Heart Song_LxMisa
Obsession
[100 Themes Challenge Writing Prompts]
45. Heart Song
{“L Change the WorLd” | Book!Verse}
Let me in the wall
you’ve built around
And we can light a match and burn them down.
And let me hold your hand and dance ‘round and
‘round the flames
In front of us.
Dust to dust.
The Civil Wars
– “Dust to Dust”
«Ryuzaki,
tu credi nel destino?»
Il
vento le sollevò pigramente i capelli dalle spalle, e quei
riflessi d’oro ricchi, accecanti, parvero incendiare la
stanza mentre se ne stava poggiata con gli avambracci sul davanzale
della finestra.
L
infilò le mani nelle tasche ruvide dei jeans. Quella, era
una domanda che non si sarebbe aspettato di ricevere da Misa Amane. Non
in quel modo per lo meno. Non che ci fosse qualcosa
d’inappropriato nell’argomento di per sé
– era stato interrogato su questioni ben più
bizzarre dal buon Matsuda –, ma quel tono di segreto appena
sussurrato che la idol aveva usato era intimo, quasi
imbarazzante. Gli aveva dato come l’impressione che la
risposta da darle fosse qualcosa da confessare tra le coltri di un
letto, non sotto la luce splendente del sole di luglio.
Che stia tentando
di giustificarmi la sua ossessione per Kira con il concetto di destino?
Inclinò
il capo di lato.
«Ѐ
il tuo modo per chiedermi un appuntamento, Amane?»
«Come
no… Scemo.» Lei abbozzò un sorriso
storto. «Misa stava pensando ai suoi genitori. Ѐ passato un
anno, ormai…»
Ricordi,
foto di stanze sporche di sangue e cocci, due corpi riversi sul
pavimento. Il detective conosceva a menadito ogni singolo dettaglio di
quel caso, ma lasciò che l’amica glielo
raccontasse con lo sguardo perso nella folla sottostante.
C’era qualcosa,
in lei, che non quadrava. Quella quiete, quell’assenza di
tensione nelle spalle non le appartenevano.
L
osservò la luce rifrangersi sulla pelle sottile, quasi
diafana della ragazza mentre congiungeva le dita magre tra loro;
sembrava una vila – selenica, fuori dal tempo.
Ha ricominciato a
saltare i pasti…
«Sai,
Misa non saprebbe neanche dire quanti mesi ha passato a pensare che
sarebbe stato meglio se si fosse trovata a casa, quel giorno. Con mamma
e papà.», la giovane fece una pausa, portandosi
una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Invece… Eccola qui.»
Il
detective inspirò lentamente. Era pressoché certo
che le convenzioni sociali, in quel momento, richiedessero da parte sua
parole di conforto; una frase gentile magari, o per lo meno di
circostanza.
... Ma per
qualche motivo, non credo sia questo che voglia.
Espirò.
Con qualche remora, mise da parte quell’impulso cortese,
chiedendosi piuttosto a cosa stesse puntando Misa con quel discorso a
cuore aperto. Nelle loro precedenti conversazioni, non aveva mai dato
segno d’amare crogiolarsi nella commiserazione.
Tutt’altro.
«Poi
c’è stato lo stalker…»
Uno
sbuffo e il detective la vide chinare il capo. Le si
avvicinò, poggiandosi di schiena contro la parete accanto
alla finestra. Neanche da quell’angolatura riuscì
a vederle con chiarezza gli occhi.
«Misa
era certa che fosse la punizione per…
Per…»
Il
sospiro che seguì gli si insinuò sottopelle,
stringendogli lo stomaco.
«Sai
bene che non è così.»
Le
labbra della idol si strinsero in una linea esangue.
«Sei
sopravvissuta a due circostanze indipendenti dalla tua
volontà. Non c’è colpa in
questo.»
«Quindi
era destino che dovesse andare così?»
La
domanda cadde nel vento caldo che scostò lievemente
l’anta della finestra, facendo cigolare le cerniere.
«Pensi
che ci sia qualcosa più grande di noi a guidare i nostri
passi? … Ha senso, no?», ragionò Misa,
il profilo bianco sollevato verso il cielo. «Quindi Misa
è ancora qui perché c’è
qualcosa che deve fare.»
«Alludi
a Kira?»
L
faticò a trattenere un sogghigno quando notò che
l’amica aveva arricciato il naso.
«Sembri
un disco rotto, Ryuzaki. Misa è
dalla tua parte, no? Quand’è che ti
fiderai, anche un solo pochino, di lei?»
«In
tal caso… Si tratta di Light?»
«No.»
Misa si piegò in avanti, appoggiando il mento sul palmo
della mano. «Light non ha bisogno di Misa. Light non
ha… Bisogno di nessuno.»
«…
Temo di non seguirti, Amane.»
«Ah.»
La
ragazza sussultò, come se quell’intera
conversazione fosse stata per lei solo un sogno ad occhi aperti e lui
l’avesse appena risvegliata con uno scossone.
«Perdona
la povera Misa-Misa… Sta dicendo delle cose strane, oggi,
eh?»
«Un
po’, sì.»
L
si allontanò dal muro, spostandosi accanto a lei, i pugni
poggiati sul davanzale bollente.
«Quando
hai detto d’essere mia amica… Io ti ho presa in
parola,
sai?»
