rabbrividii al cara. Alzai e riabbassai impercettibilmente le spalle;
nessuna cartina, perfetto. Speravo solo di non perdere troppo tempo a
distinguere le aule le une dalle altre ed arrivare in ritardo. Non era affatto
un buon inizio.
“Non importa, me la caverò.” Tornai indietro ed aprii la
porta d’uscita della segreteria. Mi fermai di colpo sull'uscio.
“Arrivederci” dissi girando velocemente la testa.
L’educazione era la prima cosa per fare buona impressione.
“Arrivederci anche a te, cara. E buona fortuna” La
segretaria sembrava contenta del mio saluto. Io invece non tanto per il “cara”.
Quando uscii dalla stanza il mio sguardo era fisso sull’orario: vedevo ore di
matematica, trigonometria, biologia, chimica e scienza della terra. Sorrisi
involontariamente; erano le mie materie preferite. Nessuno avrebbe mai detto
che fossi portata per queste cose; mamma mi diceva sempre che le persone
tendevano a scambiarmi per una ragazza con la testa sulle nuvole. Le apparenze
ingannavano da morire. Trovavo le materie scientifiche particolarmente
interessanti, per questo avevo fatto in modo di inserire nell’orario molte loro
ore. Guardai l’orario del giovedì: alle prime due c’era biologia. Perfetto. Ora
il problema era trovare la stanza. Poi mi guardai finalmente attorno: ora era
pieno di studenti che mi guardavano come se fossi un maiale blu.
“Ehi!” Mi girai verso il proprietario della voce. Era un
ragazzo moro piuttosto magricello, con un bel po’ d’acne sul viso.
“Tu devi essere Abigail” Mi porse la mano ed io la
strinsi.
“In persona”
“Ahi!” la ritrasse subito “Che forza!”
“Scusa” Era il primo studente che mi rivolgeva la parola e
continuavo a ripetermi le parole “buona impressione”.
“Fa niente. Io sono Eric Yorkie del quinto anno. Tu invece
frequenti il…?”
“Il terzo” Diventò all’improvviso impacciato e l’allegro
sorriso che aveva svanì in un attimo, lasciando il posto ad uno insicuro ed
imbarazzato.
“Ah… sei più piccolina” piccolina? Feci un respiro
profondo. Buona impressione, buona impressione, buona impressione.
“Puoi aiutarmi?” dissi sviando subito l’argomento “età”
per incalzare quello “aiutami”.
“Certo”
“Sai dov’è l’aula di biologia?”
“Ah… in segreteria non abbonda di piantine, vero?”
“Sì, ma solo quelle verdi…” proruppi io di botto in una
delle mie pessime battutine. Mannaggia, mi veniva automatico. Lui fece una
risata trattenuta.
“Divertente...”
“Eh già” Ora l’insicura ero io. La campanella suonò
all’improvviso per tutto l’atrio, convincendo Eric a sbrigarsi a dirmi quello
che volevo sapere.
“Comunque, l’aula di biologia la trovi finito questo
corridoio a destra. Scusa, ma ora devo proprio andare. Ti accompagnerei
volentieri, ma la mia aula è dall'altra parte. Ciao.” disse mentre si
allontanava da me correndo. Gli risposi con un cenno della mano guardandolo
scappare veloce e seguii le sue istruzioni. Anch’io arrivai in fondo al
corridoio mantenendo un passo sostenuto e sperai vivamente che la lezione non
fosse già cominciata, esaudendo così le mie peggiori prospettive. Feci in
fretta a bussare ed ad entrare. Tutti erano già seduti al proprio posto e mi sentii
per un breve momento particolarmente a disagio, che sparì non appena mi accorsi
che il professore era distratto a trafficare tra un mucchio di fogli. Mi
diressi verso di lui. Non alzò subito la testa per osservarmi, quindi ne
approfittai per dare una veloce occhiata all’aula. Era piuttosto grande, con
diversi cartelloni su cellule, meiosi e fotosintesi appesi alle pareti. Non
male.
Finalmente alzò lentamente la testa e mi squadrò, come
stava facendo tutto il resto della classe. Prese in mano il foglio che gli
stavo porgendo, lo firmò con uno svolazzo. Stava per riconsegnarmelo, ma si
bloccò con lo sguardo fisso sempre sul foglio.
“Signorina Adams, le devono aver dato l’orario sbagliato.
Questo è il corso di biologia per il quinto anno.”
“Appunto” gli risposi. Gli presi il foglio dalle mani,
mentre lui mi guardava in modo un po’ truce. Cavolo, “appunto” non doveva
essere stata una risposta gentile.
“Può andarsi a sedere vicino a Swan” e tornò alle sue
carte. Feci quindi scorrere lo sguardo per l’aula in cerca di chi potesse
essere Swan. Non mi fu difficile capirlo, in quanto era l’unica persona vicina
ad un posto vuoto. Andai verso di lei. Swan era una ragazza dai lunghi capelli
neri con gli occhi scuri, semplice, non molto diversa dalle altre. Aveva una
carnagione pallida, come tutte le persone che abitavano in un buco senza sole
come Forks, e due occhiaie un pò marcate, dovute forse a notti passate in
bianco. Le lanciai un'occhiata mentre mi sedevo sullo sgabello imbottito vicino
a lei e mi toglievo lo zaino dalle spalle. Altra cosa, questa ragazza aveva la
testa terribilmente tra le nuvole: non si accorse nemmeno che c'era qualcuno
accanto a lei tanto era concentrata nei suoi pensieri. Avrei voluto
presentarmi, ma il professore iniziò a parlare dell’argomento del giorno e
decisi che era meglio evitare di irritarlo ancora.
Quella fu un’ora lunga, continua e noiosa. Il docente fece
una breve introduzione sulla teoria darwiniana che avevo già studiato l’anno
scorso e che era di una noia insopportabile. Mi limitai a prendere qualche
appunto ed ad osservare di tanto in tanto Swan, cercando di evitare gli sguardi
diretti a me e i leggeri mormorii provenienti dal fondo. Prendeva appunti come
tutti e stava in silenzio, ma la sua espressione era persa in chissà quale
mondo. Era piuttosto inquietante.
La campanella suonò ed il professore smise all’istante di
parlare, mentre tutti i presenti nell’aula si alzavano dai propri banchi.
Nessuno si fermò ad aspettare il mio vicino, che in breve si ritrovò sola
insieme a me. Aveva riempito il proprio zaino e si era già alzata. Colsi
l’occasione al volo.
