Snow-flake Lullaby 2
La
giudice mi ha fatto notare che in questa storia sono caduta nell'OOC.
Forse è così, forse la storia ha avuto il
sopravvento sulla trattazione dei personaggi, ma spero che questa
versione della famiglia Uchiha possa piacervi.
Snow-flake
Lullaby
Ninna nanna del fiocco di neve
se si scioglie qualcuno
lo beve
ninna nanna dell'acqua
piovana
che c'inzuppa una
settimana
se non dormi sarai
stanco...
Lui non ci
voleva andare. Fin da subito.
Non che avesse subodorato qualcosa, sia chiaro, ma qualsiasi
oscillazione del normale andamento delle cose non gli andava
decisamente a genio. Una cosa genetica, forse. Probabilmente l'unica
che lo accomunava a suo padre.
Ma sua madre non aveva voluto sentire ragioni. Aveva trovato quello splendore, era un'occasione che non
le sarebbe più capitata e sarebbe stato un vero peccato
lasciarsela sfuggire.
Non dovette nemmeno arrabbiarsi o pregare il marito: lei non ne aveva
bisogno. Bastava il suo incontenibile entusiasmo a farlo desistere e a
renderlo incapace di dire “no”.
Itachi diceva che, di solito, gli uomini di una stessa famiglia sposano
il medesimo tipo di donna.
Dopo tale constatazione, Sasuke fu più deciso che mai a
tenere il genere femminile il più lontano possibile dal
proprio spazio vitale.
Vi arrivarono all'inizio di settembre, prima che iniziasse la scuola,
in modo da avere il tempo di sistemare le loro cose. In
realtà le sistemarono praticamente in due giorni,
perché sua madre voleva avere il tempo di “andare
in esplorazione” prima di iniziare il nuovo lavoro. Parole
sue, “andare in esplorazione”. Cose che fanno i
bambini delle elementari, anche se Sasuke aveva nove anni e non l'aveva
comunque mai fatto.
Per fargli passare un po' del broncio che sembrava aver perennemente
assunto come espressione facciale, i genitori- dietro volere della
madre- gli lasciarono il letto più grande.
Anche tutti gli altri lo erano, ma quello era decisamente enorme. Un
letto matrimoniale ampio quanto l'entrata di un piccolo appartamento,
dove si potevano fare quattro capriole di fila per la lunga e tre per
la larga, senza cadere giù.
L'umore di Sasuke schiarì un po', e dal nero più
cupo passò al grigio variabile.
Con estremo disappunto di Mikoto, col passare delle settimane non
accadde nulla. Niente spettri, anime dannate, zombie che salissero dal
pavimento sconnesso.
Tratteneva eccitata il respiro ogni volta che udiva un rumore di dubbia
provenienza, cercando di capire da che punto provenisse e quale tipo di
spettro potesse provocarlo.
Mentre lei si perdeva in mille congetture, il marito e il figlio
maggiore agguantavano con un sospiro la cassetta degli attrezzi- sempre
sottomano- e andavano a riparare l'ennesima persiana, finestra, porta o
gradino.
Avevano anche dovuto sistemare delle trappole nei punti strategici,
perché era fin troppo evidente che lo zampettare rapido che
si udiva di quando in quando era da attribuirsi agli unici inquilini
già presenti. Topi, e non
poltergeist.
A dicembre, Sasuke era più che deciso a trascorrere a casa
tutte le vacanze natalizie. I suoi nuovi compagni di scuola,
intenzionati ad accogliere ogni nuovo venuto con tutti gli onori, lo
avevano invitato alla festa di fine anno del paese.
Ovviamente lui aveva risposto chiaro e tondo di no, ma temeva che il
messaggio non fosse stato adeguatamente recepito, in quanto ogni tanto
quel ragazzino biondo e logorroico gli telefonava per ricordargli di
venire alla festa. Come se qualcuno, anche volendo, potesse
dimenticarsi quand'è che finisce l'anno.
La sera del ventisei dicembre, il giorno dopo Natale, andò a
letto infilando per bene la borsa dell'acqua calda sotto le coperte.
Faceva un freddo cane, in quella casa: quando l'avevano costruita il
riscaldamento non era ancora stato inventato.
Nel momento in cui, ad un certo punto della nottata- sicuramente la
mezzanotte doveva essere passata da un pezzo- sentì il letto
farsi umido, imprecò mentalmente. Gli sembrava di averla
chiusa bene, quella dannata borsa di gomma! Senza aprire gli occhi,
cercò a tentoni sotto il piumino, tastando con la mano in
quel calore umido.
Trovatala, provò a toccare il tappo, e rimase decisamente
sorpreso nel sentirlo ermeticamente chiuso. Si costrinse ad aprire gli
occhi; tirò fuori la borsa e la scosse leggermente,
accorgendosi con stupore che non cadeva la minima goccia d'acqua.
Eppure il letto si faceva sempre più bagnato.
Pur nel sonno pastoso della notte d'inverno, una certa logica razionale
gli disse che una cosa del genere non
era possibile. No, era assurdo che avesse fatto la
pipì a letto.
Si alzò di scatto, scostando bruscamente le coperte,
inorridito da ciò che avrebbe potuto trovare. Diamine, aveva
nove anni! Aveva fatto la pipì a letto due volte in tutta
la sua vita. Chi l'avrebbe sentito, Itachi?
Al buio non poteva vedere molto, ma rimase non poco sollevato nel
sentire che quella chiazza umida che si andava espandendo non aveva
affatto l'odore della pipì. Sollievo che durò un
decimo di secondo, perché l'istante dopo un guizzo nella sua
mente gli pose la domanda: “Sì, e allora che cos'è?”.
Si fiondò ad accendere l'abat-jour sul comodino, e rimase a
dir poco impietrito. Quella macchia calda e bagnata dall'odore strano
aveva ormai coperto buona parte del materasso. Ma che diavolo era? Si
avvicinò un po', carponi sul letto, e fece un balzo indietro
quando vide qualcosa di scuro affiorare dal punto in cui aveva
cominciato ad espandersi l'acqua. Qualcosa di scuro ma altrettanto
acquoso, dall'odore non esattamente neutro.
Gettandosi nuovamente verso il comodino, si decise ad accendere la luce
della lampada sul soffitto.
Vide che quel liquido denso, che al buio sembrava scuro, era in
realtà rosso. Di un'inconfondibile
tonalità di rosso.
Sarà stato anche solo un bambino, ma quella notte
urlò con tutto il fiato che si potrebbe usare in nove anni
di vita.