La
natura estemporanea di quella confessione sortì
l’effetto desiderato, riempiendogli il petto di
compiacimento; Misa, difatti, inarcò le sopracciglia e si
voltò in cerca del suo sguardo, rivelandogli finalmente il
suo viso delicato e l’emozione che ne traspariva: una fedele
in ginocchio all’altare.
Ti sta uccidendo.
«Perciò,»,
proseguì il detective, compassato,
«farò ciò che è in mio
potere per aiutarti.»
Come puoi non
riconoscerlo? … O ti va bene così?
Ascoltò
la giovane sussurrare il suo nome. Poi le spalle le tremarono.
«…
Sempre che tu lo voglia, Amane.»
Fu
allora che qualcosa, in lei, andò
in pezzi.
Non
riuscì a sentire un solo grammo di rimorso.
«Sarebbe bello poter tornare indietro.»
I lacci rossi dei sandali oscillarono quando Misa tese le gambe al
vento di fine estate – due linee bianche contro il fuoco del
tramonto.
«A quando le cose erano più semplici.»
La guardò piegare le ginocchia sporche di terra e lasciare
cadere i talloni
sull’erba, tamburellandoli al ritmo di una canzone che aveva
preso a mormorare tra i denti; aveva quasi vent’anni ma
quell’energia che le rendeva ogni movimento un ghiribizzo
fanciullesco non sembrava averla abbandonata. Il che, per qualche
motivo che non riuscì a spiegarsi, era rassicurante.
«Trovi?»
La idol si stiracchiò, portandosi le mani sotto la nuca con
un sorriso. Quell’espressione distesa, gli ricordò
quella un gatto che aveva visto dormicchiare sul balcone di una
palazzina.
«Mh? Come, scusa?»
L poggiò le mani sulle ginocchia, percorrendo le linee curve
dell’osso con l’indice; sapeva che
l’amica in realtà aveva compreso perfettamente la
sua domanda e che fargliela ripetere era un modo come un altro per
guadagnare qualche secondo in più per imbastire una
risposta. L’assecondò.
«Pensi davvero che prima fosse tutto più
semplice?»
Una folata d’aria spazzò la collina, gonfiandogli
gli abiti. L’odore penetrante dell’erba era una
carezza per le sue le narici e non poté che riempirsi di
quell’aria leggera, abbracciando l’intera cittadina
sottostante con lo sguardo: vista da lassù, sembrava quasi
sospesa nel tempo, con la sua ordinata fila di case dai colori chiari
che circondavano, come perle, una chiesetta dal campanile svettante.
«Secondo te non è così,
Ryuzaki?»
I capelli di Misa ricaddero sull’erba con un fruscio dolce e
il prato scintillò di riflessi d’oro e platino.
«Be’… Forse hai ragione.»,
proseguì ancora lei, gli occhi immobili sulle fronde
dell’acero che li schermava dal sole. «Forse a Misa
manca semplicemente quello che aveva.»
«Comprensibile.», le concesse L e si volse a
guardarla, soffermandosi sulla linea serena delle sue labbra.
«Eppure non mi sembri… Triste.»
«Triste? Affatto.»
Le ombre purpuree delle foglie le scivolarono lungo la gola,
disegnandole motivi geometrici sulla pelle.
«Ѐ così bello qui.»
«Lieto ti piaccia.»
«Senti… Perché non ti sdrai un
po’ anche tu? Si vede lontano un chilometro che sei
stanco!»
Suggerimento invitante,
considerò il giovane; lo scontro contro Matoba
l’aveva visto uscire vittorioso ma indolenzito –
per non parlare dei lividi sparsi ovunque sul suo corpo.
Sarebbe stato giusto riposare, fermarsi un attimo. La semplice menzione
di un possibile cambio di posizione che non prevedesse il
raggomitolamento su sé stesso, tuttavia, gli fece arricciare
il naso.
«Non posso.»
Misa non diede alcun segno di sorpresa a quella risposta brusca.
«Meno nove punti intelligenza se lo fai?»
«… Bizzarro modo d’esprimersi ma
sì, è così. Mi sorprende che te lo
ricordi.»
«Esiste davvero un modo per dimenticare le tue
stramberie?»
Lui aggrottò la fronte, indispettito. Lei
ridacchiò.
«Anche a volerlo con tutto il cuore, Ryuzaki, non possiamo
dimenticare le persone con
cui condividiamo momenti importanti della vita… Non siamo
mica dei computer che possono fare il
coso che cancella tutto.»
«… Il reset?»
«Ah, è così che si dice?»
«Non posso credere che tu non conosca una nozione
così basilare d’informatica con il lavoro che
fai.»
«Misa-Misa è una idol, mica un tecnico! E poi non
serve
sapere tutti questi termini specifici per accendere un PC!»
L s’imbronciò.
«Non è questo il punto.»
«Oh, che muso lungo! … Indignarsi per una cosa del
genere è proprio da te, Ryuzaki.»
«Intendevi dire per una
sciocchezza del genere, o sbaglio?»
«… Può darsi.»
La risata di Misa si sollevò al cielo, ariosa, e una parte
di lui fu grata d’aver indossato la solita maglia a
maniche lunghe, perché quel suono gli aveva fatto
accapponare la
pelle. C’era una luminescenza vibrante in lei, qualcosa di
nuovo,
d’inspiegabile che s’irradiava tutto intorno fino a
lui, nella
sua testa, su per i nervi, fin a sfiorare ogni corda del suo cuore e a
farla cantare. Perdere Light l’aveva fatta rinascere.
