La Morte di Mercuzio.

di Mab__Queen
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Era grigia Verona, quel pomeriggio. Deserta. Una nube grigia circondava le mura del castello e i tetti delle case dei cittadini.
Qualcosa preannunciava il peggio.
Dei raggi di sole trafiggevano come sottili lame quel mantello di fitta nebbia scura, ma da essa, come polvere, delle ombre prendevano sempre più vita, avanzavando verso la piazza. Due gruppi ai due estremi, li uni contro gli altri, faccia a faccia.
Sui loro volti, solo l’odio.
Il primo ad avanzare, quasi dieci passi avanti a tutto il resto del gruppo, fu Tebaldo.
Benvolio, impaurito e titubante, lo osservò da lontano, e deglutendo, fece un primo passo in avanti.
Ma Mercuzio lo fermò.
Senza neanche guardarlo, lo bloccò, poggiandogli il braccio sulla pancia.
Benvolio lo guardò stranito, ammaliato da quella figura autoritaria, e che con sguardo fiero e sicuro, avanzò lentamente senza badare a cosa stesse andando incontro.
Benvolio lo seguì, silenziosamente.
Il vento che oscillava fra i loro capelli. Il silenzio della città. L’atmosfera cupa e malinconica.
Sì. Stava per accadere il peggio.
I due si fronteggiarono, guardandosi. Senza battere ciglio. Quasi ammirandosi reciprocamente. Loro due, che in passato erano stati amici, stavano per decidere, in quel momento, uno la vita dell’altro.
Una cosa era certa…uno dei due non avrebbe fatto ritorno a casa, quella sera.
Sfiorarono leggermente l’impugnatura e la lama delle loro spade, poste sotto la cinghia.
Mercuzio la teneva a sinistra, proprio vicina al cuore.
Sfilarono lentamente fuori le loro spade, quando una voce, in lontananza, riecheggiò, urlando:
“Fermi. Fermi!”
E si pose al centro dei due, fermandoli.
Romeo.
“Ti prego Mercuzio…non farlo. Tebaldo…”
I suoi occhi parlarono. Non voleva guerra.
Non quel giorno.
Gli occhi del Capuleti infuriarono, fiammeggianti di rabbia.
Spintonò il Montecchi e si avvicinò al Della Scala, che dall’arrivo di Romeo aveva addolcito gli occhi.
Benvolio avanzò in suo soccorso, ma ancora una volta Mercuzio lo fermò. Non lasciando andare  neanche solo per un secondo lo sguardo di Tebaldo, proprio lì, davanti al suo naso.
Non era un messaggio di sfida il suo. Ma di rassegnazione.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche se ne fosse stato contrario, pur di porre fine a queste tragedie. Perfino battersi.
Tutto dipendeva dal temuto Capuleti.
Ma Mercuzio sapeva…
Sfoderò la spada.
Tutti trasalirono, spaventati nel vedere quella spada pungere lentamente il mento del Capuleti.
“Ti prego Mercuzio…” singhiozzò Romeo, con voce strappata.
Mercuzio lasciò cadere la spada.
Si voltò, senza neanche dire una parola, dando le spalle al Capuleti.
Tebaldo arrossì.
Non di timore, ma di collera.
“Ti lasci influenzare da lui?”
La sua stessa voce era una sfida.
“Sei così sotto a questo rammollito…che nemmeno riesci a batterti”
Tebaldo prese per il mento Romeo, che gemette per la troppa forza con cui lo stava afferrando.
Mercuzio irrigidì. Sentendo solo i lamenti del giovane Romeo, senza nemmeno pensare alle parole che gli stava rivolgendo il Capuleti.
La presa divenne uno schiaffo. E lo schiaffo un pungo. E il pugno uno spintone, che fece sbattere per terra il povero Romeo, ormai vittima di Tebaldo. Lo riempì di calci, e il giovane si accasciò privo di forze, perdendo i sensi.
Così tanto velocemente era accaduto sotto gli occhi di tutti e di Mercuzio, che privo di lucidità, corse incontro alla spada e la puntò violentemente verso il Capuleti, urlando e ringhiandogli contro. Aveva perso la ragione.
Il Capuleti rise alla vista di certa reazione.
“Ti scaldi per così poco?”
E gli affondò delicatamente la punta della lama sul petto. Lasciando cadere quel poco di sangue fino all’addome.
Il Capuleti, meravigliato, ma del tutto consapevole di quale sarebbe stata la sua reazione, ghignò.
“Così mi piaci…”
Romeo alzò delicatamente la testa, intontito, cercando di riprendere conoscenza. Tossì un po’, gemendo.
Alzò lo sguardo, e si trovò perfettamente ai piedi dei due, sanguinante e dolorante.
“Non sei altro che un vigliacco. Come lui. E lo sarai sempre” disse Tebaldo sussurrando, guardando con disprezzo quello che gli stava trafiggendo il petto con una spada.
“Mercuzio…” chiamava, come soffocato, cercando di alzarsi da terra.
L’amico andò in suo soccorso, riponendo al suo posto la spada, e lasciando Tebaldo senza un briciolo di reazione.
D’un tratto, il Capuleti, cieco ormai di ira furiosa, lo attaccò alle spalle, spingendolo violentemente.
Prese per i capelli il giovane Romeo, ancora accasciato a terra privo di qualsiasi forza, e lo trascinò per un tratto.
Romeo riuscì a farlo inciampare, afferrandolo per la gamba. E gemendo si alzò bruscamente, cominciando a correre verso l’amico ancora a terra.
Mercuzio balzò in piedi afferrando l’impugnatura della sua spada, e Tebaldo fece lo stesso, correndogli incontro.
Romeo tentò di fermare la corsa, ma la situazione era ormai fuori controllo.
Le lame delle loro spade possedevano la loro anima. Non c’era vita nei loro occhi, solo odio.
Così urlando, si lanciò tra le braccia dell’amico, stringendolo come uno scudo.
Tebaldo non riuscendo a fermarsi, si lasciò trascinare da quel tornado di collera che aveva nel corpo, e nel sentire quel grido, chiuse gli occhi…
E colpì.
Fu un attimo. In cui tutto cessò.
L’ira, l’odio, la rabbia, la furia…
Gli altri amici del Capuleti e dei Montecchi erano pietrificati, quasi ghiacciati e vittime di quella scena raccapricciante.
Ci fu un silenzio.
La polvere si abbassò, facendo intravedere i tre, immobili e affannati.
E poi…
Tebaldo era inerte, di fronte alla sua lama insanguinata, piantata nel petto di uno dei due.
Romeo rallentò il respiro. Lentamente.
Riaprì gli occhi, e vide la spada sfiorargli le costole.
Seguì la lama.
Era piantata.
Nel petto di Mercuzio.
Profonda.
Proprio lì, vicino al cuore.





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