Ninna nanna del soffio di vento
c'è chi
è triste e chi è più contento
ninna nanna io canto
alla luna
chi è allegro
ha un po' più di fortuna
se non dormi sarai...
Gli era venuta voglia di scappare di casa, quando aveva visto quel
luccichio negli occhi di sua madre, accorsa subito dopo quell'urlo
disumano. In religioso silenzio, la donna aveva toccato piano il
materasso, decretando: “Sì, è
sangue”. Da un chimico non ci si poteva aspettare niente di
meno.
Gli era venuta voglia di gonfiare di botte Itachi quando, sulla soglia
della sua stanza, coi capelli ancora sciolti e scarmigliati, aveva
commentato: “Ehi, otouto. (¹) Non è un
po' presto per il ciclo? E poi credevo fossi un maschio.”
E, per la prima volta in vita sua, gli era venuta voglia di abbracciare
suo padre quando questi aveva mollato un sonoro scappellotto sulla
testa del figlio
maggiore.
Ci volle del bello e del buono a farlo tornare in quel letto, la sera
dopo.
Sua madre aveva cambiato le lenzuola, accorgendosi con sommo stupore- e
gioia perversa- che il materasso era ancora immacolato.
Tuttavia suo figlio non voleva saperne di tornare a dormirci,
sbraitando ostinato che piuttosto avrebbe dormito fuori, in mezzo alla
neve. Ma quando Mikoto gli disse: “Va bene, se vuoi stanotte
dormo con te”, il suo onore leso reclamò un po' di
virilità, e deglutendo sonoramente mormorò che forse poteva
provare a dormirci ancora.
Ma una notte soltanto.
In realtà quella notte non dormì affatto. Nervoso
com'era, non si era nemmeno portato dietro la borsa dell'acqua calda,
sperando anzi che quel freddo glaciale tra i cuscini e il materasso si
mantenesse per tutta la notte.
Ed effettivamente andò così. La mattina dopo,
sfinito e infreddolito, dovette constatare che non era accaduto niente.
Le lenzuola erano ancora immacolate.
Tuttavia, tanto per stare un po' lontano da quel posto, l'ultimo
dell'anno decise di andare alla festa. Si annoiò
mortalmente, ma era mille volte meglio che spaventarsi da
morire.
Quando tornò a casa era talmente stanco che si
addormentò immediatamente, malgrado non si fidasse ancora
del tutto. La mattina dopo represse la voglia di mettersi a saltare sul
letto, nel vedere che era tutto normale.
“Tutto normale”. Non desiderava altro. Ma
durò poco più di una settimana.
Da un paio di giorni era ricominciata la scuola, e con essa il solito
tran-tran. Che cosa rassicurante, la routine. Sua madre non poteva
soffrirla, ma lui vi si adagiava come un gatto su un cuscino.
La sera dell'otto gennaio andò a letto presto, stanco
com'era per aver cercato di evitare le palle di neve dei suoi compagni
la mattina e le accidentali
spinte di Itachi sul ghiaccio al suo ritorno. Era per allenare i
riflessi, diceva. Lo faceva solo per lui.
Ragion per cui, quella sera era decisamente distrutto. Sentiva il vento
del nord soffiare gelido, e il modo in cui si incanalava tra le fessure
della vecchia casa lo faceva sembrare simile a un ululato.
Sasuke era certo che nemmeno le cannonate avrebbero potuto svegliarlo,
ma si destò in men che non si dica quando, prima di
mezzanotte, sentì il letto inumidirsi.
Sveglissimo, saltò giù con un balzo e accese le
luci. Scostò le coperte, mentre l'attimo dopo chiamava “Mammaa!”
con quanto fiato aveva in corpo.
Mikoto accorse all'istante, come se in quei giorni di
tranquillità non avesse aspettato altro. Aveva una provetta
in mano, e quando il sangue iniziò a sgorgare
riuscì a raccoglierne un po'. Tappò il tutto, con
un sorriso eccitato dipinto sulle labbra.
Sasuke si voltò verso suo padre, in piedi in vestaglia sulla
porta, rendendosi conto solo in quel momento di quanto in
realtà fossero simili, anche se si parlavano molto poco.
Si chiese se anche lui, un giorno, avrebbe finito con lo sposare una
pazza.
Erano tornati tutti a letto, tranne lui e sua madre che se ne stavano
in cucina. Mikoto aveva buttato le lenzuola in lavatrice- anche
stavolta il materasso era intatto- e aveva preparato una cioccolata
calda.
Ora se ne stavano seduti a tavola, a quel grande tavolo in legno
massiccio, mescolando il liquido scuro nella tazza e bevendo di tanto
in tanto. Mikoto aveva acceso soltanto la luce sopra il fornello,
cosicché risultavano praticamente al buio. Il chiaro di luna
bagnava la stanza, inondando di luce invernale buona parte del tavolo.
- Mamma – esordì lapidario Sasuke – Mi
sembra chiaro che io lì dentro non ci dormirò
più.
- Andiamo, tesoro – disse dolcemente lei, come se il figlio
stesse facendo chissà quale infondato capriccio
– In fondo non è successo nulla. Si è
solo sporcato un po' il letto, tutto qui.
Il bambino la guardò stravolto, chiedendosi quale dei due,
tra il letto e sua madre, fosse più pericoloso.
- Mamma – disse piano, cercando di non inorridire –
Si macchia di sangue.
- Tranquillo, ci penso io a lavarlo. In laboratorio stiamo preparando
uno smacchiatore fantastico, sarà presto in commercio.
Ninna nanna alla brutta e alla
buona
è felice chi
canta e chi suona
ninna nanna del tasto
d'avorio
non entrare nel suo
territorio
Se non dormi …
Visto lo “smacchiatore fantastico” e le insistenze
di sua madre, gli toccò tornare a letto. Oramai dormiva in
un angolo, sul bordo del materasso, pronto a saltar giù al
minimo segno di umidità. Il che equivaleva a non riposare
minimamente.
Dopo circa un mese di tranquillità Sasuke aveva raggiunto il
pallore di un cencio, con due profonde occhiaie ad accentuargli le
borse degli occhi. Aveva un'aria tanto sbattuta che perfino Itachi
aveva iniziato a preoccuparsi.
- Mamma – aveva esordito una sera, mentre la madre preparava
la cena - Non credi che continuare a farlo dormire in quel letto possa
provocare seri danni al suo sistema nervoso?
- Ma no, io da piccola avrei dato un braccio pur di avere un letto
così! - ribatté Mikoto entusiasta, senza alzare
gli occhi dal proprio sformato.