«Sei cambiata, Amane.»
«Tu dici?»
«Ne sono convinto.»
«Ѐ un bene, no?»
La voce argentina di Misa tremò all’ultima
sillaba, quasi avesse per un attimo perso la convinzione in quello che
stava dicendo. Piegò il collo di lato e l’ambra
dei suoi occhi s’increspò, facendoli brillare.
Cosa…
Rumore bianco.
Il detective le rivolse una smorfia curiosa, dissimulando
così la scarica di tensione che gli aveva appena
elettrizzato la bocca dello stomaco. Misa lo stava fissando come se si
stesse aspettando
qualcosa da lui. Una conferma, forse? Che altro?
«… Suppongo di sì.»
Gli bastò vederla inarcare un sopracciglio, per sapere
d’aver sbagliato approccio. Dopotutto, la cautela con lei
funzionava raramente.
«“Suppongo
di sì”.»
La idol gli aveva appena fatto il verso alla perfezione, modulando la
voce in
un tono apatico talmente simile al suo da riempirlo di genuina
ammirazione. Peccato che in meno d’un battito di ciglia la
facciata professionale le
era colata via dal viso, rivelando l’espressione
contratta di chi ha appena tirato un morso ad un limone particolarmente
agro.
«Bah! Che razza di risposta. Non sa né di carne di
né di pesce.»
«Mi correggo: non sei cambiata poi molto.»
«E tu non sei cambiato affatto.»
«Ah, sì?»
«Sì, non capisci ancora nulla di
ragazze.»
«Su questo… Non posso darti torto.»
Con le dita strette tra le grinze dei jeans, L inclinò il
capo e la pioggia di luce che filtrava dalle foglie
dell’acero gli bagnò la guancia scarna. Il calore
gli fece socchiudere gli occhi, placandogli quel senso di inadeguatezza
che continuava a perseguitarlo ogni qualvolta s’approcciava
ad argomenti legati alla sfera sentimentale. Non facevano proprio per
lui. Eppure…
Sbirciò in direzione di Misa, venendo ricambiato da una
linguaccia giocosa che gli fece sprofondare
il cuore in petto.
C’erano molte, troppe
cose che avrebbe voluto dirle. Alcune non avrebbe potuto rivelargliele
neppure volendo. Altre non riusciva proprio a trasformarle in
proposizioni organiche.
Un giorno.
Un solo giorno.
«Avrei voluto avere più tempo per imparare a
capirti.»
Non gli restava altro.
Inspirò, lo stomaco gelato da quanta amarezza fosse
trapelata dalla sua voce. Non pensava di potersi emozionare per
un’ammissione del genere. Accidenti. Da
quando aveva
incontrato Maki, la sua affettività aveva preso a
manifestarsi con maggiore naturalezza sia nei gesti che nelle parole
– cosa che lo turbava non poco. Gli aveva
attaccato la
sentimentalite.
«Ah, ma ti
ascolti?»
Con un agile colpo di reni, Misa si alzò in piedi,
spostandosi davanti a lui con i pugni premuti contro i fianchi; la luce
sanguigna del sole si eclissò alle sue spalle, irraggiandosi
attorno al suo corpo, tra i capelli, nelle pieghe dell’abito
corto, che parve rilucere come se appartenesse ad una creatura celeste.
Perfetta illusione.
Maledizione…
Il detective si portò il pollice alle labbra, premendoci
contro il polpastrello per placare l’ansia che gli ronzava
tra i pensieri.
«Parli come se stessi sul letto di morte, scemo! Non sei mica
un vecchio!», stava sproloquiando nel frattempo
l’amica, concedendosi una breve pausa di riflessione prima di
proseguire. «… Oddio, a volte lo sembri proprio,
tutto ingobbito e immusonito su un computer – ma hai capito
il
succo! Hai tutta una vita per capire quello che ti pare!»
«Ah…»
L tacque. A volte, gli capitava d’ascoltare delle
affermazioni accidentali, il cui tempismo ironico era impressionante.
Lei aveva perso ogni ricordo legato al Death Note, non poteva sapere eppure
l’istinto e il caso le avevano fatto pronunciare quelle
esatte parole. Uno sbuffo divertito gli sfuggì dalle
labbra, che si storsero sotto il peso della menzogna che stava per
rigurgitare.
«Hai ragione, Amane. Il tempo… Non mi
manca.»
Trasalì quando il delicato piede della fanciulla che lo
sovrastava per poco non
pestò il suo.
«Non ce la fai nemmeno a guardare Misa negli occhi!»
Con un po’ d’indugio, il detective
sollevò lo sguardo e la vide
scoprire i denti – bianchi, impeccabili – con aria
altera, pronta ad inveirgli ancora una volta contro. La sua reazione, a
quanto pareva, l’aveva stizzita.
Non
c’è modo di averla vinta, con lei.
Avrebbe voluto alzarsi in piedi e allontanarsi di qualche passo da quel
broncio frustrato ma la sua amigdala continuava a suggerirgli, o meglio
a urlargli,
che muoversi in quel momento equivaleva a sfidarla;
così rimase rannicchiato su se stesso, sperando che la
ragazza mettesse presto ordine alle proprie emozioni.
«Cos’hai, Ryuzaki?»
«Amane…»
«C’è qualcosa che non hai detto
a Misa-Misa?»
