1.1
Hawthorn
.
.
.
Il castello era sprofondato in una quiete innaturale e improvvisa.
Le parole del Signore Oscuro erano risuonate nell'aria un'altra volta,
propagandosi ovunque, rimbalzando tra le spesse mura di Hogwarts.
Era stata annunciata una tregua, poi l’inferno sarebbe ricominciato.
Draco era rientrato nel castello insieme agli altri, ma non li aveva seguiti nella Sala Grande.
Morte e dolore gravavano sui combattenti di Hogwarts, ma Draco non poteva condividere le loro emozioni.
Non perché non si sentisse degno di loro, né tanto meno
perché avesse paura di scoprire che uno dei suoi compagni di
scuola era stato ferito o ucciso da qualcuno che conosceva.
No, semplicemente Draco non voleva stare con loro.
Non voleva lasciarsi influenzare da quella sofferenza, non voleva
vedere corpi straziati, non voleva ammettere di aver creduto per tutta
la vita a una menzogna, seguendo le idee folli di un mostro.
Perché questo era Voldemort: un mostro, un assassino, un essere privo di umanità.
Una parte di Draco lo aveva sempre saputo, ma era stato tremendamente
facile fingere che non fosse così, convincersi che il nemico
fosse Potter, che con il trionfo del Signore Oscuro tutto sarebbe stato
finalmente giusto e migliore.
Aveva dovuto vedere la sua famiglia andare in pezzi per capire che qualcosa non quadrava.
Aveva dovuto aspettare quella notte per accettarlo.
Nella villa di famiglia, tra quelle mura impregnate di
malvagità, per la prima volta Draco aveva fatto la cosa giusta,
quando sarebbe stato terribilmente facile fare il contrario.
O aveva di nuovo preso la via più semplice che, casualmente, si era rivelata essere anche quella più corretta?
Non lo sapeva, forse non l’avrebbe mai saputo ed era meglio così.
Senza neanche accorgersene era finito in uno dei corridoi
dell’ultimo piano. Poco oltre, infatti, scorse la liscia parete
di pietra dove si celava la porta della Stanza delle Necessità.
Decise di ritornare sui suoi passi. Non c’era motivo di
costringersi a ricordare che proprio là, appena pochi minuti
prima, era stato salvato da morte certa da Potter e dai suoi amici.
Aveva ridisceso appena due rampe di scale, quando scorse le ultime persone in cui avrebbe voluto imbattersi.
Silenziosamente, prese a risalire i gradini di pietra scheggiata,
ingombri di macerie. Ne aveva percorsi solo la metà quando la
scala, che lo avrebbe condotto a uno dei corridoi segreti, si mosse,
rendendo il pianerottolo davanti a lui null’altro che un inutile
vicolo cieco.
Come se fosse stato vittima di un crudele accanimento della sorte, i
due ragazzi seduti ai piedi della scala girarono la testa, attirati dal
rumore improvviso e, così facendo, videro Draco.
“Grandioso” pensò tra sé.
Mantenendo un’espressione impassibile, decise di andare loro
incontro, ignorandoli, sperando con tutto il cuore che anche loro
facessero lo stesso.
«Ehi Malfoy, come mai non sei insieme ai tuoi amici Mangiamorte?».
Era stato Weasley a parlare.
Draco si impose di ignorarlo, ma quello aggiunse
«O forse hai avuto di nuovo qualche problema a farti riconoscere?»
Alludeva all’incidente di prima, immaginò, quando Draco
stava per essere ucciso da uno dei seguaci del Signore Oscuro che non
l’aveva riconosciuto, o non aveva voluto farlo.
Potter gli aveva salvato la vita due volte quella notte: era decisamente più di quanto Draco potesse sopportare.
In quel momento spuntò Goyle da uno dei corridoi del piano
inferiore. Aveva un’aria stravolta e non sembrò accorgersi
della presenza degli altri.
Si era lasciato cadere su uno dei gradini, le grosse spalle appoggiate alla parete.
Aveva un brutto taglio sull’avambraccio destro e parecchi segni di scottature.
Draco non era in condizioni migliori.
