Le parole pronunziate
poc'anzi sembrano riecheggiare ancora all'interno della cappella, su,
lungo le colonne di pietra bianca, attraverso l'alto matroneo, fino a
giungere al soffitto a volte della navata centrale. Ed è li,
tra i colori dell'affresco ove il Padreterno
annuncia la venuta del Messia(1), che le odo morire.
Precipitano giù come gocce, piccole perle silenziose prive
di consistenza, così vuote da mutare in lievi spifferi che
mi sfiorano le gote come lacrime invisibili.
Attendo che la donna che ho di fronte emetta la propria sentenza, che
sia buona o cattiva poco importa, purché qualcosa si decida.
“Avevo già preso la mia decisione, Oscar. Un
messaggero si è recato da voi quelle sera stessa, per
comunicarvi il mio perdono. Ma il giorno seguente vostro padre, il
generale Jarjayes, ha chiesto udienza.”
la replica alla mia richiesta d'una qualsivoglia penitenza, giunge come
un fulmine a ciel sereno, rivelando una scomoda verità.
“Mio padre...?”
i polmoni cercano aria, ma invece di trarne a sé, lasciano
fuoriuscire quel poco che ancora vi è al loro interno. E col
respiro anche le parole sfuggono alle mie labbra. Così
misere che io stessa fatico a sentirle.
“Ho creduto volesse porgere la propria gratitudine per la
grazia concessavi, ma vi era dell'altro. Con lo strazio nel cuore ha
confessato di non sapere dove foste andata, né se sareste
mai tornata. E che la colpa era soltanto sua.”
“Dunque, vi ha raccontato ogni cosa...”
distolgo lo sguardo da Maria Antonietta, distratta da uno spicchio di
luce che è penetrato all'interno della chiesa buia. Si sta
facendo giorno e col sole, tra poco, comincerà la consueta
frenesia del luogo.
Ho premura di portare a termine questo incontro, come in egual modo
desidero abbandonare questo posto.
“Mi rincresce doverlo dire, ma ciò che mi ha
confidato vostro padre è giunto alle orecchie di tutta
Versailles e del Re in persona. Si stanno valutando le possibili
conseguenze.”
vorrei chiedere quale versione della realtà, dopo essere
passata di bocca in bocca, sia infine arrivata alla maestosa
Versailles. Posso solo immaginare quali infamie possano essere state
sputate sulla storia d'origine; certamente tutti i pettegolezzi che
negli anni trascorsi alla Reggia sono stati mormorati alle mie spalle.
“Sua Maestà il Re non ha preso bene tale notizia,
o per meglio dire, non lo hanno fatto coloro che stanno al suo fianco.
La Francia sta attraversando un momento difficile e mostrarsi troppo
magnanimi sarebbe sintomo di debolezza. A maggior ragione se la persona
a cui si sta concedendo la grazia per l'ennesima volta, commette un
nuovo errore. Sarò franca con voi, mia cara amica,
potrò ben poco per placare il vostro castigo.”
“Non mi importa quale decisione prenderanno nei miei
riguardi, non ho paura di affrontare il plotone di esecuzione. Ma...
cosa succederà ad André?”
mi muovo verso Maria Antonietta, compiendo il numero di passi necessari
a fronteggiarla. La supero in altezza di una spanna, il che mi mette in
una posizione di superiorità.
Sono consapevole dell'insania di questo mio gesto, solo uno stolto
oserebbe anche solo immaginare di tener testa ad un sovrano, ma il buon
senso mi è d'ostacolo.
Il tempo mi è nemico e la ragione, la diplomazia, il
servilismo, principi nobili e sicuri, nulla servirebbero al mio scopo.
Se non a dilatare quella che è di già un'agonia.
Pretendo delle risposte, ora, subito e voglio che lei lo comprenda
molto chiaramente.
“Oscar, voi...”
il mio intento non ha l'esisto sperato. Nello sguardo della mia Regina
tutto vi è fuorché il turbamento che speravo di
provocare.
Mi guarda con uno stupore gentile, dal basso verso l'alto, e per la
seconda volta da quando ho messo piede nella cappella, mi cattura le
mani tra le sue.
Tento di sfuggire al suo appiglio ma lei non si fa sorprendere, seguita
a trattenere le mie dita nella sua presa, con una forza inaspettata. Ed
io vorrei soltanto dirle che non ho bisogno di quelle sciocchezze da
donnicciole, e neppure dell'intonazione che ha preso la sua voce,
così melensa da far venire il voltastomaco.
Oscar, voi...
io cosa? Cosa volete dire?
“Posso fare in modo che vi possiate sposare, se solo voi lo
desiderate...”
la stretta delle sue mani si fa più lieve, ma non si
scioglie, muta in una carezza perpetua che mi confonde. Tanto quanto
l'espressione che ha negli occhi, una mescolanza di euforia e pena,
mentre il nulla lasciato a mezz'aria tra la lingua e le labbra,
racconta più delle parole che le ho sentito sillabare.