L distinse una traccia strisciante, ineffabile come un’eco
nella voce della ragazza. Paranoia.
Uno strascico del suo
rapporto con Light è rimasto, allora.
Non era un bene. Non lo era affatto.
«Amane.»,
si
costrinse a ripetere ancora, infilandosi con indifferenza il mignolo
nel naso per grattarsi l’interno della narice. «Sei
visibilmente stressata. Vuoi una caramella?»
Nulla, su quella collina, diede accenni di vita per un minuto buono.
«Che c– No,
pazzoide che non sei altro!»
«Ne sei sicura? Ne ho portata una senza zucchero solo per
te.»
«Ma chi se ne frega! E levati quel dito dal naso, che
schifo!»
Misa calciò un ciuffo d’erba che
volò oltre la spalla del buon detective, decorandogli la
maglia
d’una spruzzata di terra.
«E va bene.», capitolò lui, sospirando.
«Ti
devo le mie
scuse: prima devo essermi espresso in maniera lievemente drammatica.
Tuttavia, ciò non toglie che avere dei rimpianti
è umano,
Amane. Non
dovresti leggere troppo tra le righe, o andrà a finire che
stravolgerai sempre il senso di quello che ti viene detto.»
«Ma perché è un rimpianto?
Misa…»
Il nero delle loro pupille si incontrò e qualcosa in lei si
smosse, facendole cascare le braccia lungo i fianchi; le
sopracciglia le si inclinarono, addolcendole l’espressione.
«Io
sono qui.»
Non aggiunse altro, lasciandosi cadere sulle ginocchia di
fronte ad L, le guance ingentilite d’una delicata sfumatura
amaranto.
Oh… Ha
abbandonato la terza persona.
Non l’aveva mai fatto prima. Nemmeno con Light. Soprattutto con
Light.
Dolore.
La
gola non gli aveva mai fatto così male. Il giovane
deglutì, processando quella novità con un certo
disagio.
Che voleva dire?
«Lo so. Ti ringrazio per esserti presa la briga di sfuggire
ancora al tuo manager per raggiungermi. Sono lusingato.»
«Che ne sai tu di…?»
«Quando sei arrivata avevi il fiatone. Inoltre: lo strappo
nell’abito. I capelli sciolti. Le ginocchia
imbrattate.»,
cantilenò lui, agitando l’indice per indicare ogni
cosa.
«Indicano fretta. Hai agito senza avere un piano ben
organizzato. Come al solito.»
«… Sei insopportabile.»
«Opinabile.»
«Opi– che?!
Comunque è inutile che cambi argomento!»
L trasse un profondo respiro.
«Ascolta, Amane. Comprendo la tua preoccupazione ma
sofferenza e perdita sono parte di chi siamo, non
bisogna averne paura.», provò a spiegarle,
«Perché temendole
permettiamo che siano le uniche cose a definirci.»
Si portò d’istinto il piede
sinistro sul destro, per grattarselo. Quando si rese conto di stare
indossando delle scarpette da ginnastica, emise un rantolo di
disappunto.
«Un gran spreco, non trovi?», continuò
allora, «Se ci pensi, in noi c’è
così
tanto potenziale: senso di giustizia, spirito di sacrificio, coraggio
ricominciare… La più matta speranza. Se
proprio
dev’esserci qualcosa a guidarci, perché non
lasciare che siano queste?»
Evitando lo sguardo disarmato di Misa, si voltò verso lo
zaino che aveva abbandonato contro il tronco dell’acero e
allungò un braccio, aprendolo. Frugò al suo
interno per un po’, prima di riuscire ad estrarne, tra
pollice e indice, un pacchetto di patatine chiuso in una busta
autosigillante.
«Qui dentro c’è qualcosa che considero
un tesoro.», mormorò, porgendola alla ragazza, che
batté ciglio prima di afferrarla. «Ma sono
arrivato a
concludere che è più giusto che l’abbia
tu.»
«… È una busta. Con dentro una busta di
patatine. A te non
piacciono
nemmeno, le patatine.»
«Non esattamente.»
Misa fece una smorfia incuriosita, dondolando il capo a destra e
sinistra per osservare il dono da ogni angolazione possibile.
«Ti servirà da monito.», si
premurò d’aggiungere nel frattempo il detective, criptico,
prendendo a
mangiucchiarsi le unghie. «Per il giorno in cui penserai che
non
c’è più nessuno che ha bisogno di
te.»
«Cosa…?»
«Aprila.»
Osservò con attenzione la giovane mentre strappava la
busta e affondava la mano nel pacchetto, tirandone fuori una
fotografia. La carta era d’una sfumatura giallognola e anche
l’immagine impressavi sopra portava i segni del tempo: con il
mare sullo sfondo, due famiglie stavano posando assieme per lo scatto,
tenendosi stretti gli uni agli altri. In primo piano c’erano
i volti tondi e sorridenti di due bambine: Misa e Maki.
«Questa… Ѐ la vacanza che abbiamo fatto
assieme.» Misa rigirò la foto tra le
dita, sfiorandone la superficie lucida con delicatezza, quasi avesse
timore che
potesse sbriciolarsi sotto il suo tocco.
«Maki…»
«Non è stato facile ottenerla.»,
annuì L, «Quella bambina è
un’ottima negoziatrice.»
La serietà del suo tono strappò a Misa una
risatina tremula.
«… Scherzi?»