“Io sono Abigail Adams, quella nuova.” Lei si girò verso
di me all’improvviso e sobbalzò. Non si era davvero accorta di me. Cercai di
sembrarle amichevole sfoderando il mio sorrisino sghembo, ma invece di farle
una buona impressione sembrava che avessi avuto l'effetto opposto; mi stava
guardando immobile.
“Ehi, tutto bene?”
“Sc…scusa, non ti avevo sentita" La sua voce era
molto serena. "Ah... Tu quindi sei Abigial. Io mi chiamo Isabella Swan, ma
preferisco Bella.”
Era intenta a mettersi lo zaino sulla spalla, perciò non
si accorse dei miei occhi sbarrati. Bella? Bella?! O mio Dio. Era peggio
dell’orribile. Bella! Se mi fossi chiamata Isabella non mi sarei mai, mai, mai,
fatta chiamare Bella! Bella! Bella! Mi sarei fatta chiamare Lisa, oppure
ancora meglio Easy, ma Bella no! E che cavolo: dai, Abigail, il nome era suo e
poteva fare quello che voleva... Bella... Bella… No, non ce la facevo, era più
forte di me.
“Scusa, ma ora devo andare.”
Questa volta fu lei a riportarmi sulla terra. Senza
aggiungere altro si diresse fuori dall’aula. Io la lasciai fare; non volevo
crearle ulteriori disturbi.
Diedi un’occhiata veloce all’orario delle lezioni.
Matematica. Bene. Adesso dovevo solo trovare l'a…
“Bella!” la chiamai mentre stava uscendo in corridoio. Al
diavolo i disturbi. Corsi veloce verso di lei e la fermai appena in tempo. La
raggiunsi e uscii dall’aula salutando anche il professore, che mi rispose con
un brontolio. Speravo vivamente di non avergli fatto una brutta impressione.
“Scusa, ma mi potresti dire dov'è l’aula di matematica?”
“Certo, è dalla parte opposta della scuola. Devo andare
anch’io da quella parte. Ti accompagno se vuoi.” Era la frase più lunga che le
avevo sentito dire.
“Grazie, mi faresti un piacere.”
Camminai accanto a lei per tutto il tragitto, cercando di
non badare alle occhiate che mi venivano lanciate nel corridoio. Notai che era
una ragazza piuttosto alta. Più di me sicuro. Tra me e lei calò il silenzio.
Perché non parlava? Di solito lo si faceva ai nuovi arrivati e questo silenzio
proprio non ci stava. Di solito in queste situazioni c’erano molte cose da
chiedere: perché ti sei trasferita? Con chi? Da dove? Lei invece se ne stava
zitta. Un momento, chi l’ha detto che le domande dovevono farle gli altri?
Potevo benissimo dirigere io la conversazione.
“Sai mi sono trasferita da Chicago” Cavolo, forse ero
stata troppo impertinente. Attirai però con successo la sua attenzione.
“Quindi sei già abituata a Forks” Nella sua voce sentivo
una punta di interesse che mi convinse ad andare avanti.
“Già, non è stato una novità”
“Anch’io non sono di Forks”
“Davvero? Di dove sei?”
“Phoenix”
“Tutto l’opposto quindi. Ma…” La squadrai un attimo “Non
l’avrei mai detto.” Le sue labbra si piegarono in un sorriso appena accennato.
“Non si direbbe nemmeno di te”
“Solo perché ho passato tre mesi estivi a San Lucas, in
California”
“Con la tua famiglia?”
“No, in campo scuola” Mi piaceva il verso che stava
prendendo questa conversazione. Che si interruppe subito.
“Questa è l’aula di matematica.” Bella si fermò per
indicarmi l’aula. “La mia è quella vicina.”
“Va bene. Allora, ci vediamo” le dissi mentre entravo.
Lei si diresse verso l’aula vicina salutandomi con una
mano. Non vedendo però dove metteva i piedi inciampò e cadde a terra. Sarebbe
stata una scena comica e avrei sorriso se me la sarei aspettata. Le andai
subito incontro per aiutarla.
“Tutto bene?”
“Sì, sì, non è niente. L’equilibrio non è il mio forte”
disse mentre si rialzava.
“Tutto bene, Bella?” Una voce sconosciuta.
“Sì, Mike” Il Mike in questione aveva una faccia
simpatica, tondeggiante, con due occhi azzurri e capelli paglierini tirati con
una grande quantità di gel.
“Ah, tu devi essere quella nuova” Questa volta si rivolse
a me. Mi stava studiato con interesse, ma la sua impressione non lasciava
trapelare ancora alcun giudizio.
“Abigail, piacere” gli dissi salutandolo con la mano. La
stretta di mano doveva essere riveduta.
“Io sono Mike” Sentii a pochi metri di me la porta della
mia aula chiudersi.
“Ehm… devo andare. Piacere di averti conosciuto, Mike.
Ciao.” Entrambi mi ricambiarono, mentre anche loro entravano in classe,
incominciando a discutere di una certa uscita al cinema o in qualche altro
posto.
Nell’aula di matematica il professore non era ancora
arrivato e regnava un insopportabile cicaleccio. La Forks High School doveva
essersi fatta in fretta l’abitudine di avermi dentro, visto che questa volta
furono poche le occhiate che arrivarono. Appoggiai lo zaino su un banco vuoto
in seconda fila, sperando che non fosse occupato da un qualche altro
ritardatario.
“Abigail” Mi girai verso Eric.
“Ciao Eric”
“Abigail, ti devi essere confusa.” Era forse una leggera
compassione quella nei suoi occhi? Se sì doveva sbrigarsi a farsela passare.
“Questo è il corso di matematica per il quinto anno”
“Lo so” mi limitai con un leggero sorrisino. Lui sembrava
confuso.
“Frequenti il quinto anno di matematica?”
“Solo alcune lezione. Come anche per il corso di
biologia.” Ora era davvero sorpreso.
“Ah. Quindi tu devi essere un piccolo genietto!” Ma i
vezzeggiativi non potevano scomparire dalla faccia della terra?
“L’avresti mai detto? Non farti troppe illusioni però.
Frequento stabilmente il corso di matematica e biologia del terzo. Queste sono
solo ore che ho cercato disperatamente di togliere a inglese, storia e
spagnolo.”
“Non ne vai pazza?” Gli era spuntato uno strano sorrisino
divertito sulla faccia.
“Certo. Ogni volta che le studio lo divento.” Che
freddura. Ma me ne erano uscite di peggiori, tutto sommato. Eric rise
sonoramente.
“Sei simpatica!”