A quanto pare anche lei ha fantasticato di tanto in tanto sulla mia
esistenza, allestendo scenari alternativi rispetto all'algida vita che
ho condotto nei panni dell'erede del casato De Jarjayes.
Ma la commedia che si è figurata nella mente nulla ha di che
spartire con ciò che è accaduto, e forse in fondo
anche lei ne è consapevole. Perché nell'azzurro
delle sue iridi riconosco la compassione di chi sa che, se anche vi
fosse amore tra l'aristocratica ed il servo, la storia prenderebbe
irrimediabilmente le fattezze di un dramma.
“No, io... io desidero soltanto che lui non venga punito in
alcun modo.”
ribatto eludendo il nome di colui che nessuna delle due pare voler
pronunciare, d'altronde non ve ne sarebbe motivo, la sua presenza,
già così, pesa su di noi come un macigno. Io
stessa ne sono sopraffatta e dio solo sa quanto abbia tentato di
ignorarlo, con ogni mezzo a mia disposizione; il rigore del soldato, la
disciplina, il pragmatismo. Nulla è servito. Lui ha la
capacità di sedurre qualsiasi mio pensiero, riflessione,
ricordo, tutto ciò che gli è estraneo, di modo
che la mia attenzione volga nuovamente alla sua persona.
“Capisco, ma temo di non potervi accontentare. Il fatto si
è già saputo. La prigionia sarà la
pena minore per un tale reato.”
Maria Antonietta evita il mio sguardo come una ladra scoperta a rubare,
lei che con un sol gesto potrebbe mandare a morte me e l'intera
Francia, teme il mio giudizio per una scelta che oramai non
è più di sua spettanza.
“Reato? Noi...”
nulla posso per fermare la collera che m'infiamma le membra,
l'assecondo permettendole di fuggire dalle labbra e mostrare il proprio
sdegno con la voce. D'un tono che rasenta il grido.
“Non ci sarà alcun Voi, Oscar. La colpa
ricadrà interamente su André. Siete stata
capitano delle guardie reali, comandante dei soldati della guardia, ma
per gli uomini di questo mondo, in una simile situazione, siete
soltanto una donna indifesa.”
allontano le mani dalle sue e non vi sono ostacoli nella fuga. Mi
lascia andare. Qualcosa si è è rotto tra di noi,
qualcosa che va al di là della nostra ventennale amicizia.
Siamo simili e diverse. Uguali nella natura del nostro sesso, nei
nobili natali che ci hanno viste venire al mondo, e in alcune
emarginazioni riservate a questa condizione, eppur dissimili nella
strada che abbiamo deciso di percorrere in quest'epoca oscura.
Lei ha scelto il dovere, io, forse per la prima volta, il cuore.
“Maledizione...”
la protesta mi sgorga dalla gola come un conato, ed ha il sapore
dell'imprecazione più feroce, anche se per rispetto verso
colei che abita con me questo santuario, arresto la furia che mi
ribolle al di sotto delle vene.
Sento su di me l'attenzione d'ogni statua, affresco, quadro, presente
in questo sacrario. Le pupille dei santi, degli angeli, di Dio e della
Vergine, mi puntano addosso come rovi di spine sulla pelle.
Null'altro ho da domandare o discorrere, ragion per cui è
ormai giunto il momento di congedarmi. Mi inchino dinnanzi a sua
grazia, col capo chino e la mano sul cuore.
“Vi ringrazio per tutto ciò che avete fatto per me
e vi supplico di non tormentarvi se nulla potrete per noi. La mia stima
nei vostri riguardi rimarrà immutata. Mi auguro di poterci
rivedere un giorno.”
affermo con l'affetto in ogni parola proferita e con una melanconia che
mi brucia gli occhi, scortando le lacrime ai margini delle ciglia. Ho
il presentimento che questo sarà il nostro ultimo incontro.
Un addio.
Ne sono talmente addolorata da dimenticarmi d'essere ancora
inginocchiata, me ne rammento quando un tocco deciso sulle braccia mi
invita ad alzarmi da terra. Sollevo il viso e vi trovo la mia Regina,
al mio medesimo livello, come forse non si è mai trovata a
stare.
Riacquisto la mia posizione eretta e l'inaspettato mi sorprende ancora
una volta regalandomi l'abbraccio serrato di Maria Antonietta. Mi tiene
contro di sé con una tale urgenza da farmi mancare il fiato,
i palmi premono sulla mia schiena come a voler oltrepassarmi le carni.
Finché uno di questi si dilegua per raggiungere il capo,
dove le dita mi impugnano i capelli.
“Vi voglio bene mia cara ed unica amica. Siete stata il punto
fermo di questa mia esistenza incerta, in un paese straniero, e
credetemi quando vi dico che vi porterò sempre nel cuore.
Abbiate cura di voi stessa e... Oscar, avete la possibilità
di cambiare la vostra vita, non sprecatela.”
mi confida in un sussurro sommesso lasciandomi sbigottita, ma
abbastanza attenta da copiare il suo stesso comportamento.