«No.» Preso in contropiede da tanta
incredulità, piegò il capo di lato.
«L’ho dovuta barattare per l’oggetto a
cui tenevo di più in assoluto.»
«Non sarà stata una fragola o una caramella,
vero?»
«Con chi credi d’aver a che fare, Amane? Sono un
uomo d’onore, io.»
La guardò storcere le labbra in una smorfia ironica, prima
di replicare un semplice “a-ha” che lo fece
immusonire.
«Se proprio vuoi saperlo, le ho consegnato il mio personale
taccuino. Ci avevo annotato sopra ogni singolo dolce che ho mangiato da
quando sono arrivato qui in Giappone.»
«Ogni singolo–
Cavolo! Dovevi tenerci davvero
tanto, allora!»
«Sì.»
Era… Strano che capisse.
«Sì, è così.»
Era bello
che capisse.
«Pazzesco! Maki è un genietto del male!»
Sghignazzò Misa, stringendosi al petto la fotografia.
«Grazie, Ryuzaki… Questo è il pensiero
più dolce che abbia mai ricevuto. Non
lo dimenticherò.»
Calore. Il
detective sentì il sangue risalirgli lungo le
guance, facendogliele avvampare.
Che guaio.
Quell’espressione… Mi fa venir voglia
di vivere ancora un po’ in questo mondo.
Per poco non gli andò di traverso la propria saliva al
sentore di déjà-vu che quel pensiero gli
diede; tempo fa, in un altro luogo, in un’altra occasione,
aveva detto la stessa cosa ad
un’altra persona.
Watari.
«E a proposito di tesori…
Perché questa mia vecchia foto è
così preziosa per te?»,
cinguettò Misa con innocenza, gattonando verso le radici
dell’acero sulle quali giaceva una borsetta nera ricoperta di
borchie. «O forse speravi che non te l’avrei
chiesto?»
L si passò una mano dietro il collo, posando lo sguardo
sulla
curva nivea di quella schiena esile, contando le vertebre che
comparivano tra i lacetti intrecciati dell’abito.
«Non capisco cosa intendi, Amane. Sai bene che sono un tuo
grande fan, non te l’ho mai nascosto. Quella
fotografia… Ti è stata scattata prima del
successo. Ѐ a tutti gli effetti una rarità da collezione,
non potevo non volerla... Ma non è tutto.» Gli
angoli
delle labbra gli si piegarono in un sorriso che gli accese
d’un
baluginio vivace
gli occhi. «Quando l’ho vista, ho sentito di
comprendere il
legame emotivo che racchiudeva… E devo confessarti che mi
affascinava
l’idea d’averlo tutto per me, di essere custode di
quel
momento felice. Dev’essere stata una splendida
giornata.»
«Sì… Una delle più belle
della mia vita.»
Misa chiuse la pochette,
lasciando al suo interno quel frammento di passato.
«… Uffa!», sbuffò poi e si
prese il volto tra le mani, scuotendo furiosamente la testa.
«Ma come
fai a dire certe cose con quella voce da
robot? Rovini tutta l’atmosfera!»
«Quale atmosfera?»
La idol si sollevò in piedi, veleggiando tra i fili
d’erba
fino ad arrivare ad accomodandosi con grazia di fronte a lui,
prendendosi il tempo di accarezzare il fiocco di raso nero che le
cingeva la vita prima di degnarlo della propria attenzione.
«Ma tu ci sei o ci fai, porcospino dannato?»
Fece per
prendergli il
viso tra le mani ma si fermò di colpo con le
braccia a
mezz’aria, stupefatta.
«Oh, wow… E quello
cos’è?!»
«Cosa?»
L si guardò attorno.
«Come, “cosa”? Quello!»,
esclamò ancora lei, questa volta afferrandogli senza
esitazione il mento per farlo voltare. «Stai sorridendo,
Ryuzaki!»
«Le tue osservazioni argute non finiscono mai
d’impressionarmi, Amane.»
«Che scemo... Non credo d’averti mai visto
sorridere
così,
ok?»
La mano le cadde in grembo e lui si ritrovò a seguire quel
movimento come in trance, protendendosi in avanti.
«Sei… Felice?»
Il detective raddrizzò le spalle, schiarendosi la voce. Che
gli era preso?
«Direi di sì.»
«Mi piace il modo in cui cambia la tua espressione quando lo
sei.», mormorò Misa, annuendo tra sé
come se fosse arrivata a capo di una qualche diatriba interiore.
«Dovresti sorridere di più…
Sì, dovresti farlo più spesso!»
Inebetito dal quel complimento, L schiuse le labbra,
tamburellando le dita ossute sulle ginocchia. Non era abituato a ricevere commenti positivi sul suo aspetto. Meno che meno edulcorati da
una spontaneità che fugava ogni dubbio sulla loro
autenticità.
Si chiese se fosse stata la fantomatica “atmosfera”
da poco
accennata a favorire
quell’evento.
Oppure…?
«Questa… Ѐ la cosa più vicina ad una
dichiarazione d’amore che mi abbiano mai fatto.»
«E-Eh…?»
«Che devo fare, Amane?»
Mascherando il riso dietro una smorfia
d’ingenuo smarrimento, la punta di diamante della
Wammy’s House si portò una mano sul petto,
fissandone in
seguito il palmo come se avesse appena toccato un artefatto
alieno. Preso com’era dalla propria improvvisazione,
riuscì anche a farlo tremare un po’.
