1.1
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Helleborus
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Era una fredda mattinata di dicembre.
Come ogni giorno, Merope
si era alzata di buon’ora, aveva indossato uno dei suoi semplici
abiti scuri e si era subito messa a preparare la colazione per suo padre
e per suo fratello.
La stanza che fungeva sia
da salotto che da cucina era gelida. Merope aveva acceso il fuoco, ma
quello sembrava generare più fumo che calore: il locale,
infatti, si stava già riempiendo di una sottile nebbiolina
grigiastra. Avrebbe dovuto spalancare una delle sudice finestre,
pensò, ma così la stanza non si sarebbe mai scaldata per
tempo.
Presa dal panico
urtò una delle tazze, che cadde a terra frantumandosi. Si
affrettò a raccoglierne i cocci, incurante dei tagli che si
procurava raccattando febbrilmente i pezzi di ceramica dai bordi
frastagliati.
Poi udì un cigolio
e un rumore di passi. Con il cuore in gola, incapace di muovere un
muscolo, rimase inginocchiata sul lurido pavimento di pietra.
«Che stai
combinando, stupida creatura?» si annunciò suo padre. Era
basso e tarchiato, con spalle larghe e braccia lunghe.
«Mi è
caduta» si giustificò Merope in un soffio: la bocca le era
diventata improvvisamente asciutta e non era sicura che suo padre
l’avesse sentita.
«Questo
perché sei una piccola, sudicia Maganò»
sbraitò suo padre, tastandosi il vecchio pigiama logoro alla
ricerca della sua bacchetta.
Merope schizzò
sotto il tavolo, in un patetico tentativo di sfuggire all’ira di
suo padre, che però tardava ad arrivare: aveva lasciato la
bacchetta nell’altra stanza.
«Che cosa fa?»
Era la voce di suo
fratello Morfin. Merope poteva vedere le gambe dei due uomini
avvicinarsi e fermarsi a pochi centimetri da lei. Le ginocchia di suo
fratello si piegarono e la sua mano si allungò verso di lei,
artigliandole il braccio, trascinandola via dal suo misero rifugio.
«Ti rendi conto di che ore sono?» le ringhiò in faccia Morfin.
«Sai benissimo che
non ci devi svegliare» aggiunse suo padre in un sibilo rauco
«Si può sapere che pensavi di fare?»
Merope non riusciva ad
articolare nessuna parola. Aprì la bocca, poi la richiuse. Era
stato un incidente, un piccolo, banale incidente, non l’aveva
fatto apposta, non voleva svegliarli.
«Io lo so»
ghignò Morfin, con un occhio che guizzava famelico da lei a suo
padre, mentre l’altro volgeva uno sguardo impazzito per tutta la
stanza invasa dal fumo «Oggi è un giorno speciale padre,
non ricordi? Oggi è compleanno della nostra Merope»
Per un attimo nessuno fiatò.
«Ma certo, come ho fatto a dimenticarmene!» esclamò suo padre con voce pericolosamente acuta.
Suo fratello l’aveva lasciata andare, ma Merope non osava muoversi, sapeva che farlo avrebbe solo peggiorato le cose.
«Allora è arrivato il momento di consegnare alla mia dolce bambina il dono per la sua maggiore età» aggiunse suo
padre, allontanandosi da lei e raggiungendo il vecchio mobile accanto alla porta. Rovistò un po' nei cassetti, finché non trovò quello che stava cercando.
«Ecco,» esclamò infine «Il Medaglione di Salazar Serpeverde».
Merope osservò ammirata il ciondolo dorato, finemente intagliato, e sentì le lacrime inumidirle gli occhi, mentre suo padre metteva amorevolmente al collo il prezioso cimelio: era il primo regalo che avesse mai ricevuto in tutta la sua misera vita.
Non si trattava esattamente di un dono spontaneo: come da tradizione della
sua famiglia, infatti, i primogeniti di casa Gaunt ereditavano l’anello
dei Peverell, le femmine l’antico medaglione del leggendario
fondatore di Hogwarts.
«Sempre che tu ne sia degna» aggiunse suo padre. Aveva abbandonato
il tono stridulo e ora parlava con voce bassa e strisciante, sinistra e
minacciosa «Vorresti tutte quelle cianfrusaglie Babbane,
non è vero? Rispondimi!» urlò.
Merope era incapace di
muoversi, di parlare. Restò in silenzio, terrorizzata, senza
sapere in che cosa sperare. Non aveva senso, pensava spesso, vivere
in quel modo.
«Ti ho fatto una
domanda, piccola ingrata, schifosa Maganò» sbraitò di nuovo
suo padre, afferrando la fredda catena del Medaglione, strattonandola. Piccoli solchi rossi
si formarono ai lati del suo pallido collo, mentre leggere goccioline
di sangue caldo le scivolavano lungo la gola, macchiando il colletto
del vestito.
«N-no» balbettò alla fine e, dopo qualche istante, suo padre la lasciò finalmente andare.
Merope inspirò avidamente l’aria resa pesante dal fumo del camino, incurante del fatto che le bruciasse la gola.
Finì di raccogliere i cocci della tazza e li portò fuori, nel gelido cortile incolto.
Il sole pallido era velato da nubi bianche e pesanti: presto avrebbe nevicato.
La strada principale del paese correva proprio davanti all’umile e diroccata dimora dei Gaunt.
Un debole rumore di
zoccoli, attutito dalle foglie umide sparse sull’acciottolato,
annunciò l’arrivo di una carrozza.
Merope, come ogni giorno, si nascose dietro la rozza staccionata che delimitava la proprietà dei Gaunt.
Pochi attimi dopo, una
bella carrozza scura risalì il lento pendio. Il tettuccio era
stato tirato su, ma le tendine erano aperte e il profilo di un giovane
dai lucidi capelli neri fece capolino.
Merope, estasiata dalla
sua bellezza, lo guardò passare, beandosi di quei lineamenti
precisi ed eleganti, di quegli occhi grigi e profondi che mai si erano
posati su di lei.
“Un giorno” pensò Merope “Un giorno gli andrò a parlare”.
Ma, quando ancora lo
scalpiccio dei cavalli era udibile in lontananza, Merope già
sapeva che non l’avrebbe mai fatto.
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Angolino dell'Autrice
Salve a tutti! :)
Spero che la mia breve One shot vi sia piaciuta (almeno un pochettino dai)!
Avrei davvero bisogno di conoscere
il vostro parere perchè, in effetti, c'è un'ideuzza che
mi frulla in testa da un po'... Mi piacerebbe scrivere di Merope (e
magari poi anche del bel Tom, chissà) perciò vorrei
sapere se la cosa può interessare e trasformare così
questa One nel primo capitolo di una long dedicata a Merope.
Quindi, siate gentili e fatemi
sapere che cosa che ne pensate, nell'attesa vi abbraccio tutti!
(sì, proprio tutti e se recensite vi dò anche un bel
biscotto, quindi vedete di mandarmi in rovina, please!)
A presto,
_Jo
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