In quel momento il professore Varner entrò in aula ed Eric
se ne andò a sedere al suo posto. Che era quello dietro al mio. Non era
antipatico, solo che avevo l’impressione che si comportasse con me come se
fossi la sua sorellina. Era uno strano e perverso atteggiamento che mi dava i
nervi. Soprattutto se non ci conoscevamo nemmeno da un giorno. La lezione
riuscì a passare molto velocemente e fu decisamente molto più interessante di
quella di biologia. Mi alzai insieme agli altri al suono della campanella.
“Ehi, Abigail! Vuoi che ti accompagni in mensa?”
“Certo” risposi contenta che qualcuno mi avesse preceduto.
Zaino in spalla, uscii in corridoio insieme ad Eric. Era
desideroso di parlare con me. Ovvero, di me; perché ti sei trasferita? Con chi?
Da dove? e blablabla. Aveva però incontrato un ragazzo in corridoio con cui si
era perso in una conversazione sulla nuova canzone di non-so-chi che lo
coinvolgeva al punto da ignorami completamente. Non mi dispiacque molto e non
me la presi. Attraversai il corridoio limitandomi a stare vicina a lui in
silenzio. La conversazione finì che io avevo già il mio vassoio di cibo in
mano.
La mensa della scuola era molto ariosa ed ampia. Molto
bianca. Mi sarebbe venuta una crisi d’identità, ne ero certa. Gli scarsi
quattrocento studenti della Forks High sembravano un centinaio lì dentro.
Inoltre le finestre erano larghe ed entrava molta luce che illuminava
l’ambiente. Per essere più precisi, entrava la luce quando c’era. I tavoli
sembravano ben tenuti, come pure le sedie.
Già dall’inizio non mi aspettavo la crème de la crème
in quanto a cibo; il cibo della mensa era per definizione un vero disastro
alimentare. E così era anche per la Forks High. Per lo meno la frutta e la
verdura sembravano fresche. La cosa non mi andava a genio per niente; avevo la
fortuna, o la sfortuna, di avere un metabolismo da ragazzo, e questo
significava che all’ora di pranzo mi ritrovavo ad avere una fame da lupo e
pronta a sbranare un bisonte, senza però mettere sù chili su chili. Il fatto di
provare un perenne desiderio di cibo era estremamente scomodo, soprattutto quando
a pranzo il cibo non era commestibile. Non avrei retto le ore pomeridiane senza
proteine.
“Mi dispiace, Abigail, non volevo escluderti dalla
conversazione” si scusò Eric quando ebbe finito.
“Ma figurati”
“Che ne dici allora di sederti al mio tavolo? Ti posso
presentare alcune persone” mi disse gentile. Colsi la palla al balzo.
“Sicuro"
Il tavolo dove mi portò era pieno e questo era un fatto
positivo: più gente da conoscere. Ma mi domandavo con preoccupazione se avrei
mangiato con il gomito del mio vicino nell’occhio, tanto lo spazio era poco.
“Ragazzi, fate posto per due!” disse Eric esuberante. I
ragazzi del tavolo si girarono interessati verso Eric per osservare il volto
del nuovo membro del loro tavolo. Tutti erano sorpresi, chi in modo positivo,
chi in modo negativo.
“Lei è Abigail” mi presentò, inutilmente, visto che tutti
in quel tavolo sapevano già chi fossi.
“Salve” risposi vivacemente sedendomi sulla sedia presa da
un tavolo vuoto vicino che Eric mi porse. Lo ringraziai con un cenno. Lui
ricambiò sedendosi accanto a me.
“Vediamo di presentarti un po’ di gente” disse Eric ancora
allegro. Indicò due ragazzi vicini a lui “Loro sono Ben e Conner.”
Cercarono di salutarmi con un cenno della mano, ma Eric
passò a presentarmi subito i prossimi.
“Jessica e Angela” disse indicandole, questa volta
lasciandole parlare.
“Ciao” mi disse la prima. La seconda fu più formale.
“Benvenuta a Forks, Abigail” disse porgendomi la mano. Io
gliela presi cercando di non stringere troppo.
“Grazie Angela” risposi educata.
“Lei invece è Lauren” continuò Eric. Lauren era la ragazza
bionda di quella mattina, quella secondo cui non avevo specchi a casa. E la
ragazza bruna vicino a lei era quella Rachel. Fu una piacevole sorpresa per me.
Non altrettanto per loro.
“Piacere” Sembrava uno sgorbio più che una parola. Io
invece sfoderai un sorrisone.
“È un piacere Lauren” dissi cercando di essere il più
sincera possibile. Con gli altri le bugie mi venivano bene.
“E ciao anche a te, Rachel” dissi senza lasciare che Eric
me la presentasse. Rachel arrossì dalla vergogna e Lauren mi guardò come se
fossi una pazza.
“Allora un po’ di conoscenze te le sei già fatte.” Eric
sembrava orgoglioso di me. Strinsi i pugni.
“Solo di vista” confessai in tono gentile fissando Rachel
negli occhi. Se avesse potuto mi sarebbe saltata addosso, come anche Lauren. Mi
sentivo soddisfatta; con questa le avevo fatto rimangiare tutti i commenti poco
piacevoli di quella mattina. Eric poi mi presentò altri due ragazzi ed una
ragazza, dei quali mi dimenticai subito il nome.
“Scusate per il ritardo. Ah! C’è una nuova!” Mike e Bel... Bella si erano avvicinati solo
in quel momento al nostro tavolo. Anche loro facevano parte del gruppo. Eric
sbuffò alla vista di Mike.
“Abigail, questa bella ragazza e questo idiota sono…”
“Mike e Bella. Li ho già conosciuti” informai Eric.
Salutai entrambi con un cenno della mano e feci spazio a
Bella che si sedette vicino a me lanciandomi un piccolo sorriso. Mike si
sedette vicino a lei.
“Cos’è che hai detto? Ripeti, Yorkie” disse Mike, dando
una spinta alla spalla di Eric che lo fece scontrare contro… contro…Tom? Non mi
ricordavo già più i nomi.
“La verità Newton, la verità” stette al gioco lui.
“Sono dei bambini, ignorali” mi disse la ragazza che
doveva chiamarsi Jessica.
“Chicago deve essere una bella città” disse Angela.
Caspita, sapevano persino questo.
“Non molto diversa da Forks” mugugnai io “per il clima,
ovvio” precisai. Tutti i presenti ora erano concentrati su di me. Eh già, il
nuovo arrivato era l’attrazione del mese qua. Chissà se anche a Bella avevano
riservato lo stesso trattamento.