«Non mi sono mai sentito così…. Ho il
cuore che mi batte forte…!»
Con ineguagliabile raffinatezza, Misa aspirò una disumana (a
suo modesto parere)
quantità d’aria
dalla bocca, torcendosi di lato e schermandosi il viso per evitare la
fissità inquietante dei
suoi occhi sporgenti.
«Non guardarmi con quello sguardo da pesce
lesso!», eruppe con il tono più alto di
un’ottava. «… Non riesci mai a fare
il serio, Ryuzaki! Sempre a prendermi in giro!»
Rossa, rossa, sempre più rossa.
«Oh? Guarda che sono serissimo.»
«Seh! Ma ti rendi conto che vorrebbe dire che sei
innamorat–»
Sussultò.
«Mh? Cosa sarei?»
«... N-Niente! Anzi, uno scemo, come al solito!»
Pausa.
«Oh. Adesso invece il cuore mi fa male.»
«Smettila!»
«Interessante. Ѐ come se si stesse spezzando in due. In senso
figurato, ovviamen–»
Per poco non cadde in ginocchio sul prato, quando Misa gli
gettò
le braccia al collo, tirandolo a sé con un impeto tale da
riempirlo di brividi.
«Sei un cretino, Ryuzaki.»
Come se l’avesse fatto altre mille volte, la ragazza gli
poggiò il mento sulla spalla, solleticandogli la guancia con
i
suoi capelli
biondi. Vaniglia.
Sapevano ancora di vaniglia.
«E tu hai fatto esattamente il mio gioco, Amane.»
L’alone bollente d’un respiro sulla
pelle e la
risata della ragazza gli vibrò nelle ossa, riempiendolo di
desiderio di tenerla stretta a sé. Non si mosse.
Vorrei…
Il detective chiuse gli occhi, affondandole il naso
nell’incavo della clavicola, godendosi il tepore, la quiete
che solo quelle braccia riuscivano a dargli.
Non sentiva più nulla, né la stanchezza,
né il
dolore dei lividi; e dire che c’era stato un tempo in cui
avrebbe
fatto di tutto per fuggire da un contatto così
intimo.
Vorrei poter prolungare
questo
momento.
E il silenzio che gli aveva riempito le
orecchie sfumò
lentamente nel frinire degli insetti che risuonava nella
collina.
Era una cantilena soffusa, ritmica che gli si insinuò nella
mente, mutando forma, richiamando altri suoni che crearono
l’immagine di un paio di lancette d’orologio. Lo
scandire
inarrestabile dei secondi che continuavano a scorrere tra loro,
avvicinandolo all’orario della partenza.
«Quando…?»
Abbiamo…
Pensato la stessa cosa?
«L’ultimo
treno parte tra un’ora.»
Un sospiro e le unghie di Misa gli grattarono il collo,
serrandosi sulla sua maglia.
L si morse il labbro. Doveva sbrigarsi.
«Qualche tempo fa, mi hai chiesto se credessi o meno nel
destino, ricordi?»
«… Oh… Sì.»
C’era un’increspatura melanconica nella voce della
idol,
che tuttavia sciolse l’abbraccio per ascoltare quello che
aveva
da dire, l’inevitabile addio uno spettro che le aveva ormai
infestato i lineamenti, incupendoli.
«In verità, ho sempre ritenuto che il destino
fosse un concetto noioso.»
«… E hai aspettato tutto questo tempo per
dirmelo?»
Il giovane sogghignò appena, sapendo ancora prima
d’aprir bocca quanto le sue parole
l’avrebbero delusa; ma quello era l’ultimo nodo che
restava tra loro ed era intenzionato più che mai a
scioglierlo prima di tornarsene al quartier generale. Voleva
permetterle, seppure
per un istante, di sbirciare dietro la sua maschera perché lei gli aveva appena permesso di fare lo stesso.
«Pensaci bene:», proseguì quindi,
svelto,
sollevando l’indice. «se davvero esistesse un piano
prestabilito, vorrebbe dire che nessuno di noi ha libero arbitro,
né è responsabile delle proprie azioni. Non si
vince, non si perde. È inaccettabile.»
«Non… Non l’ho mai considerata da questo
punto di vista.»
«Lo presumevo.» L chiuse il pugno, lasciando ritto
solo il
mignolo ossuto, prendendo a fissarlo come se ci fosse attaccato qualcosa.
«Conosci la leggenda cinese del filo rosso del destino,
vero?»
Misa lo imitò di riflesso, osservando il proprio dito.
«Eh?! Ma cert–», esclamò,
decidendo poi di spezzare la frase in due serrando i denti.
«Lo trovi… Infantile?»
«Non ha importanza cosa penso. Importa che tu ci creda o
no.»
«Be’… Sì, io ci
credo.»
«Quindi sarebbe giusto pensare che saresti disposta ad amare
chiunque il
destino abbia scelto per te?»
«Certo che sì! Queste cose esistono
perché funzionano, testa di rapa!»
La giovane si batté i pugni sulle cosce, scandendo
l’insulto sporgendosi verso di lui con la mascella in fuori.
Sarà onestà, la sua? O mera testardaggine?
«E tu invece? Non credi in nulla, Ryuzaki?»
Gli occhi le si dilatarono, lucidi, ferventi ed L poté
scorgerci il suo riflesso scioccato al loro interno. Era vicina. Troppo
vicina.