Davanti a lui c’era una vetrata, miracolosamente scampata alla
distruzione. Draco osservò il proprio riflesso e si accorse di
stare sanguinando. Aveva un’aria sciupata, gli abiti
bruciacchiati e insanguinati, le mani e le braccia coperte di graffi e
piccole ustioni. Lo zigomo sotto l’occhio sinistro si stava
gonfiando, là dove il pugno di Weasley lo aveva colpito.
Raggiunse Goyle e sedette accanto a lui.
Improvvisamente si sentiva stanco e ogni muscolo sembrava urlare di dolore, ogni centimetro di pelle pareva implorare sollievo.
Weasley e la Granger, intanto, avevano ripreso a parlottare tra loro.
Si tenevano per mano, notò, e per una volta Draco non
trovò nulla di provocatorio da dire. Nessuna battutina pungente,
nessun commento acido. Per una volta, Draco si chiese come ci si
potesse sentire nei panni logori e miseri di Weasley, confortato dal
calore di un amico, di un’amante, e quello che si rispose
assomigliava molto all’invidia.
Draco Malfoy invidioso di un pel di carota squattrinato, avvinghiato a
una Sanguemarcio: la sua famiglia era davvero caduta in basso.
In quel momento si accorse dell’assenza di Potter e si chiese dove fosse.
L’Oscuro Signore gli aveva chiesto un confronto diretto nella
Foresta Proibita: che Potter fosse stato tanto idiota da andarci?
Questi eroi, pensò Draco, sempre al limite della stupidità.
Decise di non chiedere spiegazioni ai due Grifondoro e si voltò
a guardare il suo amico Serpeverde. Goyle aveva un’espressione
strana, molto più ottusa del solito. Forse era triste per Tiger,
pensò. O forse, come lui, si vergognava di essere stato salvato
da Potter.
Magari, invece, era arrabbiato con Draco per averli trascinati in
quella stanza, deciso a fermare Potter, ma allo stesso tempo incapace
di fare quello che era necessario: ancora una volta, infatti, Draco
aveva fallito come Mangiamorte.
Si era comportato da vigliacco, il futuro che aveva sempre immaginato,
la gloria che aveva sempre agognato, erano state lì, davanti a
lui, a portata di incantesimo, e invece lui si era preoccupato di uno
stupido diadema. Aveva voluto convincersi che quell’oggetto fosse
importante, e forse lo era davvero, ma la verità era che
concentrarsi su quello aveva avuto l’unica funzione di ritardare
la sua decisione.
Avrebbe avuto il coraggio di consegnare Potter all’Oscuro?
La risposta era no, ma non l’avrebbe mai ammesso, neanche a se stesso.
Goyle si rialzò, barcollante, senza degnare Draco di uno sguardo.
Una volta, Tiger e Goyle non avrebbero fatto un passo senza il suo
consenso, erano un’entità unica, e, dove c’era
Draco, c’erano anche loro.
Adesso, invece, il nome dei Malfoy non significa più nulla.
Draco e suo padre erano i deboli, i reietti, le loro parole non avevano
più alcun significato, le loro minacce, null’altro che
vuoti balbettii.
Draco guardò il suo vecchio amico allontanarsi, l’antico orgoglio che gli impediva di richiamarlo.
Perché mai, poi, avrebbe dovuto farlo?
Per quei due era stato sempre tutto facile: i loro padri non erano
stati arrestati, le loro madri non piangevano lacrime silenziose e
amare al buio, le loro vite non erano state sconvolte, a loro non era
stato chiesto di compiere un’impresa impossibile.
Tiger era morto, certo, ma la colpa non era stata certo sua.
Tiger, infatti, nella sua infinita stupidità, aveva pensato bene
di lanciare una maledizione complessa, molto al di sopra delle sue
capacità: non era riuscito a controllarla ed era stato vittima
del suo stesso incantesimo.
Forse, se non si fosse considerato tanto importante, se avesse continuato a dar retta a Draco, si sarebbe salvato.
Voltò di nuovo la testa e vide la Granger che si avvicinava.
Weasley non c’era più, anche se Draco non l’aveva sentito andare via.
«Aspetta» gli intimò la Granger.