- Non ne dubito - si limitò a ribattere lui - Ma magari per
Sasuke è diverso.
- E' mio figlio – puntualizzò la donna - Non
può non andare pazzo per queste cose. Sono sicura che in
realtà gli piace da morire.
Itachi non rispose, uscendo dalla stanza e limitandosi a mormorare:
- Sì, proprio da
morire...
Ci avrebbe pensato lui a distrarre il suo otouto. Con i suoi sistemi,
ovvio.
Un nebbioso pomeriggio di febbraio Sasuke si stava responsabilmente
occupando dei compiti. Gli avevano assegnato una ricerca di storia, ed
era appena andato a prendere un grosso tomo dallo studio del padre,
sicuro che gli sarebbe stato utile.
L'aveva già aperto, iniziando a sfogliarne le pagine, quando
all'improvviso la pelle d'oca gli corse dalla radice dei capelli fino
ai talloni, facendolo bloccare seduta stante.
Nel silenzio ovattato di quel pomeriggio d'inverno erano risuonati
degli accordi di pianoforte, che era sicuro di aver riconosciuto come
l'esordio della “Toccata e fuga in re minore”di
Bach.
Una cosa da far accapponare la pelle a chiunque, specialmente
così all'improvviso, e soprattutto a qualcuno ormai
perennemente pronto al peggio.
Sasuke voltò piano la testa, deglutendo rumorosamente.
Proprio accanto a lui c'era la porta di un salottino, che secondo sua
madre un tempo veniva usato essenzialmente all'ora del tè.
Sapeva che c'era un semplice pianoforte verticale, lì
dentro, in legno chiaro e ancora profumato. Doveva essere stato tenuto
con molta cura, perché nonostante l'età i tasti
non erano nemmeno macchiati.
Se ne stava lì immobile, le dita strette in modo quasi
convulso sul libro, incerto se scappare in tutta fretta o chiamare
qualcuno. Un tempo avrebbe preferito tagliarsi la lingua piuttosto che
ripiegare su tale soluzione, ma nell'ultimo periodo aveva rivisto
parecchie sue posizioni.
Comunque fosse, di entrare non se ne parlava proprio.
Ma quando vide la maniglia abbassarsi lentamente fu seriamente tentato
di urlare ancora, e per riuscire trattenersi si bloccò
volontariamente il respiro.
Quando Itachi sbucò dalla porta e lo vide, si rese conto che
suo fratello era messo peggio di quel che pensava.
- Otouto, non puoi
suicidarti in questa maniera. Riprendi a respirare, per favore.
Sasuke obbedì, ma solo per mormorare:
- Eri... eri tu?
- Una musica sempre d'effetto, non credi? Eppure, se fossi un vampiro o
un fantasma non la userei: troppo sfruttata a livello cinematografico,
non più originale.
Prima che il suo otouto gli si scaraventasse contro, vista
l'espressione feroce dipinta sul viso, trovò saggio
afferrarlo per il colletto del maglione e sospingerlo verso la cucina.
- Avanti, va' a fare i compiti. E vedi di calmarti, sei un po' troppo
impressionabile.
Ignorò totalmente le poco velate minacce di morte che Sasuke
gli rivolse. Anzi, le accolse con un misto di sollievo e gratitudine.
Almeno per un pomeriggio, era tornato tutto normale.
Quella stessa sera, dopo cena, Sasuke era tornato nello studio del
padre a rimettere a posto il libro preso in prestito.
E quando passò davanti alla porta del salottino, manco a
farlo apposta, si udirono risuonare alcune note. Nulla di inquietante,
anzi: si sentiva un tasto alla volta, pigiati a comporre una musichetta
semplice e quasi banale. Tra l'altro erano più o meno sempre
gli stessi a venire premuti.
Sul viso di Sasuke comparve un'espressione a metà tra lo
scocciato e il furibondo. Credeva di spaventarlo con quella nenia
insulsa? I suoi nervi saranno anche stati più delicati
rispetto a qualche tempo prima, ma qui si sfiorava il ridicolo.
Decisamente indispettito, aprì di scatto la porta e si
voltò verso destra, dove sapeva trovarsi il pianoforte.
Tuttavia non lo vide, perché dopo un attimo di sorpresa
realizzò che era buio pesto. Ma che diavolo aveva
architettato Itachi?
Aguzzò la vista, cercando di scorgere la sagoma del fratello
sfruttando la poca luce che veniva dal corridoio, ma non lo vide. Vide
invece un baluginio improvviso dove doveva trovarsi la tastiera dello
strumento, simile al riflesso che avrebbe fatto un piccola perla sotto
la luce della luna.
Poi udì alcuni tasti suonare contemporaneamente, di botto e
senza armonia, come se qualcuno vi si fosse seduto sopra. Le due
piccole perle color avorio lo stavano guardando.
Si sentiva le viscere così attorcigliate da non riuscire
nemmeno a muoversi. Non aveva la minima intenzione di sapere di cosa si
trattasse. Avrebbe tanto voluto trovarsi ancora in cucina. La luce di
quel vecchio lampadario non gli era mai apparsa così calda e
rassicurante.
Sentì un brontolio strano provenire da quei due cerchietti
luminosi. Indispettito, quasi arrabbiato. Non gli piaceva.
Chiuse repentinamente gli occhi non appena il bianco invase la stanza.
- Sasuke, ma che ci fai qui al buio?
Era sua madre, aveva acceso la luce.
- E che cosa stai fiss... oh, ma guarda un po'!
Sui tasti del pianoforte era comodamente seduto un gatto. Un gatto
dagli occhi bianchi.
Ninna nanna del picchio e del
gufo
chi non piange di ridere
è stufo
ninna nanna del gatto
sul piano
se non soffia allunga
una mano
se non dormi...
Sul tavolo della cucina aveva un'aria decisamente meno spettrale,
comunque anche Itachi aveva convenuto che non se lo sarebbe mai preso
in casa per metterlo in una cesta davanti al camino. Non aveva niente
del tenero frugoletto peloso e ronfante che tutti immaginano quando
pensano alla parola “gatto”.
Eppure era bello, molto bello. Il pelo lungo era sporco e arruffato, ma
sciolti i nodi doveva essere sicuramente di uno splendido nero lucente.
Era magro, come se non mangiasse da settimane. Doveva essere stato un
animale notevole, peccato che ora fosse così malridotto. E
soprattutto cieco.
- È per questo che ha gli occhi bianchi – disse
Mikoto – C'è una specie di velo a coprirli, ma non
credo che sia cieco dalla nascita. Che peccato, sicuramente erano di un
verde fantastico.