«Nemmeno nella possibilità che da qualche parte
esista la persona perfetta per te?»
«Io…»
Esitò un istante. Uno solo.
«Non lo sopporterei.»
«Eh?!»
«Mettiamo il caso che ci creda, che un giorno sia
destinato
ad incontrare qualcuno di speciale…»,
ipotizzò lui, sentendo un fastidioso groppo in gola,
«Ciò significherebbe che
ogni relazione prima di quel fatidico giorno, è inevitabile
che fallisca.»
«Be’, sì, ovvio!»
«Se è così, allora è
altrettanto vero che, per quanto possa sforzarmi di capire la persona
che ho a fianco e possa combattere per riuscire a creare qualcosa con
lei, per quanto possa amarla e desiderarla, non
c’è
niente che
possa fare per restarle accanto. Non se non è lei
la predestinata. Quindi anche in questo contesto i miei sentimenti, la
mia volontà
non hanno alcun peso.»
«… Oh.»
L trasse fiato per proseguire ma la mascella fece fatica a
muoversi,
d’improvviso gelida, inerte.
«Non posso accettare che il mondo funzioni così,
Amane. E non dovresti anche tu.»
Chiuse la bocca, le spalle incurvate da tutta la spossatezza accumulata
in quel mese scriteriato; ora era tutto chiaro, aveva preteso troppo
dal proprio corpo e ne stava cominciando a pagare il prezzo.
Dita delicate, sottili, si sollevarono, sfiorandogli la guancia,
scaldandogli la pelle. Una carezza. Sospirò, sentendo ogni
fibra della sua mente corrodersi nel tentativo di mantenere la
lucidità.
La invidiava.
Misa faceva sembrare tutto così semplice; la
sua
vicinanza, la sua comprensione erano racchiuse il quel tocco. Non le
serviva altro per trasmettergliele. Avrebbe voluto essere in grado di
fare altrettanto, almeno con le parole.
Se solo…
«La tua felicità dipende da una sola
persona.»
«Da chi…?»
Un sbuffo tra il divertito e l’esasperato.
«Da te, scema
d’una Misa.»
«Ryuzaki…?»
La voce era un’eco lontana e lui
batté le palpebre, faticando a tenerle aperte. Da
quanto non dormiva?
«Hai detto il mio nome? Mi hai chiamata per nome?»
Osservò la giovane in silenzio, sorpreso di quanto grandi
e scuri fossero i suoi occhi; erano sempre stati belli, espressivi ma
adesso ardevano come stelle, accecanti, mesmerici.
«Il tuo nome…?»
«Sì, sì l’hai proprio detto.
Sembra… Sembra quasi qualcosa di buono, quando lo dici
tu.»
Il sole trapassò le nubi con i suoi ultimi raggi, inondando
cielo e terra di scie
bronzee e vermiglie che si rifransero sul prato, creando
tutt’intorno una radiazione calda e luminosa.
«Io… Sono fiero di quello che sei
diventata.»
«Cosa…?»
«Quel giorno, al concerto… Avresti potuto
abbandonare me e Maki ma non l’hai fatto. Pur di
aiutarci,
ti sei esposta ad un pericolo del quale non conoscevi nemmeno
l’entità.»
«Mis– Ti sono stata utile? Io?»
L inclinò la testa.
«Dire che sei stata essenziale
sarebbe quasi eufemismo. Non ce l’avrei mai fatta a
salvare Maki, senza il tuo intervento.»
Gli sembrò quasi di vedere cadere delle catene dai
polsi di Misa quando quelle sue mani piccole
– calde, calde, sempre
calde – gli tracciarono la linea degli zigomi,
leggere come non mai,
scivolandogli lungo le guance.
Stava… Piangendo.
«Perché…?»
Avvertì le sue dita volargli tra i capelli, sulla nuca,
tirandolo in avanti; l’odore di vaniglia lo avvolse ancora,
intenso, prima che il mondo sparisse nel bianco. Non c’era
più aria nei suoi polmoni, solo le labbra di Misa contro le
sue
e il sale delle sue lacrime.
Sconvolto com’era, nel momento in cui l’accaduto
gli divenne lampante, la ragazza si era già ritratta.
«Scusami, Ryuzaki, mi sono lasciata trasportare…
Che
scema.», disse e si lasciò andare ad una risata
acquosa.
«Se avessi potuto trovare le parole, se solo fossi in grado
di dirti
quello che…»
Questa volta fu la mano di L a cingerle il collo, mozzandole il fiato
in gola, chiudendo le distanze che c’erano tra loro.
Si sporse verso di lei piegando il capo, baciando quella bocca tremante
che si schiuse sotto la sua, accogliendolo, mandando in fiamme i suoi
sensi. Una risposta insperata che lo riempì di gioia e
terrore e
il suo cuore prese a gonfiarsi e gonfiarsi ad ogni battito, fino a
toccargli le
costole, fino a fargli male. Inspirò e si
abbandonò a
quel dolore dolceamaro, che lo staccò da terra, che gli
diede il
capogiro in un turbine senza suoni. Non c’erano pensieri
né percentuali. Fu quasi come dissolversi finché,
nella
vertigine, le braccia di Misa lo trovarono e lo strinsero, impedendogli
di perdersi completamente. Non aveva più paura.
Un rintocco.
Un altro.
Il calore gli si fermò a fior di labbra.