“Dalla tua carnagione non sembra.”
“È perché ho trascorso tre mesi in California.”
“California, caspita” si sorprese… oh, accidenti… Tom?
“Come mai ti sei trasferita in un buco come Forks?” chiese
interessato Mike. Bene, via con la messa in scena.
“Mio zio è un medico; gli hanno proposto il posto di
primario che si è liberato di recente qui a Forks e lui ha accettato” ma in
realtà questa che vi sto raccontando è una balla assurda. I miei genitori sono
dei vampiri e se ce ne fossimo andati in California, in Florida o in qualche
altro posto assolato, la luce del sole li avrebbe trasformati in due palle da
discoteca anni settanta e non sarebbero di certo passati inosservati.
“Zio? Vivi con i tuoi zii?” continuò Mike. Ora veniva la
parte più difficile.
“Sì. I miei… i miei genitori sono morti in un incidente
d’auto” mormorai imbarazzata. Caspita, mi era uscita proprio bene. Ero stata
davvero convincente. Tutti, comprese Lauren e Rachel, si erano zittiti e stava
aleggiando un'aria da funerale.
“Mi dispiace, davvero. Non volevo… ” balbettò amareggiato
Mike.
“Non lo sapevi, non fa niente” Il silenzio calò sul
tavolo, che dall’inizio del pranzo era sempre stato vivace.
“E… da quanto è successo, se posso chiederlo…” domandò
Angela. La guardai in volto. Sentivo dal suo tono che non era per pettegolezzo
che me lo stava chiedendo, ma per preoccupazione. Fino ad ora si era dimostrata
un’ottima persona.
“N… ” mi bloccai di colpo.
O cavolo. Non mi ricordavo da quanto tempo vivevo con gli
zii. E adesso che faccio? L’avrei buttata sul vago. Intanto gli occhi di Angela
stavano perforando i miei e non mi stavano aiutando a concentrarmi. L’unica
cosa da fare era spararla.
“Non molto tempo fa” dissi con lo stesso tono. Angela
sembrava convinta e tutti se l’erano bevuta. Di solito dire bugie così grosse
mi faceva venire sensi di colpa che mi tormentavano l’anima in modo assurdo, ma
questa era una grossa bugia per una grossa causa.
“Ma… non vivi a Forks” disse Eric per sviare totalmente
l’argomento. La sua affermazione mi sorprese.
“Sì, vivo a Forks, perché non dovrei?” Gli altri
sembravano essere confusi.
“Non c’è alcuna abitazione disponibile a Forks.”
“In realtà casa mia non si trova in centro, ma poco fuori
Forks. È coperta dai boschi e non è visibile dalla tangenziale. Non so se voi
la conoscete”
“Aspetta un momento!” Eric mi bloccò improvvisamente ed
iniziò a guardarmi in modo strano e perforante.
“Fuori città hai detto? Non sarà…”
“Abiti nella casa dei Cullen?” Mi girai improvvisamente
verso Bella in un sobbalzo. Non aveva aperto bocca per tutto il pranzo e mi ero
per un momento scordata che era lì. Si era improvvisamente interessata al
discorso. D’altra parte non avevo la minima idea di chi fossero questi Cullen.
“Non lo so. Non li conosco. Chi sono?” le chiesi. Quello
che avvenne dopo fu parecchio inquietante. Bella si limitò ad abbassare
lentamente lo sguardo, mentre il silenzio era di nuovo sceso. Alcuni dei
presenti si erano persi a far altro, altri invece mi guardavano in un modo che
non mi piaceva. Era evidente che non era stata una buona domanda, ma non
riuscivo a capirne il perché. Era una specie di tabù che non riuscivo a
cogliere. La tensione si ruppe al suono improvviso della campanella, che fece
alzare tutti dai propri tavoli. Tutti i ragazzi del tavolo tornarono
improvvisamente sereni come prima. Tranne Bella, che non perse tempo ad
aspettare gli altri e uscì subito dalla mensa. Quella reazione era troppo
strana. Quel nome, Cullen; chi erano? Dovevo cercare di saperne di più.
Nonostante le persone che mi stavano superando riuscii a distinguere tra la
folla Jessica, credo, una ragazza del tavolo. Spintonando riuscii a
raggiungerla.
“Jessica!” Lei si voltò.
“Ehi, Abigail!” Mi era sembrata cortese prima e credevo
fosse la persona giusta a cui domandarlo.
“Posso chiederti una cosa?”
“Dimmi” Avevo come la netta sensazione che sapesse anche
lei dove volessi andare a parare. Intanto che parlavamo ci lasciavamo
trascinare dalla folla fuori dalla mensa.
“Chi sono i Cullen?” Lei si morse il labbro.
“Scusa se abbiamo reagito in quel modo, ma non è un bel
argomento davanti a…” si bloccò all’improvviso. Mi trascinò vicino alla parete
e rallentammo il passo.
“Ti spiego: circa tre anni fa si sono trasferiti a Forks
dall' Alaska i Cullen” parlava piano in modo da non farsi sentire. Tre anni
fa? Non voleva mica raccontarmi tutta la storia?! Io avevo chiesto solo chi
erano! Jessica però era così presa dal racconto che non riuscii a dirle che non
erano quelle le mie intenzioni.
“Era una famiglia che dava un po’ nell’occhio: tutti i
figli del signor Cullen, che era stato proprio il primario dell’ospedale, erano
stati adottati, perché si diceva che la signora Cullen non potesse avere figli.
La cosa più strana però” La sua voce si fece più accesa e si avvicinò a me.
“La cosa più strana è che i figli, anche se non erano
fratelli consanguinei, stavano insieme.” Le ultime due parole le aveva dette
con uno strano luccichio negli occhi spalancati, mentre stava sfoderando un
sorriso smagliante. In quel momento mi sarebbe tanto piaciuto dirle che non me
ne importava un bel niente solo per vedere la faccia che avrebbe fatto, ma mi
trattenni.
“Erano cinque e quattro di loro stavano insieme! Il bello
però viene adesso; indovina con chi si è messo il quinto?” Era ufficiale: non
la sopportavo. Dal suo silenzio capii che non era una domanda retorica.
“Non lo so” dissi secca. Lei andò avanti.
“Con Bella!” esplose lei, poi però acquistò un po’ di
contegno “Alcuni mesi fa se ne sono andati da Forks ed Edward Cullen, il
fidanzato di Bella, ha dovuto mollarla. Sembravano davvero una coppia affiatata
loro due. La loro storia è durata per più di un anno. Bella è stata male per
mesi, ma ora si è un po' ripresa. Ha incominciato a vedersi con il figlio
dell'amico di suo padre, o che so io...” Non si rendeva proprio conto che non
me ne fregava davvero niente dei fatti di Bella? Non la stava ascoltando più.
