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Quelli che rivelano subito il proprio amore, senza timori né
attese, non vengono mai creduti e non vengono mai considerati. L’idea comune è
che l’amore sia una solida pianta, destinata a fiorire solo dopo un lungo
periodo di tempo, ma tutto ciò che è comune era estraneo a quell’amore vero,
puro, profondissimo, che non trovava ragione nel tempo ma nella passione.
Un Romeo innamorato canta la sua serenata di strada. E’ un
Romeo stregato dall’amore, e chi l’ha stregato è una Giulietta dei tempi
moderni, un po’ svampita e molto astuta, che lo lega a sé attraverso il laccio
della promessa di una notte d’amore.Nessuno sa come andrà afinire
tra questi giovani innamorati che si rincorrono come in preda ad una febbre
perché spinti e mossi da un bisogno profondissimo.Non c’è un domani. I due giovani sembrano
quasi posseduti da una presenza demoniaca che li spinge l’uno verso l’altra.
Non c’è volontà in questo, non c’è il proposito del comune gioco di potere, ma
soltanto un’irresistibile e cruda fame, fame di tutto l’amore del mondo che
vive in loro e cresce fino a diventare qualcosa di indefinito, al medesimo
stato delle cose grezze.
Chi dice che l’amore deve essere costruito su solide
fondamenta, basato su promesse ed eretto su piramidi di parole? Il vero amore,
posso ora dire guardando Il giovane Romeo e la giovane Giulietta, si esprime
nella immediatezza di un attimo, nella potenza di uno sguardo, nella passione
di un lungo abbraccio, nell’intreccio di due amanti che stanno bruciando, nel
sospiro delle voci, nei sorrisi felici, sinceramente. Questo è certo tutto
quello che si deve sapere dell’amore, e niente altro. La pienezza di questi
sentimenti, la loro verità.
Il vero amore era lì: era triste, era infinitamente bello e
appassionato. Il vero amore era quel fuoco e quel gioco crudele che Romeo e
Giulietta tessevano a vicenda in faccia all’altro, era nella menzogna che ogni
giorno si raccontavano pur conoscendo la reciproca verità. Il vero amore era in
quella menzogna apparentemente crudele, ma che in realtà era un gioco infantile
che entrambi conducevano con piena consapevolezza. Quella menzogna non era però
il tradimento dell’uomo che mostra al mondo due facce e al contempo cerca di
nasconderle. Piuttosto era una menzogna d’amore che entrambi accettavano, e
rispettavano, come un patto.
Romeo e Giulietta giocavano al gioco dei traditori,
corrotti, malvagi e sporchi, ma quanto era puro quel gioco, e quanto di più
distante da quello che sembrava essere! Quello era il vero amore, libero da
tutto, da ogni rimorso, ogni paura di perdere l’altro, ogni speranza. Un amore
che era vuoto ma sempre pronto, in un attimo, a riempirsi di tutti i sogni che
ci sono al mondo. Era un amore in cui tutti i sogni si componevano e
disfacevano più volte nello stesso giorno. Un amore che poteva essere tutto e
che poi non era niente, e viceversa. Che per questo aveva qualcosa
dell’infinito: era alfa ed omega, fine e principio, buio e luce, e poteva
essere tutte queste cose in un solo momento.
Giulietta e Romeo si amavano, ma nemmeno loro stessi ne
erano coscienti. Avrebbero ricordato per sempre il cuore battere così forte al
suono della voce più dolce e a quell’orecchio così cara. Quando Giulietta disse
addio, il suo viso era rigato da un albero di lacrime, che scendevano lungo i due
lati del viso, ma Romeo non poteva saperlo, e così rispose soltanto all’addio,
ma senza nessuna pretesa e senza nessun rancore. Certo, Giulietta avrebbe
voluto da Romeo qualunque tipo di promessa, o un patto che la legasse
finalmente a lui, oppure avrebbe preferito essere lasciata libera, e sola. Ma
Romeo non poteva permettersi promesse, un po’ per la sua indole naturalmente
instabile, un po’ per quella nullità che c’è in ogni promessa. E poi nemmeno
Romeo sapeva che cosa si celasse nel suo cuore, e se lo sapeva era troppo
spaventato per lasciare che quella cosa regolasse la sua vita.
Quella notte non passò mai, anzifu un giorno infinito. Romeo e Giulietta si
erano mescolati, si erano spogliati e si erano rivelati. Avevano pianto, si
erano lamentati l’uno dei difetti dell’altro, si erano rimproverati, avevano
sorriso, poi riso sinceramente e di gusto, poi avevano giocato, si erano
rincorsi, si erano disperati, avevano perso la speranza e poi l’avevano
riacquistata, si erano smarriti in un sogno ed erano riemersi nella realtà, ed
era parsa loro, in quel momento, ancora più bella del sogno. Si erano
raccontati l’un l’altro, si erano accarezzati, si erano amati e si erano
odiati. Poi si erano stretti e si erano addormentati. Nel cuore della notte
Romeo aveva preso a baciare la schiena di Giulietta. Lei aveva sentito il
sangue scorrere più impetuosamente nelle vene, aveva sentito un brividoprofondo, come mai le era successo, partire
dalla base della schiena e diffondersi in tutto il corpo. Giulietta aveva capito
allora che cosa fosse la passione,e l’aveva amato per averle permesso di
scoprire quell’universo così discusso ma per lei così nascosto. A Giulietta
parve che il mondo si fermasse lì e allora, alle tre e trenta del mattino. Capì
che il suo fare l’amore prima di Romeo non era stato amore, ma una sequenza di
atti fatti per dare e ricevere un piacere squallido, impersonale, freddo,
distante.