L'abbraccio che ci unisce non ha ruoli, titoli, etichette, gerarchie,
nulla di tutto ciò, è unicamente il saluto tra
due donne con lo stesso cuore.
Percepisco il pianto caldo della Regina bagnarmi la guancia e parte del
collo, anche il mio volto è umido della stessa tristezza.
Piangiamo, ridiamo, tardando il momento dell'abbandono e quando
troviamo la forza di dividerci non vi sono parole. Mi allontano
voltandole le spalle, lasciandola dietro di me, insieme ad un passato
che, seppure non rinnegato, d'ora in avanti non farà
più parte di me.
Accedo in Rue de la Lingerie col giungere delle sera, ho rallentato il
mio ritorno di proposito, attardandomi sulla strada che da Versailles
porta nel centro di Parigi.
Avevo bisogno di qualche istante di pace, soltanto io e il silenzio dei
campi di cui potrei tratteggiare ogni singolo filo d'erba.
Ma il posto al quale ho concesso la maggior parte del tempo
è stato Palazzo Jarjayes, si, proprio così. Dopo
aver fermato Cèsar a ridosso del muretto che circonda
l'appezzamento di famiglia, ho osservato la vita che ha seguitato a
proseguire nonostante la mia assenza. L'andirivieni dei lavoranti negli
agri coltivati, il viavai della servitù, e in quel
susseguirsi di individui è comparsa la vecchia Nanny,
indaffarata come al solito. Prima d'essere colta dalla nostalgia ho
ripensato alle parole di Maria Antonietta e riprendere il cammino per
Les Halles è stata la conseguenza naturale delle ragioni del
cuore.
Ora non mi resta che recuperare un po' del vecchio coraggio per
affrontare il disappunto che mi accoglierà non appena
oltrepasserò l'uscio dell'appartamento.
Traggo un lungo respiro e sono dentro.
Nella cucina trovo André e Bernard occupati a conversare tra
loro.
“Bernard, mi fa piacere rivederti.”
mi ritrovo a dire, forse per anticipare il richiamo che mi aspetto da
Andrè per essermi allontanata senza dire una parola. Ma da
lui non scaturisce neppure un fiato, si limita a guardarmi con fastidio.
“È lo stesso per me. Ma avrei preferito che non ti
fossi allontanata, Oscar.”
è Bernard a rimproverarmi, ma poco importa. Non voglio
giustificarmi in alcun modo, questa mia disobbedienza andava fatta.
“Vi ho portato del cibo e con esso, purtroppo, delle
novità che non vi piaceranno.”
mi avvicino ai due. Ora siamo tutti e tre attorno al tavolo, in piedi,
in allerta.
“Ho avuto modo di trovarmi a Palazzo Reale, nel salotto che
il Duca d'Orleans mette a disposizione per i giovani giornalisti,
scrittori, politici e, tra un discorso liberale e filosofico, ho
carpito qualche informazione proveniente da Versailles.”
“Dunque, cosa hai scoperto?”
lo sollecito con calma, camuffando l'agitazione.
“Ebbene, ho saputo che Oscar sarà destituita dalla
carica di comandante dei soldati della guardia. È
André quello che potrebbe avere la peggio, il male minore
è il carcere. In alternativa, e a quanto pare l'ipotesi
più accreditata, pare essere la forca. Innumerevoli persone
hanno messo in dubbio il suo gesto, bollandolo come rapimento, e se la
nobildonna è stata irretita o addirittura compromessa, non
vi è altra alternativa che quella. Senza dimenticare che ha
minacciato con una pistola il suo vecchio padrone, nonché
aristocratico. Purtroppo la Regina non ha più alcuna voce in
merito, il Re, sotto stretto consiglio di chi gli sta accanto, crede
che sia giusto punire in modo esemplare un'azione del genere, per dare
una sorta di esempio.”
le orecchie hanno cominciato a fischiare dopo aver udito la parola
“forca” ed ora le gambe hanno preso a tremare. Non
voglio credere a nulla di tutto quello che ho sentito.
“L'unica soluzione è scappare.”
è la voce di André che riconduce in me l'udito.
“Non posso lasciare Parigi. Ci sono i miei soldati da portare
in salvo.”
manifesto la mia posizione, ferma, dando per scontato che nella sua
fuga fosse contemplata anche la mia presenza.
“Se sarà necessario andrò via da
solo.”
annuncia infine André, con una fermezza che non include
obiezioni. Mi sento mancare, l'aria mi si blocca in gola, soffocandomi
come una mano serrata attorno al collo.
“Sposiamoci.”
dico a voce alta, puntando i palmi delle mani sul tavolo,
attirando su di me l'attenzione di entrambi.
(1) Ad opera di Antoine Coypel, pittore e decoratore francese. La sua
opera più rappresentativa è stata appunto la
decorazione del soffitto della cappella di Versailles, terminata nel
1716 e realizzata in chiaro stile barocco romano.