Si fermò un attimo per riprendere fiato.
“Quindi cerchiamo di evitare di parlare di loro davanti a
lei. A parer mio il suo comportamento è del tutto esagerato. Sono passati quasi
sei mesi da quando se ne sono andati e devo dire che...” Basta. O si fermava, o
le avrei infilato un libro in bocca.
“Ah… ho capito. Devo andare ora. Grazie mille Jessica. ”
mormorai secca allontanandomi da lei. L’aveva tirata per le lunghe, ma alla
fine c’era arrivata. La ragazza aveva la parlantina facile, ma in quel momento
non era la sua loquacità a disturbarmi. Avevo scoperto perché Bella aveva
reagito in quel modo strano, ed anche il nome di questo perché, un certo
Edward. Giustamente il ricordo di ex, anche dopo mesi e mesi poteva far male e
non c'era modo di biasimarla, soprattutto se in mezzo c'era anche un trasloco.
Ma era giunta l’ora di smetterla di pensare a problemi non miei, perché mi
stavano aspettando due stupende ore di spagnolo. Mi fu inevitabile sbuffare.
Inoltre non sapevo neppure dove si trovasse l’aula. Sbuffai due volte. Questa
volta ero certa che sarei arrivata in ritardo.
Entrai in segreteria subito dopo il suono della campanella
per riconsegnare il foglio firmato.
“Ecco a lei” mormorai alla segretaria. Lei si rivolse a me
con un sorriso.
“Grazie. Come è andato il primo giorno? Sembri essere
stanca” Stanca era un eufemismo. Affrontare due ore di spagnolo, la materia più
bella di questo mondo, di pomeriggio, con una miseria di pranzo era molto più
che stancante.
“Sì, solo un po’. Arrivederci” le risposi gentile e
veloce. Sembrava simpatica quella segretaria.
“Ciao anche a te, cara” Mi morsi la lingua; non volevo
pentirmi di quello che avevo appena pensato. Seguii la mandria di studenti
verso l’uscita, lasciandomi trasportare automaticamente dalle mie gambe, mentre
aspettavo che una boccata di ossigeno mi facesse rinsanare almeno un minimo.
L’aria fresca infatti mi fece bene e mi diede lucidità. Mi diressi verso il mio
mezzo e misi subito in moto. Bastò il rumore del motore per calmarmi del tutto.
Feci un respiro profondo e premetti l’acceleratore per uscire dal parcheggio della
scuola. Fui di nuovo sotto lo sguardo di tutti, ma presto avrebbero perso
l’abitudine di fissarmi. In quel momento pensavo solo a sfrecciare veloce.
Curvavo di tanto in tanto per superare qualche auto troppo lenta, ma la strada
era quasi sempre dritta, finché arrivai al viottolo nascosto tra gli alberi che
conduceva a casa. Arrivai in cinque minuti. Parcheggiai la moto in garage e
tolsi il casco con un sospiro. Attraversai infine la porta che conduceva
all’interno della casa, sollevata che quella giornata fosse finita. Vidi mia
madre già in piedi, pronta ad aspettarmi. Si era tolta i vestiti da “maestra
perfettina” ed ora vedevo davanti a me sola la mia dolce mamma. Aveva un
sorriso bellissimo ed i denti perfettamente allineati e bianchissimi emanavano una
luce più splendente di quella della lampada. Ogni volta che non la vedevo per
molto tempo era come se la vedessi per la prima volta, la mia mamma sempre
uguale. Ero molto legata a lei, forse più di mio padre. Forse dipendeva dal
fatto che lui non fosse il mio padre biologico, mentre lei sì. Riposi anch’io
al sorriso.
“Come è andato il primo giorno di scuola?” Era entusiasta.
Aspettai un attimo prima di rispondere alla sua domanda.
“Non male” Comincia a dirigermi verso le scale che
portavano al primo piano, ma mi fermai di colpo. Girai la testa verso mia madre
guardandola dubbiosa.
“Quando sono morti i miei genitori?” Il suo sorriso si
spense subito.
“Due anni fa” disse lei sconfortata.
“Ah… va bene” Mi sentii più risollevata: l’avevo sparata
giusta. Lei sospirando si sedette sul divano.
“Abigail!” mi riprese lei.
“Che c’è? L’ho detta giusta! E sono stata anche brava.
Tutti mi hanno creduto” Mi diressi finalmente verso camera mia per cambiarmi
dai vestiti fradici.
“Dopo raccontami com’è andata!” la sentii gridare mentre
io stavo già salendo le scale.
“Certo” risposi io normalmente, sicura che mi avrebbe
sentita. Entrai in camera e mi liberai del casco che avevo in mano e dei guanti
che indossavo. Mi tolsi poi i vestiti per indossare qualcosa di più comodo ed
asciutto: una vecchia tuta grigia pesante e morbida. Il mio stomaco che dalle
due di quel pomeriggio aveva iniziato a protestare incontrollabile mi obbligò
ad andare in cucina. Attraversai il salotto e mamma era ancora lì, come un
bambino impaziente di farsi raccontare la favola della buonanotte.
“Numero uno: la mensa fa schifo” cominciai ad elencare
mentre aprivo il cassetto dei biscotti e del pane.
“Questo si sa, no?” Mia madre era seduta su una sedia.
Trovai un pacchetto di crackers e subito lo presi.
“Ma lo sai come mangio a pranzo. Questo pomeriggio le due
fantastiche ore pomeridiane di spagnolo sono state una tortura per il mio
stomachino.”
Aprii il pacchetto e divorai subito il primo crackers. Lei
sospirò.
“Ci sono circa quattrocento persone in quella scuola che
mangiano alla mensa e sono ancora tutti vivi. Devi adeguarti.”
“C’è sempre una prima volta…” mugugnai io con la bocca
piena. Mia madre mi guardò truce.
“… ma tenterò, tanto l’ospedale è vicino se subirò un
avvelenamento”
“Poi?” disse cambiando subito argomento “Hai conosciuto
qualcuno?”
“Sì, ho conosciuto un po’ di persone del quinto anno. Sono
simpatici.”
“Le lezioni del quinto anno sono difficili? Non vorrei che
avessimo fatto la scelta sbagliata a calarti le ore delle altre materie”
“Mamma, sono solo all’inizio e fidati se ti dico che avete
fatto la scelta giusta.” sbottai io, forse sputacchiando anche qualche
briciola.