Romeo e Giulietta passarono la notte a leggere poesie d’amore.
A Giulietta parve che Romeo la comprendesse più di quanto non la comprendessero
persone con cui era cresciuta. Le parve che Romeo fosse nato per lei, per amare
ciò che lei amava, per farle provare l’amore. Erano pazzi, entrambi. A volte
lei era triste e malinconica. A volte lui era esageratamente presuntuoso.A volte lei sembrava prendersi troppo sul
serio. A volte lui sembrava perdersi nelle sue originalità. A volte lei
dimenticava chi fosse realmente, e sembrava essere tutto e non essere niente. A
volte lui sembrava perdersi nei suoi pensieri, e d’improvviso diventare
scostante.A volte lei si buttava nelle
sue manie.
Nel grigiore e nella disperazione della triste vita di Giulietta,
Romeo parve comparire come un regalo tanto inaspettato. Romeo uscì spavaldo dal
portone dell’edificio e nell’attimo in cui vide Giulietta, seduta su un vecchio
motorino giallo, rimase pietrificato per un secondo, nell’attesa che qualcosa
accadesse. Era bellissima, alta e bionda, con la pelle, delicata, del colore
dell’avorio. Giulietta lo ammirò per la sua parlantina e per il suo modo di
fare così sicuro e attraente.
‘ Prima mi sarebbe piaciuto essere il tuo amante, ricordi?
Non ci avrei messo nulla a mollare il mio lavoro da medico per venire da te a
fare il giardiniere. Pur di stare con te.. ma ora non vorrei mai assistere al
tuo matrimonio, preferisco sposarti io e poi mantenerti per sempre. Non
sopporterei l’idea che tu possa sposarti con un altro’
‘ Ma non potrei mai sposarti’
‘Io starei con te per tutta la vita, e tu mi faresti
sognare, con le tue poesie, con i tuoi sogni, non potrei mai stancarmi di te ’
‘ Quando sono con te mi sembra un giorno che siamo due anime
gemelle, e il giorno dopo mi sembra che tu non abbia niente in comune con me, e
che tu invece non possa promettermi, né darmi niente. Però poi mi sembra che tu
sia così simile a me.Anche io sono
fatta così’
‘Tu mi piaci da morire, mi piaci per quello che sei, per
quello che fai, mi piaci per i tuoi sbalzi d’umoree per le tue lune, mi piace tutto di te,
anche quando sei arrabbiata senza motivo e anche quando ti prendi troppo sul
serio ’
‘ Mi piace sognare insieme a te ’
‘ Io voglio che tu sia libera ’
‘Meraviglia..perché piangi? Perché? Perché stai piangendo?’
‘ Perché non voglio stare male, per nessuno, non permetterò
mai più a nessuno di farmi stare male’
Giulietta aveva già da tempo realizzato, e compreso quello
che Romeo stentava a credere: erano il tempo ed il luogo ad essere sbagliati in
tutta quella storia d’amore. La dolcezza e le molte asperità di Romeo, la
rudezza e le morbidezze di Giulietta sarebbero state un collante se fossero
stati vicini. Ma erano lontani, lontani, lontani per una distanza impossibile
da colmare, e infinita come il tempo.Ogni giorno l’immagine dell’altro sbiadiva reciprocamente dai loro ricordi,
e quell’immagine finiva per diventare un’ombra, o una nebbia a tratti fitta e a
tratti più leggera. Il ricordo dei loro volti era talvolta più netto, e
ricordavano il profumo forte o dolce misto a sudore, il tatto forte e
possessivo, gli occhi grandi o azzurri come il mare, lo sguardo diabolico o lo
sguardo semplice, il sorriso traditore e il sorriso sciocco. Però altre volte
tutto questo ricordare sembrava così irreparabilmente lontano, e non c’era
speranza in questo.
I loro cuori bramavano di stare ancora insieme e ogni
giorno, con lentezza, morivano. Parlare ogni giorno senza potersi vedere o
toccare era uno stillicidio insopportabile e triste. Era triste sapere di non
potere più sfiorare quelle mani, abbandonarsi tra quelle braccia e morire, sì,
morire tra quelle dita, e perdersi nei segreti di quegli occhi. Quegli occhi
grandi. O forse era più che triste, era una tremenda malattia, un morbo,
un’agonia, una condanna del cielo che dovevano scontare perché così diversi
dalla conformità. Quei moderni Giulietta e Romeo dovevano nascondere il loro
amore agli occhi di tutti per non far sorgere inutili gelosie, calunnie. Ma in
cuor loro, mentre uscivano furtivamente di casa, e ben attenti a fingere di non
essere insieme, belli come due statue, ribelli come due aquile, speravano che
gli altri avessero già capito tutto e segretamente invidiassero quella loro
passione così sfrenata e folle.