La donna gli lanciò uno sguardo amorevole e preoccupato,
perché anche se gli aveva messo davanti un piattino con i
resti del prosciutto della cena, il micio non l'aveva degnato di uno
sguardo.
- Eppure dev'essere affamato – continuò la donna
– Non capisco...
- Mamma – la interruppe Sasuke – Questo... gatto stava
suonando.
Tali parole si guadagnarono un'occhiata incredula da parte di tutti i
membri della famiglia.
Poi Itachi si rivolse alla madre:
- Te l'avevo detto.
Dal canto suo Mikoto non ribatté, allungando una mano verso
la testa del gatto. Questo fece uno scatto all'indietro, mettendosi
fuori dalla sua portata, guardingo nonostante l'handicap agli occhi.
- È la verità! - insistette Sasuke, ormai certo
che nessuno gli avrebbe creduto.
- Anche se ammetto che è una cosa che mi affascinerebbe
molto – disse sua madre – c'è un piccolo
particolare: è cieco. Potrebbe anche essere ammaestrato a
suonare qualcosa al piano, malgrado con i gatti sia estremamente
difficile, ma solo se riuscisse a vedere qualcosa. È assurdo
pensare che vada a orecchio.
Sasuke sentì suo padre sospirare sonoramente di sollievo.
Per una volta un discorso sensato. Che a lui però non stava
affatto bene.
- Ma...
- Sasuke – intervenne il padre – Tuo fratello ha
ragione, stai diventando troppo impressionabile: è meglio se
vai a letto e cerchi di dormire.
- Cosa?
- Fai come ti dico.
Anche se decisamente contrariato, al bambino non passò
nemmeno per la testa di disobbedire al padre, e circa dieci minuti dopo
si trovò sotto le coperte.
Ad un certo punto della notte un richiamo notturno lo
svegliò: ci mise un po' a rendersi conto che si trattava
soltanto di un gufo che probabilmente aveva appena catturato la propria
preda. Sperò che si trattasse di uno di quei topi schifosi
che giravano lì intorno.
Rassicurato, stava per lasciarsi andare nuovamente al sonno quando si
rese conto della presenza tiepida accanto a sé. Certo, sotto
le coperte si stava bene, ma non era solo lui a produrre quel calore.
Terrorizzato e quasi rassegnato a ciò che era sicuro di
trovare, tastò piano il materasso, accorgendosi con stupore
che era perfettamente asciutto.
“Ma cosa...?” pensò, ormai sveglio a
sufficienza per fare più attenzione al buio che lo
circondava.
Nel silenzio gli parve di udire un respiro.
Allungò piano una mano, ed ebbe l'impulso istintivo di
ritrarla quando questa incontrò qualcosa di soffice. Ma
respirò a fondo e cercò di controllarsi.
Costringendosi ad allungarla ancora un po', toccò qualcosa
di caldo e morbido. Qualcosa di vivo. Prima che qualcos’altro
di acuminato gli trafiggesse il dorso.
- Ahi! - esclamò, ritirando in fretta il braccio –
Ma che...?
Un brontolio inequivocabilmente felino gli accese una lampadina.
- Tu? -
fece esterrefatto – Brutto...
E senza tanti complimenti lo spinse giù dal letto, mentre un
miagolio contrariato giungeva alle sue orecchie. Sasuke era certo che
gli avesse bestemmiato contro nella lingua dei gatti, ma non poteva
importargli di meno.
Aveva già abbastanza problemi, senza che ci si mettesse
anche un gatto pulcioso a spaventarlo.
Ninna nanna del topo muschiato
giorno più giorno ed
un mese è passato
ninna nanna del lupo e dell'orso
è come un
soffio il tempo trascorso
se non dormi...
Erano trascorsi più di due mesi dall'ultimo
“incidente”. Il gatto si era definitivamente
stabilito a casa loro, anche se nessuno sapeva da dove venisse. Non che
li avesse “adottati” nel vero senso della parola,
comunque: si limitava a sbocconcellare tutte le prelibatezze che Mikoto
gli metteva davanti, lasciandone ogni volta più di
metà, e non si faceva mai toccare.
Sembrava che l'unico a riuscirci fosse stato Sasuke, in quella notte di
febbraio.
Dal canto suo, il ragazzino non si era affatto messo il cuore in pace.
Malgrado la calma apparente, era sempre sul chi va là,
pronto a saltare come un grillo al minimo accenno di
anormalità. Poi si guardava attorno sospettoso e tornava lentamente alle
proprie occupazioni. “Sei più guardingo del
gatto” gli diceva Itachi, l'unico a preoccuparsi minimamente
della psiche di suo fratello.
Suo padre non aveva mai detto niente, ma sembrava alquanto sollevato
quando la mattina vedeva Sasuke entrare in cucina con l'aria di chi ha
riposato a sufficienza, anche se non aveva certo l'aspetto del bambino
disteso e spensierato. Ma Fugaku Uchiha non aveva mai preteso una vita
familiare particolarmente brillante: gli era sufficiente il quieto
vivere.
Che venne puntualmente mandato all'aria in una notte di fine marzo.
Veramente non era stato il solito caldo umido a svegliarlo. Era stato
il gatto.
Ad un certo punto della notte aveva sentito un ronzio pacato e
costante, che si era insinuato nei suoi sogni fino a renderlo cosciente
del fatto che era reale.
Sasuke aveva alzato la testa dal cuscino, per accorgersi che quel
rumore simile a un motorino si era fatto più forte rispetto
a quando se ne stava sotto le coperte. Si era stropicciato gli occhi, e
aveva visto due pupille bianche socchiuse nel buio.
- Ancora tu? - brontolò seccato, per poi esclamare: - Stai
facendo... le fusa?
Il gatto non si era mosso dalla vecchia sedia a dondolo che faceva
parte dell'arredamento della stanza. Aveva continuato a ronfare,
pacifico e fiducioso, come se si sentisse davvero a casa.
Sasuke si era sporto verso il comodino, accendendo l'abat-jour e dando
un'occhiata alla sveglia. Era solo l'una di notte del ventisette marzo.
Ne aveva, di tempo per riaddormentarsi.
Stava per ributtarsi sotto le coperte, quando le fusa del gatto
aumentarono d'intensità. Sasuke allungò un piede,
e sentì che il letto aveva iniziato a bagnarsi.
Quel tonfo sul pavimento chi l'aveva provocato? Lui o il suo cuore?