“Poi?” continuò lei. Avevo finito il primo pacchetto e
cominciai ad andare alla ricerca d’altro.
“Bé, mi è toccato un po’ andare alla cieca per la scuola,
visto che piantine non ce ne hanno. Ma sono sopravvissuta lo stesso. I
professori non sono male. Spero di aver fatto una buona impressione.” Presi il
pane senza pensarci ed aprii il frigo.
“Certo che avrai fatto una buona impressione” mi rassicurò
la sua voce calda. “Strani commenti?” Individuai subito la maionese.
“Un po’. Anzi, un po’ molti, soprattutto per la moto. Ma
ho risposto nella giusta maniera.”
“Hai offeso qualcuno come tuo solito?” mi rimproverò lei.
Stavo sgarfando tra le verdure in cerca dei sottaceti.
“No, solo il giusto.”
“È stata quindi una buona giornata?” Trovati; li presi
subito. Salame, tocca a te.
“Tutto sommato sì”
“Hai chiesto per il corso di break dance?” Mi diedi uno
schiaffo sulla fronte. Cavoli, il corso!
“A quanto pare no.”
“Già, già... chiederò sicuramente domani...” Aprii il
cassetto e presi il coltello per tagliare il pane. A Chicago avevo fatto per
molto tempo un corso di break dance e l’insegnate mi aveva detto che ero pronta
a diventarlo anch'io. Ed era proprio quello che intendevo provare a fare qua a
Forks; non credevo che ci fosse già un corso che insegnasse break dance, ma
volevo esserne sicura. O magari cercavano proprio un'insegnate. Inoltre avrei
guadagnato anche qualche soldo.
“Ah! Quando andate a ricaricare le batterie tu e papà?”
dissi mentre spalmavo la maionese. "Ricaricare le batterie" mi
sembrava più gentile di “andare a dissanguare poveri animali innocenti”
“Il prossimo fine settimana pensavamo di andare ad esplorare
la zona. Vieni anche tu?”
“Ovvio” Avevo aperto il barattolo nuovo di sottaceti senza
difficoltà. Disposi i cetrioli sulla fetta di pane e ci misi sopra il salame.
Mi sedetti e addentai con un morso il mio panino. Alzai gli occhi masticando.
Mia madre mi stava guardando in modo strano e non staccava gli occhi dai miei.
Voleva qualcosa, ma non capivo cosa. Oh, ora avevo capito.
“E a te come è andata?” Le si dipinse un grandissimo
sorriso e gli occhi le si riempirono di dolcezza.
“O Abigail” La sua voce era miele
“Dovresti vedere come sono dolci. Sono stati tutti zitti,
immobili ed attenti mentre parlavo.”
“Sarà perché avranno avuto una paura di te…” mormorai al
secondo morso. Un ringhio di pantera uscì dalla sua bocca. Non mi spaventai
nemmeno un po’. E come avrei potuto; era mia madre. La sua voce si rifece dolce
e continuò trasognata.
“E poi sono così belli! Hanno tutti dei grandi occhioni e
quando sorridono sono così belle le loro guanciotte piene. Soprattutto quelli
delle prime classi. Sono così piccolini. Tanto erano belli che li avrei
mangiati!” Tornò a guardarmi truce. “Nel senso buono, ovviamente” disse seria
lentamente. La faccia che avevo fatto sentita l’ultima frase diceva molto più
delle parole. Eravamo fatti così: i miei genitori mi prendevano in giro perché
ero strana, mentre io li prendevo in giro perché erano dei vampiri. Un equo
scambio di battutine biologiche. Superdaddy e Wondermummy erano gli scemi
soprannomi che gli avevo dato da piccola, insieme a Normalgirl, che ero io, e che
anche adesso usavo qualche volta. Lei continuava immersa e coinvolta nel suo
racconto.
“Pensa, durante l’ora pomeridiana di disegno uno dei bimbi
ne ha fatto uno per me. Guarda” Tirò fuori dal nulla un foglio bianco su cui
c'era disegnato…
“Una lampada?”
“No, è una farfalla” disse acida lei.
“Ah… giusto…” tornai al mio panino. Lei continuò a parlare
della scuola, dei bambini. Ed ancora della scuola e dei bambini. Mia madre
aveva uno assurdo senso della maternità spinto all’eccesso. Non osavo pensare i
livelli che aveva raggiunto la sua gioia quando ero una lattante. Io invece non
avevo ancora sviluppato questo lato materno e attualmente vedevo solo la parte
brutta dei bambini: urlavano, mangiavano, non dormivano, urlavano ancora. Ed
era anche un bene, visto che avevo solo diciassette anni.
“… non trovi anche tu che non sia giusto?” Io la guardai
sussultando. Mi aveva fatto una domanda.
“mmhh… già, è davvero ingiusto” affermai io
improvvisamente interessata. Ero arrivata a metà panino. Lei mi guardò particolarmente
male.
“Non mi stavi ascoltando” disse seria.
“Mi ero solo distratta un momento. Ho passato una giornata
faticosa e sono davvero stanca.” Lei non abboccò. Avvicinai il panino alla mia
bocca, ma i miei denti afferrarono l’aria. Guardai le mie mani vuote. Dov’era
andato a cacciarsi il mio panino?! Guardai mia madre che stava osservando il
soffitto con un’aria disgustata.
“Mi hai mangiato il panino” mormorai sconvolta. C’ero
rimasta male un casotto.
“Che fa anche schifo. L’ho sempre detto che tu non sai
cucinare”
“Mamma, certo che ti fa schifo! Ti deve fare schifo! Tu
sei un vampiro!” mi alzai ancora sorpresa. Il mio panino…
“Tu sei un vampiro… io no… Cos’è questo razzismo
biologico?” Mio padre era comparso all’improvviso in cucina e stava dando un
leggero bacio sulle labbra a mamma. Anche lui non aveva più i vestiti da
lavoro.
“Ha mangiato il mio panino!” risposi sconvolta indicando
mia madre.
“Oh… l’hai fatto tu?”
“Sì” risposi secca. Non vedevo come potesse centrare
questo.
“Ti ho sempre stimata per il tuo coraggio, Sophie” disse
teneramente a mia madre.
“Ma si può sapere cosa diavolo avete! Siete vampiri, non
potete sapere come cucino!” gridai tornando a prende di nuovo il pane mentre
tra poco mi sarebbe venuta una crisi di nervi. Loro stavo ridacchiando
divertiti. Io non ci trovavo niente di divertente invece.