Si era seduta accanto a lui e aveva allungato una mano verso il suo il
volto. Draco si era allontanato di scatto, un riflesso incondizionato e
meccanico.
«Quello è un brutto taglio» disse lei, accennando alla guancia di Draco.
In un qualsiasi altro momento Draco l’avrebbe allontanata
disgustato, le avrebbe detto qualcosa di cattivo, insultando lei e il
rosso che aveva osato aggredirlo.
Invece rimase fermo e zitto, lasciando che la Granger gli curasse la ferita.
Era stato colpito anche da lei, ricordò, alla fine del terzo anno.
La Grifondoro estrasse un fazzoletto macchiato e sporco, che, con un
leggero colpo di bacchetta, ritornò bianco e pulito. Un altro
tocco e il panno venne imbevuto di una sostanza dall’odore
pungente, ma non sgradevole.
«Ti brucerà un po’» lo avvertì lei, prima di cominciare a pulire la ferita.
Draco rimase immobile, reprimendo una smorfia di dolore ogni volta che
lei passava il fazzoletto umido sotto il suo occhio, là dove il
livido si era già gonfiato.
A quella distanza, Draco si accorse di stare guardando davvero la ragazza per la prima volta.
Non aveva mai notato i suoi occhi color nocciola, di una sfumatura
particolare e unica. Poteva vedere il suo riflesso in quelle iridi
dorate e in quelle pupille attente, dilatate per via della poca luce.
Non aveva mai nemmeno notato le sue labbra lisce e piene, neanche
quando quell’incantesimo le aveva fatto crescere due enormi
incisivi; si era fatto beffe di lei, come al solito, ridendo al
commento sprezzante di Piton.
Era sempre stato troppo occupato a prenderla in giro per curarsi di vederla davvero.
Perché mai, poi, avrebbe dovuto soffermarsi a guardare una Sanguemarcio?
La Granger si accorse del suo sguardo, a metà tra lo stupore
e… ammirazione? e le sue guance si tinsero di una delicata
tonalità di rosa, che sembrò vermiglio accesso sul
pallore del resto del viso: la battaglia doveva averla provata. O forse
era qualcos’altro?
Senza volerlo, gli occhi di Draco corsero alla ricerca della cicatrice.
Non gli ci volle molto per scorgerla: sul collo, all’altezza
della gola, brillava una sottile linea pallida, là dove il
pugnale di zia Bella aveva scavato un piccolo taglio.
Si chiese come mai la Granger non l’avesse curato con la magia,
ma la risposta gli affiorò subito alla mente: la ragazza era
stata punita perché Nata Babbana e dunque, alla Babbana, quel
taglio sarebbe guarito.
Ricordava ancora le urla della Granger.
Zia Bella l’aveva torturata per avere informazioni, godendo di ogni attimo di sofferenza della sua vittima.
L’avrebbe anche uccisa, di questo Draco ne era sicuro.
In quei momenti terribili, Draco si era sforzato disperatamente di
pensare ad altro, ignorando le suppliche della ragazza, le sue urla
strazianti, ma era stato inutile.
Se fosse stato una persona migliore, Draco si sarebbe opposto.
Ma, dopotutto, la Granger era una Sanguemarcio e lui l’aveva insultata talmente tante volte con quel termine.
Si era augurato la sua morte al secondo anno, quando il mostro di Serpeverde andava a caccia di Nati Babbani.
Aveva gioito quando aveva saputo che la ragazza era stata trovata
pietrificata, rammaricandosi che la sua condizione non sarebbe stata
permanente.
Aveva imparato a usare quella parola e a ripeterla ovunque.
Aveva preso per buoni gli insegnamenti di suo padre, convincendosi che
i Sanguemarcio dovessero essere esclusi dalla società magica,
puniti, eliminati magari.
Aveva fatto sue tutte queste cose, senza mai davvero comprenderle appieno.
Durante quella tortura infinita, però, ogni briciolo di certezza rimasta era crollato.
Forse i Nati Babbani non sarebbero mai stati all’altezza dei
Maghi Purosangue, ma non per questo meritavano una sorte tanto orribile.