In un altro tempo e in un altro luogo, un luogo dove
avessero potuto stare insieme, si sarebbero amati fino alla fine, fino alla
morte.
Quella domenica pomeriggio finsero di non conoscersi, era il
gioco della menzogna. E non appena furono lontani dagli sguardi degli altri si
baciarono appassionatamente. Romeo rubò un gioco da tavolo per Giulietta, e fu
emozionante e pazzo, terribilmente infantile, precipitarsi giù per il sentiero
per raggiungere la strada ridendo come i matti. Risero tantissimo, e si
strinsero più volte, erano contenti di essere insieme e di avere trovato
qualcuno che condividesse le reciproche follie. Era questo che li legava,
perché si sentivano e forse volevano essere incompresi da una realtà statica e
grigia. Romeo e Giulietta si sentivano i padroni del mondo, si sentivano i re,e
gridavano a squarciagola, e puntavano i piedi come i bambini quando vogliono
qualcosa.
‘ Giulietta, tu sei poesia pura. Tutto quello che dici è
poesia. Non mi stancherei mai di sentirti parlare, è così bello ascoltare le
tue storie da mille e una notte’
Romeo aveva risvegliato qualcosa di Giulietta che era
rimasto assopito per molti anni. Aveva infatti risvegliato in lei il cuore
piangente, l’ardore profondo senza cui le parole non farebbero piangere, né
ridere.
E Giulietta sentiva fisicamente la sua testa affollarsi di
domande, e avrebbe voluto che Romeo la chiamasse, anche solo per sentire la sua
voce da lontano. Fare e disfare era tutto quello che i due innamorati sapevano
fare, ma non è questo quel fuoco che è l’amore?A volte Giulietta era oppressa dallo sconforto e si domandava se le
delusioni subite per il troppo amore erano servite o se poi sarebbe stato più
opportuno, per modificare quella sua tremenda tendenza al dramma,cambiare il suo atteggiamento nei confronti
della vita. Ma non si poteva concludere nulla, se non che tutto quell’amore che
sgorgava da entrambe le fonti serviva a sé stesso. Perché l’amore non ha
bisogno di motivazioni, non ha bisogno di niente. Esiste a qualunque
condizione, in qualsiasi situazione e con chiunque.
Quell’amore aveva ricucito le ferite ed aveva fatto
dimenticare, e soprattutto era servito a comprendere delle cose fondamentali con
una maggiore lucidità. Per esempio, Giulietta aveva capito che cosa cercasse
dall’amore. Romeo aveva capito che per amore non si può morire. Giulietta aveva
riversato, e rovesciato, la sua enorme sofferenza su Romeo, e lui l’aveva
compresa, accolta, in parte guarita. Romeo alimentava in lei un fuoco che
altrimenti sarebbe stato fatuo, e che per questo quel fuoco si chiamava amore.
Però mentre si allontanavano quel dolore si faceva cronico e
cresceva, cresceva, il gioco dolce e sbarazzino dell’amore andava
trasformandosi gradualmente in una grande sofferenza del cuore, e si rendeva
necessario troncare quell’amore sul nascere, prima che fosse troppo tardi e
distruggesse ogni forma di vita in Giulietta. Ma mentre erano lontani e sempre
più infinitamente divisi era chiaro che la morte era lì e si nascondeva nei
motivi di quel pretesto che ora sembrava banale, inventato per farsi male senza
morire. Nessuno sapeva fermare quell’emorragia lenta che sostituiva il colpo
mortale per il bene degli amanti.
La decima notte Giulietta sognò Romeo, ma come se fosse il
nonno che non aveva mai conosciuto, e lo sognò come se fosse nella trepidante
attesa di lui, delle sue radici, del suo significato profondo. Al risveglio
pianse perché dentro di sé aveva il lutto che portava per Romeo, per non potere
più sentire le sue parole e non toccare più il suo corpo, non avvicinare più a
lui le sue labbra e non potere più guardare quegli occhi pieni di passione.
‘Tu parli troppo, hai una maledetta paura del silenzio ’
‘ Io odio il silenzio perché lascia intendere cose che in
realtà non sono, e che sarebbe meglio spiegare’
‘Ma non capisci che ci sono cose che si comprendono solo
osservandole. Tu pensi di poter conoscere una persona, ma quando parli ci sono
mille cose che non sono vere, e lo capisco dal modo in cui mi guardi, o ti
comporti’
‘Non è vero, sono sempre sincera’
‘ Oh, no, tu non lo sei mai. Sei spesso falsa, e molto
costruita, ed è per questo che mi piaci così tanto’.