“Come mai hai fatto tardi?” gli chiese mia madre.
“Sono andato a prendere questo” disse tirando fuori dalla
tasca della tuta un biglietto della lotteria. “Mi sentivo ispirato.”
Non è da tutti avere una villa ed una Lamborghini; la mia
famiglia era piuttosto ricca ed i biglietti della lotteria ed il gioco in borsa
erano le principali fonti di questa prosperità. Erano attività rischiose basate
principalmente sulla fortuna, ma mio padre ne aveva tanta di fortuna. Aveva una
specie di sesto senso che si attivava di botto. Mi aveva spiegato una volta che
cos’era; qualche volta l’istinto prevaleva di scatto sulla ragione e gli faceva
fare “la cosa giusta”, diciamo. Come per esempio trovare i giusti numeri o
puntare sulla giusta società. Ma non usufruivo molto di questo bottino; la moto
era stata il regalo dei sedicianni, ma per il resto me la volevo cavare da
sola. Non avrei potuto contare sempre sui miei genitori. Per questo i soldi per
il corso di break dance non mi sarebbero dispiaciuti. Questo dono inoltre
coinvolgeva anche il futuro; certo, non lo prevedeva o cos'altro, ma sapeva
semplicemente se qualcosa sarebbe andata bene o male. E ci azzeccava sempre.
“E a lavoro come è andata?” Lui sospirò.
“Abigail, domani a scuola potresti tentare di investire
qualcuno, così avrò da fare qualcosa” scherzò lui.
“Ancora meglio; domani persuaderò le cuoche a lasciarmi
cucinare, così avrai quattrocento casi di avvelenamento” mormorai imbronciata.
“Abigail, stavamo scherzando” disse mia madre con un
sorriso.
“Sì, lo so” mi girai più serena con il panino già fatto.
Mio padre continuò il discorso.
“In una piccola cittadina sono pochi i pazienti. Non c’è
molto lavoro. Ma meno gente sta male, meglio è.”
Il suo lavoro gli stava molto a cuore. Mi diceva sempre
che riuscire a fare il medico era stata una delle sue più grandi fortune da
quando era diventato vampiro; mi aveva detto che si sentiva ogni volta felice
al pensiero che se non fosse stato un vampiro “vegetariano” avrebbe ucciso
tante persone quante ne salvava ora.
“Il posto è abbastanza tranquillo e per esattezza” si
rivolse a me in aria di sfida “sono state tutte le infermiere che ho
conquistato”
“Così si fa!” gli dissi facendogli vedere il pugno, che
lui colpì con il suo. Il suo viso poi si illuminò immediatamente, diventando
quello di un bambino.
“E ho saputo una notizia fantastica” Da tempo non lo
vedevo così entusiasta. “Questa casa prima era di proprietà di Carlisle
Cullen!” Anche mia madre divenne radiosa.
“Davvero!” Annuì la testa sorridendo.
“Il dottor Cullen, con moglie e cinque figli.” Scosse la
testa ancora dalla sorpresa. “Alla fine ci è riuscito anche lui.” I miei
genitori erano entrambi commossi. Io invece no. Qualcosa non andava proprio.
Non avevo la più pallida idea di cosa stessero parlando, inoltre sapevo chi
erano i Cullen, ma questo Carlisle…
“Chi è Carlisle?” Mio padre si sorprese di nuovo.
“Non ti ricordi? Eppure te l’ho detto molte volte chi
è...”
“Ah...! È quel vampiro che ti ha insegnato la dieta
vegetariana?” Ora ricordavo. Papà lo stimava tantissimo. Diceva che non aveva
mai incontrato un vampiro come lui.
"Sì" rispose lui. Aspetta, aspetta. Mi stava
prendendo il panico. Cominciai a ragionare: se il signor Cullen era un vampiro
vegetariano... doveva esserlo anche la sua famiglia. Quindi... Bella... si era
innamorata di un vampiro. Un'espressione di terrore mi si dipinse in volto.
Oh... I vampiri erano tutti bellissimi ed era una delle loro caratteristiche
che usavano per attirare le prede e mangiarle. Bella stava per essere uccisa da
un vampiro. Vegetariano, ma sempre vampiro era. No, no, aspetta... Jessica
aveva detto che erano stati insieme per più di un anno. Non si trattava di
questo, l'avrebbe già uccisa, Non può essere riuscito a resistere per un anno.
Ma che...!
"Cosa c'è Abigail?" Sentivo le sopraciglia
contrarsi. Guardai in faccia mio padre.
"È possibile che uno dei figli del tuo amico sia
umano?" Lui scosse fortemente la testa.
"No, impossibile. La tua situazione è più unica che
rara. Conosco Carlisle molto bene e non avrebbe rischiato. Perchè secondo te è
così?"
"Perchè una ragazza che ho conosciuto a scuola era la
fidanzata di uno dei figli" dissi in un sospiro. Entrambi i miei genitori
ora avevano la mia stessa espressione.
"Sei sicura che ti abbiano raccontato la
verità?" disse scettico. Non ci credeva nemmeno lui.
"Sì, perchè mentirmi?" Mio padre si prese il
mento tra le dita: era la sua posizione del pensatore.
"Si possono essere innamorati davvero?" ripresi
io. Anche mio padre aggrottò le sopracciglia.
"Non amore. È molto più probabile che sia
infatuazione l'uno con l'altro. È quello che è successo a me a tua madre."
Lo vedevo ancora molto dubbioso. "Ma sono molto più convinto che il
vampiro in questione non si sia del tutto adattato alla dieta." Ovvero,
voleva mangiarla.
"Sono stati insieme per più di un anno" precisai
io. Spalancò gli occhi. Mio padre si sorprendeva abbastanza raramente e fui
sorpresa anch'io della sua reazione.
olte vote chi
è!"pure i nuovo,
esto
Carlsile...ullen! l'il suo. dre ne aveva tanta di fortuna..- si sentiva
appagato ogni volto"Per più di un anno?!" disse perplesso. Io
annui sicura. Lui scosse la testa.
"No, è impossibile. Un vampiro non può reprimere il
suo istinto per così tanto tempo. Forse ha molti secoli di esperienza alle
spalle è riesce a resistere al sangue umano come me e Carlisle..." si
fermò un attimo. Quando pensava gli capitava qualche volta di ragionare ad alta
voce e lentamente, nonostante fosse un vampiro abituato a fare ragionamenti
impossibili in millesimi di secondo.
"E' strano però, Carlisle non avrebbe mai permesso
che uno dei suoi figli arrivasse fino a questo punto, indipendentemente dalla
capacità di reprimere il proprio istinto." Fece un respiro profondo e mi
guardò negli occhi sconsolato.