- Mamma – borbottò il bambino mentre soffiava
sulla sua limonata calda – Non sorridere così.
- Scusami, tesoro – disse Mikoto, riuscendo a fare ben poco,
però, per riuscire a nascondere la propria soddisfazione -
È solo che... ah, è pazzesco!
Sasuke non lo voleva sapere. Ma tanto non c'era scampo. L'aveva capito
nel momento in cui sua madre era arrivata di corsa in camera sua, con
un malcelato sorriso sornione dipinto sul viso. Aveva poi osservato il
susseguirsi di acqua e sangue sul letto con estrema attenzione.
Difficile dire chi, fra lei e il gatto, fosse più
soddisfatto.
- Che cosa – disse piano, facendo uno sforzo enorme ad ogni
parola – è pazzesco?
Mikoto gli accarezzò lentamente i capelli, prima di sedersi
di fronte a lui.
- Ti ricordi l'ultima volta? - perché, poteva
dimenticarsela? - Ti ricordi che ho preso un campione di sangue?
Sasuke annuì, chiedendosi dove volesse arrivare la madre.
- L'ho analizzato. Sai cos'è?
- Sangue – fece lui.
- Sì, esatto – rispose lei con sorriso –
Ma non sangue qualsiasi: è sangue fetale.
Sasuke corrugò la fronte, certo di non aver capito bene.
Sangue del feto?
- È il sangue di una donna che sta partorendo –
chiarì Mikoto.
Il bambino allontanò di scatto la tazza di limonata,
soffocando un conato di vomito. Una donna che partoriva? Nel suo letto?
- Ci avevo pensato la prima volta che l’ho visto, quando
siamo arrivati qui. È grande e resistente, proprio il tipo
di letto che un tempo veniva usato per far nascere i bambini. Lo sai,
vero, che una volta non si andava all'ospedale?
Sasuke annuì prontamente. Certo che lo sapeva. E sapeva
anche che, prima di partorire, a una donna si rompevano le...
Sbiancò.
- Sasuke? - chiese incerta Mikoto.
...acque?
- Mamma – mormorò con voce soffocata –
L'acqua calda che viene fuori prima del sangue è... -
com'era che si chiamava? - ... liquido amniotico?
La donna si accigliò.
- Itachi ti ha fatto ancora vedere “Frankenstein”?
Beh, sì. Ma era assurdo che sua madre si preoccupasse della
violenza in tivù quando succedevano quelle... cose in casa loro.
- Comunque sì – ammise lei con un sospiro
– È liquido amniotico.
- Quindi di tanto in tanto c'è una donna che figlia nel tuo
letto, otouto? - chiese una voce sulla soglia della cucina.
- Itachi – lo riprese la madre – Proprio tu: lo sai
che non voglio che Sasuke guardi certi film. È troppo
piccolo.
- E ti preoccupi di questo mentre si ritrova periodicamente del sangue
nel letto? – fece lui con un'occhiata eloquente.
- È diverso – ribatté Mikoto.
Itachi si arrese.
- Va bene, non glielo farò più vedere –
si arrese, alzando le mani e sedendosi vicino a loro –
Passerò direttamente a “The Ring”.
- Lo trovo già più istruttivo –
convenne la madre.
Non capì le occhiate scure che le lanciarono i due figli,
anche se l'istante dopo Itachi lasciò perdere.
- Comunque sarai contenta – le disse – Hai il tuo
mistero della casa maledetta.
Lei scosse la testa.
- No, non è la casa – puntualizzò
– È il letto.
Ninna nanna che bussa alla porta
falla entrare che la
zuppa è ormai cotta
ninna nanna per chi non
la usa
una porta non serve se
è chiusa
se non dormi …
Aveva quasi provato un moto di simpatia per quel gatto assurdo quando,
due giorni dopo, l'animale si era messo a suonare proprio mentre lui
stava passando lungo il corridoio con Itachi.
Aveva lanciato al fratello maggiore una lunga occhiata, che sembrava
dire sia: “Sentito?”, quanto: “Adesso
impari a non credermi”.
Lui non aveva detto niente, ma si era avvicinato alla porta. Aveva
abbassato piano la maniglia, socchiudendola.
Poi l'aveva preso per una spalla, mormorandogli: - Prova ad entrare tu
– e l'aveva spinto dentro.
Inizialmente Sasuke aveva pensato che suo fratello volesse liberarsi di
lui. Mandarlo dentro, per primo, e da
solo? Fratricidio.
Ovviamente il gatto era lì. Aveva alzato un momento la testa
e, muovendo piano orecchie e vibrisse, dopo un momento si era
rassicurato. Evidentemente Sasuke non rappresentava alcuna minaccia,
per lui. Quindi aveva ripreso a suonare.
Era uno spettacolo davvero strano: si muoveva sempre sugli stessi
tasti, poggiando la zampa su uno alla volta. Ma non c'era dubbio che
seguisse una melodia, perché il ciclo di note periodicamente
ricominciava. Come delle strofe, ciascuna uguale all'altra.
Non fosse stato per quell'esibizione surreale, sarebbe anche stata una
musica carina. Era dolce, delicata, come una ninna nanna.
All'improvviso il gatto si bloccò e saltò
giù dalla tastiera, sedendosi sullo sgabello. Sasuke si
chiese che cosa gli fosse preso, poi se ne accorse: era entrato Itachi.
Guardarono il gatto infilare senza indugio la porta e sparire nel
corridoio.
- Devi stargli simpatico, sai otouto? - commentò suo
fratello – Si esibisce solo per te.
Sasuke non gli indirizzò una smorfia, stavolta. Si rese
conto che forse era vero: il gatto lo considerava in maniera diversa
rispetto agli altri componenti della sua famiglia.
- Allora, l'hai osservato fino adesso – Itachi si era
avvicinato al pianoforte – Sai dirmi che note suonava?
Questo lo spiazzò un po': aveva visto che zampettava
soltanto sui tasti centrali, ma non aveva fatto caso a quali fossero.
- Ah, otouto – sospirò suo fratello – Se
non ci fossi io...
Si sedette sullo sgabello e provò a premere qualche tasto.
La musica era semplice, e l'orecchio di Itachi molto buono: in breve
riuscì ad individuare l'intero giro melodico.
- Do-re-mi-mi-mi-mi-re-do-do-do
– mormorò piano – Do-do-do-do-do-do-re-mi-re-re...
L'atmosfera era ancora più surreale. Sasuke
guardò verso la finestra, strizzando gli occhi nella luce
bassa del tramonto di fine marzo, per accertarsi che si trovassero
ancora dove pensava.