«Ah, le senti anche tu, Ryuzaki?»
Aprì gli occhi e il sorriso di Misa bruciò ogni cosa.
«Le campane… Che bel
suono.»
.:~*~:.
E ben ritrovati! (ノ´ヮ´)ノ*:・゚✧ Lo so, alla buon’ora
direte voi hah hah hah
Avevo detto che il finale sarebbe stata una raccolta di frammenti,
perché non riuscivo a mettere insieme i vari pezzi che avevo
in mente… Ma, dopo aver passato letteralmente quattro mesi a
scrivere e riscrivere questo capitolo, sono fiera di concludere questa
raccolta con un racconto vero e proprio. Onestamente, preferisco
così, perché a spezzettare tutto non riuscivo a
trasmettere abbastanza organicità alle varie parti per avere
senso.
…
Va be’, problemi mentali miei a parte, passiamo alle
note, va! X°D
Questo ultimo capitolo, è ambientato quasi alla fine del
romanzo “L
Change the WorLd” (un AU in cui L
sopravvive a Light, seppur per poco), durante
il penultimo giorno di vita del protagonista. Nello specifico:
- Il primo segmento è ambientato nel periodo in
cui sia Misa
che Light hanno recuperato i ricordi e il Death Note, e il loro
rapporto ha cominciato a deteriorarsi. L
se n’è accorto, quindi
decide di forzare la mano per
farlo capire anche a lei. Le propone anche una vita d’uscita,
ma lascia che sia Misa a fare la scelta finale.
Chiaramente, lei sceglie Light, come da copione…
Però
qualcosa in lei ha cominciato a
maturare da quella discussione;
- Il secondo segmento, invece, prende piede mesi dopo la
morte di
Light e alla fine della vita di L.
Perché ho scelto questa ambientazione per il finale?
Perché vivo di sofferenza
ho approfittato
del fatto che, nel romanzo, non viene raccontato cosa fa L durante
quella precisa
giornata (si sa solo che va a lasciare un dolce alla tomba di
Light). Quindi, nel contesto di questa raccolta, è
plausibile che
si
prenda anche
qualche ora per salutare Misa, prima di tornare al quartier
generale.
Ah, e preciso che l’L di fine libro è un pelo
pelo pelo pelo
più espansivo di quello
dell’indagine del caso Kira.
Perché l’autore voleva esplorare la sua
umanità, che infatti pian piano riaffiora grazie a Maki, la
bambina che deve salvare; classica
roba da anime, insomma hah hah hah (FRIENDSHIP IS
MAGIC). Comunque, a parte questo piccolo dettaglio,
è sempre lo stesso asociale, imbarazzante stranboide di
sempre. X°D
…
Se, invece, vi siete chiesti perché in questo capitolo il
buon detective ha fatto
di tutto per far capire a Misa che
il destino non esiste e che, quello che accade, dipende solo dalle sua
volontà, be’, la risposta è semplice:
lui sta per
morir--
*viene
colpita da una mattonata*
Ti ho vista, Jade. Ah-ehm. *asciga il sangue*
Dicevo, lui sa
che non
può più vegliare su di lei e che, se lasciata a
sé
stessa, Misa può diventare autodistruttiva. Quindi la cosa
migliore che può fare per impedirle di tornare ad
autocommiserarsi o peggio, è farle
capire che non c’è nessuna
entità extracorporea a impedirle di essere felice. La decisione di vivere
al meglio i giorni che le restano spetta solo e soltanto a lei. Vuole,
insomma,
che Misa salvaguardi quel che resta della sua
umanità (tra
l’altro manco
in
carcere l’hanno messa per quello che ha combinato…
ma va
be’, dettagliX°D)
e non permetta al suo passato di consumarla completamente. Due
temi importanti trattati del libro sono infatti il perdono e la
capacità di dare una seconda chance a chi ci ha fatto del
male.
Lo so, più
cliché di così non si puote.
Bene! E ora passiamo ai ringraziamenti finali! *rullo di tamburi*
Ringrazio
tanto quelle anime ardimentose di L
i f e, QueenAomame, Vittoria90, AleDic e SATURNEY01 per
aggiunto questa raccolta tre le preferite/seguite/ricordate!
Che dire, mi fate inorgoglire per quello che faccio hah hah
hah ♥
Inoltre, un enorme GRAZIE
è ovviamente dovuto anche a chi ha letto e commentato!
☆*:.。. o(≧▽≦)o .。.:*☆
Quando ho deciso di scrivere questa raccolta, mi sono lanciata una
sfida: ovvero il riuscire a raccontare una possibile evoluzione del
rapporto tra L e Misa nell’universo di Death Note. Con le AU
è molto più semplice evitare certi problemi con
la caratterizzazione (una Misa che non si è mai innamorata
di Light, per esempio, risolverebbe più della
metà
dei problemi), ma il mio obiettivo era riuscire a
rientrare nell’ambientazione di partenza prendendomi meno licenze
poetiche possibili, quindi ho usato solo universi legati al
manga originale. Sono contentissima del risultato,
anche perché, grazie ai commenti che voi lettori mi avete
lasciato, sono
riuscita a capire se stavo viaggiando sui binari giusti o meno, quindi
vi ringrazio per avermi seguita e supportata fin qui! ₍₍ ◝(●˙꒳˙●)◜ ₎₎
See ya,
Shadow
Eyes
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