Forse potevano esserci delle eccezioni, forse il Sangue Puro non era
poi una grande certezza: insomma, bastava vedere Tiger e Goyle per
capire che anche la più nobile ascendenza non sempre poteva
essere considerata garanzia di qualità.
Suo padre, poi, si era sbagliato su molte cose: aveva giurato
fedeltà a un pazzo assassino, aveva riposto fiducia in amici che
lo avevano abbandonato, aveva scelto di seguire una strada che aveva
condotto lui e la sua famiglia alla rovina e all’emarginazione,
aveva cresciuto un figlio secondo principi che lui, nel momento in cui
era stato chiamato a metterli in pratica, aveva disatteso.
Poteva dunque essersi sbagliato anche su questo.
Nel frattempo la Granger aveva estratto dalla borsetta di perline una fiala di Dittamo.
Ne versò alcune gocce sul volto di Draco, quindi gliela
consegnò perché potesse provvedere da solo ai graffi e
alla bruciature sulle braccia.
Weasley tornò in quel momento e si mise a osservare la scena con
un’espressione truce, di puro disprezzo, ma non disse nulla.
Una volta finito, Draco riconsegnò la boccetta alla Granger.
Weasley si avvicinò, prese la ragazza per mano e le fece cenno di andare con lui.
“Grazie” pensò di dire Draco, ma la parola gli rimase impigliata in gola.
Prima di seguirlo, la Granger gli rivolse un ultimo sguardo, ma non disse niente.
L’attimo dopo era scomparsa dietro a una parete semicrollata, che
ora rivelava uno dei passaggi segreti del castello, prima nascosto dal
pesante arazzo purpureo che giaceva, lacerato, vicino alla scala.
“Grazie, Hermione”.
Avrebbe davvero dovuto dirlo, ma ancora una volta aveva voluto scegliere la via più facile.
Rimase in silenzio, seduto sulla dura pietra, per un tempo che gli parve infinito.
Il Marchio Nero, simbolo del suo fallimento, del suo errore, della sua vergogna, bruciava leggermente.
Un debole chiarore si diffuse nel cielo oltre la vetrata: l’alba era vicina.
Dunque, la
tregua era finita? Quando sarebbe ricominciata la battaglia? I suoi
genitori avrebbero combattuto? Lui li avrebbe mai riabbracciati?
Un voce, fredda e acuta, lo raggiunse improvvisa, interrompendo il flusso disordinato dei suoi pensieri.
Proveniva dal cortile di Hogwarts.
«Harry Potter è morto!»
.
.
* * *
.
.
.
Angolo Autrice
Salve a tutti!
Dunque,
chi mi conosce si sarà chiesto che diavolo mi sia preso con
questa One shot, perché è risaputo (?) quanto io non
sopporti le Dramione.
Infatti,
è così, non le sopporto, non mi piacciono e mai mi sarei
sognata di scrivere una fanfiction su questa coppia.
In effetti, non l’ho fatto neanche questa volta, anche se un piccolo, piccolissimissimo accenno c’è.
L’idea è nata leggendo una fanfiction di Maliks_Hugs_ che ha acceso in me un interesse per questo pairing.
Ora,
non è il mio preferito e mai riuscirò ad apprezzarlo
davvero, ma un punto di merito va sempre riconosciuto e per la prima
volta mi sono impegnata a cercare il motivo che dà a questa
coppia tanto successo.
Morale
della favola: non l’ho trovato. Questa coppia resta (per me
ovviamente, non prendetela male voi fan/scrittrici di Dramione!)
insensata e l'unica base solida su cui si poggia è il fatto
che i due attori sono f***i, ma visto che non ho niente di meglio da
fare ho voluto dare un mio piccolo contributo in questa selva di
Dramione (esatto, sono come il prezzemolo, sono ovunque, anche dove non
c’entro una cippa)
Ho
voluto analizzare la figura di Draco, soprattutto in funzione della
luce in cui appare nel "19 anni dopo" e spero che la mia
“Dramione” insolita vi sia piaciuta e mi piacerebbe (che
lessico vario, santo cielo!) sapere che cosa ne pensate.
Bene, ora mi dileguo, vi aspetto nei commenti, ogni critica è bene accetta
_Jo
|