- Re-mi-fa-fa-fa-fa-sol-fa-mi-mi
– che strano posto, quel salottino. La tovaglietta leggera
che copriva il tavolino era in più punti macchiata di giallo
– Mi-mi-re-re-re-mi-re-do-do...
Gli venne in mente una cosa. Ma aspettò che Itachi avesse
finito.
- Do-do-do-do
– pausa – Do-re-mi-do...
Suonato l'ultimo “do”, il maggiore disse piano:
- Sì... è sicuramente una ninna nanna.
- Aniki (²) - lo interruppe Sasuke, impaziente di fargli
sapere ciò che gli era venuto in mente – Se
c'è un pianoforte, da qualche parte ci devono essere anche
degli spartiti. Giusto?
Giusto. D'altra parte qualunque musicista tiene accanto allo strumento
i propri fogli di musica. Si trovavano in un armadietto in un angolo
del salottino, polverosi e ingialliti, ma perfettamente leggibili.
Ed eccola lì, con le stesse note individuate da Itachi.
- “Ninna
nanna del fiocco di neve” - c'era scritto in
alto, in bella grafia. Seguiva una partitura di semplici note ed una
lunga serie di strofe. Infine, accanto al titolo, anche un nome.
- Aniki – aveva domandato Sasuke, chiedendosi se tutto
ciò c'entrasse qualcosa con il suo letto bagnato di sangue
– Chi sono gli Hyuuga?
Ninna nanna del mazzo di carte
se poi cerchi il mistero
riparte
ninna nanna che va sulle
strisce
al tramonto ogni giorno
finisce
se non dormi...
- No. Assolutamente no.
È illegale, oltre che deplorevole.
- Deplorevole, che parola grossa! In fondo non hai sottomano i
documenti e i dati di tutti ad ogni ora del giorno? Non è
violazione della privacy anche questa?
- Ma... è il mio lavoro!
- E credi che dare un'occhiata alle scartoffie di gente vissuta
più di un secolo fa possa importare a qualcuno? Capirei se
fossero ancora vivi!
Itachi e Sasuke si alzarono, misero i loro piatti nell'acquaio e
discretamente lasciarono la stanza. Sapevano che, se la loro madre si
metteva in testa qualcosa, l'avrebbe ottenuta.
Effettivamente capitava a fagiolo: il padre aveva lavorato per anni
nella polizia, ma dopo un incidente avrebbe dovuto occuparsi soltanto
delle funzioni d'ufficio, cosa che non riusciva assolutamente a
sopportare. Così, quando si erano trasferiti lì,
aveva trovato lavoro all'Anagrafe del paese. Perlomeno non avrebbe
dovuto essere messo da parte mentre gli altri si occupavano
dell'azione, diceva.
Ma ora quella nuova, tranquilla attività gli si stava
rivolgendo contro.
La sera dopo, madre e figli erano seduti al tavolo della cucina,
maneggiando alcune carte.
Non erano gli originali: Fugaku si era categoricamente rifiutato di
commettere un simile reato, ma aveva fatto delle fotocopie e le aveva
portate a casa. Poi era uscito per una cena coi colleghi, sulle spalle
il peso del misfatto.
- Oh, tranquilli – disse Mikoto – Non
farà quella faccia a lungo. Lo consolerò io.
- E come farai, mamma? - chiese Sasuke. Quando il padre si arrabbiava
con lui, ci volevano almeno due settimane perché gli
passasse.
- Beh... - inventò la donna - ...gli preparerò
una torta…
- Ma a papà non piacciono i dolci.
Itachi emise un sonoro sospiro, ma poi intervenne a togliere d'impiccio
la madre.
- Non ci credo – disse con voce atona.
- A cosa? - domandò Sasuke, sporgendosi verso il documento
che il fratello teneva in mano.
Ma Itachi lo tirò indietro, per non farglielo vedere.
- Quand'è stata la prima volta che è successa la
faccenda del letto? - chiese invece.
- Il ventisette dicembre – rispose pronta la madre.
Sasuke la guardò un po' stranito.
- Come fai a ricordartelo? - domandò. Fosse stato per lui,
avrebbe cercato di cancellarlo in tutti i modi dalla mente.
- Semplice, tesoro – rispose la donna con un sorriso
– Tengo un diario. Dovresti farlo anche tu.
Il bambino soppesò per un momento tale proposta, poco
convinto. Ma ci pensò la voce di Itachi a distrarlo da quei
pensieri.
- Beh, è incredibile – disse – Assurdo.
O forse tutte e due.
La madre e il fratello gli lanciarono occhiate interrogative,
così lesse:
- “Hyuuga
Hinata, di Hyuuga Hiashi, nata a Konoha il 27 dicembre 1889”.
L'indirizzo è quello di questa casa.
Sasuke non aprì bocca, ma Mikoto fu svelta ad afferrare le
altre carte.
- “Hyuuga
Hiashi, di Hyuuga... - lesse, la fronte corrugata
– nato a
Konoha l'8 gennaio 1859”. Sempre qui. Lo stesso
giorno in cui il letto si è bagnato la seconda volta.
- Mamma – chiamò Sasuke, che aveva preso un altro
foglio – Qui ce n'è un altro: “Hyuuga Hizashi, di
Hyuuga..., nato a Konoha, l'8 gennaio 1859”.
Alzò lo sguardo, per vedere la madre distendere le labbra in
un sorriso sornione.
- Gemelli... - mormorò, come se ciò spiegasse
tutto – Gli Indiani d'America credevano che i gemelli
avessero il controllo del tempo…
Itachi non ribatté, ma lesse un altro documento:
- L'ultima volta è stata il ventisette marzo, giusto?
Perché qui c'è scritto: “Hyuuga Hanabi, di
Hyuuga Hiashi, nata a Konoha il 27 marzo 1894”.
- Quindi sorella di Hinata – concluse Mikoto.
- Mamma, non parlare come se le conoscessi – disse Itachi.
- Però ce n’è un altro… -
cominciò Sasuke, per poi bloccarsi guardando il punto del
tavolo dove c’era l’ultimo foglio. E dove ora stava
seduto il gatto.
- E lui da dove spunta? Quando è entrato? – chiese
suo fratello.
Forse mentre non guardavamo. Eravamo tanto concentrati qui…
- spiegò Mikoto, allungando una mano. Per evitare il
contatto, il gatto si spostò.
Sasuke rimase a guardarlo per un momento e, anche se non poteva
vederlo, l’animale aveva la testa voltata verso di lui. Ma le
parole della madre gli fecero fare un balzo sulla sedia.