"Non ho mai sentito nulla del genere, Abigail. Non so
proprio cosa pensare." Se lui non sapeva cosa pensare allora io avevo un
terribile disordine in testa, molto peggio di quello che lasciavo in bagno dopo
essermi fatta la doccia. Un vampiro ed un'umana, legati da nessun particolare
legame parentale, PAM!, passano un anno insieme, come una dolce coppia di
fidanzatini. Più che un dato di fatto assomigliava ad una barzelletta: ehi
gente, sapete qual'è il colmo per un vampiro? Infatuarsi di un'umana e restare
con lei per più di un anno senza mangiarla! Ah... ah... ah...
La mia malata fantasia si interruppe quando incrociai gli
occhi di mia madre. Non aveva aperto bocca da allora. Lei era molto più
obbiettiva di papà e prima di esprimere il proprio giudizio voleva conoscere
appieno la situazione.
"E' assurdo, ma effettivamente non c'è altro che lo
possa spiegare." Riprese mio padre
"Cosa?" Mi stava tenendo sulle spine; questa
storia assurda mi aveva dannatamente coinvolto.
"Non si può più trattare di semplice infatuazione o
attrazione carnale, ma di qualcosa di molto più forte e molto più grande, a
questo punto. E' possibile che ci sia stato davvero dell'amore. A dirla tutta,
per quanto ne so, non è mai successo una situazione del genere, ma forse non è
detto che non possa avvenire." Papà cominciò a fare piccoli passi per la
cucina; si era fatto completamente prendere anche lui, mentre io cercai mi
spremetti le meningi per seguirlo.
"Si spiega la capacità del vampiro in questione di
reprimere la sua stessa natura e a resistere al suo sangue per così tanto
tempo." Spalancai gli occhi. Poteva davvero accadere?! Un vampiro ed
un'umana, insieme, per più di un anno intero. Più ripensavo a quello che aveva
appena detto, più mi convincevo che era così. Anche se continuava a rimanere
una totale assurdità. Sorrisi involontariamente, proprio io mi stupivo della
assurdità? La mia vita era l'impossibilità fatta a persona.
"In effetti... "
"...è molto probabile che sia così" finì mio
padre per me. Si fermò e si sedette su una sedia della cucina; accavallò le
gambe, incrociò le braccia e continuò a ragionare con lo sguardo perso sul
soffitto bianco.
"Ipotizzando che questo sia vero allora quel vampiro
deve avere avuto una forza di volontà poco comune. Mi chiedo come Carlsile
abbia potuto gestire questa situazione..."
"E la ragazza?" Per la prima volta mia madre si
univa al discorso.
"Una semplice ragazza, un po' taciturna. Quando però
ho nominato i Cullen oggi a mensa il suo viso sembrava quello di un morto
vivente" le risposi, consapevole solo troppo tardi che quello che avevo
detto non era molto logico.
"Giusto, c'è poi anche la ragazza. Mi chiedo come
abbia fatto a non sentirsi in pericolo vicino ad un vampiro; l'istinto porta
gli umani a starsene lontano da noi..." Papà sembrava in un altro mondo.
"Può non sapere che lui fosse un vampiro" Fu la
prima cosa che mi venne in mente.
"Assolutamente no. Dopo così tanto tempo lo deve
sapere. Anzi, a parer mio lui glielo deve aver detto fin dall'inizio..."
Sembrò poi tornare tra noi.
"Un vampiro ed un essere umano. Ne avevo sentite
tante, ma questa mi era del tutto nuova..."
Dopo quest'ultima frase di papà calò uno strano silenzio
su tutta la casa. Se era vero quello che aveva detto su quello che c'era tra
quei due, allora Bella aveva tutte le ragioni di questo mondo per essersi
comportata in quel modo. Se aveva rischiato la propria vita per stare con la
persona che amava vuole dire che anche lei lo amava da impazzire. Sapere che
non l'avrebbe più visto aveva dovuto ucciderla. Aveva davvero un carattere
forte se era riuscita a non strisciare a terra agoninate. Almeno, a me non era
sembrato...
"Quei due si amavano fino al punto da rinunciare alla
propria vita e reprimere la propria sete" spezzai io il silenzio,
riassumendo il punto della situazione. C'era però qualcosa che continuava a non
quadrare. Alzai lo sguardo che nel frattempo si era perso nel vuoto.
"Ma allora perchè i Cullen se ne sono andati? Questo
non ha alcun senso"
"Abigail, adesso credo che tu stia chiedendo troppo" mi interruppe
mamma.
"Tua madre ha ragione. Effettivamente noi non
c'entriamo niente con questa storia e per quanto ci riguarda un'ipotesi può
essere più improbabile dell'altra. E anche quello che abbiamo dedotto può non
essere vero. Inoltre i Cullen se ne sono andati; non ha più senso
parlarne" concordò anche mio padre.
"Abbiamo quindi sparlato della famiglia del tuo amico
fino ad adesso?" dissi io neutra. Lui si girò verso di me con un sorriso
enigmantico.
"Sì, ma nel senso buono del termine." Io risposi
al sorriso.
Avevano ragione, ma il fatto che un vampiro ed un'umana si
era innamorati era tanto assurdo quanto il fatto che si siano lasciati. Perchè?
Avevano rischiato tanto fino a questo punto, perchè improvvisamente lasciar
perdere?
"Cerca di lasciar perdere questa storia, va
bene?" La mano di mamma sulla mia spalla mi fece tornare alla realtà, come
se mi avesse letto nel penisero. Ed in un certo senso ci riusciva.
"Sì, certo, non è affar mio..."
Giusto, dovevo lasciar perdere questa storia. Finché non
ne sapevo niente era come andare alla cieca. Era però un mistero davvero
avvincente e poi centrava Bella. Avrei voluto fare qualcosa per lei, soprattutto
adesso che conoscevo parte della storia; entrambe abbiamo avuto a che fare con
i vampiri. Mi sentivo vicina a lei, nonostane l'avessi conosciuta solo oggi.
Cercai però di non badarci più e pensare ad altro di più importante. Ammirai il
mio secondo panino e gli diedi un morso.
Allora? Che ve ne sembra? Le cose si stanno facendo
interessanti. Anche se procederanno un po' lentamente vi chiedo di avere
pazienza.
X RiceGrain: Ciao! Sono contentissima che il primo
capitolo ti sia piacciuto! Spero lo sia anche questo! Grazie tante per il
commento! :)