- “Hyuuga
Neji, di Hyuuga Hizashi, nato a Konoha il 3 luglio 1888”!
– esclamò entusiasta – Quindi
è il cugino delle altre due… però! Un
anno soltanto di differenza con Hinata!
- Mamma… - fece Itachi, ma Sasuke non aprì bocca.
- Tre luglio? – si limitò a ripetere dopo un
po’, la voce bassissima.
Guardò sua madre e suo fratello, che evidentemente stavano
pensando la stessa cosa.
Poi Mikoto sospirò:
- Ancora tutto questo tempo…
Ninna nanna del ferro battuto
ho trovato un dentino
caduto
ninna nanna che
è lieve e pesante
sarà di un
bimbo che ora è più grande
se non dormi…
Invece non ci volle tanto tempo, perché in una calda notte
di maggio Sasuke sentì ancora più caldo. Come se
sua madre gli avesse rimesso la coperta sopra le lenzuola. Come se una
massa di pelo soffice gli si fosse sistemata addosso.
Quando un muso ronfante gli si sistemò sul collo, e si
sentì sudato come non mai, gli toccò svegliarsi.
- Tu… – mugugnò esterrefatto
– Ma se non ti fai nemmeno toccare… e spostati!
Buttò di malagrazia il gatto di lato e per sicurezza
tastò il materasso. Tutto normale, per fortuna. Se sua madre
aveva ragione, fino a luglio avrebbe potuto dormire sonni tranquilli.
Il gatto si stirò per bene, senza far caso alle maniere del
bambino. Poi gli si avvicinò di nuovo, infilando il muso
sotto il cuscino.
- Ehi, ma… cosa fai? Vieni fuori! –
l’animale si attaccava con le unghie al materasso, cercando
di spingersi il più possibile sotto il cuscino –
Piantala!
Sasuke cercò di tirarlo indietro, ma non ci fu verso. Era
più forte di quel che sembrava, quel felino. Allora lui
alzò il cuscino, e il gatto si fermò.
Rimasero immobili per qualche istante, Sasuke a guardare quella massa
di pelo più nera dell’oscurità che li
circondava, il gatto tranquillo come se avesse raggiunto il proprio
scopo.
Malgrado i suoi occhi si fossero abituati al buio, non riusciva a
vedere molto, così accese la luce. E proprio lì,
davanti al muso del gatto, di un bianco diverso rispetto a quello delle
lenzuola, c’era un dente. Un piccolo dentino da latte.
- E monetine no? – fu il commento di Itachi a quella notizia
– Ma che sfortuna.
Mikoto aveva subito messo il dente in una bustina di plastica, e ora se
lo rigirava tra le dita.
- Proverò a farlo analizzare… chissà
se salterà fuori qualche novità – aveva
detto, rivolgendosi poi al gatto – Tu sai più cose
di quel che sembra, non è vero?
Aveva fatto per allungare la mano, ma il felino si era prontamente
spostato.
- Prova a toccarlo tu – disse a Sasuke, osservando
più attentamente l’animale.
Il bambino obbedì, rimanendo decisamente sorpreso quando il
gatto si allontanò anche lui, le vibrisse che fremevano
diffidenti.
- Ma come… se stanotte mi hai dormito praticamente addosso!
– esclamò contrariato.
Il felino non cambiò atteggiamento di fronte a tale
rivelazione, anzi si mise a leccarsi per bene il pelo, lustrandone ogni
singolo centimetro.
Ninna nanna ai capelli
più lunghi
che di notte crescon
come fossero funghi
ninna nanna agli occhi
più chiari
che alla luce poi sono
contrari
se non dormi…
In giugno accadde un fatto strano. D’accordo, che fosse
più strano dei precedenti era difficile, ma quello fu
caratterizzato da un particolare forse irrilevante: Sasuke non si
spaventò. Non ne ebbe il minimo timore, mentre la sua
famiglia stavolta sembrò inquietarsi parecchio.
Fecea fatto un sogno strano, quella notte. Sognò che doveva
andare in bagno, e di conseguenza allungò una mano verso il
comodino, alzandosi. Invece del pulsante incontrò una
rotellina metallica, ma non ci fece caso, come se le sue dita fossero
abituate da sempre al contatto con quell’oggetto.
Con la vaga fiamma del lume a petrolio ad illuminare quella porzione di
stanza, Sasuke si accucciò sul pavimento, tastando sotto il
letto. Quando trovò il vaso da notte, lo prese per il manico
e lo tirò fuori. Poi alzò la vestaglia e fece
quello che doveva, rimettendo a posto il coperchio e infilando
nuovamente il vaso sotto il letto.
A volte non c’era nulla di meglio che fare la pipì
di notte, era davvero liberatorio.
Si ributtò fra le lenzuola e si riaddormentò
all’istante.
La mattina dopo, quando aveva aperto gli occhi, c’era il
gatto che lo guardava. Aveva gli occhi verdi come ipotizzato da sua
madre, intensi e penetranti.
Se ne stava disteso con la testa sulle zampe, osservandolo, mentre
Sasuke era di fianco. Sentiva che il collo era madido di sudore, ma non
capiva perché. In fondo non c’era il micio a
pesargli addosso.
Si alzò lentamente, pensando che il compito in classe di
quel giorno sarebbe stata una vera rottura di scatole. Nulla che lo
preoccupasse, ma non ne aveva molta voglia.
Seduto sul materasso, si stupì nel sentire qualcosa di caldo
sfiorargli ancora il collo e la schiena. Allungò una mano,
infastidito, e si ritrovò qualcosa di morbido fra le dita.
Senza lasciarlo andare, se lo portò davanti al viso.
Capelli. Di
chi?
Tastò un po’, e si rese conto che erano attaccati
alla sua nuca. A tutta la sua testa. Erano suoi.
Scese dal letto e, scalzo, andò verso l’armadio.
Quando lo aprì si guardò al grande specchio
all’interno dell’anta.
Era sempre lui. Con i capelli lunghi fino ai reni.
Era sceso tranquillamente a fare colazione, tallonato dal gatto. Che, a
guardar bene, era ancora cieco.
Si era preparato il solito tè, preso i soliti biscotti.
Tutto normale.
Tranne l’espressione di sua madre quando, in procinto di
dargli il buongiorno, l’aveva visto.
Era la prima volta che la vedeva davvero spaventata.
Ninna nanna dell'acqua che scorre
ogni giorno la notte
rincorre
ninna nanna del miele e
del latte
ogni giorno è
un martello che batte
se non dormi...
Aveva comunque fatto fatica, la sera del due luglio, ad addormentarsi.
Un po’ per l’afa, un po’ per
l’inquietudine, un po’ perché il gatto
teneva un caldo bestiale accoccolato fra le lenzuola.
Aveva aspettato fin dopo mezzanotte, ma non era accaduto nulla. Ad un
certo punto aveva vagamente sentito il campanile del paese battere le
due, e per allora si sentiva esausto. Voleva dormire, non ce la faceva
più.
Nel limbo di quella stanchezza aveva sentito che il materasso sotto i
suoi piedi iniziava ad inumidirsi. Sua madre aveva insistito per
dormire con lui, quella notte, ma Sasuke aveva rifiutato
categoricamente. Così lei aveva ceduto, con la promessa di
venire chiamata immediatamente. Come tutte le altre volte, del resto.
Ma adesso si sentiva così stanco… sentiva le
membra intorpidite, le palpebre pesanti. Non ce la faceva,
né a muoversi né a parlare… e le fusa
del gatto, erano come il rumore della risacca sulla spiaggia.
Dondolava, lo coccolava… quasi lo cullava…
Quando si svegliò, era giorno fatto. Forse aveva fatto tanta
fatica ad addormentarsi a causa del lungo viaggio del giorno prima, che
l’aveva sfinito.
Sentì delle note provenire dal piano di sotto, anche se
molto affievolite dallo spessore dei muri. Qualcuno doveva aver aperto
un paio di porte, perché arrivassero a lui.
Era quella melodia che aveva composto sua cugina: neanche nove anni, e
si era messa a comporre canzoni. Certo, molto semplici, ma anche
carine.
Si alzò e raccolse i capelli in una coda bassa, dopo essersi
vestito. Il gatto era lì in fondo al letto, ronfante come al
solito, con gli occhi verdi socchiusi. Si ricordava ancora di lui, dopo
due anni.
Scese le scale con calma, e quando aprì la porta del
salottino trovò una testolina nera china sulla tastiera del
pianoforte.
- Buon compleanno, Neji – disse la bambina con un sorriso, su
cui l’attimo dopo scese un’ombra – Ti
ho… svegliato io?
- No, tranquilla. Ho dormito fin troppo. Sai dov’è
mio padre?
- È andato con il mio a dare un’occhiata ai
cavalli. Sembra che questo pomeriggio faremo una passeggiata da qualche
parte. Hanabi sta giocando da qualche parte, invece.
Il cugino annuì, avvicinandosi.
- Stai ancora lavorando alla tua canzone?
Hinata abbassò il capo, arrossendo modesta.
- Non so se si può chiamare
“canzone”… è solo una ninna
nanna. Molto sciocca, anche.
- Una ninna nanna?
La bambina assentì: - Mi piacerebbe scrivere anche delle
parole…
- Fammi vedere.
Hinata gli fece posto sullo sgabello, mentre il gatto saltava su un
lato della tastiera.
- “Ninna nanna del fiocco di neve”… -
lesse Neji sulla cima dello spartito.
- Si tratta solo della prima strofa… - disse piano la
cugina, come scusandosi.
- Vuoi una mano a scrivere le altre? – domandò lui.
- Davvero?
- Sì, certo – poi rimase un momento a guardare
fisso il gatto, come rimuginando su un pensiero.
- Cosa c’è? – chiese Hinata –
Va tutto bene?
Neji guardò il gatto per un altro po’, cercando di
ricordare.
- Stanotte ho fatto un sogno strano… - cominciò,
un po’ titubante – Era come se fossi nel corpo di
un’altra persona: un ragazzino più o meno della
mia età, ma con i capelli corti e gli occhi neri.
Hinata non disse nulla, ma stava ascoltando attentamente, mentre il
cugino abbracciava la stanza con lo sguardo.
- Mi trovavo in questa casa, ma tante cose erano diverse. Sul comodino
non c’era il lume a petrolio, ma qualcosa di più
potente. E non c’era il vaso da notte sotto il letto: ce
n’era uno più grande, fisso in un’altra
stanza.
Poi guardò il gatto.
- E lui era cieco – disse.
Rimase serio per un attimo, prima di continuare.
- Ogni tanto, di notte, il letto di sopra si macchiava di sangue.
Si voltò verso Hinata, che sembrava parecchio impressionata.
- Nel giorno dei nostri compleanni – precisò.
- Papà mi ha raccontato che sia lui che lo zio Hizashi sono
nati in quel letto. E anche noi - confessò la bambina
– Forse è stato il viaggio a farti fare questo
sogno.
- Sì, lo penso anch’io… dovevo essere
veramente stanco.
Si bloccò, indeciso se rivelare il resto.
- Hinata… - mormorò – Nel mio sogno ad
un certo punto trovavo delle carte… su cui c’erano
i nostri nomi.
La cugina lo guardò, aspettando che proseguisse.
- C’erano le nostre date di nascita, il luogo e gli
indirizzi…e anche… - alzò il viso
– E anche le nostre date di morte.
Il silenzio si fece palpabile, in quella calda mattina di luglio.
- Sai quando moriremo? – sussurrò Hinata.
Neji non rispose.
Rimasero lì, seduti sullo sgabello, senza dire una parola,
finché la porta non si aprì.
- Ciao Neji! - fece la bimba di quattro anni appena entrata.
Il cugino ricambiò il saluto, poi Hanabi si
avvicinò a entrambi, mostrando loro una cosa.
- Hinata, cos’è questo? – chiese,
porgendo alla sorella una specie di piccolo libro rilegato.
Lei lo prese fra le mani, per guardarlo meglio.
- Sembra un quaderno – disse, osservando stupita la foto
stampata in copertina – Però che carta strana. E
questo disegno? Sembra quasi vero…
- Prova ad aprirlo – suggerì Neji, osservando il
libro con una sensazione di deja vù. Gli sembrava di aver
visto delle cose simili, nel suo sogno.
Hinata seguì il suo consiglio, e lo aprì.
Quello che lesse sulla prima pagina sembrò turbarla,
perché corrugò la fronte.
- È un diario – constatò – Ma
non appartiene a nessuno che abita qui.
Alzò la testa, guardando Neji negli occhi.
- Chi è Mikoto Uchiha?
Ninna nanna del bimbo allo
specchio
che si guarda e si vede
già vecchio
ninna nanna del tuo
compleanno
canta le cose che sono o
saranno
Se non dormi sarai
stanco…
(¹) Otouto: “fratellino”, in giapponese.
(²) Aniki: “fratellone”, in giapponese.
|